Retrocessione parziale dei beni espropriati

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 2 gennaio 2019, n. 22.

La massima estrapolata:

La retrocessione parziale dei beni espropriati, in altri termini, è subordinata ad una determinazione amministrativa di inservibilità dei fondi espropriati all’opera pubblica e, solo dopo che sia stata emanata la formale dichiarazione di inservibilità, gli espropriati sono titolari, come per la retrocessione totale, di un diritto soggettivo, lo jus ad rem, che consente loro di agire per chiedere la restituzione dei beni espropriati e non utilizzati.

Sentenza 2 gennaio 2019, n. 22

Data udienza 22 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7554 del 2013, proposto dai signori Pa. Re., Gi. Lu. Re., Al. Re. e Ma. Lu. Re., rappresentati e difesi dall’avvocato Be. Gr., con domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via (…);
contro
il Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ca., Ma. Mo. e Fe. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fe. Ca. in Roma, via (…);
nei confronti
la Co. Sv. Im. S.r.l. in liquidazione (già Co. Co. S.p.A), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Gu., con domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, Sezione I, n. 158 del 28 febbraio 2013.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bologna e della Co. Sv. Im. S.r.l. in liquidazione (già Co. Co. S.p.A);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 novembre 2018 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato Be. Gr. e l’avvocato Gi. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La causa ha ad oggetto il diniego opposto dal Comune di Bologna alla richiesta avanzata dai signori Re. nel 1993 per ottenere la retrocessione di alcuni terreni a suo tempo espropriati al loro dante causa dal Comune per la realizzazione di un piano di insediamenti produttivi (di seguito anche PIP) approvato nel 1979.
I ricorrenti hanno ricostruito i fatti in modo analitico, ponendo in rilievo, in particolare, che:
– con delibera consiliare n. 291 del 3 maggio 1974, il Comune di Bologna ha adottato un Piano degli Insediamenti Produttivi ex art. 27 della legge n. 865 del 1971 suddiviso in tre comparti, tra cui una “zona annonaria e mercantile”, localizzata nel quadrante nord-est del territorio comunale, adiacente al quartiere residenziale “Pilastro”, in cui erano compresi vari immobili con sovrastanti fabbricati di proprietà del prof. Mario Re.;
– il PIP è stato definitivamente approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 85 del 27 marzo 1979;
– gli immobili di proprietà del prof. Re. sono stati acquisiti dal Comune mediante un atto di cessione volontaria, in luogo di espropriazione, ex art. 12 della legge n. 865 del 1971, stipulato in data 2 giugno 1983;
– il PIP è scaduto nel gennaio 1989 ed i terreni del prof. Re. sono rimasti del tutto inutilizzati;
– i figli del defunto prof. Re., con istanza del 16 luglio 1993 e successivo atto di diffida e messa in mora notificato il 15 ottobre 1993, hanno chiesto al Comune di Bologna la retrocessione dei beni;
– gli eredi Re. hanno proposto ricorso al giudice amministrativo avverso l’inerzia dell’Amministrazione ed il T.a.r. per l’Emilia Romagna, riconducendo la fattispecie all’ipotesi della “retrocessione parziale”, da un lato, ha accertato che, nel corso del decennio di efficacia del piano, i terreni espropriati ai signori Re. non erano mai stati oggetto di assegnazioni a canone calmierato, secondo i fini propri del PIP, né utilizzati in altro modo, dall’altro, ha accertato la sussistenza in capo agli eredi Re. di un interesse legittimo ad ottenere una pronuncia sulla “inservibilità ” o meno dei beni espropriati nel 1983, con obbligo per il Comune di Bologna di provvedere;
– il relativo appello è stato respinto dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 874 del 2007, che ha ribadito la titolarità degli eredi Re. di una posizione di interesse legittimo pretensivo, concreto e differenziato, alla statuizione del Comune sulla persistente utilità dei terreni espropriati;
– il Commissario Straordinario del Comune di Bologna, con provvedimento n. 51/2010, ha negato la retrocessione delle aree.
