Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 14 gennaio 2019, n. 622.
La massima estrapolata:
Qualora promissario venditore garantisca in ordine alla regolarità urbanistica dell’immobile, egli deve fornire al promissario acquirente documentazione attestante tale regolarità. In detta documentazione rientra anche il certificato di abitabilità, che costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, al punto da incidere sull’attitudine del bene ad assolvere la propria funzione economico-sociale.
Il rifiuto del promissario acquirente di stipulare un contratto di compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità, agibilità e conformità alla concessione edilizia è giustificato dall’interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e commerciabilità del bene. Il rifiuto è legittimo anche se la mancanza di tali certificati dipende dalla inerzia del Comune.
Ordinanza 14 gennaio 2019, n. 622
Data udienza 20 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10426-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1828/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalla ricorrente.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
(OMISSIS) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri, (OMISSIS) e il (OMISSIS) S.r.l., affermando che in data 7/11/2002 aveva sottoscritto una proposta di acquisto di un appartamento nella sede della societa’ immobiliare, e successivamente di aver stipulato con la (OMISSIS), in data 10/12/2002, un contratto preliminare di compravendita dell’immobile, verso il corrispettivo del prezzo di Euro 59.400,00 da corrispondere nel seguente modo: Euro 2.500,00 gia’ versati prima della stipula; Euro 2.500,00 da versarsi alla sottoscrizione del contratto preliminare a titolo di caparra confirmatoria; Euro 54.400,00 da corrispondere alla stipula del contratto definitivo.
Il (OMISSIS) contestava la condotta inadempiente della (OMISSIS) la quale, non avendo fornito il certificato di abitabilita’ ed il progetto approvato del frazionamento dell’immobile, aveva impedito la stipula del definitivo, entro il termine concordato del 30/04/2003.
Pertanto, l’attore chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente venditrice con la condanna alla restituzione del doppio della caparra versata, pari a Euro 5.000,00, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata sottoscrizione del contratto definitivo.
Chiedeva altresi’ la condanna della (OMISSIS) S.r.l. alla restituzione della somma di Euro 2.500,00 incassata a titolo di caparra confirmatoria, qualora non avesse gia’ corrisposto detta somma alla (OMISSIS).
La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto delle pretese attoree ed eccependo che era stato il (OMISSIS) a rendersi inadempiente, non avendo stipulato il contratto definitivo entro il termine pattuito.
Si costituiva altresi’ la (OMISSIS) S.r.l., deducendo l’infondatezza della domanda ed affermando di aver svolto correttamente l’incarico di intermediazione immobiliare, e di avere percepito per l’opera prestata il compenso pattuito di Euro 4.000,00.
Il Tribunale di Velletri, con la sentenza n. 2836/2007, rigettava la domanda attorea, non ritenendo sussistente un’ipotesi d’inadempimento della promittente venditrice, dal momento che nel contratto preliminare non era stabilito alcun obbligo di consegna dei documenti richiesti, a carico della promittente venditrice, entro la data prevista per il definitivo. Peraltro, ritenendo correttamente svolto l’incarico della societa’ di intermediazione, rigettava anche la domanda proposta avverso quest’ultima.
Proponeva appello il (OMISSIS) nei confronti di entrambe le convenute, assumendo l’erronea valutazione delle prove testimoniali espletate in primo grado, dalle quali era invece emerso che esso promissario acquirente aveva piu’ volte sollecitato la (OMISSIS) alla consegna della documentazione, ma che le richieste erano rimaste senza esito, sebbene le avesse inviato due telegrammi (nel giorno precedente e in quello fissato per la stipula del definitivo) con i quali la preavvertiva che la mancanza dei documenti avrebbe impedito la conclusione del contratto definitivo.
L’appellante, inoltre, deduceva il vizio derivante dall’erronea interpretazione delle norme di legge, avendo il primo giudice ritenuto che la mancata assunzione nel preliminare dello specifico obbligo di consegnare il certificato di abitabilita’ non avrebbe potuto determinare alcun adempimento.
Infine, affermava l’incongruita’ della motivazione circa il rigetto della domanda proposta nei confronti della (OMISSIS) S.r.l.
Si costituiva la (OMISSIS) che chiedeva il rigetto del gravame l’appello.
Dichiarato improcedibile l’appello nei confronti della societa’ (OMISSIS) S.r.l., per la mancata produzione in giudizio della notifica dell’appello alla stessa, il che non consentiva di ritenere correttamente instaurato il contraddittorio, la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1828/2016 riformava la decisione di primo grado, dichiarando risolto il contratto preliminare di vendita, condannando la promittente venditrice alla restituzione della somma di Euro 5.000,00, oltre interessi legali dal 10/12/2002, nonche’ al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado.
