Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 settembre 2024| n. 25166.
Revocatoria fallimentare e l’onere della prova contraria del convenuto
In tema di revocatoria fallimentare, l’onere della prova contraria gravante sul convenuto, che intenda vincere la presunzione semplice di conoscenza dello stato di insolvenza, posta dall’art. 67, comma 1, l.fall., non ha contenuto meramente negativo, equivalente alla mancanza della prova positiva della conoscenza, e non può, quindi, essere assolto con la mera dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato di insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, sussistevano circostanze tali da far ritenere, ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza, che l’imprenditore si trovava in una situazione normale di esercizio dell’impresa.
Ordinanza|19 settembre 2024| n. 25166. Revocatoria fallimentare e l’onere della prova contraria del convenuto
Data udienza 11 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Effetti – Sugli atti pregiudizievoli ai creditori (rapporti con l’azione revocatoria ordinaria) – Azione revocatoria fallimentare – Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie – In genere convenuto in revocatoria – Stato di insolvenza – Presunzione di conoscenza ex art. 67 l.fall. – Prova contraria – Contenuto – Prova dell’assenza di circostanze evidenzianti l’insolvenza – Insufficienza – Revocatoria fallimentare e l’onere della prova contraria del convenuto
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
composta dagli ill.mi signori magistrati
Dott. TERRUSI Francesco – Presidente
Dott. ABETE Luigi – Consigliere rel.
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 26408 – 2021 R.G. proposto da:
MA. Spa – c.f. (omissis) p.i.v.a. (omissis) – in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Ro., alla Vi.Ci., n. (omissis), presso lo studio dell’avvocato Ma.Pi. che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Gi.Bo. ed all’avvocato Mo.Pe. la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso.
RICORRENTE
contro
CURATORE del fallimento della Gi.Co. Srl, in persona del dottor Tu.Al. elettivamente domiciliato in Ro., alla via Du., n.(omissis), presso lo studio dell’avvocato Ma.Bo. che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato professor Vi.Pi. lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso.
CONTRORICORRENTE
avverso il decreto del Tribunale di Livorno n. 9845 del 15.9.2021,
udita la relazione nella camera di consiglio dell’11 settembre 2024 del consigliere dott. Luigi Abete,
Revocatoria fallimentare e l’onere della prova contraria del convenuto
RILEVATO CHE
1. Con ricorso ex art. 93 l.fall. la Ma. Spa; domandava l’ammissione al passivo del fallimento della Gi.Co. Srl;, dichiarato dal Tribunale di Livorno con sentenza del 2.11.2020, per la somma di Euro 467.496,55 con prelazione in virtù dell’ipoteca volontaria concessale in data 19.4.2018 ed iscritta in data 26.4.2018 (cfr. ricorso, pag. 3).
2. Il giudice delegato conformemente al parere del curatore faceva luogo all’ammissione in chirografo, previa revoca ex artt. 67, 1 co., n. 4, e 69 bis, 2 co., l.fall., della garanzia ipotecaria.
3. La Ma.; proponeva opposizione.
Resisteva il curatore del fallimento della Gi.Co. Srl;
4. Con decreto n. 9845 del 15.9.2021 il Tribunale di Livorno rigettava l’opposizione e condannava l’opponente alle spese di lite.
Evidenziava il Tribunale – in ordine al primo profilo controverso, concernente il computo a ritroso del periodo sospetto a far data dal 16.10.2018, dì di deposito della domanda di concordato “in bianco”, non seguita da alcuna proposta, poi rinunciata e quindi dichiarata improcedibile, ovvero a far data dal 7.4.2019, dì di deposito della domanda del concordato al quale la Co.Gi. era stata vanamente ammessa ed al quale aveva fatto seguito la dichiarazione di fallimento (cfr. decreto impugnato, pagg. 2 – 3) – che l’assunto dell’opponente, ossia la seconda opzione ricostruttiva, non poteva esser recepito, siccome nella specie il medesimo stato di crisi era sotteso di già alla domanda di concordato “con riserva”; che dunque difettava l’estremo della discontinuità dello stato di insolvenza (cfr. decreto impugnato, pag. 5).
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Evidenziava il Tribunale – in ordine al secondo profilo controverso, concernente la dimostrazione da parte dell’opponente della propria inscientia decoctionis alla data di concessione dell’ipoteca volontaria di cui era stata in via d’eccezione invocata la revocatoria (cfr. decreto impugnato, pag. 3) – che l’opponente non aveva assolto l’onere della prova a suo carico (cfr. decreto impugnato, pag. 8).