Il T.a.r. per l’Emilia Romagna, con sentenza n. 158 del 28 febbraio 2013, in parte ha dichiarato inammissibile ed in parte ha respinto l’azione di annullamento proposto dagli eredi Re. avverso il provvedimento con cui l’Amministrazione comunale ha negato la retrocessione delle aree nonché avverso la deliberazione del Consiglio Comunale n. 247 del 12 dicembre 2005, richiamata nel provvedimento, ed avverso l’art. 20, comma 3, del P.S.C. e l’art. 12, comma 3, del P.O.C., nella parte in cui richiamano il PIP del 1996.
Di talché, gli interessati hanno proposto il presente appello, con cui hanno premesso che la sentenza impugnata si compone di tre capi, logicamente distinti, così riassumibili:
– ha dichiarato inammissibile la domanda di accertamento formulata dai signori Re., affermando che essa avrebbe ad oggetto fatti e profili irrilevanti per la legittimità o meno del provvedimento impugnato;
– ha dichiarato inammissibile per tardività e carenza di legittimazione l’impugnazione della delibera C.C. n. 247 del 2005 (che aveva “confermato” l’attuabilità del PIP 1996 dopo la scadenza) e delle norme del PSC e del POC (in cui si dava atto che il PIP era tutt’ora “in corso di attuazione” in virtù della delibera n. 247 del 2005);
– non ha esaminato i motivi proposti contro il diniego di retrocessione n. 51 del 2010, ritenendo che esso doveva considerarsi “sufficientemente giustificato” con il richiamo agli atti pregressi (delibera C.C. n. 247 del 2005, PSC, POC), poiché erano questi ultimi ad aver rinnovato il giudizio di interesse pubblico sulle aree dell’ex PIP.
Gli eredi Re. hanno proposto i seguenti profili di doglianza:
Primo motivo d’appello.
Sulla dichiarazione di inammissibilità della domanda di accertamento: violazione degli artt. 61-62 legge n. 2359 del 1865, dell’art. 27 legge n. 865 del 1971 e dei principi del processo amministrativo.
Secondo motivo d’appello
Errata interpretazione della delibera n. 247 del 2005 e degli artt. 20.3 PSC e 12.3 del POC quanto ad un loro asserito effetto di “proroga/rinnovo” della dichiarazione di pubblica utilità del PIP 1996.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 legge n. 865 del 1971, dell’art. 17 l.r. n. 37 del 2002 e dell’art. 28 l.r. n. 20 del 2000.
Difetto di motivazione per illogicità manifesta.
Terzo motivo d’appello (subordinato al secondo motivo)
Sulla dichiarazione di tardività e carenza di legittimazione della impugnazione della delibera n. 247 del 2005 e degli artt. 20.3 PSC e 12.3 del POC. Errata interpretazione degli atti di causa e vizio di motivazione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 legge n. 865 del 1971, degli artt. 21.6 e 24.7 l.r. n. 47 del 1978, degli artt. 61-62 legge n. 2359 del 1865, dell’art. 17 l.r. n. 37 del 2002.
Riproposizione dei motivi di ricorso nn. III-IV
Motivo n. III (Violazione della disciplina sui piani per gli insediamenti produttivi ex art. 27 l. n. 865 del 1971 in relazione all’art. 834 c.c. ed all’art. 42 Cost., nonché dell’art. 830 c.c.).
Motivo n. IV (Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta. Sviamento di potere rispetto ai fini del PIP. Violazione degli artt. 60-62 l. n. 2369 del 1865 sotto diverso ed ulteriore profilo).
Riproposizione dei motivi VI-XI
Motivi n. VII (Sviamento di potere con riguardo ai fini tipici legali del PIP).
Motivo n. VIII (Violazione dell’art. 27 l. n. 865 del 1971 in relazione all’art. 834 c.c. ed all’art. 42 Cost., nonché all’art. 830 c.c.).
Motivo n. IX (Eccesso di potere per falso supposto di fatto e travisamento dei presupposti).
Motivo n. X (Violazione del procedimento ex art. 21 l. n. 47 del 1978, richiamato dall’art. 24 l.r. n. 47 del 1978. Violazione dell’art. 7 l. n. 241 del 1990).
