Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 13 marzo 2020, n. 9955
Massima estrapolata:
Per poter contestare il reato di associazione di tipo mafioso con riferimento alle cosiddette mafie “non tradizionali” (ossia diverse dalle consorterie, talvolta secolari, già presenti e qualificate da un nomen , insediamenti, articolazioni periferiche e fama criminale: mafia, camorra, ‘ndrangheta, Sacra corona unita, ecc.) occorre avere riguardo al disposto nel quale il legislatore definisce, assieme, metodo e finalità dell’associazione mafiosa.
Tag – Parola chiave: Associazione mafiosa – Rilevanza del metodo mafioso – Sussistenza di forza di intimidazione, vincolo di assoggettamento ed omertà – Valutazione dello specifico atteggiarsi dell’associazione in un determinato ambito sociale e territoriale – Aggravante del riciclaggio “mafioso” ex art. 416 bis, co. 6 c.p. – Carattere oggettivo – Riferimento all’attività del sodalizio in quanto tale – Responsabilità di tutti i partecipanti – Associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti – Configurabilità come reato fine – Stabilità del vincolo associativo – Congruità della motivazione – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere
Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere
Dott. ARIOLLI Giovan – rel. Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ROMA;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a CAPISTRELLO il 11/05/1949;
(OMISSIS), nato a ROMA il 29/08/1986;
(OMISSIS), nato a ROMA il 08/05/1974;
(OMISSIS), nato a OLGIATE COMASCO il 28/05/1952;
(OMISSIS), nato a CAPISTRELLO il 21/03/1954;
(OMISSIS), nato a ROMA il 17/05/1940;
(OMISSIS), nato a ROMA il 03/09/1984;
(OMISSIS), nato a ROMA il 14/06/1980;
(OMISSIS), nato a ROMA il 29/10/1976;
(OMISSIS), nato a BUDRIO il 27/10/1984;
(OMISSIS), nato a ROMA il 18/05/1984;
(OMISSIS), nato a ROMA il 01/03/1962;
ROMA CAPITALE nel procedimento a carico di questi ultimi;
inoltre:
REGIONE LAZIO;
ASSOCIAZIONE (OMISSIS);
ASSOCIAZIONE (OMISSIS);
ASSOCIAZIONE (OMISSIS);
ASSOCIAZIONE (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04/02/2019 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GAETA PIETRO;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto dei ricorsi presentati nell’interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS).
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio del ricorso presentato da (OMISSIS) in punto di trattamento sanzionatorio e per il rigetto nel resto. Il Proc. Gen. conclude per l’accoglimento del ricorso presentato dal Procuratore Generale ed il conseguente annullamento con rinvio per il mancato riconoscimento, relativamente ai capi D ed A1, del ruolo di promotrici delle imputate (OMISSIS) e (OMISSIS).
uditi i difensori delle parti civili.
L’avvocato (OMISSIS) per ROMA CAPITALE chiede il rigetto dei ricorsi degli imputati, l’accoglimento del ricorso proposto dal Proc. Gen., la conferma delle statuizioni civili e la condanna degli imputati al risarcimento dei danni e il pagamento delle spese; deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione. L’avvocato (OMISSIS) per l’ASSOCIAZIONE (OMISSIS) deposita conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione, il medesimo deposita, altresi’, conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione anche per i colleghi difensori di (OMISSIS), (OMISSIS), REGIONE LAZIO E (OMISSIS).
Uditi i difensori degli imputati
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorsi e chiede l’annullamento della sentenza.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) chiede l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) deposita memorie scritte, insiste per l’accoglimento del ricorso ed il rigetto del ricorso del Proc. Gen..
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) chiede l’accoglimento del proprio ricorso e l’annullamento del ricorso presentato dal Proc. Gen.; il medesimo difensore conclude, in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS) in difesa di: (OMISSIS), per il quale si riporta ai motivi di ricorso.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), insiste per l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato (OMISSIS) in difesa di: (OMISSIS), (OMISSIS) insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
INDICE.
I ricorsi degli imputati (pag. 6).
Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma (pag. 47).
Le memorie di replica delle difese ed i motivi nuovi delle parti (pag. 51).
A) Le questioni processuali (pag. 55).
1. L’ambito del giudizio di rinvio conseguente alla sentenza di annullamento pronunciata dalla Sesta sezione penale di questa Corte (pag. 55).
2. La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, (pag. 57).
3. L’inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche (pag. 60; rinvio sub 3.7.1 motivi di ricorso di (OMISSIS), pag. 127);
4. L’inutilizzabilita’ dei biglietti rinvenuti a (OMISSIS) (pag. 60; rinvio sub 3.8.1 motivi di ricorso di (OMISSIS), pag. 128).
5. L’inammissibilita’ del ricorso per cassazione del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma (pag. 61).
B) L’associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo D) della rubrica (pag. 61).
1. L’ambito del giudizio di rinvio demandato dalla sentenza di annullamento della Sesta sezione penale di questa Corte (pag. 61).
2. Le questioni sull’applicabilita’ della fattispecie associativa di stampo mafioso (pag. 63).
3. Le singole posizioni degli imputati in ordine al delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. (pag. 79).
4. L’aggravante dell’essere l’associazione armata (articolo 416-bis c.p., comma 4) (pag. 96).
5. L’aggravante del riciclaggio “mafioso” (articolo 416-bis c.p., comma 6) (pag. 98).
C) I delitti fine dell’associazione di stampo mafioso (pag. 101).
C.1. L’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo A1 della rubrica) (pag. 102).
2. L’aggravante dell’essere l’associazione composta da un numero di persone superiore a dieci e di essere armata (pag. 113).
3. Le singole posizioni degli imputati in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 (pag. 116).
C.2. L’estorsione in danno di (OMISSIS): capo H) della rubrica (pag. 133).
C.3. Le intestazioni fittizie legate al (OMISSIS): capi O), O1) e Q) della rubrica (pag. 136).
2. L’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 per i reati di cui ai capi O), O1) e Q) della rubrica (pag. 139).
C.4. La violazione delle legge armi e la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa: capo S) della rubrica (pag. 142).
D) Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) (pag. 142).
E) Ulteriori considerazioni sui motivi dei ricorsi inerenti alla partecipazione degli imputati all’associazione a delinquere di stampo mafioso ed all’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (pag. 145).
F) Il trattamento sanzionatorio (pag. 146).
1. La questione di legittimita’ costituzionale della pena stabilita dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 ( (OMISSIS), sub 3 dei motivi di ricorso) (pag. 146).
2. Il computo delle circostanze aggravanti in ordine al capo A1) ed al capo D) della rubrica (pag. 146).
3. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (149).
G) Le statuizioni civili (pag. 150).
RITENUTO IN FATTO
I ricorsi degli imputati.
1. Gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione avverso la sentenza in data 4/2/2019 (dep. 17/4/2019) della Corte di appello di Roma che, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione (sentenza Sez. 6, n. 57896/2017), ha condannato gli imputati alle pene di giustizia in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti, come di seguito precisati. La decisione della Corte di appello e’ invece divenuta irrevocabile per (OMISSIS), dichiarato colpevole del delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo D), con l’aggravante del reimpiego e con esclusione di quella delle armi, nonche’ di concorso in estorsione aggravata Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (nella duplice declinazione dell’agevolazione del metodo) ai danni di (OMISSIS) (capo H). Nell’ambito di separati procedimenti risultano anche essere stati irrevocabilmente condannati altri coimputati (di cui si dira’ nella parte motiva relativa alle specifiche vicende), tra i quali (OMISSIS) in ordine al capo A1), quale partecipe dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato alla pena di anni sette di reclusione per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 esclusa l’aggravante di cui al comma 4 (capo A1) e concesse le attenuanti generiche equivalenti alla “residua” aggravante.
Con un unico motivo deduce la manifesta illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione con riguardo all’affermata partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo A1), che la Corte di merito aveva fondato su elementi privi di significativa pregnanza (l’imputato era stato intercettato a lungo, senza esito; l’incontro con il (OMISSIS) era stato del tutto occasionale e ne era ignoto il contenuto; i rapporti accertati investono un solo sodale; non ha mai svolto il ruolo di autista), cosi’ finendo per ricavare la condotta da una eventuale e mera disponibilita’ manifestata nei confronti di un solo associato, di per se’ non idonea ad assumere alcuna valenza dimostrativa.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS)).
L’imputata e’ stata condannata alla pena complessiva di anni dodici e mesi nove di reclusione per i reati di cui all’articolo 8.1 cpv. c.p., articolo 416-bis c.p., commi 2 e 6 (con esclusione dell’aggravante di cui al comma 4) (capo D), articolo 110, L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinques (capi O), O1) e Q), la cui affermazione di responsabilita’ per i delitti base e’ irrevocabile essendo i relativi motivi di ricorso stati rigettati dalla sentenza della Sesta sezione di questa Corte), aggravati Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (nella declinazione dell’agevolazione), e ritenuta la continuazione con due ipotesi di intestazione fittizia in concorso gia’ giudicate con sentenza irrevocabile della Corte di appello di Roma del 12.12.2016 (la pena in aumento per la continuazione esterna e’ stata determinata in anni due e mesi quattro di reclusione).
1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 525 c.p.p., articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, articolo 6 par. 3 lettera d) Convenzione E.D.U., nonche’ il vizio di motivazione in relazione all’ordinanza emessa dalla Corte d’appello in data 30.5.2018 con cui ha rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria avanzata dalla difesa. In particolare, avendo la sentenza impugnata in sede di rinvio ribaltato la precedente decisione della Corte di appello di Roma del 13.6.2016, con cui l’imputata era stata assolta dal delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., nonche’ escluso le aggravanti Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 con riferimento alle ipotesi di intestazione fittizia di cui ai capi H), O), O1), S) e dall’aggravante ex articolo 629 cpv. c.p. con riferimento all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 in relazione al capo H), si sarebbe dovuto procedere a riassumere le prove dichiarative indotte dalla difesa, essenziali nella ricostruzione dei fatti. Ne’ era stata fornita congrua motivazione a supporto del diniego. Non rilevante, poi, era la circostanza che il presente giudizio originasse da annullamento con rinvio, trattandosi pur sempre di “ribaltamento” di decisione in precedenza favorevole per la quale militavano le stesse ragioni poste a fondamento del riconoscimento della regola posta dalla S.U. con la sentenza n. 27620 del 28/4/2016, in tema di rinnovazione dibattimentale e riforma di sentenza di assoluzione. Laddove poi non si ritenesse l’ipotesi in esame compresa nell’alveo dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, il ricorrente chiede di rimettere la questione alle S.U. ovvero, in subordine, di sollevare questione di legittimita’ costituzionale in riferimento agli articoli 2 e 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 2, articoli 111 e 117 Cost., in relaz. all’articolo 6 par. 2 e 3 lettera d) Convenzione E.D.U. nella parte in cui l’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, non prevede che il giudice disponga la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale anche al caso di una precedente assoluzione della Corte di appello poi annullata dalla Corte di cassazione. Inoltre, la rinnovazione era imposta anche dal rispetto del principio di immutabilita’ del giudice, dovendo procedere alla deliberazione lo stesso giudice che ha ammesso la prova.
2. Con il secondo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3 ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti che di quella stampo mafioso. Posto che l’annullamento con rinvio era avvenuto unicamente per vizio di motivazione (in particolare sotto il profilo della mancata adozione di una motivazione rafforzata in termini di consistenza e replica alla decisione di condanna di primo grado), nessun principio di diritto era stato affermato dalla S.C. – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello quale giudice del rinvio – quanto alla esistenza delle due associazioni.
3. Con il terzo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p., comma 2, ed il vizio di motivazione. La doglianza attiene al riconoscimento alla ricorrente del ruolo di organizzatrice in seno alla compagine associativa, che poggiava su una motivazione apparente, del tutto priva di qualsivoglia specifico riferimento probatorio ed ancorata esclusivamente a mere congetture o a circostanze notorie. Il breve arco temporale delle intercettazioni era inidoneo a comprovare la stabilita’ del vincolo e la partecipazione al sodalizio; inoltre difettavano elementi di carattere pregnante: nei confronti della ricorrente vi erano solo le pregresse iscrizioni al casellario giudiziale, il coinvolgimento nella partecipazione alla gestione del (OMISSIS) e le intercettazioni dove si parla del prestito del fratello di (OMISSIS) e della vicenda inerente il (OMISSIS) stesso, elementi di per se’ insufficienti a sostenere la partecipazione all’associazione.
4. Con il quarto motivo lamenta l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p., comma 6, ed il vizio di motivazione. La censura riguarda la sussistenza dell’aggravante relativa al reimpiego delle somme illecitamente acquisite. Sul punto la Corte di merito aveva omesso di considerare che nel caso in esame risultava un solo acquisto di attivita’ commerciale da parte del (OMISSIS), costituito dallo stabilimento (OMISSIS), con l’impiego di denaro lecito (provento di permuta di taluni beni ricevuti in restituzione dalla Corte di appello di Roma come pure dall’accollo dei debiti di azienda). Inoltre, dall’istruttoria era emersa l’assoluta autonomia della gestione (OMISSIS) rispetto alle vicende associative, con conseguente esclusione della circostanza aggravante dovendo questa riferirsi all’attivita’ dell’associazione e non a progetti autonomi dei singoli associati, ovvero a singole operazioni commerciali, ma occorrendo un intervento in strutture produttive dirette a prevalere sul territorio di insediamento sulle altre che offrano gli stessi beni o servizi.
5. Con il quinto motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 in relazione ai capi O), O1) e Q), anche sotto il profilo del vizio di motivazione. A fronte di un’intestazione di quote del (OMISSIS) avvenuta attraverso l’impiego di capitali leciti e in assenza del metodo mafioso, la Corte di merito aveva ritenuto la strumentalita’ delle condotte di intestazione esclusivamente sulla scorta del precedente giudicato formatosi in relazione ad altre due ipotesi, le quali tuttavia riguardavano altri beni (e dunque altri reati), nonche’ ritenendo bastevole il richiamo motivazionale alla trattazione della contestazione mafiosa di cui al capo D). Analoga carenza motivazionale era ravvisabile anche a proposito del dolo che necessariamente deve reggere la circostanza, avendo questa natura soggettiva (e’ necessaria la prova che il soggetto con la sua condotta sia consapevole di favorire l’attivita’ della cosca), non rilevando possibili vantaggi indiretti, ne’ il semplice scopo di agevolare singoli soggetti.
5.1. Infine, mancava qualsiasi motivazione sul profilo dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 contestata in riferimento alle intestazioni fittizie tanto con riguardo al metodo mafioso che al profilo dell’agevolazione, non ricavabile ex se dalla condanna per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. e necessitando l’effettivo utilizzo del metodo mafioso nell’occasione delittuosa, non essendo sufficiente il mero collegamento dei soggetti accusati con contesti di criminalita’ organizzata o la loro caratura mafiosa. Inoltre, difettava la prova certa di un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo che costituisca condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacita’ operative dell’associazione e che sia diretto a realizzare il suo programma criminoso.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato alla pena di anni tredici e mesi tre di reclusione per i reati di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 416-bis c.p., comma 1 (partecipe) commi 4 e 6, (capo D), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 ritenuta la qualita’ di partecipe con l’aggravante di cui al comma 4 (capo A1) e ritenuta la continuazione anche con il delitto di detenzione illegale di una pistola per cui aveva riportato gia’ condanna irrevocabile (sentenza Tribunale di Roma irrev. il 15.5.2014 alla pena di anni due e mesi sei di reclusione) ed esclusa la responsabilita’ quanto alle altre armi di cui al capo S).
1. Con il primo motivo deduce la carenza e l’illogicita’ della motivazione in ordine alla partecipazione del ricorrente al sodalizio criminoso qualificato ex articolo 416-bis c.p. (in cui secondo l’accusa avrebbe svolto il ruolo operativo di braccio armato dell’associazione insieme a (OMISSIS) e (OMISSIS)). In particolare, la Corte di merito non aveva adeguatamente considerato che il ricorrente era rimasto estraneo a tutti gli episodi di violenza e di intimidazione consumati e tentati (esplosione di colpi di pistola contro (OMISSIS) “il pugile”; gambizzazione della (OMISSIS)). Ne’ a questioni legate al traffico di droga ascrivibili all’associazione poteva ricondursi il coinvolgimento del ricorrente nel tentativo di vendetta ai danni di (OMISSIS), inteso ” (OMISSIS)” (il quale era stato raggiunto da colpi di arma da fuoco in quel di Tor Bella Monaca), episodio ascrivibile, invece, per come giudizialmente accertato in altro procedimento, ad un movente di carattere “privato” dovuto al risentimento nutrito nei confronti della vittima da tale (OMISSIS) per ragioni di gelosia e dovendosi ricondurre l’interessamento del ricorrente nella vicenda all’esigenza di proteggere la persona del nipote (OMISSIS), il quale avrebbe potuto essere esposto a ritorsioni. La genesi del possesso dell’arma rinvenuta nella disponibilita’ del ricorrente (al medesimo consegnata al solo scopo di commettere una rapina) non consentiva di avvalorare l’assunto che il (OMISSIS) fosse il braccio armato dell’organizzazione. Ne’ le lacune probatorie ed argomentative in cui era incorsa la sentenza impugnata – la quale si era limitata in modo apodittico a richiamare quella di primo grado – potevano colmarsi col contenuto di un’intercettazione dalla quale emergerebbe il ruolo di esattore del ricorrente per conto del sodalizio, posto che il riferimento al solo ” (OMISSIS)” nel corso della conversazione non era sufficiente a ritenere che si trattasse proprio dell’imputato.
2. Con il secondo motivo deduce la carenza di motivazione, nonche’ la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in relazione alla sussistenza del reato associativo ed alla partecipazione del (OMISSIS) a detto sodalizio. In particolare, a carico dell’imputato vi era solo la partecipazione al primo tentativo non riuscito di importazione di droga nei mesi di gennaio/febbraio 2013, mentre era rimasto del tutto estraneo agli ulteriori successivi tentativi. Non vi era condivisione dei mezzi o dei fini, ne’ assistenza ai sodali detenuti (allorche’ era stato arrestato per possesso illegale di una pistola nessun aiuto di tipo legale aveva ricevuto dai correi), ne’ suddivisione degli introiti. Il nome del ricorrente, poi, non compariva nella conversazione intervenuta il 14 maggio 2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nel corso della quale si sarebbe fatto apertamente riferimento al traffico di droga, indicando i sodali ed i compiti da ciascuno svolti.
Inoltre, un ulteriore argomento a sostegno dell’estraneita’ del ricorrente al sodalizio, si ricavava da altra conversazione intercorsa tra (OMISSIS) e tale (OMISSIS), in cui il primo, informato dell’arresto del ricorrente, comunicava che il tentativo di importazione di droga non aveva a che vedere con quanto organizzato in precedenza con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (e comunque non con (OMISSIS)), invitandolo ad interrompere i rapporti con loro. Mera ipotesi investigativa, invece, era rimasta la circostanza che il ferimento di (OMISSIS) – che sarebbe stato dedito allo spaccio di droga in Tor Bella Monaca per conto del clan (OMISSIS) – fosse legato al traffico degli stupefacenti, che dietro il suo ferimento vi fosse tale ” (OMISSIS)” e che il ricorrente intendesse vendicare, per conto dell’organizzazione, l’affronto subito; in separato procedimento si era invece asseverato un movente passionale (il cui autore era stato individuato in tale (OMISSIS) privo di collegamenti con ambienti criminali collegati al settore della droga), di difficile e logica compatibilita’ con un concorrente movente legato al coinvolgimento della vittima in questioni legate al traffico di droga per conto del ricorrente. Ne’ infine poteva dimostrare il coinvolgimento dell’imputato nel traffico di droga in favore del sodalizio del (OMISSIS) in quel di Tor Bella Monaca, l’intercettazione citata dalla Corte d’appello (“io la piazzo, la piazzo quella li”), che tutt’al piu’ puo’ riferirsi ad un’astratta e forse anche millantata capacita’ di reperire acquirenti per la sostanza.