Secondo i giudici di appello la (OMISSIS) aveva garantito la totale regolarita’ urbanistica dell’immobile in sede di conclusione del contratto preliminare, con la conseguenza che, per consentire la stipula del contratto definitivo, avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione attestante tale regolarita’, ed in particolare, il certificato di abitabilita’, il quale era stato piu’ volte richiesto dal promissario acquirente, con l’avvertimento che senza di essi non si sarebbe potuti addivenire alla stipula del contratto definitivo. Tale inadempimento contrattuale, dunque, comportava la risoluzione del contratto e, di conseguenza, faceva sorgere gli obblighi restitutori delle somme ricevute a vario titolo dall’appellata.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la (OMISSIS) con un unico motivo.
L’intimato non ha svolto attivita’ difensiva in questa fase.
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la falsa applicazione ed estensione al contratto preliminare delle norme disciplinanti il contratto di compravendita, in particolare degli articoli 1470 e 1477 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Afferma la ricorrente che la Corte territoriale ha errato nell’applicare al caso di specie le predette norme che, in quanto dettate per il contratto di compravendita, possono operare solo a seguito della stipulazione del definitivo, e non anche per effetto della conclusione del contratto preliminare.
Le obbligazioni gravanti sul venditore, tra le quali rientra anche quella della consegna della cosa oggetto della compravendita, dei titoli e dei documenti relativi alla proprieta’ della cosa venduta, vanno eseguite al momento della stipula del definitivo, non potendosene esigere l’adempimento nella fase precedente.
Il ricorso deve essere rigettato.
In tal senso rileva che, con accertamento in fatto i giudici di appello hanno ritenuto che la ricorrente avesse garantito la totale regolarita’ urbanistica dell’immobile, e che quindi “avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione attestante tale regolarita’”, documentazione in cui rientra inequivocabilmente anche il certificato di abitabilita’, ritenendo che tale obbligo fosse consequenziale all’assunzione della garanzia quanto alla regolarita’ urbanistica del bene.
Peraltro e’ consolidato orientamento di questa Corte quello per cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilita’ o di agibilita’ e di conformita’ alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune – nei cui confronti, peraltro, e’ obbligato ad attivarsi il promittente venditore – e’ giustificato, ancorche’ anteriore all’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perche’ l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprieta’ di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico – sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioe’ la fruibilita’ e la commerciabilita’ del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali (Cass. nn. 10820/2009 e 15969/2000).
Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilita’ costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, come ricorda Cass. n. 1514/2006, al punto tale che esso e’ in grado di incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico – sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilita’. D’altronde, ed anche prima della formale stipula del definitivo, si e’ affermato che (cfr. Cass. n. 13969/2006) nel caso in cui il preliminare preveda la consegna anticipata del bene, rientra tra le obbligazioni gravanti sul promittente venditore anche quella di allegare il certificato di abitabilita’ dell’immobile contestualmente alla consegna dell’appartamento, nel caso in cui sia anche anticipato il pagamento del prezzo (conf. Cass. n. 4513/2001).
In tale ottica, reputa il Collegio che non possa essere censurata la valutazione compiuta dai giudici di appello circa l’attualita’ dell’obbligo della ricorrente di dover consegnare il certificato in questione, attese le reiterate richieste di parte intimata, cosi’ come comprovate dall’istruttoria svolta, ed avvenute in prossimita’ proprio della scadenza del termine per la stipula del definitivo, e con il chiaro intento quindi di mettere a disposizione del notaio rogante tutta la documentazione idonea ad assicurare la verifica circa la regolarita’ urbanistica del bene. Trattasi di soluzione che costituisce a ben vedere una piana applicazione del principio della buona fede.
Al riguardo puo’ richiamarsi quanto ritenuto in passato da questa Corte (cfr. Cass. n. 20399/2004, Cass. n. 13345/2006), secondo cui in tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioe’ della reciproca lealta’ di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, cosi’ come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicche’ la clausola generale di buona fede e correttezza e’ operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio (articolo 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione di un contratto (articolo 1375 c.c.), concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando cosi’ integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarieta’, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del “neminem laedere”, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte (nel precedente del 2004 e’ stata confermata la sentenza della Corte d’Appello che, in relazione all’esecuzione di un contratto preliminare di vendita immobiliare antecedente l’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985, aveva ritenuto inadempienti i promittenti venditori in quanto essi non avevano proceduto a sanare l’immobile, abusivamente costruito, e ad acquisire il relativo certificato di abitabilita’, e cio’ aveva fatto sebbene tale condotta omissiva non fosse stata esplicitamente sanzionata nell’accordo negoziale).
Ad avviso del Collegio, a fronte di un’assunzione della garanzia circa la regolarita’ urbanistica del bene, se, come dedotto in ricorso, il certificato de quo era gia’ esistente, l’omessa risposta alle richieste di consegna dello stesso da parte del promissario acquirente in epoca prossima alla scadenza del termine previsto per la stipula del definitivo, allorquando quindi si palesava la necessita’ di entrarne in possesso, costituisce comportamento evidentemente contrario ai principi di buona fede, laddove allo stesso abbia fatto poi seguito la dichiarazione di recesso della promittente venditrice sul presupposto del mancato rispetto del termine de quo, e giustifica quindi l’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento della ricorrente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nulla per le spese atteso che l’intimato non ha svolto attivita’ difensiva.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disp. per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13.
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