Motivo n. XI (Sviamento di potere dai fini legali tipici del PIP ed eccesso di potere per illogicità contraddittorietà manifesta, sotto altro diverso profilo).
Quarto motivo di appello.
Omissione di pronuncia con riguardo ai motivi nn. I-II. Illogicità ed insufficienza della motivazione.
Riproposizione dei motivi di ricorso nn. I – II.
Motivo n. I (Eccesso di potere per travisamento dei presupposti e falso supposto di fatto e di diritto).
Motivo n. II (Violazione degli artt. 60-62 l. n. 2359 del 1865 circa l’oggetto del giudizio di “inservibilità ” demandato alla P.A. Violazione dell’obbligo di provvedere nascente dalle sentenza n. 125/98 del T.ar. e n. 874/07 del Consiglio di Stato).
Riproposizione del motivo di ricorso n. V
Motivo n. V (Violazione dell’art. 27 l. n. 865 del 1971 e dell’art. 24 l.r. n 47 del 1978 in relazione all’art. 7 delle N.T.A. del PIP del 1996. Violazione del principio di proporzionalità e del minimo mezzo. Eccesso di potere per vizio di istruttoria e di motivazione).
Il Comune di Bologna ha analiticamente controdedotto, concludendo per il rigetto dell’appello.
La Co. Sv. Im. Srl in liquidazione (già Co. Co. Spa) si è costituita in giudizio e, parimenti, ha chiesto il rigetto dell’appello.
Gli appellanti hanno prodotto altre memorie a sostegno ed illustrazione delle proprie difese.
All’udienza pubblica del 22 novembre 2018, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Il Commissario Straordinario (con i poteri del Consiglio) del Comune di Bologna, con provvedimento n. 51 del 24 maggio 2010, ha negato la retrocessione da parte della Città a favore dei signori Ma. Lu. Re., Paola Re., Al. Re. e Gian Luigi Re. dei beni oggetto della cessione volontaria stipulata in data 2 giugno 1983, relativa a un appezzamento di terreno, con sovrastanti fabbricati, sito in Bologna fra le vie Bassa dei Sassi e Procione, localizzati in “zona annonaria mercantile CAM”, comparto ex Asam, in quanto non possono essere considerati relitti inservibili.
Pertanto, l’Amministrazione ha confermato l’appartenenza al patrimonio indisponibile del Comune di Bologna di detti beni e alla loro utilizzazione in funzione dell’interesse pubblico alla assegnazione a prezzi calmierati ad operatori economici, in base alle dinamiche del mercato e secondo gli obiettivi del PIP, confermati dal PSC ed attuabili in ragione dell’inserimento nel Piano Operativo Comunale in vigore dal 3 giugno 2009.
Il Comune di Bologna – premesso, tra l’altro, che, con delibera consiliare n. 291 del 3 maggio 1974, il Comune di Bologna adottava, ex art. 27 legge n. 865 del 1971, il piano delle aree da destinare ad insediamenti produttivi, che detta delibera consiliare era pubblicata sulla G.U. n. 85 del 27 marzo 1979, con la conseguenza che, da tale data, il piano è divenuto esecutivo a tutti gli effetti e che, nell’ambito della zona per attrezzature annonarie e mercantili sono ubicate le aree già di proprietà del prof. Mario Re., che sono state cedute al Comune di Bologna con atti in forma pubblica amministrativa in data 25 ottobre 1979 e 2 giugno 1983 – ha adottato il provvedimento in contestazione considerato che:
– trattandosi di retrocessione parziale l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere riguarda solo il dovere di pronunciarsi “sulla fondatezza della richiesta” sulla base di una valutazione discrezionale circa la “inservibilità ” degli immobili in questione per la realizzazione delle opere di interesse pubblico previste dal PIP e non completamente realizzate, poiché, come affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 457 del 2007 di conferma della sentenza di primo grado, quest’ultima non si è pronunciata sulla spettanza o fondatezza della richiesta di retrocessione, ma solamente sull’obbligo di assumere un esplicito provvedimento formale in risposta alla diffida rivolta dagli interessati;
– l’ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo comporta la valutazione circa la sussistenza di un rapporto di utilità tra il relitto e l’opera compiuta e i beni oggetto di acquisizione e detti fondi possono essere restituiti solo se la p.a. abbia formalmente manifestato la volontà di non utilizzarli per gli scopi cui l’espropriazione era finalizzata;