Evidenziava segnatamente che gli elementi di valutazione presuntiva allegati dalla Ma.; – l’assenza di protesti, l’approvazione in data 30.1.2019, successiva alla concessione dell’ipoteca, del bilancio, relativo all’esercizio chiuso al 31.12.2017, della Srl poi fallita, palesante per la prima volta l’integrale perdita del patrimonio (cfr. decreto impugnato, pagg. 6 – 7) – risultavano inidonei ai fini del riscontro inferenziale della inscientia decoctionis.
Evidenziava invero che tra la società opponente e la società poi fallita erano intercorsi rapporti commerciali di significativa durata ed entità, tali da lasciar presumere che l’opponente avesse atteso costantemente alla verifica delle condizioni patrimoniali ed economiche della propria debitrice (cfr. decreto impugnato, pag. 8).
Evidenziava quindi che siffatto contesto circostanziale non deponeva per il superamento della presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza (cfr. decreto impugnato, pag. 9).
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5. Avverso tale decreto ha proposto ricorso la Ma. Spa ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione.
Il curatore del fallimento della Gi.Co. Srl ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi il ricorso con il favore delle spese.
6. La ricorrente ha depositato memoria.
Del pari ha depositato memoria il controricorrente.
CONSIDERATO CHE
7. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 1 co., n. 4, e 69 bis l.fall.
Deduce che ha errato il Tribunale ad opinare per la consecuzione tra la domanda di concordato “in bianco” e la dichiarazione di fallimento (cfr. ricorso, pag. 8), visto che la domanda di concordato “con riserva”, depositata il 16.10.2018, non è stata seguita da alcuna proposta, è stata rinunciata ed è stata dichiarata improcedibile (cfr. ricorso, pag. 8).
Deduce dunque che la domanda di concordato “in bianco” ha avuto una finalità meramente dilatoria ed abusiva, ovvero “il solo scopo di differire la dichiarazione di fallimento e impedire nel frattempo le azioni esecutive” (così ricorso, pag. 11).
Deduce quindi che l’art. 69 bis l.fall. è da interpretare “in senso sostanziale”, sì che per “domanda di concordato preventivo” debba “intendersi solo quella corredata da una proposta, un piano e un’attestazione” (così ricorso, pag. 11); e tanto – deduce – similmente a quanto si è assunto in ordine all’art. 168, 3 co., l.fall., di cui si è esclusa l’applicabilità, qualora la domanda di concordato preventivo sia stata rinunciata prima dell’ammissione e sia stato in un momento successivo dichiarato il fallimento (cfr. ricorso, pag. 12).
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8. Il primo motivo di ricorso è privo di fondamento e da respingere.
9. In verità, il motivo di ricorso si risolve nella sostanziale riproposizione del motivo di opposizione (vedasi decreto impugnato, pag. 3, lett. a)).
In tal guisa sovviene l’elaborazione di questa Corte.
Ovvero l’insegnamento – seppur espresso sullo specifico terreno del contenzioso elettorale – a tenor del quale il ricorso per cassazione non può avere ad oggetto i motivi proposti in primo grado ed in appello, in quanto il giudizio innanzi a questa Corte non può che riguardare la sentenza di appello che detti motivi ha o avrebbe dovuto esaminare e quindi le valutazioni operate in quella sede o le eventuali omissioni riscontrabili (cfr. Cass. 29.1.2016, n. 1755; Cass. 24.2.2006, n. 4250).
Ovvero l’insegnamento a tenor del quale con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1 co., n. 4, c.p.c. (cfr. Cass. (ord.) 24.9.2018, n. 22478; Cass. sez. lav. 25.8.2000, n. 11098).
10. In ogni caso, questa Corte spiega che il requisito della consecuzione tra le procedure dipende soltanto dalla mancanza di discontinuità dell’insolvenza (cfr. Cass. 29.5.2019, n. 14713; quivi, in motivazione, si legge ulteriormente: “ove invece il fallimento (o la liquidazione coatta amministrativa) abbia causa nella medesima originaria situazione di insolvenza (…) non può sostenersi (…) che la consecutio venga meno per rinuncia alla domanda di concordato. Semmai la rinuncia costituisce un serio indice del contrario, vale a dire che il succedersi delle procedure sia avvenuto nel contesto dell’unica condizione di insolvenza”).