3. Con il terzo motivo eccepisce, in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost., questione di legittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost. e, in particolare, alla dosimetria della pena, militando a sostegno dell’eccezione le medesime ragioni poste a fondamento della sentenza n. 40 del 2019 (ed i precedenti della stessa Corte costituzionale ivi richiamati a proposito dei principi di mobilita’ ed individualizzazione della pena) relativa alla declaratoria di illegittimita’ costituzionale del predetto D.P.R., articolo 73. Quale cornice edittale che possa costituire una soluzione costituzionalmente adeguata si indica quella dell’articolo 416 c.p., disposizione richiamata dallo stesso articolo 74, comma 6, per l’ipotesi in cui l’associazione sia stata costituita per commettere i fatti cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di anni tredici di reclusione in ordine ai delitti di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 1 (quale partecipe), commi 4 e 6 (capo D), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 quale partecipe e con l’aggravante di cui al comma 4 (capo A1) e detenzione illegale di armi aggravata Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (capo S, la cui affermazione di responsabilita’ per l’ipotesi base e’ gia’ irrevocabile essendo stato il relativo motivo di ricorso rigettato dalla sentenza della Sesta sezione penale di questa Corte). E’ stato assolto dal reato di cui al capo Z (vicenda relativa al tentato omicidio di Lili (OMISSIS) Maria).
1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza ed alla partecipazione del ricorrente all’associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 ed alle relative censure sollevate dalla difesa nell’atto di appello; deduce altresi’ la violazione di legge in relazione all’articolo 533 c.p.p. rispetto all’ipotesi alternativa della sussistenza di operazioni estemporanee e comunque non riconducibili alla fattispecie associativa, nonche’ l’erronea interpretazione dei limiti e dell’ambito di discrezionalita’ del giudice del rinvio e del compito demandato dalla pronuncia rescindente.
Sulle censure di carattere “generico” vedi infra sub 2 motivo di ricorso del coimputato (OMISSIS) (stante la natura omogenea e sovrapponibile delle questioni poste).
1.1. Quanto alla posizione del ricorrente, la Corte di appello, anziche’ soffermarsi sull’indicazione di elementi dimostrativi della partecipazione dell’imputato al sodalizio di cui al capo A1), aveva “risolto” il tema mediante una mera derubricazione della qualifica che questi avrebbe rivestito, da dirigente a semplice partecipe. Inoltre, la partecipazione del ricorrente, anziche’ fondarsi su un contributo operativo ed effettivo all’esistenza e rafforzamento del sodalizio, era stata tratta dalla mera vicinanza al (OMISSIS) e dall’essere a conoscenza degli affari in corso (“ne discute lo sviluppo e quindi vi collabora”), cosi’ atteggiandosi ad una sorta di responsabilita’ di posizione priva di reale contenuto e, dunque, piu’ che ad una connivenza ad una conoscenza. Peraltro, la valorizzazione quale elemento partecipativo della “discussione dello sviluppo degli affari in corso” esigeva necessariamente l’attribuzione al ricorrente di un ruolo organizzativo che, invece, la Corte di merito aveva escluso. Ne’ il dato partecipativo poteva trarsi dall’ausilio fornito al (OMISSIS) (l’avergli fatto usare il telefono per dialogare con (OMISSIS) ed (OMISSIS)) perche’, in assenza di ulteriori elementi indicativi che al ricorrente fosse stato attribuito uno stabile compito di provvedere a consentire le comunicazioni tra il preteso capo ed i subalterni, tale episodio poteva semmai assumere rilievo ai fini del delitto di favoreggiamento. In ogni caso, la condotta troverebbe, peraltro, spiegazione alternativa non esclusa sul piano logico “nella ritenuta partecipazione del ricorrente al clan (OMISSIS) di cui al capo D) e giustificarsi in ragione della vicinanza al capo dello stesso, quale favore nei confronti dello stesso o adempimento di una direttiva impartita nel contesto del diverso sodalizio, senza percio’ implicare un’adesione a quello operante nell’ambito del traffico degli stupefacenti”. Ne’ infine funzionale alla prova di partecipazione era il richiamo al riscontro negativo delle dichiarazioni rese dall’imputato sul motivo che lo aveva indotto a recarsi in Spagna nelle occasioni contestate; anche laddove, poi, le ragioni fossero dovute ad affari illeciti, si sarebbe sempre trattato di condotte estemporanee prive di alcun legame di carattere associativo.
2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie associativa di stampo mafioso e alla partecipazione del ricorrente, nonche’ l’erronea interpretazione dei limiti e dell’ambito di discrezionalita’ del giudice del rinvio e del compito demandata dalla pronuncia rescindente.
Vedi infra sub 3 motivo di ricorso del coimputato (OMISSIS) (stante la natura omogenea e sovrapponibile delle censure poste).
2.1. Con particolare riguardo alla partecipazione del ricorrente, una delle condotte a mezzo della quale il contributo dell’imputato al sodalizio sub D) si sarebbe manifestata, si identificava nella sua partecipazione al sodalizio sub A1), mentre l’altra – quella delle armi – non era connotata dal requisito della necessaria stabilita’, in assenza di un vaglio sulla consapevolezza di prestarsi al perseguimento del programma “mafioso” (ed alla sua condivisione) e degli scopi associativi di un’associazione di tale genere. L’assenza di tale scrutinio si riverberava anche sulla necessaria esclusione dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 contestata in relazione al delitto di cui al capo S) nella duplice declinazione dell’agevolazione e del metodo.
3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 contestata a proposito della detenzione illegale di armi (delitto di cui al capo S per cui la condanna del ricorrente era irrevocabile) che la Corte di merito aveva ricavato dalla ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso, in assenza di indici modali dimostrativi della condotta tipica che deve caratterizzare la circostanza.
4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6.
Vedi infra sub 4 del motivo di ricorso di (OMISSIS) stante la natura omogenea e sovrapponibile delle censure.
Con riguardo, poi, alla figura del ricorrente, la sentenza impugnata non si era confrontata con la specifica condotta partecipativa ascritta all’imputato (traffico di stupefacenti e custodia delle armi) e con la sua qualificazione come meramente operativa e subalterna da un lato, ne’ con il tempo della sua partecipazione al sodalizio (risalendo tutti gli elementi dedotti a suo carico al periodo 2012-2013, laddove le vicende relative all’acquisizione del (OMISSIS) sono antecedenti collocandosi agli anni 2005-2008).
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato alla pena di anni dieci e mesi sei di reclusione in ordine ai delitti di cui all’articolo 416-bis, comma 1 (partecipe) e comma 6, ed esclusa l’aggravante di cui al comma 4 (delle armi), articolo 74, comma 2 (partecipe) Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, con l’aggravante di cui al comma 3 (numero degli associati), ritenuta la continuazione tra i reati (aumento per il delitto di cui al capo D pari a mesi cinque di reclusione e di un mese per l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3) e con le statuizioni civili. E’ stata confermata l’assoluzione in ordine ai reati di cui ai capi sub S) e sub Z) disposta con sentenza del 13/6/2016 Corte di appello di Roma.
(Ricorso dell’Avv. (OMISSIS)).
1. Con il primo motivo deduce la violazione degli articoli 191, 237 e 192 c.p.p. ed il vizio di motivazione, in punto di ritenuta utilizzabilita’ dei biglietti manoscritti rinvenuti nella disponibilita’ del coimputato (OMISSIS), in quanto materiale non formalmente sottoposto a sequestro in occasione della perquisizione eseguita dalla polizia giudiziaria Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 103 (i documenti venivano solo fotografati e restituiti all’imputato onde non destare sospetti essendo le indagini in corso) ed alla loro acquisizione ai sensi dell’articolo 237 c.p.p. sul presupposto della provenienza da uno degli imputati ( (OMISSIS) o (OMISSIS)), in assenza di perizia grafica e degli stessi supporti originali essendo state effettuate soltanto delle fotografie del compendio documentale. La motivazione con cui la Corte di merito ne aveva asseverato l’utilizzabilita’ non si era confrontata con le doglianze avanzate in ordine alle modalita’ di acquisizione della prova e la conseguente scelta di non sottoporre a sequestro i biglietti. Ne’ poteva farsi leva ai fini della legittimita’ dell’acquisizione sul richiamo che la Corte di merito aveva fatto all’articolo 237 c.p.p. riposando sull’assunto della provenienza degli stessi da uno degli imputati quale dato precostituito (e non processualmente e probatoriamente verificabile mediante perizia calligrafa), in assenza di elementi dimostrativi certi della paternita’ in capo proprio al ricorrente (anzi nell’atto di appello erano state devolute differenze grafiche tra i biglietti e scritti autografi del (OMISSIS)). Sostenere, poi, ai fini della superfluita’ della perizia, che il coimputato al quale i documenti erano stati lasciati per esigenze investigative avrebbe potuto produrli o metterli a disposizione degli altri coimputati, significava far dipendere l’accertamento sulla paternita’ del documento dalla volonta’ di colui che lo deteneva ( (OMISSIS)), il quale avrebbe potuto produrli o meno in ragione della sua strategia difensiva, privando cosi’ i coimputati della possibilita’ di acquisirli anche per via coattiva.
2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in punto di affermata responsabilita’ per la partecipazione all’associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74.
2.1. Il primo profilo di censura attiene alla violazione dei limiti del giudizio attribuiti al giudice del rinvio e all’ambito del compito ad esso affidato dalla pronuncia di annullamento. La Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto che la verifica probatoria sul compendio raccolto ed evidenziato dalla stessa sentenza di annullamento dovesse essere necessariamente funzionalizzato ad una conclusione diversa ed opposta a quella cui erano pervenuti i giudici della sentenza annullata. In sostanza, la Corte territoriale, alla luce di una lettura fuorviata della pronuncia rescindente, ritenuta come di per se’ stessa auto-evidente ai fini dell’integrazione del reato associativo, aveva omesso di procedere all’operazione tipica di sua valutazione, composizione ed interpretazione ai fini della riconducibilita’ della fattispecie concreta a quella di reato. La Corte di appello avrebbe dovuto, quindi, procedere ad un esame “laico” della vicenda senza alcun obbligo di mutuarne l’interpretazione fornita dal Tribunale ed anzi “riguardando” la decisione liberatoria pronunciata in relazione al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 quale manifestazione concreta del dubbio, da superarsi con particolare rigore nell’impiego dei canoni di valutazione imposti dalla regola di giudizio di cui all’articolo 533 c.p.p. che impone che l’accertamento della responsabilita’ dell’imputato sia condotto al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
2.2. Invece, la sentenza impugnata aveva fondato la sussistenza dell’associazione su elementi che consentivano di avvalorare anche l’ipotesi alternativa sostenuta dalle difese e recepita nella sentenza annullata secondo cui ci si trovava dinanzi ad iniziative consapevolmente estemporanee dei singoli soggetti di volta in volta operativi prive dei necessari connotati organizzativi, anziche’ al cospetto di condotte rientranti nel programma definito di una struttura caratterizzata da stabilita’ e semmai, quindi, all’intenzione di un concorso continuato dei singoli soggetti di volta in volta operativi nella programmazione delle operazioni in condotte illecite in materia di stupefacenti, mai concretizzatesi. Cio’ in particolare sulla scorta di molteplici elementi, quali: la genericita’ dei riferimenti nelle captazioni rispetto alle tre o quattro operazioni di importazione; il numero esiguo delle operazioni programmate; la mancata contestazione di alcun episodio concreto di importazione o compravendita di sostanze stupefacenti (circostanza che asseverava l’insuccesso delle iniziative, tanto che non erano stati contestati delitti fine); la mancanza di sequestri di droga; la brevita’ dell’intervallo temporale interessato dalla condotta in contestazione (dal dicembre 2012 all’emissione della misura custodiale del luglio 2013); i differenti canali di approvvigionamento e la partecipazione di soggetti non sempre coincidenti; l’assenza di un preciso piano operativo. Gli argomenti di prova spesi dalla sentenza impugnata non spiegavano, pertanto, alcuna capacita’ distintiva rispetto all’ipotesi alternativa del progetto fallito di porre in essere condotte di importazione di carattere estemporaneo, trattandosi quest’ultima di attivita’ che comunque richiede un substrato di carattere organizzativo, di mezzi finanziari e materiali, l’adozione di cautele, ecc. Pertanto, declinare tali elementi quali dimostrativi dell’esistenza di un sodalizio non esauriva il tema giuridico volto a dimostrare l’esistenza del reato associativo, il quale richiede quella necessaria stabilita’, caratterizzante anche il profilo soggettivo (in punto di esistenza di un programma operativo che travalichi la commissione di uno o piu’ reati), rispetto all’attivita’ concorsuale e continuata non riuscita.
Del resto, l’assenza di coesione ed affectio societatis dei presunti partecipi risultava dagli stessi compendi intercettivi valorizzati dalla Corte di appello: cosi’ deponevano in tale direzione i rilievi critici espressi da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per gli ostacoli che avevano caratterizzato le programmate operazioni, insuccessi che la Corte di merito aveva illogicamente ricondotto all’impossibilita’ del capo (OMISSIS) (in quanto sottoposto agli arresti domiciliari) ad impegnarsi in prima persona ed alla qualita’ non eccelsa dei quadri operativi intermedi o dei gregari; ovvero quelle in cui si paventava un utilizzo in proprio dei canali di approvvigionamento e dei relativi profitti, dato che era stato svilito dalla Corte territoriale disattendendo persino le indicazioni fornite dalla sentenza di annullamento.
Ne’ all’uopo poteva farsi riferimento alla circostanza che il traffico di droga rappresentava anche uno dei reati fine dell’associazione mafiosa di cui al capo D), facendo leva sul ruolo di filo conduttore svolto dal (OMISSIS), in quanto tale dato era stato tratto mediante una sorta di automatismo dissonante rispetto alle indicazioni di legittimita’ che evidenziano la natura distinta ed autonoma delle due fattispecie, poste a presidio anche di beni giuridici differenti, omettendo di precisare gli elementi “a supporto dell’affermazione che il costante collegamento diretto o indiretto mantenuto con il Capo avesse ad oggetto l’attivita’ in materia di stupefacenti, che lui impartisse su detta attivita’ direttive e che a lui di questo si relazionasse”.
2.3. Quanto, poi, alla partecipazione del ricorrente al sodalizio, difettava la prestazione di un contributo stabile (non univocamente individuabile nel contenuto dei biglietti rinvenuti al (OMISSIS)) che la Corte di appello aveva invece dato per presupposto a fronte anche dell’ulteriore restringimento del periodo temporale relativo alla sua attivita’ (posto che era stato arrestato per altra causa il 22 marzo 2013), tema non colmabile con un cambio dei ruoli da organizzatore a semplice partecipe. Inoltre non si era apprezzato che nessun contatto era stato documentato tra il ricorrente ed i suoi familiari che non avevano condiviso la scelta della sua latitanza, tanto che l’invio del “messaggio” contenuto in uno dei biglietti meglio si inquadrava in una richiesto di sostegno economico trovandosi il (OMISSIS) a cagione della latitanza solo e in uno stato di prostrazione dovuto alla tossicodipendenza; non erano stati registrati contatti con gli altri coimputati ed i soggetti operanti sul territorio italiano; difettava la verifica storico che l’incontro in Spagna con il (OMISSIS) avesse avuto luogo tanto che il coimputato per procurarsi la droga si era rivolto ad altri canali senza alcuna sua partecipazione; non si era tenuto conto che gli altri bigliettini rinvenuti al (OMISSIS) non erano riferibili alla grafia dell’imputato; che godeva di scarsa considerazione da parte di (OMISSIS); che la sua latitanza fosse dovuta a ragioni differenti dalle dinamiche associative, tanto che dopo il suo arresto l’attivita’ dei soggetti interessati alla conclusione delle operazioni di importazione erano proseguite indisturbate e del tutto “scollegate” dalla sua persona; che anche le operazioni svoltesi prima del suo arresto erano prive di elementi dimostrativi di un diretto coinvolgimento (nella prima si evidenzia l’autonomia della proposta formulata dall’imputato nel manoscritto rispetto al viaggio del (OMISSIS) e comunque come questa non avesse neppure raggiunto la soglia del tentativo punibile Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73; nella seconda come emergesse l’autonoma iniziativa della coppia (OMISSIS)- (OMISSIS) e come avrebbe al piu’ visto la sola partecipazione iniziale del ricorrente successivamente detenuto; il terzo lo vedeva del tutto estraneo, essendo il ruolo che avrebbe dovuto rivestire l’imputato stato attribuito ad altro soggetto, il (OMISSIS) e trattandosi di operazione “scollegata” dalle prime; parimenti era a dirsi con riferimento al quarto tentativo non riuscito, ruotante intorno alla persona del (OMISSIS)). In tale contesto caratterizzato da carenza probatoria, non funzionale alla dimostrazione della partecipazione era il richiamo alle dichiarazioni dello stesso ricorrente ai fini della loro confutazione.
3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza della fattispecie associativa di cui al capo D) anche sotto il profilo del rispetto dei limiti e dell’ambito del giudizio di rinvio e del compito affidato dalla pronuncia rescindente (che aveva escluso che la sentenza di annullamento avesse imposto una sorta di exequatur sugli argomenti svolti in quella di primo grado), nonche’ rispetto alla ritenuta partecipazione del ricorrente al medesimo sodalizio.
3.1. Si censura la “torsione” applicativa dell’istituto nella tendenza ad estenderne l’ambito a quella forme di criminalita’ “nuove ed atipiche” rispetto al modello tipo descritto dal legislatore, cosi’ rendendo “evanescente” la portata degli elementi costitutivi, pena lo svuotamento contenutistico e valoriale della stessa anche in rapporto all’ipotesi dell’associazione a delinquere c.d. semplice. Per le associazioni non riconducibili alle c.d. mafie storiche – per le quali e’ ammissibile una sorta di “riserva di violenza” potendosi sfruttare la fama criminale gia’ conseguita senza compiere ulteriori ed eclatanti atti di violenza e prevaricazione gia’ “stratificati nel corso degli anni – occorre accertare se si siano verificati atti di violenza o minaccia e se tali atti abbiano sviluppato intorno al gruppo un alone permanente di diffuso timore, tali da determinare assoggettamento ed omerta’ e da consentire all’associazione di raggiungere i suoi obiettivi (la c.d. mafiosita’ del programma associativo) proprio in conseguenza della “fama di violenza” ormai raggiunta. Fare riferimento, nell’interpretazione della norma, alla possibilita’ di una violenza solo potenziale, consapevolmente prefigurata dagli associati ma rivolta al futuro, condurrebbe ad un’interpretazione estensiva, in violazione del principio di legalita’ risolvendosi in un’operazione di innovazione legislativa della fattispecie criminosa, occorrendo, invece, che l’associazione della forza di intimidazione se ne sia avvalsa in concreto nell’ambiente circostante in modo diffuso e pervasivo e non quale elemento virtuale inerente al programma, investendo la comunita’ di riferimento (il cui campione deve essere “significativo”) in punto anche di assoggettamento ed omerta’.
Invece si era assistito da parte della Corte di merito ad un’inversione del ragionamento probatorio ove invece di verificare la sussistenza di un impianto organizzativo avente predisposizione tipica a fungere da associazione mafiosa e verificare la “mafiosita’” del programma associativo, si era ricavata l’esistenza del sodalizio dallo svolgimento di plurime attivita’ delittuose mediante un percorso riferibile semmai all’associazione a delinquere semplice.