– il Piano delle aree da destinare ad insediamenti produttivi costituisce strumento facoltativo di pianificazione territoriale introdotto dall’art. 27 della legge n. 875 del 1971, al fine di consentire ai comuni di acquisire aree per insediamenti di carattere industriale, artigianale, commerciale e turistico nell’ambito delle zone all’uopo destinate dallo strumento urbanistico generale;
– la legge, nel dichiarare la pubblica utilità del PIP, non definisce una specifica opera pubblica da realizzare nel senso comune del termine, ma si limita ad indicare la finalità dell’acquisizione di aree da assegnare a prezzi calmierati ad operatori economici, dando così vita ad uno strumento di programmazione e di intervento pubblico nell’economia;
– appare, quindi, come sia la formazione di un patrimonio immobiliare da utilizzare per una politica di sviluppo produttivo l’opus cui è riferita la dichiarazione di pubblica utilità e come l’opera pubblica assegnata al Comune dalla legge non sia quella di trasformare il terreno acquisito ma quello di immetterlo sul mercato come area fabbricabile a prezzi calmierati;
– corollario dell’anzidetta natura del PIP è che le aree in esso comprese entrano nel patrimonio comunale con un vincolo pubblicistico che si traduce nella loro destinazione ad essere cedute in proprietà o in concessione di diritto di superficie ai soggetti legittimati; essendo tale finalità configurata dalla legge quale servizio pubblico le aree suddette entrano a far parte del patrimonio comunale indisponibile e tale natura delle aree PIP rende di per sé impraticabile la loro retrocedibilità ;
– dal complesso della normativa recata dall’art. 27 della legge n. 865 del 1971, e della giurisprudenza formatasi sul punto, risulta chiaramente che nel rispetto del termine decennale il Comune è tenuto all’espropriazione dei lotti da assegnare successivamente alle imprese, non anche a procedere, nel decennio, alle singole assegnazioni dei lotti a favore delle imprese beneficiarie, le quali sono stimolate alla presentazione delle relative domande in base alle dinamiche del mercato, intrinsecamente mutevoli e capaci di variare sensibilmente nel corso del decennio di efficacia del piano;
– non appare in discussione che le aree di cui trattasi siano state acquisite al patrimonio indisponibile del Comune in vigenza del Piano per gli Insediamenti Produttivi approvato nel 1979, ai sensi dell’art. 21, comma secondo, della legge n. 865 del 1971, secondo cui “le aree acquistate dal Comune fanno parte del suo patrimonio indisponibile”;
– la necessità di modulare l’attuazione degli interventi in tempi diversi deriva dall’analisi dei fabbisogni della città, che furono valutati sulla base dell’evoluzione del sistema produttivo locale, sulle economie di urbanizzazione e localizzazione generate dall’intervento;
– in prossimità della scadenza di detto strumento attuativo, con delibera O.d.G. n. 247 del 12 dicembre 2005, il Consiglio Comunale di Bologna, dando atto di essere direttamente proprietario della parte residua del comparto “ex Asam”, ha confermato la realizzazione di quanto previsto dal “Piano per le aree da destinare ad insediamenti produttivi (PIP)” allora efficace, in attuazione dello stesso e nel rispetto delle Norme di Attuazione del PRG e delle vigenti NTA del medesimo PIP, per tutte le aree già acquisite al patrimonio comunale nel periodo di efficacia decennale (ex art. 27, comma 3, della L. n. 865 del 1971) del detto strumento urbanistico attuativo, salva diversa previsione dei nuovi strumenti urbanistici comunali di cui alla L.R. n. 20 del 2000;
– il Piano Strutturale Comunale approvato con deliberazione O.d.G. n. 133 del 14 luglio 2008 ha incluso il subcomparto ex Asam, in territorio urbano da strutturare, in un Ambito di Trasformazione, n. 134, disciplinato all’art. 20 del Quadro Normativo e confermato, per le parti di territorio incluse in perimetri all’interno dei quali sono stati adottati o approvati strumenti urbanistici attuativi in attuazione del PRG vigente, le previsioni previste, ribadendo la precisa intenzione dell’Amministrazione comunale di procedere alla completa attuazione delle parti non ancora eseguite, secondo la disciplina particolareggiata dello strumento attuativo confermato con la citata deliberazione O.d.G. n. 247 del 12 dicembre 2005;
– il POC, approvato con O.d.G. n. 144 del 4 maggio 2009, conferma l’attuazione delle previsioni del PIP per le aree già acquisite al patrimonio indisponibile del Comune (come da deliberazione O.d.G. n. 247 del 4 maggio 2009) nell’arco del quinquennio di sua efficacia.