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In tale prospettiva, appieno da reiterare, ancorata, appunto, all’esplicazione del medesimo stato di decozione – dato imprescindibile di portata, sì, questo, “sostanziale” – non ci si può che indurre al seguente duplice rilievo.
Per un verso, non è da condividere l’assunto – che la ricorrente reputa rilevante ai fini della patrocinata lettura “sostanziale” del 2 co. dell’art. 69 bis l.fall. – per cui dovrebbe attribuirsi significato unicamente “a quel procedimento che risulti (quantomeno) avviato nei suoi tratti essenziali (proposta e piano), se non addirittura aperto” (così memoria della ricorrente, pag. 2), siccome la domanda di pre-concordato attiva (adduce la ricorrente) “una mera fase di osservazione pre-procedurale” (così memoria della ricorrente, pag. 3).
Per altro verso, il riscontro della discontinuità (o meno) dell’insolvenza ovvero dell’identità (o meno), eventualmente sin dal deposito della domanda di concordato ai sensi del 6 co. dell’art. 161 l.fall., della decozione sottesa ai “momenti” concorsuali susseguitesi – pur allorché le procedure non abbiano avuto sviluppo alcuno – si risolve di certo in un giudizio “di fatto”, devoluto al giudice “del merito”, incensurabile in cassazione se non inficiato da errori “di diritto” ovvero da “anomalie motivazionali” – sintomatiche di “omesso esame” -rilevanti nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. (ord.) 16.5.2018, n. 12044, ove in motivazione si specifica “con riguardo all’onere della prova della consecuzione tra le procedure e quindi della continuità dello stato di crisi-insolvenza” che al riguardo “il Tribunale può ricavare, anche in via presuntiva, la prova (positiva o negativa)”).
In questi termini la valutazione cui in parte qua il Tribunale di Livorno ha atteso è inappuntabile “in diritto”, congrua ed esaustiva “in fatto”, ossia esente da qualsivoglia “anomalia motivazionale”.
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Segnatamente, il Tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente riscontrato la mancanza di discontinuità dell’insolvenza, allorché ha dato atto dell’esigua successione temporale intercorrente tra la data – 6.3.2019 – di deposito del decreto di improcedibilità della prima domanda di concordato e la data di deposito – 2.4.2019 – della successiva domanda di ammissione alla procedura concordataria (cfr. decreto impugnato, pag. 5).
11. Si soggiunge, da ultimo, che la valutazione che la fattispecie de qua postula, è destinata a rimaner rigorosamente confinata entro il perimetro della previsione del 2 co. dell’art. 69 bis l.fall.
Di guisa che risulta inconferente – ne ha già dato atto il giudice a quo – il riferimento all’elaborazione correlata alla previsione del 3 co. dell’art. 168 l.fall., propriamente alla luce della puntualizzazione finale dello stesso insegnamento richiamato dalla ricorrente (il riferimento è a Cass. (ord.) 31.3.2021, n. 8996, secondo cui l’art. 168, 3 co., l.fall., il quale dispone l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori all’iscrizione nel registro delle imprese del ricorso per concordato preventivo rispetto ai creditori anteriori al concordato, non si applica qualora, rinunciata la domanda di concordato preventivo prima dell’ammissione al concordato medesimo, sia stato in un momento successivo dichiarato il fallimento dell’imprenditore, trovando l’inefficacia degli atti nell’ambito della procedura fallimentare la propria disciplina nell’art. 69 bis l.fall.).
12. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 67, 1 co., n. 4, l.fall., degli artt. 2728 e 2729 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ.; ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 5, cod. proc. civ. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Deduce che ha errato il Tribunale a ritenere che non ha offerto, al cospetto degli indicati elementi di riscontro presuntivo, la prova della propria inscientia decoctionis (cfr. ricorso, pag. 13).
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Deduce che ha errato il Tribunale a reputare irrilevanti il modesto grado di anormalità e la collocazione temporale, per pochi giorni ricompresa nel periodo sospetto, dell’atto di cui si è invocata la revocatoria (cfr. ricorso, pagg. 17 e 18).
Deduce che il Tribunale ha indebitamente valorizzato una contro-presunzione desunta dalle difese della curatela, connessa alla durata ed all’entità dei rapporti intercorsi con la Srl poi fallita (cfr. ricorso, pagg. 19 – 20), nonché la disponibilità dichiarata da essa ricorrente a consentire alla degradazione per una quota rilevante del proprio credito nell’ambito della procedura di concordato (cfr. ricorso, pag. 21).