Ne’ la Corte di merito aveva evidenziato univoci indici evocativi della necessaria esteriorizzazione dell’intimidazione, ravvisandoli in fatti privi di una componente di mafiosita’ del “metodo” che aveva desunto in modo apodittico (il riferimento e’ alle modalita’ risalenti e che vedono coinvolti soggetti differenti nell’acquisizione dello stabilimento (OMISSIS) ed alle condotte illecite a contenuto patrimoniale riferite al piu’ con il concorso di familiari agli anni 2012-2013), privo della necessaria diffusivita’ (un unico fatto consistito in un attentato dinamitardo risalente al dicembre 1998-gennaio 1999) e dell’indispensabile legame con le vicende associative del clan (trattasi dei quattro episodi di agguati a mano armata pensati, programmati e non eseguiti sempre nel periodo 2012-2013 ma non riferiti a soggetti coinvolti con le dinamiche del sodalizio e che vedrebbero luce quando la carica intimidatrice del sodalizio avrebbe gia’ pervaso il territorio). Ne’ tali indici potevano trarsi dagli episodi di c.d. violenza “progettata” (trattasi di una conversazione tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) sulla gambizzazione di un estraneo alla consorteria; di una possibile rapina che il (OMISSIS) era intenzionato a consumare; dell’episodio della “rappresaglia” da condurre nei confronti di (OMISSIS), inteso ” (OMISSIS)”; del mancato agguato contro (OMISSIS)), i quali non avevano come destinatari soggetti in qualche modo legati al clan. Ne’ ancora potevano soccorrere all’uopo le sentenze di condanna del G.U.P. del Tribunale di Roma del 6.3.2003 e della Corte appello di Roma del 15.5.2006 alle quali si era fatto riferimento, in quanto prive della necessaria significativita’ in ragione della natura dei fatti accertati (trattasi della vicenda del favoreggiamento posto in essere dall’ (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS) nel 1998 e altro relativo alla partecipazione del (OMISSIS) ad un’associazione a delinquere semplice) ovvero la vicenda relativa all’acquisizione del (OMISSIS) ricorrendo uno iato temporale di quasi dieci anni dai fatti precedenti indicati dalla sentenza impugnata quali indici di “esteriorizzazione” del metodo.
Peraltro, con riguardo alla ricostruzione fattuale operata dalla sentenza impugnata, resterebbe fuori dall’ambito cronologico del sodalizio tutto il periodo degli anni âEuroËœ90 nel quale tutt’al piu’ atti intimidatori (non specificamente individuati oltre quello in danno dell’ (OMISSIS) e del (OMISSIS)) sarebbero stati posti in essere da un sodalizio semplice al fine di acquisire una carica intimidatrice ed una capacita’ criminale non ancora sussistente, senza al contempo pero’ indicare quando e in che modo usura, estorsione e gestione delle scommesse clandestine si sarebbero tramutati da reati fine di un’associazione semplice a condotte emulative del metodo mafioso.
Ne’ al fine dimostrativo dell’esteriorizzazione del metodo poteva farsi riferimento all’episodio della partecipazione del (OMISSIS) ad un summit volto ad evitare violente reazioni a catena tra gruppi di malavita organizzata: cio’ non risolveva il tema della necessita’ di una concatenazione modale nei confronti di una comunita’ di riferimento e del riconoscimento dalla platea degli assoggettati che certi comportamenti fossero espressivi di una determinata organizzazione criminale e non di un singolo soggetto.
3.2. Violazione di legge era poi riscontrabile con riguardo alla c.d. dell’intimidazione interna, requisito che la Corte territoriale aveva evidenziato quale ulteriore elemento qualificante la natura mafiosa del sodalizio, in contrasto con la disposizione normativa a mente della quale l’intimidazione e l’assoggettamento sono “effetti” che si producono esclusivamente all’esterno della realta’ associativa.
3.3. Anche sul tema dell’affectio societatis la sentenza incorreva in violazione di legge laddove la identifica (pag. 211) nel riconoscimento dell’innegabile prestigio criminale del (OMISSIS), occorrendo invece la consapevolezza e volonta’ dei singoli aderenti di adesione condivisa del pactum sceleris connotato da mafiosita’ e in relazione all’accertamento della quale non poteva farsi ricorso al “giudicato” caduto sull’ipotesi associativa semplice. Il vizio di motivazione era ravvisabile nel richiamo ad elementi del tutto antitetici rispetto all’intimidazione interna o quantomeno alla coesione dei sodali nell’ente in subordinazione al suo vertice, essendosi fatto riferimento a “manifestazioni esteriori lontane dai modelli tradizionali di organizzazioni criminali strutturate su un assoluto regime di obbedienza, anche formale”.
Analogamente a proposito del requisito dell’omerta’, individuato nella totale assenza di atti di denunzia prima e di collaborazione poi da parte di tutte le vittime, la sentenza impugnata incorreva in violazione di legge, avendo omesso di dimostrare il nesso causale tra la mancata denuncia o vera e presunta reticenza ed una diffusa concezione di assoggettamento ed omerta’ e tra questa ed una vera e propria esteriorizzazione del metodo mafioso da ricondursi agli imputati (il richiamo ad un perdurante e non occasionale o sporadico “clima di paura”), non essendo all’uopo sufficiente il mero riferimento alla pur nota caratura criminale di (OMISSIS).
In conclusione, si era ascritta al paradigma delle mafie c.d. “nuove”, un sodalizio omettendo di accertare i requisiti propri della fattispecie per come declinati dall’articolo 416-bis c.p., comma 3.
3.4. Infine, mancava una verifica della partecipazione del ricorrente al sodalizio ritenuto mafioso (la cui condotta avrebbe dovuto essere finalizzata al perseguimento degli scopi di un’associazione di tal genere) alla luce della condotta in concreto ascritta, in difetto di specifici coinvolgimenti nelle vicende relative alle armi ed alle estorsioni, tema che la Corte di merito aveva illogicamente disatteso limitandosi ad una mera verifica sulla qualita’ del ruolo svolto dal ricorrente (partecipe o meno), senza esplorare, in ipotesi, anche forme di partecipazione differenti (ad es. concorso esterno); le uniche condotte attribuite al ricorrente sono l’aver scritto sotto dettatura dello zio (OMISSIS) un biglietto che altri avrebbero dovuto recapitare al destinatario per la presunta riscossione di un debito, iniziativa che poteva ricondursi al legame di parentela; l’essersi infervorato per via dell’offesa arrecata alla famiglia (OMISSIS) dall’ex pugile (OMISSIS) per avere sputato sull’autovettura di (OMISSIS), episodio che poteva ricondursi ad una differente lettura legata a risentimento dovuto a ragioni familiari.
4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6. La sentenza impugnata ai fini dell’attribuzione della circostanza al ricorrente non si era confrontata con la sua qualificazione meramente partecipativa da un lato e con il tempo limitato della sua asserita partecipazione al sodalizio dall’altro, nonche’ con l’assenza di coinvolgimento nelle attivita’ inerenti il (OMISSIS) e le somme allo stesso destinate che ne escludevano la necessaria connotazione soggettiva anche per ignoranza colposa.
(Avv. (OMISSIS)).
1. Nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) – articolo 628 c.p.p., comma 2, in relazione alla ritenuta configurabilita’ dell’associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 (capo A1).
Posto che l’annullamento operato dalla Corte di cassazione non doveva essere inteso quale validazione, diretta o indiretta, della decisione di primo grado (almeno in punto di generica), la Corte di merito anziche’ procedere ad un’attenta disamina delle doglianze articolate dalla difesa riguardo la decisione di prime cure, si era limitata ad una ricognizione sommaria del materiale probatorio, omettendo di fornire adeguata risposta in ordine all’esistenza del sodalizio criminoso e se il ricorrente ne abbia fatto parte. Si era finito per confondere il piano sociologico-criminale degli imputati (quale comune matrice) con la costituzione da parte loro di un sodalizio riconducibile alla fattispecie legale, la cui sussistenza poggiava su perentorie affermazioni (schede telefoniche del sodalizio, canali di pagamento autonomi rispetto a quelli di approvvigionamento, ecc.) di carattere apodittico e prive di supporto fattuale.
Mancavano gli indici dimostrativi di sussistenza della fattispecie (i c.d. necessari facta concludentia): l’assenza di sequestro di droga si deve al fatto che lo stupefacente non era stato mai acquisito, ne’ inviato (vedi vicenda (OMISSIS) e (OMISSIS)- (OMISSIS)); non erano indicate le basi logistiche e le specifiche mansioni dei sodali (tutti pretendevano di fare tutto); non solo i c.d. delitti fine non assurgevano nemmeno la soglia del tentativo, ma nessuno dei progetti messi in cantiere aveva mai raggiunto un grado di concretezza idoneo a superare la soglia del penalmente rilevante anche ai sensi dell’articolo 56 c.p.. Mancava, quindi, un accordo per la consumazione di una serie indeterminata di reati che si fosse tradotto in effettiva reale operativita’ sia pure a livello potenziale.
Si era al cospetto di sole quattro-cinque operazioni a fronte di un’attivita’ di indagine svoltasi – contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito che sul punto erano incorsi in travisamento del fatto – in un amplissimo arco temporale risalendo le intercettazioni a tutto l’anno 2012 e buona parte del 2011 (con cio’ neutralizzandosi l’argomento accusatorio volto a dare rilievo al numero delle operazioni riscontrate rispetto ad un periodo limitato ed alla congettura del preteso eguale rilievo di cio’ che prima dell’inizio dell’attivita’ tecnica non era stato captato), poste in essere da soggetti differenti, anche estranei al sodalizio ed al di fuori di un contesto, anche finalistico, di carattere associativo, rispetto alle quali non era da ravvisarsi alcun contributo decisivo e partecipativo del ricorrente.
Si erano poi valorizzate ai fini dimostrativi dell’associazione che della partecipazione (con ricadute di illogicita’ quanto alla generica ed alla specifica) attivita’ illecite realizzate fuori dall’arco temporale fissato dalla sentenza (il riferimento e’ alle lettere e conteggi fotocopiati al (OMISSIS) e ritenuti provenienti dal ricorrente). Inoltre, si era omesso di apprezzare il dato negativo rappresentato dall’assenza di clienti, a fronte invece di una sentenza che riferiva al sodalizio la paternita’ di una piazza di spaccio.
Inoltre, era proprio l’esame dello svolgimento delle diverse operazioni di tentata importazione non riuscita di stupefacenti ad opera di diversi soggetti (che il ricorrente passa in rassegna), alcuni dei quali estranei al sodalizio (il riferimento e’ al (OMISSIS), al (OMISSIS) ed al (OMISSIS)) ed altri operanti in autonomia, che dimostrava l’errore di prospettiva in cui era caduto il giudice del merito quanto all’inquadramento dei progetti de quibus nell’ambito di una matrice associativa il cui filo conduttore sarebbe stato il (OMISSIS) (emblematico ai fini dell’esclusione della lettura propugnata dalla Corte di appello e’ il riferimento che (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) fanno alla ripartizione degli utili derivanti dalla tentata importazione di cocaina che sarebbe spettata esclusivamente a loro e per gran parte al (OMISSIS), soggetto del tutto estraneo al sodalizio ed unico dominus dell’operazione).
Ne’ poteva assumere rilievo ai fini della prova del delitto associativo la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal GUP del Tribunale di Roma nei confronti di altri coimputati, il cui esito era stato ritenuto irrilevante dalla sentenza rescindente con riferimento al difetto di contraddittorieta’ della motivazione, con conseguente violazione del principio di diritto ex articolo 627 c.p.p., comma 3 e articolo 628 c.p.p., comma 2. Inoltre, l’assenza dell’allegazione di ulteriori elementi privava tale decisione di efficacia probatoria, in violazione dell’articolo 238-bis c.p.p..
2. Con il secondo motivo deduce la nullita’ della sentenza ex articolo 606, lettera b) ed e) in relazione all’affermazione della responsabilita’ dell’imputato in ordine al delitto sub A1).
La censura muove dall’assenza di elementi dimostrativi della compartecipazione in relazione al tempus commissi delicti per come fissato dalla rubrica (dal gennaio 2012) e alla possibilita’ del ricorrente di fornire un contributo apprezzabile alla luce del suo arresto avvenuto il 22.3.2013 (essendo all’epoca ricercato perche’ latitante). La fissazione temporale della contestazione consentiva per un verso di escludere eventuali attivita’ aventi in ipotesi rilievo penale poste in precedenza (il riferimento e’ al contenuto del biglietto del (OMISSIS)) e, per altro, il coinvolgimento nei viaggi volti all’importazione di droga che i presunti sodali avrebbero realizzato dopo il suo arresto. Peraltro, il ricorrente risultava completamente estraneo anche con riferimento ai viaggi in terra spagnola che i presunti sodali avrebbero effettuato o organizzato prima del suo arresto: non aveva offerto alcun contributo (ne’ i sodali avevano mostrato alcuna aspettativa di un qualche suo aiuto), rispetto anche al primo viaggio del (OMISSIS), le cui risultanze probatorie citate dalla Corte d’appello, se correttamente interpretate, deponevano invece per l’assenza di un incontro tra i due e per l’autonomia dell’iniziativa del coimputato; parimenti con riguardo al viaggio in Spagna del (OMISSIS) e dell’ (OMISSIS) (nel febbraio 2013) e a quello compiuto dal (OMISSIS) (tra l’8 ed il 9 marzo 2013) nella prospettiva (affermata in della sentenza) di sdoganare lo stupefacente. Inoltre, anche con riguardo a quelli avvenuti in costanza di latitanza in Spagna difettavano elementi di diretto coinvolgimento espressivi di un inserimento nel sodalizio e della correlativa affectio societatis, stante un apporto in ipotesi sostanzialmente circoscritto ad un unico episodio, di carattere frammentario, non risolutivo e relativo ad un arco temporale assai ristretto. Ne’ risultava confacente al tema di accusa la vicenda dei biglietti manoscritti rinvenuti al (OMISSIS), in assenza dell’emersione, in tempi successivi al recapito della lettera (riferita al ricorrente e destinata al (OMISSIS) e ricondotta ad una sorta di contabilita’ delle attivita’ di cessione di droga), di elementi concreti tali da far ritenere che la generica manifestazione di intenti asseritamente ricavata dal suo contenuto, avesse avuto un seguito penalmente rilevante. Peraltro, il richiamo ad attivita’ illecite compiute prima della costituzione del sodalizio ne precluderebbe rilievo ai fini dimostrativi della compartecipazione del ricorrente all’associazione contestata.
3. Con il terzo motivo deduce la nullita’ della sentenza ex articolo 606, lettera b) ed e) in relazione all’affermazione di responsabilita’ del ricorrente per il delitto sub D).
La doglianza muove dall’assenza di un quadro probatorio di sostegno a motivo di un suo contributo al sodalizio di stampo mafioso, ravvisato unicamente nell’essersi intestato un appartamento in Ostia di proprieta’ dello zio (OMISSIS), peraltro in assenza di contestazione del delitto di cui al Decreto Legge n. 302 del 1992, articolo 12-quinques vicenda riconducibile ad un mero favore verso il parente (di cui nutriva ammirazione) e privo di valenza eziologicamente efficiente per il perseguimento de’gli scopi dell’associazione.
4. Con il quarto motivo lamenta la mancata esclusione dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3. Posta la natura soggettiva della circostanza, la Corte di merito l’aveva affermata nei confronti del ricorrente come “verita’ assiomatica”, non tenendo nel debito conto l’intervenuta assoluzione dell’imputato dal delitto di cui al capo S) relativo proprio alle armi e l’esclusione di detta circostanza con riguardo al delitto di associazione mafiosa di cui al capo D).
5. Con il quinto motivo deduce la nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione alla configurazione a carico del ricorrente dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6 attribuita a titolo di responsabilita’ oggettiva e sulla scorta di una generica presunzione, formulata indistintamente per tutti i presunti accoliti, della consapevolezza circa il reimpiego dei proventi da parte del sodalizio.
6. Con il sesto motivo deduce la nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Anche in questo caso la Corte di merito aveva adottato a fondamento del diniego una motivazione generica, valida indistintamente per tutti gli imputati, omettendo di prendere in considerazione profili favorevoli al ricorrente, quale la giovane eta’ e la riconosciuta non apprezzabilita’ del suo contributo.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS)).
L’imputata e’ stata condannata alla pena complessiva di anni sette e mesi due di reclusione in ordine ai delitti di cui all’articolo 416-bis c.p., commi 1 e 6, (capo D), con esclusione dell’aggravante di cui all’articolo 110 c.p., comma 4, L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinques di cui ai capi O) e O1) cosi’ come originariamente contestati (trattasi di due ipotesi di concorso in intestazione fittizia di beni, aggravati ai sensi del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 nella declinazione dell’agevolazione), con le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e ritenuta la continuazione anche con due ulteriori fatti di intestazione fittizia gia’ definitivamente giudicati con la sentenza irrevocabile della Corte di Appello di Roma in data 12.12.2016 (con conferma delle statuizioni civili della sentenza di primo grado e dell’assoluzione dalla imputazione sub Q) disposta dalla sentenza 13 giugno 2016 della Corte di Appello di Roma).
1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il difetto di motivazione “sulla natura dell’associazione di cui al capo D) dell’imputazione”. Nel solco di quella “progressiva attenuazione della rilevanza giuridica delle ricadute esterne della metodologia associativa” – tanto che si e’ escluso che il riflesso esterno della forza di intimidazione debba tradursi necessariamente nel controllo di una determinata area territoriale, ovvero affermato che non occorre la presenza di un’omerta’ immanente e permanente, ovvero ancora che la fattispecie in esame possa riguardare anche le c.d. piccole mafie con un numero basso di appartenenti e che persino una sola condotta puo’ esprimere di per se’ la forza intimidatrice del vincolo associativo – la sentenza impugnata aveva operato una sorta di graduale “definizione al ribasso” di tale fattispecie, sconfinando nella tradizionale ipotesi associativa, cosi’ discostandosi dalla tipologia criminale presa nominativamente in considerazione dalla disposizione censurata.
2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione e di violazione di legge quanto alla partecipazione della ricorrente alla ritenuta associazione per delinquere di stampo mafioso. Anzitutto, censura la ritenuta esistenza di un giudicato – derivante dalla pronuncia di annullamento con rinvio della Suprema Corte, su ricorso del P.G., della precedente sentenza di appello – relativo all’esistenza di un sodalizio criminale – quale quello di cui al capo D) – di cui la ricorrente sarebbe stata ritenuta far parte con effetto preclusivo (e fermo restando il problema legato alla qualificazione giuridica del fatto). Inoltre, evidenzia come non fosse stata adeguatamente apprezzata la marginalita’ della ricorrente ed il fatto che il suo coinvolgimento negli addebiti di interposizione fittizia, riguardando un bene destinato in futuro ad entrare nel patrimonio della ricorrente medesima, potevano essere anche espressione di un egoistico protagonismo di natura privatistico-familiare. Essendosi dunque l’apporto della ricorrente estrinsecatosi ed esaurito in condotte di conservazione del patrimonio familiare, difettava anche quella necessaria affectio societatis sceleris che deve animare il singolo e legare gli aderenti e che non puo’ farsi coincidere di fatto con l’ambito affettivo parentale. Infine, ricavare la condotta di partecipazione da quelle di intestazione fittizia risultava operazione riduttiva rispetto all’esigenza di individuare un apporto causale avente carattere di efficienza rispetto all’ampiezza degli obiettivi criminali del sodalizio per come specificati nell’imputazione.
3. Con il terzo motivo deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione con riguardo alla qualificazione giuridica del sodalizio gia’ rubricato come associazione a delinquere in associazione di stampo mafioso. La doglianza attiene al profilo relativo alla chiara prevedibilita’, per coloro che partecipavano al sodalizio, che il “ben noto clan (OMISSIS)” potesse per la prima volta essere ricondotto – sulla scorta della recente evoluzione della giurisprudenza in materia che ha riconosciuto l’applicabilita’ dell’articolo 416-bis c.p. alla c.d. mafia non tradizionale o alle piccole mafie – nella piu’ grave fattispecie associativa di stampo mafioso. E cio’ in forza del principio di legalita’ convenzionale per il quale non soltanto la previsione incriminatrice deve preesistere alla condotta addebitata, ma l’applicazione in concreto di ogni fattispecie penale deve essere sufficientemente chiara e prevedibile al tempo delle condotte ascritte agli imputati.