L’Amministrazione comunale, nel negare la retrocessione dei beni, ha altresì ribadito che:
– la parziale non utilizzazione delle aree in questione è discesa dalla cospicua capacità insediativa acquisita con il PIP dal Comune di Bologna e dalle dinamiche del mercato, che hanno richiesto una programmazione articolata dell’attuazione delle previsioni di detti insediamenti, i quali peraltro hanno avuto una costante attuazione nel tempo;
– sulla base degli strumenti urbanistici divenuti efficaci nel tempo non è venuta meno e permane la destinazione degli immobili coerentemente con gli obiettivi del Piano per gli Insediamenti Produttivi e con il fabbisogno delle relative dotazioni territoriali.
Il Comune, quindi, ha valutato, per quanto sopra espresso, che permane l’interesse a conservare la proprietà di detti beni e alla loro utilizzazione in funzione dell’interesse pubblico alla assegnazione a prezzi calmierati ad operatori economici, in base alle dinamiche del mercato e secondo gli obiettivi del PIP, confermati dal PSC ed attuabili in ragione dell’inserimento nel Piano Operativo Comunale e ritenuto, per le ragioni di cui sopra, di negare la retrocessione dei beni di cui in premessa in quanto “non possono essere considerati relitti inservibili”.
3. Il Collegio, in via generale, rileva che nella fattispecie si è in presenza di una richiesta di c.d. retrocessione parziale dei beni.
La retrocessione parziale (già prevista dagli artt. 60 e 61 della legge n. 2359 del 1865 ed ora prevista dall’art. 47 del d.P.R. n. 327 del 2001) si configura quando, dopo l’esecuzione totale o parziale dell’opera pubblica, alcuni dei fondi espropriati non abbiano ricevuto la prevista destinazione e rispetto ad essi può ancora esercitarsi una valutazione discrezionale circa la convenienza di utilizzarli in funzione dell’opera realizzata, sicché tali beni possono essere restituiti solo se l’Amministrazione abbia dichiarato che essi non servono più alla realizzazione dell’opera nel suo complesso.
La pretesa alla restituzione, pertanto, è subordinata ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione, rispetto alla quale l’ex proprietario è titolare di un interesse legittimo pretensivo, tutelabile innanzi al giudice amministrativo.
La retrocessione parziale dei beni espropriati, in altri termini, è subordinata ad una determinazione amministrativa di inservibilità dei fondi espropriati all’opera pubblica e, solo dopo che sia stata emanata la formale dichiarazione di inservibilità, gli espropriati sono titolari, come per la retrocessione totale, di un diritto soggettivo, lo jus ad rem, che consente loro di agire per chiedere la restituzione dei beni espropriati e non utilizzati.
Va sottolineato che il sopra richiamato art. 47 del testo unico sugli espropri – come la previgente disciplina disposta dalla legge del 1865 – ha preso in espressa considerazione il caso ordinario in cui il bene sia stato espropriato in esecuzione del precedente atto di dichiarazione della pubblica utilità, determinativo della specifica utilizzazione del medesimo bene, ma non anche i casi (presi in considerazione dalle leggi emanate dopo la citata legge del 1865) in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia la conseguenza della approvazione di piani attuativi e, in particolare, di un piano per gli insediamenti produttivi.
Si deve pertanto verificare quali siano gli interessi pubblici che l’Amministrazione può prendere in considerazione, quando una istanza di retrocessione abbia per oggetto un’area espropriata in sede di esecuzione di un piano attuativo ed essa non sia stata specificamente modificata, per soddisfare interessi pubblici.