Deduce che il Tribunale ha solo menzionato, ma non ha esaminato gli elementi di prova all’uopo indicati (cfr. ricorso, pag. 22).
13. Il secondo motivo di ricorso è propriamente inammissibile.
14. Innegabilmente con il mezzo in disamina la ricorrente si duole per l’asserita omessa (“il Tribunale di Livorno (…) non ha esaminato i surriferiti elementi di prova”: così ricorso, pag. 22) ovvero erronea (“gli elementi addotti da Ma. vengono liquidati in poche righe”: così ricorso, pag. 18) disamina degli elementi di valutazione presuntiva ai fini del riscontro della propria inscientia decoctionis (cfr. analogamente in tal senso controricorso, pag. 15).
A nulla vale dunque che la ricorrente adduca che “ha invece censurato la disamina giuridica di quegli elementi” (così memoria della ricorrente, pag. 8).
15. In questi termini è inevitabile il rinvio all’elaborazione di questa Corte.
Ovvero all’insegnamento secondo cui è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del Giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, 1 co., n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. (ord.) 17.1.2019, n. 1234; Cass. (ord.) 25.9.2023, n. 27266, secondo cui, in tema di prova per presunzioni, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. e dell’idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ “id quod plerumque accidit”, i fatti ignoti da provare, costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito).
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Ovvero l’insegnamento secondo cui spetta al giudice di merito non solo vagliare l’opportunità del ricorso alle presunzioni, ma pur individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento “di fatto” che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà (il che non è nella specie) del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (cfr. Cass. 11.5.2007, n. 10847; cfr. Cass. 23.1.2006, n. 1216).
Ovvero all’insegnamento secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. solo quando il giudice di merito disattenda (il che non è nel caso di specie) tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. sez. lav. (ord.) 27.12.2016, n. 27000; Cass. (ord.) 17.1.2019, n. 1229; Cass. sez. un. 20.9.2020, n. 20867 (Rv. 659037-02)).
16. In questi termini è sufficiente il riscontro per cui pur in parte qua l’impugnato dictum è immune da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale”.
Cosicché non può darsi seguito alcuno alla doglianza secondo cui “i bilanci precedenti (a quello dell’esercizio chiuso il 31.12.2017) testimoniavano un’operatività aziendale assolutamente regolare” (così ricorso, pag. 14); alla doglianza secondo cui lo stesso “Commissario Giudiziale (…) nella relazione ex art. 172 L.F. ha imputato all’organo amministrativo svariate irregolarità in relazione al bilancio e all’accesso al credito” (così ricorso, pag. 14); alla doglianza ancorata alla “visura negativa sui protesti” (cfr. ricorso, pag. 14).
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17. E tanto, ben vero, nel quadro dell’insegnamento di questa Corte.
Ossia dell’insegnamento secondo cui, al fine di vincere la presunzione semplice di conoscenza dello stato di insolvenza posta dal 1 co. dell’art. 67 l.fall., l’onere della prova contraria gravante sul convenuto in revocatoria non ha contenuto meramente negativo, equivalente alla mancanza della prova positiva della conoscenza, e non può quindi essere assolto con la mera dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato di insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile sussistessero circostanze tali da far ritenere ad una persona di ordinaria prudenza e avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione normale di esercizio dell’impresa; pertanto, come la presenza di protesti cambiari e di procedure esecutive individuali può in concreto non assurgere a decisiva rilevanza ai fini della prova positiva della “scientia decoctionis”, così la certezza della esclusione di quest’ultima non può essere affidata esclusivamente all’assenza di tali elementi, che, pur essendo indizi rivelatori di insolvenza, non ne sono tuttavia gli unici sintomi (cfr. Cass. 20.6.1997, n. 5540; Cass. 7.4.2004, n. 6864).
18. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
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19. Ai sensi dell’art. 13, 1 co. quater, D.P.R. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1 co. bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).
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P.Q.M.
La Corte così provvede:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente, Ma. Spa, a rimborsare al controricorrente, curatore del fallimento della Gi.Co. Srl;, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;
ai sensi dell’art. 13, 1 co. quater, D.P.R. n. 115/2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1 co. bis, D.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, l’ 11 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2024.
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