4. Con il quarto motivo deduce l’inosservanza del principio di diritto dettato dalla sentenza di annullamento; l’erronea applicazione della legge penale in relazione al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinques ed il correlativo difetto di motivazione. In particolare, la sottoscrizione, avvenuta nel 2006, da parte della ricorrente (unitamente alla sorella) del preliminare d’acquisto della societa’ (” (OMISSIS)”) che gestiva lo stabilimento balneare (OMISSIS) difettava della necessaria valenza causale rispetto alle intestazioni fittizie contestate, rispettivamente commesse nel giugno 2010 (capo 0) e nel settembre 2012 (capo O1); peraltro tale iniziativa era finalizzata – contrariamente a quanto postulato nell’imputazione – a condurre il bene nella titolarita’ del (OMISSIS). Apodittico poi era il riferimento – a proposito dell’interposizione di cui al capo 0) – che la Corte territoriale aveva fatto alla necessita’ del (OMISSIS) (all’epoca prima detenuto e poi agli arresti presso una struttura sanitaria) di essere necessariamente coadiuvato dai componenti del suo nucleo familiare posto che tale riferimento aveva carattere generico e che l’ausilio avrebbe potuto essere prestato anche da altri parenti. Ne’, infine, la prova della compartecipazione poteva trarsi “dal costante impegno nella concreta gestione di fatto del (OMISSIS), in quanto post factum successivo alla consumazione del reato, avente carattere istantaneo, ovvero nella “vicinanza” del prestanome Mazziotti alla (giovanissima) ricorrente, elemento quest’ultimo privo di certezza sul piano probatorio.
5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7. La circostanza non poteva farsi automaticamente discendere dall’appartenenza al sodalizio mafioso, ma deve caratterizzare la condotta quale necessario quid pluris; inoltre, non si era apprezzata l’obiezione difensiva secondo cui l’apporto prestato nella vicenda (OMISSIS) era funzionale piu’ a vantaggio della famiglia che del sodalizio. Difettava, poi, adeguata motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6. Nel giudizio di bilanciamento si era fatto, infine, erroneo riferimento alle aggravanti, essendo invece stata riconosciuta a carico della ricorrente la sola circostanza di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6 escludendosi invece quella di cui al comma 4.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) – Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato alla pena complessiva di anni ventisette e mesi dieci di reclusione, in ordine ai delitti di cui agli articoli 416-bis c.p., comma 2, (capo D) e aggravato ai sensi dei commi 4 e 6 (capo D), di estorsione aggravata sia dall’appartenere che di agevolare l’associazione di stampo mafioso clan (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS) (capo H, in relazione al quale l’affermazione di responsabilita’ per il reato base e’ irrevocabile essendo il relativo motivo di ricorso dell’imputato stato dichiarato inammissibile dalla sentenza della Sesta sezione, fatta eccezione per le condotte in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS) per le quali vi e’ stata assoluzione in primo grado), di illegale detenzione di armi aggravata Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (capo S, in relazione al quale l’affermazione di responsabilita’ per il reato base e’ irrevocabile essendo il relativo motivo di ricorso dell’imputato stato dichiarato inammissibile dalla sentenza della Sesta sezione e fatta eccezione per le armi per cui vi e’ stata assoluzione in primo grado e del relativo porto), di concorso in trasferimento fraudolento di valori aggravato Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (capi O, O1, Q, la cui affermazione di responsabilita’ per i delitti base e’ irrevocabile essendo i relativi motivi di ricorso stati rigettati dalla sentenza della Sesta sezione di questa Corte) e di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 1, (capo A1) e ritenuta oltre alla continuazione interna anche quella “esterna” (con aumento della pena pari a mesi quattro di reclusione) con due delitti di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinques per cui vi e’ stata condanna divenuta irrevocabile (sentenza Corte di appello di Roma del 12.12.2016), con conferma delle statuizioni civili. L’imputato e’ stato assolto dal delitto di cui al capo R) e dal delitto di cui al capo Z), come disposto con sentenza della Corte di appello di Roma del 13/6/2016.
1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 525 c.p.p., articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, 6 par. 3 lettera D) C.E.D.U. e vizio di motivazione in relazione all’ordinanza emessa dalla Corte d’appello in data 30.5.2018 con cui ha rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria avanzata dalla difesa. In particolare, avendo con la sentenza impugnata la Corte territoriale ribaltato la precedente decisione con cui l’imputato era stata assolto dai delitti di cui all’articolo 416-bis c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nonche’ escluso le aggravanti Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 con riferimento alle ipotesi di intestazione fittizia di cui ai capi H), O), O1), S) e dall’aggravante ex articolo 629 cpv. c.p. con riferimento all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 di cui al capo H), si sarebbe dovuto procedere a riassumere le prove dichiarative indotte dalla difesa, essenziali nella ricostruzione dei fatti. Ne’ era stata fornita congrua motivazione a supporto del diniego. Non rilevante, poi, era la circostanza che il presente giudizio originasse da annullamento con rinvio, trattandosi pur sempre di “ribaltamento” di decisione in precedenza favorevole per la quale militavano le stesse ragioni poste a fondamento del riconoscimento della regola posta dalla S.U. con la sentenza n. 27620 del 28/4/2016 in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Laddove poi la Corte non ritenesse l’ipotesi in esame compresa nell’alveo dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, il ricorrente chiede di rimettere la questione alle S.U. ovvero, in subordine, di sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, in riferimento agli articoli 2 e 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 2, articoli 111 e 117 Cost. in relaz. all’articolo 6 par. 2 e 3 lettera d) CEDU, nella parte in cui tale disposizione non prevede che la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale si applichi anche al caso di una precedente assoluzione della Corte di appello poi annullata dalla Corte di cassazione. Inoltre, la rinnovazione era imposta anche dal rispetto del principio di immutabilita’ del giudice, dovendo il giudice che procede alla deliberazione essere lo stesso che aveva ammesso la prova.
2. Con il secondo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3 e vizio di motivazione in relazione tanto alla ritenuta sussistenza dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti quanto a quella di stampo mafioso. Posto che l’annullamento con rinvio era avvenuto unicamente per vizio di motivazione (in particolare sotto il profilo della mancata adozione di una motivazione rafforzata in termini di consistenza e replica alla decisione di primo grado), nessun principio di diritto era stato affermato dalla S.C. quanto alla esistenza delle due associazioni; pertanto, con riguardo al delitto di cui al capo D) della rubrica, restava aperto il tema della qualificazione giuridica.
3. Con il terzo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 come pure dell’articolo 7 CEDU e vizio di motivazione (sotto il profilo della mancanza e dell’apparenza) in relazione alla ritenuta sussistenza dell’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La doglianza attiene alla mancanza nella motivazione della sentenza impugnata dell’indicazione degli elementi costitutivi dell’associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 quali la sussistenza di una struttura associativa anche rudimentale, la stabilita’ del vincolo e l’indeterminatezza del programma delittuoso. La Corte di merito, invece, si era limitata a richiamare delle intercettazioni telefoniche relative a singoli episodi di tentata importazione di droga non riuscita senza tuttavia analizzarle sotto il profilo della sussistenza degli elementi tipici della fattispecie contestata. Inoltre, non aveva apprezzato le doglianze difensive con cui si era evidenziata come l’imputazione non fosse suffragata da sequestri di droga (si tratterebbe quindi di “droga parlata” con necessita’ che la valutazione del compendio intercettivo sia condotta con massimo rigore), nessun delitto fine fosse stato contestato, le intercettazioni si erano svolte in un arco temporale di cinque mesi (gennaio-maggio 2013) e, dunque, poco significativo a dimostrare l’esistenza di un sodalizio e di una consapevole partecipazione a carattere stabile e durevole nel tempo tra gli associati. Proprio con riguardo al dato temporale la Corte di merito aveva omesso di considerare che solo il trascorrere di un apprezzabile lasso di tempo consente al sodalizio di divenire idoneo ad operare validamente e costituire quel pericolo per l’ordine pubblico in presenza del quale il reato puo’ dirsi integrato e quindi consumato; parimenti con riguardo all’affectio societatis, ossia quella stabilita’ dell’adesione e consapevolezza di essere membri di una struttura organizzativa avente durata indefinita nel tempo per il perseguimento del programma criminoso del sodalizio. Pertanto, l’esistenza del sodalizio era stata tratta soltanto dalla partecipazione in ipotesi a condotte di violazione della legge stupefacenti, non dimostrative della sussistenza dell’associazione e dell’adesione del ricorrente alla stessa. Erroneamente quindi era stata esclusa l’ipotesi concorsuale nel reato continuato.
4. Con il quarto motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 ed il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui ai commi 3 e 4.
In particolare l’eterogeneita’ delle condotte e dei soggetti coinvolti non consentiva di ritenere sussistenti il numero di persone di cui al comma 3, al pari del ruolo apicale riconosciuto al ricorrente. Medesima doglianza riguarda poi la circostanza aggravante della disponibilita’ di armi, applicata al ricorrente in via presuntiva in ragione del ruolo a questi riconosciuto (vedi sentenza di appello pagg. 162-163). Contraddittorio era poi fare all’uopo riferimento alla condanna irrevocabile per il capo S) concernente “l’arsenale dell’associazione” composto da 5 pistole, occorrendo, a differenza dell’aggravante prevista dall’articolo 416-bis c.p., comma 5 la disponibilita’ di armi, che l’uso non sia esclusivamente personale del soggetto che le detiene e non esigendosi la correlazione con gli scopi perseguiti dal sodalizio. Inoltre, il riferimento alla condotta di cui al capo S) era eccentrico rispetto al tema dell’aggravante (ed una forzatura la relativa motivazione), in quanto tale contestazione e’ stata ritenuta una condotta sintomatica correlata al solo delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. e dunque a fatti e soggetti differenti rispetto al capo A1) relativo al sodalizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74.
5. Con il quinto motivo deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p. ed il relativo vizio di motivazione. La doglianza investe la sussistenza degli elementi caratterizzanti il sodalizio mafioso (i c.d. criteri di “mafiosita’”). In particolare, dopo avere richiamato gli orientamenti giurisprudenziali che ricostruiscono la fattispecie quale reato di danno (secondo l’indirizzo c.d. tradizionale a mente del quale la condotta di intimidazione deve essere effettiva e reale, al pari dello stato di assoggettamento e di omerta’ che ne deriva) ovvero di pericolo (secondo l’indirizzo c.d. “estensivo analogico” a mente del quale la condotta di intimidazione potrebbe rimanere anche solo allo stato potenziale, con riserva di violenza, dalla quale deriverebbe uno stato di assoggettamento anche solo possibile, virtuale e potenziale), precisa come la Corte di merito – in assenza dell’affermazione da parte della sentenza di annullamento di un principio di diritto sotto la qualificazione giuridica – nel soffermarsi sul profilo dimensionale dell’associazione mafiosa ritenendo configurabile il delitto anche in piccoli sodalizi, sembri avere aderito all’orientamento tradizionale, richiamando la necessita’ di una esteriorizzazione esterna della condotta. A tale opzione ermeneutica pero’ non aveva fatto seguito sul piano della motivazione quella inevitabile e necessaria disamina “filtro” delle risultanze probatorie atta ad individuare le rappresentazioni in concreto della esteriorizzazione. Non conferente sul punto era infatti il richiamo ad altre decisioni concernenti terze persone (pag. 187 della sentenza) posto che queste riguardavano vicende processuali alle quali era estraneo il ricorrente. Cosi’ a proposito dei riferimenti a processi ancora in corso (esplosione a (OMISSIS)) ovvero relativi a reati prescritti. Le intercettazioni richiamate poi riguardavo episodi fuori contestazione. L’assenza di denunzie anziche’ costituire un elemento a favore dell’imputato era stato invece congetturalmente ritenuto un dato negativo espressivo di omerta’. Difettava quindi l’indicazione di precisi elementi dimostrativi di un effettivo e reale controllo del territorio, di un’intimidazione effettiva e di uno stato di assoggettamento reale. Un’interpretazione rigida della fattispecie, connotata dai paletti tradizionali del metodo mafioso, richiede infatti che il sodalizio sia “talmente temibile, efficiente e radicato in un tessuto sociale”. Solo in presenza di tali elementi fondamentali e’ possibile qualificare come mafiosa un’associazione a delinquere, cosi’ ponendosi un freno ad una deriva espansionistica della fattispecie. Ne’ gli elementi costitutivi della fattispecie potevano essere tratti dai delitti fine (peraltro risalenti agli anni 2012 e 2013 e quindi relativi ad un arco temporale assai limitato a fronte di una contestazione che invece fa riferimento a venticinque anni), cio’ perche’ il riferimento a tali episodi non vale a provare l’esistenza di un vincolo mafioso caratterizzato dalla intimidazione, assoggettamento ed omerta’ che e’ espressione di un accordo criminoso stabile nel tempo, sorretto sulla forza intimidatrice e sull’omerta’.
Mancava quindi sul piano della motivazione l’indicazione di quel quid pluris necessario per differenziare la “comune” associazione per delinquere dalla ben diversa associazione di stampo mafioso, lacuna non colmabile con il mero richiamo alla giurisprudenza sulle c.d. nuove e piccole mafie, in quanto la dinamica reale del sodalizio non esclude la necessaria presenza degli elementi strutturali. Non si era poi operato alcun distinguo tra il potere di coartazione che ha il comune soggetto (per caratura criminale, personalita’ e modus operandi) nei confronti di terzi o partecipi ad un’associazione per delinquere e la ben diversa forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo di cui all’articolo 416-bis c.p., capace di ridurre le persone investitevene in condizioni di assoggettamento e di omerta’, ossia in condizioni di menomata liberta’ di determinazione cosi’ incisive da renderle strumento indiretto o passivo. La Corte di merito si era limitata sul punto solo ad evidenziare la caratura criminale del ricorrente, invocando episodi che lo coinvolgevano direttamente, svincolati dalle vicende della stessa presunta associazione (vuoi per il riferimento alle condanne del (OMISSIS), alla sua caratura criminale che, infine, alla vicenda di cui al capo H).
6. Con il sesto motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6 ed il vizio di motivazione. La doglianza attiene alla configurazione delle circostanze aggravanti dell’essere l’associazione armata e volta al reimpiego di proventi delittuosi. Quanto alla prima, relativa alle armi, la circostanza era stata ricavata dal delitto di cui al capo S), relativo ad un episodio dell’aprile 2013, mentre l’associazione risulta contestata a partire dal 1990. Inoltre, difettava la prova che le armi fossero destinate a perseguire gli obiettivi del sodalizio e dei delitti fine (la cui natura escludeva la necessita’ di un ricorso alle armi) e che vi fosse conoscenza e consapevolezza di tale dotazione in capo ai supposti associati. Quanto alla seconda, relativa al reimpiego dei proventi illeciti, la Corte di merito aveva omesso di considerare che nel caso in esame risultava un solo acquisto di attivita’ commerciale da parte del (OMISSIS), costituito dallo stabilimento (OMISSIS), con l’impiego di denaro lecito (provento di permuta di taluni beni ricevuti in restituzione dalla Corte di appello di Roma come pure dall’accollo dei debiti di azienda). Inoltre, dall’istruttoria era emersa l’assoluta autonomia della gestione del (OMISSIS) rispetto alla vicende associative, con conseguente esclusione della circostanza dovendo questa riferirsi all’attivita’ dell’associazione e non a progetti autonomi dei singoli associati, non in singole operazioni commerciali ma nell’intervento in strutture produttive dirette a prevalere sul territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrano gli stessi beni o servizi.
7. Con il settimo motivo deduce l’inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 629 c.p., comma 2, con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, in relazione al capo H) di imputazione ed il correlativo vizio di motivazione in relazione alle doglianze proposte dalla difesa con i motivi di appello a fronte della sentenza di annullamento con rinvio per vizio motivazionale ravvisato dalla Suprema Corte di cassazione. La Corte di merito si era limitata soltanto ad affermare che la circostanza in esame poteva concorrere con quella di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 omettendo, tuttavia, di scrutinare le doglianze formulate al riguardo nell’atto di appello.
8. Con l’ottavo motivo deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 in relazione ai capi H), O), O1) ed S) di imputazione, anche per vizio di motivazione.
8.1. Quanto ai profili di censura relativi alla configurabilita’ dell’aggravante in ordine ai delitti di cui ai capi O), O1) ed S) vedi sub 5) ricorso (OMISSIS). Inoltre, lamenta che si era ricava la circostanza – nella duplice declinazione – dal precedente giudicato di condanna ormai irrevocabile che si era formato sulle condotte “base” contestate nel presente giudizio e ritenendo bastevole l’affermazione di responsabilita’ del ricorrente in ordine al delitto di cui al capo D) della rubrica; che la Corte di merito – nel richiamare le ulteriori sentenze di condanna relative alle altre intestazioni fittizie che avevano interessato il (OMISSIS) in diversi procedimenti – aveva operato una sorta di automatismo motivazionale, ritendo “fuori dalla realta’ fattuale” che i coniugi per alcune avessero la finalita’ di agevolare l’associazione e per altre no; che si era ri’costruita la circostanza in termini meramente oggettivi, non desumibile dal mero contesto ambientale.
8.2. Riguardo alla configurabilita’ della circostanza con riferimento ai delitti di cui ai capi S) ed H) dell’imputazione, la Corte di appello aveva assolto l’obbligo di motivazione mediante un semplicistico richiamo alle argomentazioni spese a proposito del delitto di cui all’articolo 416-bis c.p.. Inoltre, quanto al capo H), relativo all’estorsione in danno di (OMISSIS), la motivazione era solo apparente, facendosi riferimento “al comportamento del (OMISSIS), sopra descritto”, relativo tuttavia alla sola condotta base di estorsione e non significativo di quel necessario quid pluris che deve connotare la circostanza; l’utilizzo del metodo mafioso non poteva essere ricavato dalla mera reazione delle vittime, necessitando un comportamento idoneo ad esercitare una concreta coazione psicologica sui terzi con i caratteri propri dell’intimidazione di cui all’articolo 416-bis c.p. e non essendo sufficiente la caratura mafiosa dei soggetti agenti o il loro collegamento con contesti di criminalita’ organizzata.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS)).
L’imputata e’ stata condannata alla pena di “anni undici e mesi quattro di reclusione, ritenuta la continuazione, in ordine ai delitti di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 1, (nella qualita’ di partecipe) (capo D), L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinques e Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 (capi O e O1), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, (capo A1), con conferma delle statuizioni civili”. E’ stata confermata l’assoluzione per l’imputazione sub R).
1. Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in ordine al capo D) dell’imputazione. La doglianza attiene all’estensione per via ermeneutica della fattispecie di cui all’articolo 416-bis c.p. alle c.d. “piccole mafie”, con contestuale rimodulazione “al ribasso” dei canoni giurisprudenziali di riferimento e superamento della linea di demarcazione con le tradizionali associazioni per delinquere (tanto che diventa difficile ipotizzare un’associazione semplice finalizzata a commettere delitti tradizionali di portata fisiologicamente intimidatoria, quali l’usura e l’estorsione), a loro volta costituenti delitto contro l’ordine pubblico, con gravi conseguenze di sistema, quali la violazione del principio di legalita’ nelle sue recenti declinazioni Europee della prevedibilita’ della sanzione e del trattamento giudiziario complessivo.
1.1. Si censura, poi, che alla sentenza di annullamento della Corte di cassazione e dal rigetto del ricorso dell’imputata sia derivato una sorta di giudicato rescindente con riferimento all’accertata partecipazione della ricorrente al sodalizio di cui al capo D (quantomeno ai sensi dell’articolo 416 c.p.), posto che la stessa Corte di cassazione aveva imposto al giudice di rinvio di rivalutare ogni questione circa la partecipazione – con il relativo grado e consapevolezza degli imputati al predetto sodalizio. Peraltro, la diversita’ di valutazioni operata tra la sentenza di primo grado e quella successiva escludeva che dall’annullamento di quest’ultima venisse conferito un privilegio dimostrativo dei fatti materiali tale da non poter piu’ essere rimesso in discussione nel giudizio di rinvio.
1.2. Quanto alla partecipazione della ricorrente, questa, lungi dal fondarsi sulla prova del positivo accertamento sia dell’inserimento organico nel sodalizio sia del contributo causale effettivo prestato, era stato fondato soltanto sull’assunto che fosse una stretta collaboratrice del padre (OMISSIS) come dimostrato dal rispetto dimostrato da altri membri della congrega (elemento di carattere “evanescente”). La motivazione risultava quindi carente ed assertiva. Mancava qualunque coinvolgimento della ricorrente nella commissione dei reati fine del sodalizio e del tutto irrilevanti oltre che inutilizzabili erano i precedenti penali irrevocabili menzionati a carico dell’interessata. Il coinvolgimento restava quindi affidato ai contenuti delle intercettazioni relative al periodo di detenzione del padre presso le cliniche ospedaliere, in cui la ricorrente, al pari di altri familiari, fu onerata del ruolo di tramite con soggetti che, a causa delle misure cautelari in atto, non potevano avere contatti con il detenuto. E in tale ambito era del tutto priva di significato l’indicazione al padre dell’ammontare del debito in capo A1 titolare della ” (OMISSIS)”, trattandosi di condotta che non aveva consentito di formulare nei confronti dello stesso (OMISSIS) alcun addebito di rilievo penale. Analogamente con riguardo all’avvicendamento nella gestione del (OMISSIS), dovuto piu’ che ad una decisione autonoma della ricorrente, ad una perentoria determinazione del padre, non gradita dalla figlia. In sostanza, aveva svolto l’attivita’ di mero nuncius. Ne’ altri elementi dimostrativi erano ricavabili dall’ulteriore imputazione elevata al capo A1).
2. Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione con riguardo all’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6 e, in particolare, alla provenienza illecita delle somme impiegate per l’acquisto dello stabilimento balneare (OMISSIS), tratta da mere intuizioni investigative e sulla scorta della natura oggettiva della circostanza (riferita all’attivita’ dell’associazione, ragione per cui sarebbe apprezzabile anche con riferimento ad altri sodali che non abbiano posto in essere condotte di reimpiego purche’ sussista l’elemento soggettivo dell’avvenuta utilizzazione di capitali illeciti) e la cui motivazione di sostegno poggiava su una mera petizione di principio accompagnata dalla presunzione secondo cui le dimensioni della struttura e l’esigenza di periodici quanto cospicui investimenti per la sua manutenzione non potevano non rendere evidente a ciascuno dei sodali l’esigenza di un sistematico impiego di risorse. L’avvenuto utilizzo, peraltro, di un meccanismo di tipo presuntivo rendeva la motivazione anche contraddittoria, in quanto giunta a conclusioni illogiche rispetto alla premessa di rintracciare in concreto l’elemento soggettivo per poter ascrivere la circostanza alla ricorrente.
3. Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione delle legge penale ed il vizio di motivazione con riferimento al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74.
3.1. Anzitutto non si era proceduto, stante la reformatio in peius della precedente decisione, al riesame, anche da disporsi ex officio secondo la giurisprudenza convenzionale (articolo 6 della Convenzione E.D.U.), della prova (orale e scientifica) attraverso la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, stante lo stretto rapporto di continuita’ tra giudizio rescindente e quello rescissorio che rende tale regola, di portata generale, applicabile anche al caso di reformatio operata dal giudice del rinvio, prescindendosi dal tipo di sequenza processuale avvenuta ed essendo la rinnovazione per lo piu’ imposta dal fatto che la sentenza (qui impugnata) di condanna emessa in luogo di quella di assoluzione (annullata dalla S.C.) risulta fondata sostanzialmente sulla medesima prova, anche dichiarativa, la cui credibilita’ e’ stata diversamente rivalutata sulla base di un approccio meramente cartolare anzi che previo recupero dell’oralita’.
3.2. Inoltre, la sentenza rescindente non aveva accompagnato al rilievo dell’illogicita’ della motivazione una valutazione positiva – sia pure in chiave di legittimita’ – degli elementi di prova di cui al capo A1), per cui la Corte di appello avrebbe dovuto soltanto sciogliere il profilo attinente alla contraddizione motivazionale, senza che fosse possibile contestare, con conseguente ampliamento del devolutum, l’assoluzione precedente e le premesse probatorie su cui si era fondata (al rilievo della contraddizione in motivazione non sarebbe stata allegata una critica della parte argomentativa nella parte in cui valuta l’assenza di sequestro di droga, la genericita’ dei riferimenti nelle intercettazioni rispetto alle operazioni di importazione, la brevita’ dell’intervallo temporale).
3.3. I limiti della fase rescissoria risultavano poi essere stati violati allorche’ il giudice del rinvio aveva ritenuto tanquam non esset il risultato assolutorio raggiunto dal precedente collegio, rimanendo in vita la decisione di primo grado con conseguente espansione del giudizio all’intera cognizione (tanto che aveva ritenuto di procedere ad una descrizione del quadro completo della provvista probatoria). Invece, la Corte di appello avrebbe dovuto – sulla base delle premesse probatorie che il processo su tale capo aveva gia’ raggiunto adempiere ad un mandato meramente argomentativo, senza trasformare il giudizio di rinvio in novum iudicium. Si era quindi violato il principio di diritto stabilito dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione (vedi pag. 20): anziche’ predisporre una parte motiva non contraddittoria con le premesse assolutorie si era superato il confine effettivo dell’oggetto del giudizio di rinvio operando una sorta di nuovo giudizio, prestando acritica adesione alla valutazione delle prove svolta dal Tribunale sul presupposto della ritenuta superiore capacita’ dimostrativa della stessa; nessun apprezzamento positivo della prova valutata dal primo giudice vi era invece stato, ne’ questo contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata (vedi pag. 145) godrebbe di validita’ ermeneutica maggiore.
3.4. Quanto alle ragioni poste a fondamento della condotta di partecipazione della ricorrente, si richiamano i rilievi svolti con riguardo a quella attinente al sodalizio di stampo mafioso e rimarcando la sua posizione ancillare, di mero tramite tra il genitore ed i suoi asseriti adepti, la mancanza di qualsiasi contributo all’ipotizzata attivita’ di spaccio non solo in epoca precedente al gennaio 2013 (che si era desunta dalla vicenda del ferimento di (OMISSIS) e dei crediti vantati da (OMISSIS) per pregresse cessioni di droga), ma anche in modo marginale alle iniziative di importazione di stupefacenti dalla Spagna intraprese successivamente alle quali la ricorrente e’ sempre rimasta estranea. In particolare, poi, non si era tenuto conto che la difesa, anche mediante consulenza di parte, aveva escluso la rilevanza in funzione accusatoria degli elementi indicati a carico riguardo la presenza della ricorrente ad episodi ritenuti significativi della vita dell’associazione (spostamenti della ricorrente del 18.2.2013 da cui si era ricavato che (OMISSIS) si stesse recando da lei per via del presunto ruolo di referente dell’associazione ascrittole; la decisione di rappresaglia per il ferimento del (OMISSIS) del 6.3.2013; le conversazione del 5.4.2013 con il padre che sarebbe indicativa di un suo coinvolgimento nell’importazione di cocaina).
4. Con il quarto motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione con riguardo alla circostanza aggravante della disponibilita’ di armi, contestata in riferimento ad entrambe le ipotesi associative ed addebitata alla ricorrente in ragione della natura soggettiva della circostanza, sul rilievo dell’ignoranza non scusabile. In particolare, si era fondato il riconoscimento dell’aggravante sulla scorta di una premessa di verosimiglianza alla quale era seguita l’applicazione di una presunzione (trattasi degli esiti dell’ambientale del 25.11.2012 avente come protagonisti (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) ove si ritiene “verosimile” che la conversazione verta su una pistola (e non su vetture) da utilizzarsi per commettere una rapina e che l’assenso richiesto sia da interpretarsi “presumibilmente” per consumare una rapina). Analoga censura poteva muoversi alla telefonata del 6.3.2013 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in cui pur a fronte dell’assenza di richiami alle armi se ne era ritenuto che ve ne fosse stato fatto cenno in modo presuntivo (“e’ ben credibile”). Quanto, poi, all’episodio dell’11.4.2013, la Corte di merito aveva superato l’accertamento tecnico offerto dalla difesa che documentava l’estraneita’ della ricorrente all’incontro tra i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) mediante una consulenza con il dato acquisto aliunde e fuori del processo mediante un ricorso a siti internet riportanti le distanze tra differenti localita’.
5. Con il quinto motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione con riferimento alle ipotizzate intestazioni fittizie di cui ai capi O) e O1), ove la responsabilita’ della ricorrente si era fatta discendere in modo conseguente dalla ritenuta collocazione della stessa nella struttura associativa sub D), in assenza di una giustificazione dell’apporto causale, materiale o morale con riferimento al momento in cui si era realizzato il trasferimento della titolarita’ dei beni, per come invece imposto dalla sentenza di annullamento con rinvio (vedi pag. 49). Ne’ tale apporto poteva farsi discendere dal reiterato enunciato in virtu’ del quale le singole operazioni di trasferimento andavano ricondotte ad un unico ed articolato disegno, volto a dissimulare la reale proprieta’ del (OMISSIS), non risultando la ricorrente imputata nel procedimento definito dal Tribunale di Roma, donde la sua estraneita’ sia alla fase iniziale che conclusiva culminata nel sequestro adottato nell’anno 2013.
Si era poi travisata la prova laddove la Corte d’appello ha sostenuto che la sottoscrizione da parte della ricorrente del preliminare di acquisto delle quote della societa’ (OMISSIS) (pur in assenza della sottoscrizione del relativo definitivo) sia espressivo della consapevolezza di schermare il relativo bene, posto che stante la natura istantanea del reato in parola andava esclusa la rilevanza di comportamenti diversi da quello della formale interposizione ad opera di un soggetto terzo che nel caso in esame non e’ la ricorrente (si cita a conferma sentenza S.U. Ferrarese, Rv. 218768). Si era quindi valorizzato il post factum rappresentato dalla disponibilita’ della ricorrente alla partecipazione alla gestione dello stabilimento (OMISSIS).
5.1. Quanto, poi, all’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 questa si era ricavata in modo automatico e consequenziale dalla ritenuta sussistenza del sodalizio di stampo mafioso, omettendo di declinarne gli ulteriori e distinti elementi costitutivi sorretti dalla necessaria consapevolezza (e cio’ tanto piu’ in presenza di vincoli di appartenenza familiare), essendo differente partecipare ad un’associazione di tale genere e commettere un reato anche se rientrante nel programma associativo avvalendosi del metodo o al fine di agevolare l’attivita’ del sodalizio.
6. Con il sesto motivo censura l’erronea applicazione della legge penale in relazione al trattamento sanzionatorio ed il correlativo vizio di motivazione. In conseguenza della progressiva attivita’ di specificazione, anche in peius, del precetto incriminatrice ad opera della giurisprudenza che ha portato ad estendere “per analogia” la portata applicativa del delitto di associazione mafiosa anche alle c.d. piccole mafie, sulla scorta di decisioni di legittimita’ recenti, non ancora assunte a diritto vivente, che all’epoca dei fatti non costituivano orientamento consolidato (ma solo indirizzo di tendenza in via di progressivo consolidamento), alla ricorrente si sarebbe dovuta infliggere la pena sulla fattispecie base di associazione a delinquere semplice. La ricorrente, infatti, pena la violazione dell’articolo 7 CEDU, non era all’epoca dei fatti in grado di prevedere con precisione le conseguenze penali della propria condotta, a partire dalla lettera della legge e alla luce dell’interpretazione consueta fornitane dalla giurisprudenza a quel tempo maggioritaria (a conferma di cio’ la stessa sentenza di annullamento che nel descrivere i tratti salienti di tale nuovo fenomeno ha di fatto “legiferato” sulle caratteristiche delle mafie non tradizionali, richiamando decisioni anche lontane nel tempo che via via hanno aggiunto elementi di specificazione della condotta). Il riconoscimento delle piccole mafie nel bacino di utenza dell’articolo 416-bis c.p. quale fenomeno incerto e ancora non definitivamente stabile, poiche’ sul punto esiste un conflitto che rende sfumato il parametro, comportava l’elevarsi della barriera prevista dall’articolo 7 CEDU, quale espressione di un principio di legalita’ sostanziale che permea anche il giudizio di rinvio.
7. Con il settimo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza di motivazione in ordine all’esclusione delle attenuanti generiche che la Corte aveva fondato piu’ che su un giudizio su una petizione di principio, trascurandosi l’operata derubricazione nella qualifica di partecipe e ricorrendo ad una motivazione apparente priva di un giudizio di carattere personalizzato.
8. Con l’ottavo motivo deduce l’inosservanza di norme processuali ed il vizio di motivazione in ordine all’eccezione di ne bis in idem (interpretato alla luce dei contenuti convenzionali e costituzionali di cui l’istituto di e’ arricchito in virtu’ anche dell’articolo 4 protocollo agg. n. 7 Convenzione EDU) – sollevata sulla scorta della c.d. concezione materiale del giudicato (nella triade condotta, evento e nesso causale) per precedente decisione avente ad oggetti i medesimi fatti (quali accadimenti storico-empirici sottostanti ai capi A1, D, O, O1) capi scrutinati nel procedimento ” (OMISSIS) + 8″, anche se diversamente qualificati nell’odierno processo.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione, ritenuta la continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti in ordine ai delitti di cui all’articolo 416-bis c.p. (nella qualita’ di partecipe), aggravato ai sensi dei commi 4 e 6 (capo D) e di illegale detenzione di armi (capo S) aggravata Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 nella duplice declinazione dell’agevolazione e del metodo, fatta eccezione per le armi per cui vi e’ stata assoluzione in primo grado del relativo porto, con conferma delle statuizioni civili (con esclusione di quelle relative al capo P).
1. Con due distinti ricorsi si deduce anzitutto il vizio di motivazione con riguardo al rispetto del canone di giudizio “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” in ordine all’affermazione di colpevolezza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 416-bis c.p..
1.1. Con il primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, si censura la ritenuta esistenza di un giudicato – derivante dalla pronuncia di annullamento con rinvio della Suprema Corte, su ricorso del P.G., della precedente sentenza di appello – relativo all’esistenza di un sodalizio criminale – quale quello di cui al capo D) – di cui il ricorrente sarebbe stato ritenuto far parte con effetto preclusivo (e fermo restando il problema legato alla qualificazione giuridica del fatto); ci si duole poi dell’apparato motivazionale relativo alla sussistenza della fattispecie di cui all’articolo 416-bis c.p., che i giudici di merito avevano considerato “in un’ottica globale rivolta al fenomeno (OMISSIS)”, tralasciando la necessita’ di una verifica analitica sulle singole condotte partecipative (l’ampia porzione motivazionale della sentenza relativa al capo D, a differenza di quanto accade per gli altri imputati, non menziona mai il (OMISSIS), il cui nominativo, totalmente assente nella descrizione degli eventi ritenuti cruciali per l’esistenza dell’associazione criminale, riemergeva solo nelle conclusioni relative al ruolo assunto dai singoli associati). La Corte di merito, infatti, premesso che il programma criminoso ideato da (OMISSIS) non avrebbe potuto essere realizzato da una sola persona, aveva asseverato il coinvolgimento del ricorrente in assenza dell’indicazione dei necessari elementi dimostrativi, ricorrendo anche a precedenti penali privi di indiziante ed attuale significato in violazione dell’articolo 238-bis c.p.p.; l’assenza poi di precedenti penali significativi, la duplice assoluzione in ordine ai reati di cui ai capi L) e P) e la mancanza di riscontri ai fini dell’utilizzabilita’ delle dichiarazioni del “collaboratore “Cassia”, erano circostanze che la Corte di merito aveva valutato esclusivamente per escludere l’attribuzione al ricorrente di qualifiche superiori a quella di partecipe, ma non doverosamente apprezzato ai fini dell’esclusione dell’ipotesi di accusa. Del tutto isolato – anche per il particolare momento storico in cui si colloca (un momento di estrema tensione avendo il figlio latitante contratto dei debiti) – e, dunque, privo di aderenza con le dinamiche associative, era l’episodio in cui il ricorrente avrebbe impartito delle direttive a (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla restituzione di armi, trattandosi di richiesta avulsa dal contesto associativo, tanto che aveva colto di sorpresa i suoi stessi destinatari. Ne’ si poteva far discendere l’appartenenza del ricorrente dalla mera condotta di co-detenzione delle armi, in quanto priva della necessaria gravita’ e precisione ovvero dai rapporti con il (OMISSIS), non potendo le mere relazioni di parentela neppure assurgere a valenza indiziaria. Infine, la condotta del ricorrente era priva di quel prestigio criminale che deve accompagnare – quale elemento di esternalizzazione del metus mafioso e del vincolo associativo – l’incriminazione di comportamenti di stampo mafioso.
1.2. Con altri tre motivi si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla configurabilita’ della circostanza aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 (ora articolo 416-bis.1 c.p.) rispetto al reato di detenzione illegale delle armi, nonche’ in relazione alla sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6 riguardo al delitto di cui al capo D).
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato alla pena di anni dieci di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante del numero delle persone, in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 (con la qualita’ di partecipe ed esclusa l’aggravante di cui al comma 4).
1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza degli articoli 267 e 271 c.p.p..
1.1. La censura attiene all’inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche (RIT n. 1199/2013) – sulla cui scorta si e’ affermato il coinvolgimento del ricorrente nel delitto associativo – anzitutto per omessa autonoma motivazione del decreto autorizzativo, considerato che il G.I.P. nel provvedimento di convalida del decreto con cui il pubblico ministero aveva disposto l’intercettazione d’urgenza aveva riprodotto la richiesta, in assenza di vaglio critico. Illogica era la motivazione adottata sul punto dalla Corte di merito, la quale aveva fatto riferimento all’orientamento di legittimita’ che ritiene valide motivazioni del tipo “visto si autorizza”, in quanto con tale dicitura il giudice – a differenza del caso in esame – comunica al destinatario che abbia letto, analizzato e deciso il decreto autorizzativo. Con la conseguenza che la nullita’ si estendeva ad altro decreto autorizzativo (RIT 3570/2013) in quanto la relativa utenza e’ emersa nel corso dell’intercettazione al quale si riferisce la doglianza.
1.2. Un ulteriore profilo di inutilizzabilita’ era ravvisabile nel fatto che le prime intercettazioni fossero state disposte esclusivamente sulla scorta di una fonte confidenziale (tale (OMISSIS) mai sentito a sommarie informazioni ne’ come testimone al dibattimento), dalla quale non avrebbero potuto dunque trarsi i sufficienti indizi idonei a legittimare tale attivita’ captativa nei confronti del ricorrenti, con conseguente violazione dell’articolo 203 c.p.p., comma 1-bis e Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13).
2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’articolo 597 c.p.p., comma 3, sotto il profilo della violazione del divieto di reformatio in peius, considerato che la Corte di merito aveva compreso nel giudizio di comparazione delle circostanze, concludendo per l’equivalenza, l’aggravante del numero di persone, non oggetto del capo di imputazione, ne’ applicata in primo grado. L’imputato quindi, tenuto conto della concessione delle attenuanti generiche doveva essere condannato alla pena di anni sei mesi otto di reclusione.
3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza del vincolo associativo tra il ricorrente e gli altri coimputati, avendo la Corte di merito tratto la prova del concorso necessario dalla partecipazione dell’imputato ad un tentativo incompiuto di importazione di sostanza stupefacente del tipo hashish. Nel terzo tentativo di importazione di droga il (OMISSIS), l’ (OMISSIS), il (OMISSIS), il (OMISSIS), nonche’ il (OMISSIS) non agivano in concorso con gli altri coimputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (i quali ultimi avrebbero invece dovuto compiere una presunta importazione di sostanza fornita da (OMISSIS)).
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS)).
L’imputato e’ stato condannato alla pena di anni dieci di reclusione in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche che operano sulle aggravanti di cui ai commi 3 e 4.
1. Con un unico motivo deduce la mancanza di motivazione (anche sotto il profilo della erroneita’ e contraddittorieta’) in relazione all’affermazione di responsabilita’ “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”. Difettavano, infatti, elementi idonei a dimostrare la partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo A1), la sua collaborazione al gruppo criminale, l’efficacia dei contatti con i sodali (OMISSIS) e (OMISSIS) per come indicato nel capo di imputazione, come si sarebbero svolte le operazioni di importazione di stupefacente, corredato quest’ultimo dato dalla verificata sussistenza di rapporti con i fornitori. Restava, poi, da chiarare come fosse avvenuta l’identificazione del (OMISSIS) nel ” (OMISSIS)” presente in alcune intercettazioni telefoniche e nel biglietto fotografato a (OMISSIS), in assenza di elementi obiettivi di conforto.
Ricorso di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), poi revocato).