Ritiene al riguardo la Sezione che:
a) la valutazione in ordine all’esistenza di un persistente interesse pubblico all’attuazione dello strumento costituisce oggetto di una valutazione ampiamente discrezionale dell’Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo in presenza di vizi di macroscopica illogicità o irragionevolezza o di travisamento del fatto;
b) si deve tenere conto del principio (più volte affermato da questo Consiglio, approfondito al successivo § 5) per il quale dopo la scadenza degli effetti di un piano attuativo pè rdono efficacia i vincoli preordinati all’esproprio, ma restano fermi gli effetti urbanistici di natura conformativa, sicché ben può l’Amministrazione comunale rilasciare i titoli necessari per attuare il p.i.p. sulle aree già espropriate.
4. Nel caso di specie, l’Amministrazione comunale ha ritenuto che i relitti di cui è stata chiesta la restituzione dagli eredi Re. siano ancora funzionali all’opera pubblica.
L’art. 27, comma 1, della legge n. 865 del 1971 stabilisce che i comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione approvati possono formare, previa autorizzazione della regione, un piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi.
Il successivo comma terzo prevede che il piano approvato ha efficacia per dieci anni dalla data del decreto di approvazione ed ha valore di piano particolareggiato d’esecuzione ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni; il comma quinto, inoltre, dispone che le aree comprese nel piano approvato sono espropriate dai comuni o loro consorzi secondo quanto previsto dalle stessa legge in materia di espropriazione per pubblica utilità .
Il PIP, quindi, è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione, la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione: il piano per gli insediamenti produttivi, quindi, non è soltanto uno strumento di pianificazione urbanistica nel senso tradizionale, ma è anche uno strumento di politica economica, perché ha la funzione di incentivare le imprese, che possono ottenere, ad un prezzo molto più basso del mercato, previa espropriazione ed urbanizzazione, le aree occorrenti per il loro impianto o la loro espansione.
5. La fondamentale questione di diritto posta dal ricorso in appello afferisce all’interpretazione del termine di efficacia decennale del PIP approvato.
Secondo la prospettazione degli appellanti, alla scadenza del termine decennale, se la dichiarazione di pubblica utilità del PIP non viene rinnovata, le aree espropriate e non utilizzate restano prive del loro scopo pubblico e devono essere restituite.
Tale era la situazione che si sarebbe presentata nel 1993, allorquando gli eredi Re. hanno avanzato al Comune di Bologna l’istanza di retrocessione.
Un nuovo Piano per gli Insediamenti Produttivi ex art. 27 della legge n. 865 del 1971 è stato successivamente approvato dal Comune di Bologna con OdG n. 104 del 12 aprile 1996, esecutivo dal 19 giugno 1996.
Il provvedimento impugnato, diversamente, ha posto in rilievo che, dal complesso della normativa recata dall’art. 27 della legge n. 865 del 1971e dalla giurisprudenza formatasi sul punto, nel rispetto del termine decennale, il Comune è tenuto all’espropriazione dei lotti da assegnare successivamente alle imprese, non anche a procedere, nel decennio, alle singole assegnazioni dei lotti a favore delle imprese beneficiarie, sicché non sarebbe in discussione che le aree di cui trattasi siano state acquisite al patrimonio indisponibile del Comune in vigenza del Piano per gli Insediamenti Produttivi approvato nel 1979, ai sensi dell’art. 21, secondo comma, della legge n. 865 del 1971, secondo cui “le aree acquistate dal Comune fanno parte del suo patrimonio indisponibile”.
Il Collegio ritiene che, avendo, per espressa disposizione di legge, il PIP approvato valore di piano particolareggiato di esecuzione ai sensi della legge n. 1150 del 1942, allo scadere del termine decennale, il Comune consuma il proprio potere espropriativo, mentre la destinazione d’uso delle aree già impressa dallo strumento urbanistico attuativo permane fino a nuova disciplina.
La giurisprudenza di questo Consiglio, anche recentemente, ha avuto modo di chiarire, in una fattispecie in cui si è affermata l’applicabilità del termine decennale di efficacia dei piani particolareggiati anche ai piani di lottizzazione, che, alla scadenza del termine di efficacia, sopravvivono la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura (cfr. Cons. Stato, IV, 18 maggio 2018, n. 3002, che richiama Cons. Stato, IV, n. 4036 del 2017; V, n. 6823 del 2013; IV, n. 2045 del 2012, cfr. anche Cons. Stato, IV, 22 ottobre 2018, n. 5994).
Il termine decennale di efficacia previsto per i piani particolareggiati, in sostanza, si applica solo alle disposizioni di contenuto espropriativo, non anche alle prescrizioni urbanistiche di piano, che rimangono pienamente operanti e vincolanti sino all’approvazione di un nuovo piano attuativo.
Tali coordinate ermeneutiche si applicano anche al Piano di Insediamenti Produttivi (Cons. Stato, Sez. III, 24 agosto 2010, n. 3904), avente per legge valore di piano particolareggiato di esecuzione, sebbene quest’ultimo abbia la particolarità di non concretarsi nella realizzazione di una specifica opera pubblica, in quanto, come già evidenziato, costituisce uno strumento di politica economica con la funzione di incentivare le imprese, offrendo loro, ad un prezzo politico, previa espropriazione ed urbanizzazione, le aree occorrenti per il loro impianto o la loro espansione.
Pertanto, scaduto il termine decennale dall’approvazione nel 1989 ed essendo stato concluso in precedenza il procedimento espropriativo con la cessione volontaria di aree, stipulata in data 2 giugno 1983, permane la destinazione degli immobili espropriati al perseguimento ed alla realizzazione degli obiettivi del PIP.
Ne consegue che l’essenziale doglianza articolata in sede di appello non può essere condivisa.
6. Nella fattispecie, per di più il Comune di Bologna ha sottolineato che i relitti di cui è stata chiesta la restituzione dagli eredi Re. siano stati considerati ancora funzionali all’opera pubblica con ulteriori provvedimenti, da considerare legittimi e ragionevoli.
L’ampia ed articolata motivazione, richiamata per esteso in precedenza, si è infatti basata anche sulle seguenti ragioni:
– in prossimità della scadenza dello strumento attuativo, con delibera O.d.G. n. 247 del 12 dicembre 2005, il Consiglio Comunale di Bologna ha confermato la realizzazione di quanto previsto dal PIP allora efficace per tutte le aree già acquisite al patrimonio comunale nel periodo di efficacia decennale dello strumento urbanistico attuativo;
– il Piano Strutturale Comunale (PSC), approvato con O.d.G. n. 133 del 14 luglio 2008, ha incluso il subcomparto ex Asam (ove sono localizzati i beni oggetto dell’accordo di cessione stipulata il 2 giugno 1983, di cui è stata chiesta la retrocessione), in territorio urbano da strutturare, in un ambito di trasformazione, ribadendo la precisa intenzione dell’Amministrazione di procedere alla completa attuazione delle parti non ancora eseguite, secondo la disciplina particolareggiata dello strumento attuativo confermato con la citata deliberazione O.d.G. n. 247 del 12 dicembre 2005;
– il Piano Operativo Comunale (POC), approvato con O.d.G. n. 144 del 4 maggio 2009, conferma l’attuazione delle previsioni del PIP per le aree già acquisite al patrimonio indisponibile del Comune nell’arco di efficacia del quinquennio.
Il T.a.r. per l’Emilia Romagna, nella sentenza appellata, ha osservato che “le contestazioni relative alla deliberazione comunale 247 del 12/12/2005, richiamata in detto provvedimento, nonché avverso l’art. 20, comma 3°, del P.S.C. e l’articolo 12, comma 3°, del P.O.C. nella parte in cui richiamavano il P.I.P del 1996 sono in primo luogo inammissibili per tardività, come eccepito dalle parti intimate”.
Le censure prospettate in proposito dagli appellanti sono infondate.