L’imputato e’ stato condannato alla pena di anni venticinque e mesi tre di reclusione con conferma delle statuizioni civili per i reati di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 416-bis c.p., comma 1 (partecipe) e commi 4 e 6, (capo D), Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 ritenuta la qualita’ di organizzatore e con l’aggravante di cui al comma 4 (capo A1), detenzione illegale di armi con l’aggravante Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7 (capo S, gia’ irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ quanto all’ipotesi base essendo il relativo motivo di ricorso stato rigettato dalla sentenza della Sesta sezione, con esclusione del porto e della detenzione per la pistola cal. 357 di cui e’ stata ritenuta la continuazione con la sentenza di condanna inflitta dal Tribunale di Civitavecchia 11 luglio 2013 e relativa anche ai reati di detenzione di munizioni e ricettazione).
(Ricorso avv. (OMISSIS)).
1. Con il primo motivo deduce la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione, nonche’ la violazione di legge, in ordine alla responsabilita’ del ricorrente per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nella qualita’ di organizzatore.
1.1. In particolare, richiamandosi i motivi di appello, si era tratta l’esistenza del sodalizio criminale e del ruolo di rilievo del ricorrente dalla mera descrizione di diversi viaggi che l’imputato ed altri avrebbero effettuato in territorio spagnolo omettendo di indicare sia i riscontri individualizzanti che i relativi facta concludentia. Non risultavano, infatti, essere stati individuati con certezza i fornitori dello stupefacente, ne’ gli acquirenti finali, non era stata sequestrata la droga, ne’ somme di denaro, attribuendosi rilievo solo a conversazioni captate, in uno stretto arco temporale, individuando quali riscontri altre conversazioni o servizi di osservazione o di perquisizione che “non conducono a niente di realmente concreto”, tanto che lo stesso pubblico ministero non aveva elevato alcuna imputazione neanche per tali fatti a titolo di tentativo. Cosi’ esito negativo avevano avuto: il controllo effettuato nel gennaio 2013 al (OMISSIS) ed alla sua compagna (OMISSIS) sulle loro autovetture dal loro rientro dalla Spagna; il controllo effettuato il 7.5.2013 sull’auto in cui viaggiavano di ritorno dalla Spagna, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); nessun seguito vi era stata alla telefonata in cui il ricorrente tratterebbe di droga con un tale Roberto oppure all’incontro avuto con un uomo presso l’aeroporto di Ciampino. Ne’ evocative di un accordo permanente teso alla realizzazione di traffici di droga erano le missive rinvenute sulla persona del ricorrente al suo rientro dalla Spagna. Peraltro, attribuire la paternita’ delle lettere e dei biglietti ad (OMISSIS), il quale riveste la qualita’ di partecipe dell’associazione, era contraddittorio rispetto al ruolo di primo piano invece attribuito al ricorrente che ne era incaricato della trasmissione. Parimenti era a dirsi con riguardo alle conversazioni intrattenute con tale (OMISSIS) (che proverebbero l’attivita’ di recupero dei soldi, provento dell’attivita’ di vendita della droga), avvenute in brevissimo arco temporale (fine gennaio-primi di febbraio 2013), la cui posizione era stata archiviata quale possibile partecipe del sodalizio e rispetto alle quali vi era anche incertezza che si riferissero all’imputazione elevata. Quanto poi alle risorse finanziarie di cui l’associazione si sarebbe dovuta servire per finanziare il traffico di droga, si era indicata una conversazione di (OMISSIS), dove lo stesso si dichiara disponibile all’acquisto di 5 kg di cocaina, non considerando che tale soggetto e’ stato ritenuto persona esterna al sodalizio (al pari di (OMISSIS) e (OMISSIS)), latitante e mai giudicato. Apodittica perche’ priva dei necessari elementi fattuali di riferimento era poi l’affermazione secondo cui l’associazione disponeva di “canali di pagamento autonomi”. Carenza di motivazione vi era anche con riferimento alla natura ed alla qualita’ della droga, che la Corte di merito aveva ricavato dal contenuto dei biglietti sequestrati al (OMISSIS) e da alcune conversazioni intercettate: quanto ai biglietti, la cui paternita’ e’ attribuita al (OMISSIS), la sentenza “non dimostra che siano attribuibili alla presunta associazione” e, quanto alle conversazioni, emerge semmai la scarsa qualita’ dello stupefacente (“…era una monnezza”). Nessun ulteriore elemento dimostrativo poteva trarsi sia dalle conversazioni intercettate, il cui contenuto era “precario” ovvero contraddittorio ovvero ancora non corrispondente a quanto dai ricorrente affermato. Infine, privo di valenza probatoria era anche l’episodio c.d. ” (OMISSIS)”, relativo al ferimento del (OMISSIS), rispetto al quale il (OMISSIS) avrebbe svolto il ruolo di mero mediatore e dunque secondario (e non dunque di organizzatore) e le cui ragioni andavano semmai ricercate in motivi di gelosia esistenti tra la stessa vittima e tale (OMISSIS) per come asseverato dallo stesso Tribunale di Roma in separato procedimento.
1.2. Anche con riferimento al ruolo di dirigente che il ricorrente avrebbe rivestito la motivazione della sentenza impugnata era censurabile, in quanto aveva valorizzato elementi contraddittori ovvero privi di reale efficacia dimostrativa. Cosi’ a proposito dei viaggi in Spagna, il ricorrente vi si era recato sempre con persone differenti ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), alcune delle quali ritenute dalla stessa sentenza impugnata semplici partecipi, altre assolte ed uno mai giudicato. Anzi, proprio in occasione di uno di questi viaggi sarebbe emerso il ruolo secondario dell’imputato, il quale nel far rientro in Italia si sarebbe anche trovato “senza soldi”. Alle conversazioni con il (OMISSIS), che avrebbero dovuto dimostrare che il ricorrente si prodigava per riscuotere i proventi del traffico di droga, non era seguito alcun sequestro di droga e alcuna contestazione di spaccio dalla quale potevano derivare tali proventi. Generici ed infondati, infine, erano gli altri elementi citati dalla sentenza impugnata (indicati a pag. 158) per supportare il ruolo di dirigente che avrebbe rivestito l’imputato (il quale prima dei fatti in contestazione annoverava soltanto un precedente per detenzione di un’arma).
2. La motivazione della sentenza impugnata era solo apparente anche con riguardo al delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., posta la mancanza nel territorio di insistenza (quello lidense), di un’effettiva capacita’ di intimidazione intesa quale dato di qualificazione del sodalizio, indipendentemente dal compimento di specifici atti di intimidazione, dovendo la consorteria potersi avvalere della pressione derivante dal vincolo associativo indipendentemente dal compimento di specifici atti di intimidazione.
(Avv. (OMISSIS)).
1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 ed al ruolo ricoperto dal ricorrente. L’affermazione di responsabilita’ traeva origine da un materiale probatorio frammentario non idoneo a supportare l’esistenza di fatti delittuosi sussumibili nell’alveo dell’ipotesi associativa (non essendo sufficiente che gli imputati si muovessero in contesti di dubbia liceita’), valutato in modo deduttivo e congetturale. Limitati temporalmente erano stati i contatti telefonici ed i servizi di o.c.p. che si erano valorizzati nel merito, sporadici quelli riferibili al ricorrente, in cui si erano elencate diverse telefonate operando dei veri e propri salti temporali e logici tra l’una e l’altra, mancava una suddivisione degli utili. Incerto era se il ricorrente avesse effettivamente incontrato in terra spagnola (OMISSIS), posto che non vi era neppure certezza che fosse stato proprio il (OMISSIS) – e non invece un altro (OMISSIS) – il destinatario di una delle lettere consegnategli in Spagna da (OMISSIS). Ne’ l’esistenza di un accordo permanente alla realizzazione di un numero indeterminato di importazioni di droga poteva trarsi da una delle lettere rinvenute sulla persona del ricorrente ed asseritamente consegnatagli in Spagna da (OMISSIS), potendo tutt’al piu’ rinvenirsi nella missiva una mera proposta unilaterale finalizzata alla realizzazione di una importazione di sostanza stupefacente. Del tutto congetturale era rimasta poi la circostanza – menzionata peraltro contraddittoriamente per accreditare l’accordo intercorso con il (OMISSIS) in ordine all’importazione di droga – che il ricorrente dopo di allora avrebbe cercato di recuperare sul territorio nazionale somme di denaro provento dello spaccio anche per conto di (OMISSIS), non risultando affatto dimostrato che detto recupero crediti fosse riconducibile ad un’attivita’ del sodalizio, di (OMISSIS) ovvero ad entrambi o invece personali del ricorrente.
Analoghe criticita’ erano ravvisabili con riguardo all’attribuzione al (OMISSIS) del ruolo di organizzatore, qualifica priva dei necessari elementi fattuali di sostegno che, semmai, deponevano per un ruolo residuale anche in ragione della sporadicita’ della condotta, della “millanteria” con cui l’imputato tendeva a dare di se’ un’immagine “enfatizzata”, del “rapporto di supina obbedienza” con (OMISSIS) e del limitato arco temporale della sua condotta a fronte di un sodalizio esistente da anni.
2. Con il secondo motivo deduce la nullita’ della sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine sia alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. sia del ruolo ricoperto dal ricorrente. La doglianza si incentra sull’assenza del requisito della “necessita’ dell’esteriorizzazione dell’intimidazione”, ricavato da meri fatti indiziari datati, da decisioni irrevocabili sintomatiche di fatti di criminalita’ comune e da un unico episodio violento (quale quello dell’attentato allo stabilimento (OMISSIS)) a fronte di una contestazione ampia sul piano temporale. In sostanza si erano ricondotto nell’alveo del metodo mafioso forme di criminalita’ comune, in assenza delle forme palesi di manifestazione dello stesso e di assoggettamento alle altrui intimidazioni (cosi’ lo (OMISSIS) non si era piegato a prendere le macchinette del (OMISSIS), l’assenza di denunzie era significativa della mancanza di intimidazione diffusa, la vicenda del prestito in banca era ascrivibile a lettura alternativa, “compiacere un cliente”, non univoche erano le vicende che avrebbero riguardato pp.uu. o esercenti un pubblico servizio, il mancato agguato a (OMISSIS) non trovava collegamenti con l’attivita’ del sodalizio ed il secondo attentato di cui era stata vittima non era ascrivibile a soggetto legato al clan (OMISSIS)).
Analoga carenza argomentativa era poi ravvisabile riguardo al requisito dell’intimidazione c.d. interna, ove si era valorizzato un elemento (debole) gia’ speso per l’associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 (e consistente nell’eseguire alla fine le direttive nell’ambito della droga), cosi’ duplicandosi la valenza probatoria di uno stesso elemento processuale, nonche’ a proposito della condizione di omerta’ delle vittime, priva della necessaria diffusivita’.
Quanto al ruolo di primo piano del ricorrente si era indicato lo stesso materiale probatorio utilizzato a proposito della partecipazione.
3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui all’articolo 416-bis c.p., commi 4 e 6.
3.1. Quanto alla circostanza di essere l’associazione armata, difettava la prova della riconducibilita’ delle armi sequestrate o di cui si e’ fatta menzione nelle intercettazioni al sodalizio.
3.2. Quanto a quella del riciclaggio mafioso, apodittica ne era l’estensione anche a quei partecipi estranei al nucleo familiare dei (OMISSIS), nonche’ contrastante con i dati fattuali afferenti le difficolta’ economiche in cui versavano i sodali (a proposito dell’organizzazione delle importazioni di droga), citando, in particolare, l’episodio in cui (OMISSIS) “non avevano nemmeno i soldi per fare benzina”.
4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7.
5. Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sugli aumenti operati per la continuazione e sulla quantificazione della pena base. Il diniego delle attenuanti generiche si fondava sul solo richiamo ai titoli di reato associativo per cui vi era stata condanna; nessuna plausibile e convincente ragione era stata indicata a sostegno della pena base.
Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma.
2. Avverso la sentenza impugnata dagli imputati ricorre per cassazione anche il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, deducendo contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale escludeva il ruolo apicale che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano rivestito. Al riguardo, il PG evidenziava come il Giudice del rinvio, travisando le risultanze di causa, riconosceva il ruolo apicale solo ad alcuni imputati che, pero’, avevano posto in essere condotte simili a quelle perpetrate dalle sorelle (OMISSIS). Diversamente, attribuiva il ruolo ridimensionato di “mero partecipe” dell’associazione di tipo mafioso di cui al capo D) ad entrambe le imputate; di “mero partecipe” dell’associazione in materia di sostanze stupefacenti di cui al capo A1) alla sola (OMISSIS).
2.1. In particolare, in quanto alla posizione di (OMISSIS) per cio’ che riguarda il capo D), il PG richiamava, in ordine cronologico, dati probatori (rievocati nella sentenza impugnata) sintomatici della circostanza che (OMISSIS) assumesse un ruolo di capo-dirigente del sodalizio, e non di mero gregario. Infatti, gia’ in epoca remota (1998-2000), (OMISSIS) risultava coinvolta in vicende che la vedevano protagonista nella compagine criminosa. In altri termini, era stata titolare di procure ad operare su alcuni c/c tedeschi interessati dall’operazione oggetto del reato di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies (trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori) contestato a suo padre (OMISSIS); aveva sottoscritto insieme alla sorella (OMISSIS) il compromesso per l’acquisto dello stabilimento balneare (OMISSIS); era incaricata a svolgere le funzioni del padre ( (OMISSIS)) – nel periodo in cui quest’ultimo era detenuto – in caso di problemi nella conduzione del (OMISSIS); aveva informato il padre di una trattativa gia’ avanzata (senza alcuna direttiva del (OMISSIS)) circa un prestito a titolo di usura (c.d. poliambulatorio); era a conoscenza di importanti “affari di famiglia” di cui ai reati di usura o estorsione, nonche’ gestore di un autonomo “portafogli” di debitori da seguire, riservandosi sul punto qualsiasi tipo di decisione (con il solo onere di informare periodicamente il padre sull’andamento); aveva partecipato a riunioni inerenti scelte strategiche di estrema rilevanza per la vita del sodalizio criminoso che si voleva (anche) armato. Aveva, poi, perpetrato condotte di pari misura a quelle poste in essere dalla madre (OMISSIS) e da (OMISSIS), ai quali veniva (diversamente) riconosciuto un ruolo apicale. In ordine a quanto detto, la Corte avrebbe motivato in modo stringato ed illogico per aver essa ritenuto, sulla base dei dati poc’anzi richiamati, di non poter “con certezza attribuire alla (OMISSIS) la posizione di capo-sodalizio mafioso” nonostante la (OMISSIS) si presentasse come “la piu’ attiva e la piu’ vicina al padre”, con tutte le conseguenze che ne discendevano in punto di trattamento sanzionatorio.
Parimenti, si riteneva che (OMISSIS) avesse assunto un ruolo di vertice nel reato contestato al capo A1), cioe’ associazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 da gennaio 2013 a maggio 2013). Nello specifico, (OMISSIS) risultava informata circa l’operazione di acquisto di 20 kg di fumo che aveva posto in essere (OMISSIS) in Spagna; faceva da tramite nelle comunicazioni telefoniche tra il padre ed i sodali ( (OMISSIS) era in detenzione ospedaliera) laddove si era avuta notizia di una delicata indagine della Procura romana circa perizie medico legali compiacenti per fare ottenere indebiti benefici “de libertate” a imputati e condannati; era il punto di riferimento nelle conversazioni tra il (OMISSIS) e (OMISSIS) e tra quest’ultimo ed il (OMISSIS) (detto “Cioccolatino”), nonche’ tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nella misura in cui costoro dovevano avvertirla sull’andamento di illecite attivita’ legate alle sostanze stupefacenti; aveva ricevuto dal padre il compito di convocare il (OMISSIS) al suo cospetto al fine di diramare l’ordine di aggressione nei confronti del ” (OMISSIS)” (OMISSIS) (fortemente voluta da (OMISSIS) subito dopo il ferimento del pusher (OMISSIS)); aveva piena conoscenza, potere di decisione, nonche’ capacita’ di gestire in totale autonomia (rispetto al padre) l’operazione di approvvigionamento di droga dalla Spagna (in questo caso cocaina). Ancora, a seguito di un controllo della Polizia a Civitavecchia nei confronti di (OMISSIS) – il quale sosteneva fosse stato causato da (OMISSIS), persona da (OMISSIS) ritenuta irresponsabile ed inaffidabile per il sodalizio – (OMISSIS) aveva assunto con il padre un atteggiamento difensivo a favore del (OMISSIS), evidenziando, con un intervento cosi’ significativo, il tenore delle decisioni (inerenti le sorti dell’associato (OMISSIS)) che poteva permettersi di prendere con il padre. Anche a voler confrontare, come prima, il ruolo di (OMISSIS) (ritenuta dal provvedimento impugnato mera partecipe) con quello di (OMISSIS) (anzi definito soggetto apicale), si giungeva alla stessa conclusione. Infatti, nella stessa misura di (OMISSIS), (OMISSIS) aveva partecipato a pieno titolo alle riunioni inerenti le armi del sodalizio; aveva riscosso i proventi dello spaccio; era stata il collegamento tra il padre e gli associati nelle operazioni di importazione di sostanze stupefacenti intraprese, svolgendo un’attivita’ autonoma e rilevante. Anche qui, il Giudice del rinvio avrebbe malamente motivato per aver erroneamente ritenuto (OMISSIS) la “longa manus del padre… autoritaria e furba, dedita al traffico di stupefacenti, che si colloca su di un gradino elevato, ma che non brilla di luce propria”, in tal senso attribuendole un ruolo di partecipe. Cosi’ motivando, si sarebbe disatteso l’insegnamento di legittimita’ secondo cui “riveste il ruolo di promotore – in tema di reato associativo, nella specie associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti – anche colui che rispetto ad un gruppo gia’ costituito provochi ulteriori adesioni, sovraintenda alla complessiva attivita’ di gestione di esso, assuma funzioni decisionali” (Cass. Sez. VI, 29.10.2015, Rv. 265524; Cass. Sez. VI, 12.12.1995, Rv. 205653). La Corte territoriale avrebbe dovuto attribuire questo ruolo all’imputata de qua.
2.2. (OMISSIS), invece, aveva rivestito un ruolo di vertice (solo) nelle attivita’ illecite relative alle interposizioni fittizie di cui ai capi O) e O1), riferibili allo stabilimento balneare (OMISSIS).
Nello specifico, estendendo l’analisi delle risultanze di causa anche al processo collegato al presente, definito “Tramonto” (ove e’ stato consacrato dal giudicato penale sia il ruolo di protagonista di (OMISSIS) per altre ipotesi di interposizione fittizia – dello stesso stabilimento balneare – precedenti e successive rispetto a quelle qui contestate, sia il riconoscimento dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7) emergeva che (OMISSIS) aveva sottoscritto il preliminare per l’acquisto del (OMISSIS); faceva parte dell’organo di supporto rispetto al capo del sodalizio, meglio definito “direttorio” di famiglia, finalizzato alle scelte gestionali e di fittizia intestazione del bene; era stata messa a contatto – dalla madre – con il personale dell’associazione di categoria dei gestori di stabilimenti balneari di Ostia per il pagamento di riversali inerenti ” (OMISSIS)” e la (OMISSIS); aveva emesso assegni di famiglia per conto della (OMISSIS) (in virtu’ di una delega priva di efficacia in quanto a lei rilasciata dall’amministratore (OMISSIS), ormai non piu’ in carica e sostituito da (OMISSIS)); aveva intrattenuto, per il tramite della suddetta persona giuridica, contatti con il direttore dell’Agenzia bancaria che, anche a seguito di operazioni poste in violazione di disposizioni bancarie e della normativa statale antiriciclaggio, invitava (OMISSIS) a sanare la situazione; aveva intrattenuto rapporti telefonici con l’associazione Assobalneari per il pagamento urgente di alcune reversali riguardanti tutti gli stabilimenti, laddove la madre (OMISSIS) aveva ritenuto la figlia piu’ qualificata a provvedere. Il tutto induceva a ritenere (OMISSIS) dotata di poteri operativi e decisionali anche in virtu’ della disposizione delle risorse finanziarie della societa’ e della titolarita’ della specifica procura ad operare sul conto bancario (prerogativa non vantata dalla sorella (OMISSIS), ne’ dai genitori). Alla stessa conclusione giungeva il PG anche confrontando il ruolo di (OMISSIS) con quello della madre (OMISSIS), ritenuta invece soggetto apicale: entrambe avevano poteri gestionali e responsabilita’ di eguale tenore. Peraltro, a conferma di tali considerazioni, il PG ricorrente cita un passaggio della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 2, n. 16048 del 2018 (relativa al processo “Tramonto”) secondo cui “tutte le condotte riconducibili ad (OMISSIS) sono la consapevole e determinata volonta’ dell’imputata di agire nell’interesse della consorteria mafiosa facente capo A1 padre”. Cio’ posto, la Corte territoriale avrebbe illogicamente ed incoerentemente motivato, anche determinando “una frattura logica reputata stridente quanto insanabile”, per avere essa dapprima definito (OMISSIS) come “dotata di un grado di scolarizzazione… oltre che di una spiccata predisposizione naturale in materia”, partecipe dell’organizzazione “delle girandole societarie”, “co-artefice e strumento delle concrete modalita’ attuative del vorticoso giro di persone giuridiche inerenti il (OMISSIS)”, dotata “di adeguati poteri decisionali, assume un ruolo di rilievo nel settore a lei demandato delle fittizie interposizioni”, e poi concluso riconoscendole “il ruolo di partecipe, seppur di grado elevato per le vicende del (OMISSIS)”. La Corte territoriale addiveniva ad una simile conclusione ritenendo di non aver raggiunto la piena prova per attribuire ad (OMISSIS) un ruolo direttivo ed autonomo del sodalizio criminoso. Ed ancora, l’apparato motivazionale risulterebbe incoerente anche in applicazione dei principi di diritto ricavabili dai precedenti di legittimita’ sopra richiamati per (OMISSIS), secondo cui chi partecipa ad un’attivita’ penalmente rilevante, nell’ambito di un ampio programma associativo, assume un ruolo attivo nella consumazione dei reati-fine e dei reati-mezzo potendosi cosi’ definire la mente della fase ideativa e quindi un sodale di rango primario.