In primo luogo, occorre evidenziare che, così come correttamente posto in rilievo dall’Amministrazione appellata, la deliberazione del 2005 non è l’atto con cui il Comune ha risposto all’istanza di retrocessione formulata dagli eredi Re., ma, al contrario (al pari del PSC e del POC), è un atto generale che non richiedeva la comunicazione individuale, sicché trova applicazione il principio di cui all’art. 41, secondo comma, c.p.a., secondo cui, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, il ricorso deve essere notificato entro il termine previsto dalla legge, decorrente dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge.
La deliberazione consiliare n. 247 del 12 dicembre 2005, di conferma dell’attuazione delle previsioni del vigente PIP per tutte le aree già acquisite al patrimonio comunale nel periodo di validità decennale dello strumento attuativo, è stata pubblicata mediante affissione all’albo pretorio del Comune, l’adozione e l’approvazione del PSC, così come l’approvazione del POC, sono state comunicate con avviso pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Emilia Romagna.
Ne consegue l’evidente irricevibilità per tardività dell’azione di annullamento proposta in primo grado avverso tali atti.
Peraltro, tutte le formulate censure di eccesso di potere risultano infondate e vanno respinte.
Ritiene la Sezione che – quando è stata data tempestiva attuazione ad un piano per gli insediamenti produttivi, con l’espropriazione delle relative aree ed il relativo acquisto da parte dell’Amministrazione comunale – ben possono i successivi atti di pianificazione urbanistica ribadire che proprio su tali aree con priorità vanno realizzate le opere riguardanti gli insediamenti produttivi.
L’art. 27 della legge n. 865 del 1971 mira a far acquisire al patrimonio comunale le aree occorrenti per soddisfare i relativi interessi pubblici, determinando in dieci anni il termine massimo per l’emanazione dei decreti di esproprio, e consente all’Amministrazione in tal modo di ‘dotarsà di beni che possono essere utilizzati a scopi produttivi senza limiti temporali.
Sarebbe del resto illogico un sistema nel quale, nel caso di mancata realizzazione degli impianti produttivi su alcune aree già espropriate ai sensi del citato art. 27, gli ex proprietari possano fondatamente pretendere la restituzione, costringendo l’Amministrazione a riattivare procedimenti volti a disporre ulteriori espropri, che invece non occorrono proprio perché essa è già titolare dei beni necessari per soddisfare gli interessi pubblici, per di più aventi proprio la relativa destinazione e immediatamente disponibili per soddisfare le richieste degli interessati.
7. Nella specie, la persistenza dell’interesse pubblico a conservare la proprietà dei beni oggetto dell’istanza di retrocessione e alla loro utilizzazione in funzione dell’interesse pubblico alla assegnazione a prezzi calmierati ad operatori economici, in base alle dinamiche del mercato e secondo gli obiettivi del PIP, confermati dal PSC ed attuabili in ragione dell’inserimento nel Piano Operativo Comunale è stata evidenziata ulteriormente nel provvedimento di diniego di retrocessione n. 51, emanato il 24 maggio 2010.
La scelta dell’Amministrazione di ritenere persistente l’utilità del mantenimento della proprietà dei terreni espropriati e, quindi, di non dichiarare gli stessi “inservibili”, giustificata anche con riferimento ai precedenti strumenti di pianificazione urbanistica non tempestivamente contestati, non solo si presenta non manifestamente illogica o basata su un travisamento dei fatti, ma risulta doverosamente effettuata per indefettibili ragioni di coerenza con gli strumenti urbanistici nel frattempo approvati, per cui le doglianze complessivamente articolate dagli eredi Re. devono ritenersi infondate e l’appello deve essere respinto.
8. Le spese del giudizio di appello, liquidate in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico degli appellanti ed a favore del Comune di Bologna; le spese del giudizio di appello, invece, vanno compensate nei confronti della Co. Sv. Im. Srl in liquidazione.
Il Collegio rileva che l’appello non risulta redatto nel rispetto del principio di sinteticità, sicché sussistono i presupposti previsti dall’art. 26, comma 1, del c.p.a., come approvato col d.lg. n. 104 del 2010.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe (R.G. n. 7554 del 2013).
Condanna gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di Bologna; compensa le spese del giudizio di appello nei confronti della Co. Sv. Im. Srl in liquidazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore

Avv. Renato D’Isa

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