3. In data 23.5.2019 il P.G. presso la Corte di appello di Roma depositava motivi aggiunti al presente ricorso evidenziando come il Tribunale del riesame avesse accolto l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza con cui la Corte di appello aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti della (OMISSIS) e di (OMISSIS). Al riguardo, segnalava come nel provvedimento di accoglimento, il Tribunale del riesame avesse riportato che “il PG rilevava che la donna, se e’ vero che era mero partecipe della associazione mafiosa, era altresi’ vero che era coinvolta a pieno titolo nella associazione dedita al traffico di stupefacenti…”, invece nell’atto di appello de libertate si riteneva che la posizione di (OMISSIS) fosse meno grave rispetto a quella della madre, laddove le era stato attribuito un ruolo di mero partecipe. Subito, pero’, si aggiungeva che valevano le stesse perplessita’ iniziali avanzate a proposito della madre (OMISSIS), in tal senso insistendo sul riconoscimento a (OMISSIS) di un ruolo apicale.
Le memorie di replica delle difese ed i motivi nuovi delle parti.
4. In data 11/11/2019 la difesa di (OMISSIS) ha depositato note difensive e di replica al ricorso del P.G. nella parte in cui censura l’esclusione del ruolo apicale contestato alla ricorrente. Al riguardo, si evidenzia come il riferimento a circostanze che la Corte territoriale avrebbe trascurato nella valutazione della rilevanza del contributo prestato dalla ricorrente involge elementi di fatto non deducibili in questa sede. Ne’ l’assunto secondo cui esisterebbe un “direttorio” familiare composto da soggetti – tutti – di pari grado apicale, trovava conferma negli elementi fattuali passati in rassegna dal giudice del merito coerenti con la lettura fornita nella sentenza. Ne’ poi l’attribuzione di un ruolo apicale poteva rinvenirsi nella dedotta disparita’ di trattamento con la posizione della madre (OMISSIS), considerato che anche su tale aspetto la sentenza impugnata aveva indicato circostanze distintive (“quest’ultima impartisce direttive alle figlie”). Del resto, l’esclusione di un tale ruolo per la ricorrente era coerente anche con la stessa ricostruzione accusatoria che riconduce il sodalizio a qualcosa di diverso e di piu’ consistente di un Clan dello stabilimento, cosi’ non rendendo primariamente decisiva l’attivita’ illecita che l’imputata avrebbe svolto in favore del (OMISSIS). Si insiste, poi, nelle richieste difensive di annullamento in ordine alla sussistenza di un sodalizio di natura mafiosa alla luce anche della decisione di questa Corte in tema di Mafia Capitale.
5. In data 11/11/2019 anche la difesa di (OMISSIS) ha presentato note di replica al ricorso del PG rilevando l’inammissibilita’ dei motivi di impugnazione in quanto diretti ad una rivalutazione del materiale probatorio non consentito in questa sede. Ne’ l’illogicita’ del percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata per escludere l’attribuzione alla ricorrente di un ruolo qualificato poteva fondarsi su una asserita cognizione incompleta e frammentaria degli atti di causa, in quanto le prove c.d. a confutazione elencate nel ricorso risultano puntualmente riportate, sia pure nella porzione rilevante ai fini del discorso giustificativo, a fronte di una dichiarata evidenza di differenze di ruolo e di funzione che hanno caratterizzato la figura della ricorrente. Tale indice argomentativo rendeva inutiliter il riferimento alla dedotta disparita’ di trattamento che vi sarebbe stata con altri coimputati (nella specie la madre, (OMISSIS) e il coimputato e sodale (OMISSIS): come la prima, la ricorrente avrebbe allo stesso modo partecipato all’esazione delle somme di tipo estorsivo e preso parte a riunioni di tipo organizzativo anche intervenendo nell’attivita’ gestoria dello stabilimento balneare (OMISSIS); come il secondo sarebbe stata presente alle decisioni relative alla destinazione delle armi, alle ritorsioni contro il (OMISSIS), alle attivita’ di mediazione svolte in relazione alla contestazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74), in quanto il vizio di motivazione deve essere ricavato sulle ragioni che, viceversa, hanno condotto il provvedimento impugnato ad indicare ragionatamente la posizione di semplice partecipe in capo A1la ricorrente. La circostanza che la ricorrente, oltre a non rispondere di alcuno degli addebiti di usura o estorsione contestati agli altri coimputati della struttura, fu cooptata nella gestione del (OMISSIS) solo per effetto del piglio autoritario del (OMISSIS) – che imponeva con violenza alla figlia di occuparsi in prima persona dello stabilimento balneare – faceva cosi’ emergere una subordinazione di quest’ultima del tutto incompatibile con l’esercizio di funzioni apicali. In conclusione la Corte di merito, attraverso un approccio globale non circoscritto a considerare in maniera parcellizzata le circostanze enunciate, e’ giunta alla meno grave qualificazione di partecipe in ragione delle soglie probatorie utili, col rilievo della peculiarita’ della singola specifica posizione di comando da parte della ricorrente (vedi pag. 157 sent. impugnata). Ne’ si rivelava decisivo l’orientamento giurisprudenziale citato a proposito della qualifica di promotore per l’associato per delinquere che andrebbe conferito per il sol fatto di avere sovrainteso alla complessiva attivita’ di gestione, necessitando tale posizione anche di quei requisiti di riconoscibilita’ interna ed esterna che sono stati motivatamente esclusi (RV 255132).
6. Motivi nuovi di ricorso sono stati depositati in data 9/11/2019 dalla difesa di (OMISSIS) (Avv. (OMISSIS)).
6.1. In relazione ai motivi concernenti la ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 (capo A1 della rubrica), le doglianze ripercorrono i motivi principali ed attengono agli ambiti del giudizio operato dalla Corte d’appello quale giudice di rinvio, che ha erroneamente ritenuto validata la provvista probatoria asseverata dal giudice di primo grado; all’assenza di elementi dimostrativi della sussistenza e della partecipazione del ricorrente al sodalizio (assenza di droga e di denaro, natura personale delle trasferte iberiche, enfasi del proprio ruolo nelle telefonate e di esattore di crediti legati al traffico di droga, estraneita’ alle vicende narrate nel biglietto fotografato), anche in punto di affectio societatis; alla necessita’ di una valutazione rigorosa del compendio intercettivo; alla distinzione tra concorso necessario ed eventuale anche in ragione dell’atteggiarsi del rispettivo elemento soggettivo; al ruolo “dirigenziale” che allo stesso e’ stato attribuito (in contraddizione al ruolo secondario riconosciuto agli altri membri della famiglia (OMISSIS) che invece costituirebbe il nucleo forte del sodalizio e della diversa qualita’ di partecipe in senso all’associazione di stampo mafioso).
6.2. In relazione ai motivi concernenti la ritenuta partecipazione semplice all’associazione qualificata di cui all’articolo 416-bis c.p., le censure attengono anzitutto all’assenza di giudicato sull’associazione per delinquere e sulla qualita’ di associato che sarebbe stata riconosciuta al ricorrente; poi involgono gli elementi costitutivi del sodalizio mafioso (irrilevanza delle sentenze di condanna citate, non riferibili a fatti di mafia; estraneita’ del ricorrente alle vicende giudiziarie che hanno riguardato i (OMISSIS) ed alle intestazioni fittizie intorno allo stabilimento (OMISSIS); alla c.d. zona grigia relativa al condizionamento esercitato nei confronti di terzi qualificati; al diverso movente legato alla vicenda della rappresaglia ai danni di ” (OMISSIS)” e all’episodio nei confronti dell’ex pugile (OMISSIS); alla custodia delle armi, relazione di fatto che la stessa sentenza indicava come caratterizzante l’associazione di cui al capo A1) e rispetto alla quale il ricorrente vi aveva preso le distanze reclamando anche una “retta”; all’assenza di un quid pluris rispetto alle condotte evocate quale partecipazione al diverso sodalizio).
6.3. In relazione al motivo concernente l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 contestata in relazione al capo S), la circostanza che l’uso delle armi fosse funzionale alla risoluzione di questioni legate al traffico di droga escludeva l’aggravante.
6.4. In relazione al motivo concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche concesse ad altri ricorrenti in ragione di elementi comuni anche al (OMISSIS) (ruolo ricoperto in concreto; assenza di precedenti penali, stato di tossicodipendenza; breve lasso di tempo della partecipazione).
7. Con nota pervenuta il 18/11/2019, l’Avv. (OMISSIS), premesso di essere stato nominato dall’imputato (OMISSIS) difensore di fiducia nel presente procedimento con contestuale revoca del co-difensore Avv. (OMISSIS), eccepiva la mancata notifica dell’avviso di udienza fissata al 28/11/2019, chiedendone il differimento. Il Presidente del Collegio, con decreto del 19/11/2019, disponeva previamente lo stralcio con riguardo alla posizione dell’imputato (OMISSIS), a seguito del quale veniva fissata la nuova udienza del 12/12/2019, con abbreviazione dei termini stante l’urgenza e la richiesta della Procura generale. Il 21/11/2019 perveniva istanza dell’avv. (OMISSIS) con cui rinunziava alla precedente istanza di differimento, chiedendo che l’udienza di discussione del ricorso dell’imputato si tenesse unitamente a quella degli atri coimputati all’udienza gia’ fissata del 28/11/2019.
8. Il Presidente della Sezione, con provvedimento del 22/11/2019, in accoglimento dell’istanza dell’avv. (OMISSIS), disponeva l’anticipazione della discussione del ricorso dell’imputato (OMISSIS) unitamente a quella degli altri imputati fissata per l’odierna udienza del 28/11/2019, riservando al Collegio di disporre la riunione dei procedimenti in udienza.
9. All’udienza del 28/11/2019, il Collegio, sentito il P.G. e i difensori che nulla opponevano, disponeva previamente la riunione del procedimento stralciato nei confronti di (OMISSIS) con quello pendente nei confronti degli originari coimputati.
10. L’Avv. (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), deduceva con nota scritta depositata in udienza, l’inammissibilita’ del ricorso del P.G. presso la Corte di appello di Roma, sul rilievo che lo stesso non fosse stato direttamente depositato presso la cancelleria del giudice a quo.
11. L’Avv. (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), eccepiva in udienza l’inammissibilita’ della memoria di replica depositata dal Procuratore generale presso la Corte di appello, in quanto non depositata presso la cancelleria della Corte di cassazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premessa.
Nella stesura della motivazione si esamineranno dapprima le questioni di carattere processuale dedotte dai ricorrenti aventi carattere comune. Successivamente quelle di natura sostanziale, secondo l’ordine logico dell’imputazione, laddove si contesta ai ricorrenti di aver dato vita in Ostia ad un’associazione di stampo mafioso di cui al capo D), finalizzata alla realizzazione di molteplici delitti fine di cui ai capi A1), H), O), O1), Q) ed S). Tenendo conto della natura comune delle censure, verra’ trattato unitariamente il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, con le analisi, poi, delle singole posizioni dei ricorrenti. Analogo metodo si seguira’ in relazione ai delitti fine, con particolare riguardo al delitto di associazione a delinquere finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti di cui al capo A1) in cui sono coinvolti piu’ imputati. Verra’, poi, esaminato il ricorso del pubblico ministero nei confronti di (OMISSIS) e Sabina (OMISSIS). Infine, verranno trattati i motivi relativi al trattamento sanzionatorio.
A) Le questioni processuali.
1. L’ambito del giudizio di rinvio conseguente alla sentenza di annullamento pronunciata dalla Sesta sezione penale di questa Corte.
1.1. Premessa.
La censura relativa al punto 1) sopra indicato e’ stata sollevata dalle difese di (OMISSIS) (sub 2 dei motivi di ricorso), (OMISSIS) (sub 2.1. dei motivi di ricorso), (OMISSIS) (sub 2 dei motivi di ricorso), (OMISSIS) (sub 1.1. e 3.2 e 3.3), (OMISSIS) (sub 1.1.prima parte) anche se l’intestazione di essa richiama, per un verso, l’articolo 627 c.p.p., comma 3, e, per altro verso, un vizio di carenza e contraddittorieta’ della motivazione in relazione ai capi Al) (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74) e D) (articolo 416-bis c.p.). Il rilievo, infatti, sottolinea come l’annullamento ad opera della sentenza rescindente “ha riguardato il solo impianto “motivazionale” della pronuncia poi annullata, senza alcuna sconfessione delle argomentazioni che la Corte ha utilizzato ai fini della propria decisione”, limitandosi a censurare esclusivamente la contraddittorieta’ motivazionale; pertanto la sentenza della Corte di appello sarebbe stata annullata poiche’, nel travolgere la motivazione di quella primo grado, non ha utilizzato “un’adeguata struttura motivazionale”. Nessun principio di diritto quanto all’esistenza delle due menzionate fattispecie associative invece sarebbe stato espresso dalla sentenza rescindente. Per contro, la sentenza di rinvio avrebbe impropriamente “attribuito” al Giudice di legittimita’ tale principio di diritto e, dunque, una “vincolativita’ eccedente” del decisum sotto tale profilo.
1.2. Cio’ premesso, va anzitutto precisato che i motivi dei ricorsi proposti nell’interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili perche’ generici, in quanto non pongono in evidenza quale sarebbe il principio di diritto che il giudice del rinvio avrebbe inopinatamente ed erroneamente “recepito” dalla sentenza rescindente.
1.3. Quanto ai rilievi che investono l’annullamento con rinvio relativo al delitto di associazione finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti, va escluso che la sentenza rescindente abbia attribuito al giudice del rinvio il mero compito di fornire alla pronuncia assolutoria annullata una piu’ strutturata capacita’ argomentativa, ma precludendo esiti di merito differenti.
Nel caso di specie ha trovato applicazione il consolidato principio di diritto secondo cui i poteri del giudice del rinvio assumono la massima ampiezza nell’ipotesi di annullamento per difetto di motivazione, dovendo lo stesso giudice procedere ad una nuova e completa valutazione delle acquisizioni probatorie, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, richiedendosi esclusivamente che la decisione non ripeta la motivazione, ritenuta erronea o carente, della sentenza annullata (Sez. 3, n. 34794 del 19/5/2017, Rv. 271345; Sez. 5, n. 36080 del 27/3/2015, Rv. 264861).
Nel caso in esame, i rilievi che si appuntano sulla sentenza di assoluzione annullata attengono proprio alla mancanza di un approfondito esame e confronto con le fonti probatorie poste dal giudice di primo grado a fondamento dell’affermazione di responsabilita’, in violazione del principio della c.d. motivazione rafforzata, richiamato dalla sentenza rescindente (Sez. 6, n. 46742 dell’8/10/2013, Rv. 257332; Sez. 3, n. 29253 del 5/5/2017, Rv. 270149; S.U. n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Rv. 272430). Pertanto, non si trattava di fornire una piu’ “convincente” motivazione della decisione assolutoria, ma di passare in rassegna il compendio probatorio valorizzato dal giudice di primo grado, alla luce dei motivi di impugnazione proposti, al fine di pervenire ad una conclusione coerente con le premesse fattuali che lo stesso giudice del merito doveva darsi. E cio’ tanto piu’ sul rilievo – espresso dalla sentenza rescindente che la valutazione probatoria compiuta dalla Corte del precedente grado di merito si poneva come dissonante e contraddittoria proprio con le conclusioni assolutorie raggiunte.
Corretto, pertanto, e’ stato il perimetro di valutazione che si e’ dato il giudice del merito una volta ritenuta la necessita’ di riepilogare un quadro completo della provvista probatoria, anche per evidenziare ruoli e partecipazione del sodalizio, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 dei singoli imputati, alla luce delle argomentazioni contenute nei motivi di appello e, dunque, in un’ottica di maggiore garanzia per gli imputati medesimi. Del resto, poiche’ il compito di rivalutare le circostanze e gli elementi di fatto attiene alla fase del giudizio sul merito della res iudicanda (e non a quello esclusivamente di tipo argomentativo), l’attivita’ del giudice del rinvio non doveva, ne’ poteva, essere a “rime obbligate”; doveva essere svolto, infatti, “un nuovo giudizio” sul capo oggetto di annullamento e nessuna integrazione della motivazione della sentenza annullata poteva essere compiuta dalla sentenza rescindente, sia in senso favorevole poiche’ sommaria era stata l’attivita’ a monte di valutazione della prova, ne’ in senso contrario, in quanto la Corte di cassazione avrebbe impropriamente assolto un compito del giudice del merito.
1.4. Quanto ai rilievi relativi all’ambito del giudizio di rinvio in tema di associazione di stampo mafioso, vedi infra sub B1.
2. La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex articolo 603 c.p.p., comma 3-bis.
2.1. La doglianza e’ stata avanzata dalle difese degli imputati (OMISSIS) (sub 1 dei motivi di ricorso), (OMISSIS) (sub 1 dei motivi di ricorso) e (OMISSIS) (sub 3.1 dei motivi di ricorso).
2.1.1. Va anzitutto precisato che la censura mossa dai primi due ricorrenti attiene anche all’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Roma all’udienza del 30 maggio 2018, con cui vennero rigettate tutte le richieste di rinnovazione del dibattimento. Tale provvedimento si pronuncia sulle richieste istruttorie avanzate dalle parti all’udienza del 24.5.2018, formulate esclusivamente ai sensi dell’articolo 603 c.p.p.. In tal senso non solo milita il contenuto del verbale ove si legge “i difensori procedono ad avanzare richieste e/o al deposito di produzione documentale… atte ad una riapertura dibattimentale eventuale”, ma anche l’ordinanza della Corte di merito laddove “rigetta in quanto non indispensabili per la definizione del presente giudizio di rinvio, avuto riguardo allo specifico devoluto e alla esaustiva attivita’ istruttoria gia’ espletata, tutte le altre richieste di rinnovazione del dibattimento per l’esame di soggetti gia’ sentiti ovvero non sentiti in questo giudizio”. Pertanto, il richiamo nel motivo di ricorso alla disposizione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, si rivela del tutto “eccentrico” rispetto al tema su cui e’ intervenuta l’ordinanza della Corte di appello, al pari delle doglianze su cui si incentra il vizio di motivazione.
2.1.2. Con riguardo, invece, alla censura sollevata dalla difesa di (OMISSIS) con cui si lamenta la violazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, sul rilievo della mancata rinnovazione istruttoria ex officio, la doglianza – a prescindere dall’applicabilita’ di tale principio al caso in esame (condanna inflitta dalla Corte d’appello a seguito di annullamento della precedente decisione assolutoria che, a sua volta, riformava quella di condanna pronunciata in primo grado) – deve anzitutto ritenersi formulata genericamente. Invero, la regola stabilita dall’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, deve ritenersi applicabile sul presupposto di un diverso apprezzamento dell’attendibilita’ di una dichiarazione ritenuta decisiva; ex multis, Sez. 1, n. 35696 del 27/3/2019, Rv. 276825; Sez. 4, n. 29538 del 28/5/2019, Rv. 276596; Sez. 5, n. 19730 del 16/4/2019, Rv. 275997; S.U., n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267487). Nel caso in esame, le doglianze avrebbero dovuto specificare quali prove dichiarative avrebbero comportato un diverso apprezzamento circa l’attendibilita’ dei dichiaranti e la conseguente incidenza decisiva ai fini del “ribaltamento” del giudizio assolutorio (formulato in primo grado).
2.2. Occorre peraltro sottolineare come la recente novella di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, introdotta sulla falsariga dei principi affermati in varie sentenze dalla Corte EDU, non puo’ ritenersi coerente rispetto alle peculiarita’ che caratterizzano il giudizio di rinvio che si svolga dinanzi al giudice di appello. Infatti, con la nuova disciplina e’ stato previsto il caso dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza di proscioglimento, per motivi “attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”. Nel caso del giudizio di rinvio il paradigma normativo offerto dall’articolo 627 codice di rito prevede che il giudice del rinvio e’ chiamato ad esercitare le proprie funzioni rescissorie all’interno di uno specifico perimetro delibativo che gli viene tracciato dalla pronuncia rescindente della Suprema Corte che, comunque, nelle ipotesi di annullamento per mancanza o illogicita’ manifesta della motivazione lascia libero il giudice del rinvio di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e della situazione di fatto concernente i punti oggetto dell’annullamento, con la possibilita’ di compiere ulteriori atti istruttori necessari per la decisione (Sez. 5, n. 33847 del 19/4/2018, Rv. 273628).
Piu’ precisamente, l’articolo 627 c.p.p. prevede che il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza e’ stata annullata, salvo le limitazioni stabilite dalla legge, dettando un’ipotesi che e’ destinata a circoscrivere sul piano testuale sistematico i poteri del giudice dell’appello in sede di rinvio. Anche perche’, il secondo periodo dell’articolo 627 c.p.p., comma 2, enuclea che “se e’ annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione delle prove rilevanti per la decisione”. La norma va interpretata nel senso che, in sede di rinvio, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in se’ gia’ istituto di carattere eccezionale, non puo’ che parametrarsi allo scrutinio sulla rilevanza delle prove “nuovamente” richieste ai fini dello specifico spazio decisorio con cui il giudice del rinvio e’ chiamato a confrontarsi.
Ne’ a tale disposizione puo’ farsi riferimento in via analogica, considerato che sul punto non vi e’ alcuna lacuna dell’ordinamento processuale, il quale, al contrario, detta una specifica disciplina.
Appaiono pertanto non puntuali, al fine di giustificare l’obbligo di rinnovazione in sede di rinvio della prova dichiarativa, i richiami evidenziati dal ricorrente alla giurisprudenza convenzionale, in quanto i precedenti Corte EDU (sent. 5/3/2013 Manolachi c. Romania; sent. 4/6/2013 Hanu c. Romania; sent. 9/4/2013 Flueras c. Romania) si riferiscono al caso “ordinario” di ribaltamento in appello di un giudicato assolutorio in primo grado e non ad un giudizio di rinvio che segue lo svolgimento del processo di merito secondo regole scandite dal rispetto del principio del contraddittorio. Nelle su richiamate decisioni, infatti, la Corte Europea ha ritenuto non equo il processo che, in secondo grado, si era concluso con una condanna dell’imputato all’esito, essenzialmente, di una rivalutazione – su base esclusivamente cartolare – delle testimonianze assunte in primo grado, senza passare attraverso la diretta audizione dei testi anche nel processo di secondo grado.
Nel caso in esame, invece, per gli imputati per i quali opera l’annullamento, si ripropone una sequenza processuale che non esige una rinnovazione ex officio, in quanto il giudice del rinvio, pur nel rispetto di quanto stabilito dalla sentenza rescindente, giudica alla stregua dei motivi di appello proposti dagli imputati e non sulla scorta di un’impugnazione avanzata dal pubblico ministero. Ne’ puo’ riconoscersi, poi, al ricorso per cassazione del pubblico ministero (avverso la sentenza di secondo grado assolutoria) la qualita’ di condizione per l’applicazione dell’invocata regola di cui all’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis. Infatti tale impugnazione, essendo collegata a motivi di merito, esaurisce la sua funzione esclusivamente nel giudizio di legittimita’. Il giudice del rinvio sara’ quindi tenuto a confrontarsi esclusivamente con le motivazioni della sentenza di annullamento, alla stregua degli atti di appello degli imputati, e non con i motivi di ricorso avanzati dal pubblico ministero in sede di legittimita’.
2.3. Deve ritenersi infine inammissibile l’eccezione di costituzionalita’ sollevata in riferimento alle violazioni degli articoli 2 e 3 Cost., articolo 27 Cost., comma 2, articoli 111 e 117 Cost., in relaz. all’articolo 6 par. 2 e 3 lettera d) Convenzione EDU. La natura addittiva della pronuncia richiesta avrebbe dovuto investire l’articolo 627 c.p.p. e non l’articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, la cui disposizione in realta’ attiene ad una diversa fase processuale. Nel merito la questione appare manifestamente infondata, proprio perche’ prende in considerazione due tipologie di scrutinio del dato probatorio tra loro profondamente differenziate (giudizio di appello e giudizio di rinvio) che renderebbero del tutto distonica una rivalutazione dell’attendibilita’ del dato probatorio che non tenga conto che tra giudizio di appello e giudizio di rinvio si interpone la specificita’ del vizio posto a base della pronuncia rescindente: la rivalutazione del compendio probatorio consegue infatti ad un meccanismo processuale differente con funzioni diverse.
3. L’inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche.
Per l’esame della relativa doglianza vedi par. 3.7.1 relativo al ricorso di (OMISSIS).
4. L’inutilizzabilita’ dei biglietti rinvenuti a (OMISSIS).
3.1. Al riguardo, vedi sul punto par. 3.8.1 relativo all’esame dei motivi di ricorso proposti da (OMISSIS) in ordine al delitto di cui al capo A1) (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74).
5. L’inammissibilita’ del ricorso per cassazione del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma.
5.1. L’eccezione, sollevata dalla difesa di (OMISSIS) sotto il profilo dell’assenza di prova del deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice a quo da parte del P.G., e’ inammissibile poiche’ tardiva. E’ stata, infatti, formulata ed allegata per la prima volta nell’udienza del 28/11/2019 e non entro il termine libero di giorni quindici prima dell’udienza. Questa Corte ha, infatti, avuto modo di precisare, con orientamento che il Collegio condivide, che il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’articolo 611 c.p.p., relativamente al procedimento in camera di consiglio, e’ applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall’obbligo di prendere in esame le stesse (Sez. 1, n. 19925 del 4/4/2014, Rv. 259618; in termini, Sez. 3, n. 50200 del 28/04/2015, Rv. 265935).
5.2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con riferimento all’eccezione di inammissibilita’ sollevata all’udienza del 28/11/2019 dalla difesa di (OMISSIS) in ordine “ai motivi aggiunti a sostegno del ricorso” presentati dal Procuratore generale presso la Corte di appello.
Peraltro, se si ha riguardo al contenuto dei motivi aggiunti, essi si limitano ad assolvere ad una funzione meramente “chiarificatrice” di quanto gia’ dedotto nel ricorso principale, non apportando alcun novum rispetto a quanto gia’ dedotto.
B) L’associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo D) della rubrica.
1. L’ambito del giudizio di rinvio demandato dalla sentenza di annullamento della Sesta sezione penale di questa Corte.
La sentenza di primo grado ha riconosciuto la sussistenza in Ostia di un’associazione di stampo mafioso facente capo a (OMISSIS) e composta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), unitamente a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (ed (OMISSIS) per statuizione della seconda sentenza di appello), ritenendo provato che gli imputati agirono in accordo tra loro per la commissione di un numero potenzialmente indeterminato di reati, relativi a plurimi settori, compreso quello dell’accaparramento delle attivita’ economiche.
La prima sentenza di appello ha, invece, escluso il carattere mafioso del sodalizio in ragione dell’assenza di prova della pervasivita’ sia dell’associazione criminosa che del suo potere coercitivo e del conseguente stato di assoggettamento e condizione di omerta’.
Tale decisione, oggetto di ricorso per cassazione tanto degli imputati che del P.G. presso la Corte di appello di Roma, e’ stata annullata, in accoglimento del ricorso della parte pubblica, con rinvio dalla Sesta sezione di questa Corte sul rilievo del disconoscimento del carattere mafioso dell’associazione, avendo essa violato la norma incriminatrice di cui all’articolo 416-bis c.p. ed essendo la motivazione risultata contraddittoria, quando non manifestamente illogica, rispetto alle acquisizioni probatorie date per conseguite dallo stesso giudice del merito.
La seconda sentenza di appello – oggetto dell’odierno ricorso per cassazione – ha ritenuto di ripercorrere tutta la provvista probatoria acquisita agli atti onde porre in rilievo la fondatezza della decisione di primo grado in punto di responsabilita’ e di delineare i concorrenti necessari, e a quale titolo, del (OMISSIS) (“esame che, cosi’ come per il capo A1), dovra’ stabilire il tipo di associazione criminale e l’effettiva partecipazione di ciascuno degli imputati ad essa”).
Tale compito e’ stato assolto mediante una completa rivisitazione che ha considerato anche altri argomenti che eventualmente potessero escludere il carattere mafioso del sodalizio, cosi’ operando un nuovo giudizio sul capo D) della rubrica. Di conseguenza, la valutazione operata dal giudice del rinvio, lungi dall’essere a “rime obbligate”, si e’ confrontata in modo complessivamente esaustivo con le censure originariamente sollevate dagli imputati con gli atti di appello, attraverso una motivazione pienamente conforme ai principi di diritto piu’ volte enunciati da questa Corte in tema di associazione mafiosa ed incidenter tantum anche con riguardo alla vicenda in esame (v. sentenze Sez. 6, n. 28613 del 9/6/2016; Sez. 2, n. 16048 del 21/2/2018 e Sez. 1, n. 10058 del 15/1/2014), gia’ puntualmente richiamati dalla sentenza di annullamento, risultando perfettamente coerente con gli elementi di fatto indicati a sostegno.
Pertanto, si rivela infondata la censura mossa dalla difesa di (OMISSIS) (sub 3 dei motivi di ricorso) per aver ritenuto che la sentenza rescindente abbia apposto una sorta di exequatur sugli argomenti di prova svolti ne(la sentenza di primo grado. La Corte di merito, infatti, si e’ premunita, una volta asseverato il carattere mafioso del sodalizio di cui al capo D), di rivalutare ogni questione circa la partecipazione – con il relativo grado e la conseguente consapevolezza – di ciascun imputato al predetto sodalizio.
Tanto premesso, esclusa qualsiasi violazione degli ambiti propri del giudizio di rinvio, occorre soffermarsi sui principi di diritto enunciati da questa Corte in tema di associazione mafiosa, di cui il giudice del merito ha fatto corretta applicazione mediante una ricognizione di tutti gli elementi fattuali, la cui combinazione logico-giuridica da’ conto della sussistenza dei caratteri tipici della fattispecie incriminatrice.
2. Le questioni sull’applicabilita’ della fattispecie associativa di stampo mafioso.
2.1. Le difese di tutti gli imputati per i quali e’ stata affermata la responsabilita’ in ordine al delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. hanno avanzato motivi, tanto sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta riconducibilita’ del clan (OMISSIS) ad un sodalizio di stampo mafioso. Risulta, pertanto, opportuno soffermarsi, seppur brevemente, sui connotati tipici che caratterizzano tale fattispecie, al fine di verificare se il giudice del merito ne abbia fatto corretta applicazione, attraverso una congrua motivazione.
E’ noto che la fattispecie associativa delineata dall’articolo 416-bis c.p., e’ stata introdotta nel “sistema” dei reati associativi dalla legge Rognoni-La Torre del 1982, per colmare quello che appariva essere un deficit di criminalizzazione di realta’ associative piu’ “complesse” delle ordinarie associazioni criminali, in quanto “storicamente” dedite alla “sopraffazione” di un determinato territorio per il conseguimento di obiettivi di potere e di utilita’ economica.
Il legislatore, peraltro, non si e’ limitato a “registrare” realta’ (talvolta secolari) gia’ presenti, come la mafia, la âEuroËœndrangheta, la camorra, la “Sacra corona unita”, ecc., da tempo dotate di un nomen (localisticamente connotativo – particolare importante perche’ evocativo del sincretismo che normativamente caratterizza il binomio associazione mafiosa e territorio), con correlativi insediamenti, articolazioni periferiche, prestigio, e “fama” criminale da “spendere” come arma di pressione nei confronti dei consociati (tanto che con riferimento alle c.d. mafie locali il collegamento della nuova struttura con la casa madre e l’adozione di un modulo organizzativo che ne abbia i tratti distintivi possono costituire espressione della capacita’ di intimidazione; Sez. 5, n. 28722 del 24/5/2018, Rv. 273093; Sez. 2, n. 24850 del 28/3/2017, Rv. 270290), ma ha anche aperto un indefinito ambito operativo, per cosi’ dire “parallelo”, destinato a perseguire tutte le altre aggregazioni (anche straniere) che, malgrado prive di un nomen e di una “storia” criminale, utilizzino metodi e perseguano scopi corrispondenti alle associazioni di tipo mafioso gia’ note.
Tuttavia, con riferimento alle finalita’ perseguite gli elementi tipizzanti le varie compagini criminali sono fra loro eterogenei, in quanto gli scopi perseguiti dalle associazioni di stampo mafioso possono essere i piu’ vari. Essi, infatti, spaziano dalla tradizionale realizzazione di un programma criminale – tipica di tutte le associazioni per delinquere – allo svolgimento di attivita’ in se’ lecite, come l’acquisizione, in modo diretto o indiretto, della gestione o comunque del controllo di attivita’ economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici; alla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti; all’impedimento o all’ostacolo del libero esercizio del diritto di voto o per procurare voti a se’ o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Un “mosaico” dunque, di finalita’, tanto ampio che mal si concilia con l’individuazione di un elemento specializzante che possa definire il concetto di “tipo mafioso”.
Deve ritenersi, invece, che il nucleo della fattispecie incriminatrice si collochi nell’articolo 416-bis c.p., comma 3 laddove il legislatore definisce, assieme, metodo e finalita’ dell’associazione mafiosa – in sostanza, quelle finalita’ che si qualificano solo se c’e’ uno specifico “metodo” che le alimenta – delineando in tal modo un reato associativo non soltanto strutturalmente peculiare, ma, soprattutto, a gamma applicativa assai estesa, perche’ destinato a reprimere qualsiasi manifestazione associativa che presenti quelle caratteristiche di metodo e fini.
Per questo le associazioni che non hanno una connotazione criminale qualificata sotto il profilo “storico”, dovranno essere analizzate nel loro concreto atteggiarsi, in quanto per esse “non basta la parola” (il nomen di mafia, camorra, âEuroËœndrangheta, ecc.); ed e’ evidente, che, in questa opera di ricostruzione, occorrera’ porre particolare attenzione alle peculiarita’ di ciascuna specifica realta’ delinquenziale, in quanto la norma mette in luce un problema di “assimilazione” normativa alle mafie “storiche” che rende necessaria un’attivita’ interpretativa particolarmente attenta a porre in risalto “simmetrie” fenomeniche tra realta’ fattuali, sociali ed umane diverse fra loro.
Il fulcro del processo d'”identificazione” non potra’, dunque, fare riferimento che sul paradigma del metodo: e’ di tipo mafioso – puntualizza, infatti, l’articolo 416-bis c.p. – l’associazione i cui partecipanti “si avvalgono della forza d’intimidazione del vincolo associativo e dell’assoggettamento e di omerta’ che ne deriva”.
Il metodo mafioso, cosi’ come descritto dall’articolo 416-bis c.p., comma 3 colloca la fattispecie all’interno di una classe di reati associativi che, parte della dottrina, definisce “a struttura mista”, in contrapposizione a quelli “puri”, il cui modello sarebbe rappresentato dalla “generica” associazione per delinquere di cui all’articolo 416 c.p.. La differenza consisterebbe proprio in quell’elemento “aggiuntivo” rappresentato dal metodo, ma con effetti strutturali di significativa evidenza. La circostanza, infatti, che l’associazione mafiosa e’ composta da soggetti che “si avvalgono della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omerta’ che ne deriva”, parrebbe denotare – come l’uso dell’indicativo presente evoca – che la fattispecie incriminatrice richieda per la sua integrazione un dato di “effettivita’”: nel senso che quel sodalizio si sia manifestato in forme tali da aver offerto la dimostrazione di “possedere in concreto” quella forza di intimidazione e di essersene poi avvalso.
Il metodo mafioso, in questa prospettiva, assumerebbe connotazioni di pregnanza “oggettiva”, tali da qualificare non soltanto il “modo d’essere” della associazione (l’affectio societatis si radicherebbe attorno ad un programma non circoscritto ai fini ma coinvolgente anche il metodo), ma anche il suo “modo di esprimersi” in un determinato contesto storico e ambientale.
Forza di intimidazione, vincolo di assoggettamento ed omerta’ rappresentano, dunque, secondo questa impostazione, strumento ed effetto tipizzanti, in quanto concretamente utilizzati attraverso un “metodo” che, per esser tale, richiede una perdurante efficacia, anche, per cosi’ dire “di esibizione”, pur se priva di connotati eclatanti.
D’altra parte, anche in giurisprudenza si sottolinea come in tema di associazione di tipo mafioso, sussiste il reato previsto dall’articolo 416-bis c.p. in caso di costituzione di una nuova struttura, operante in un’area geografica diversa dal territorio di origine dell’organizzazione di derivazione, che sprigioni, nel nuovo contesto, una forza intimidatrice effettiva e obiettivamente riscontrabile. Principio, questo, affermato in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che, correttamente, il giudice di merito aveva qualificato come mafiosa un’articolazione della âEuroËœndrangheta operante in Piemonte per l’utilizzo di metodi evocativi della capacita’ di assoggettamento di tale organizzazione, non attribuendo rilievo al fatto che non era stato replicato, nel territorio di espansione, il peculiare modello di insediamento della stessa (Sez. 6, n. 6933 del 04/07/2018 – dep. 2019, Rv. 275037).
Per altro verso, e proprio con riferimento al clan (OMISSIS) di Ostia, questa Corte non ha mancato di osservare che il reato previsto dall’articolo 416-bis c.p. e’ configurabile non solo in relazione alle mafie cosiddette “tradizionali”, consistenti in grandi associazioni ad alto numero di appartenenti, dotate di mezzi finanziari imponenti e in grado di assicurare l’assoggettamento e l’omerta’ attraverso il terrore e la continua messa in pericolo della vita delle persone, ma anche con riguardo alle c.d. “mafie atipiche”, costituite da piccole organizzazioni con un basso numero di appartenenti, non necessariamente armate, che assoggettano un limitato territorio o un determinato settore di attivita’, avvalendosi del metodo “mafioso” da cui derivano assoggettamento ed omerta’, senza, peraltro, che sia necessaria la prova che la forza intimidatoria del vincolo associativo sia penetrata in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di riferimento. (Sez. 5, n. 44156 del 13/06/2018, Rv. 274120; Sez. 5, n. 26427 del 20/5/2019, Rv. 276894; Sez. 5, n. 21530 dell’8/2/2018, Rv. 273025; Sez. 2, n. 7847 del 30/1/2020 non mass.; Sez. 5, n. 6764 del 13/11/2019, dep. 2020, non mass.).
La presenza, seppur necessariamente adattata alla realta’ dimensionale, di una caratura “oggettiva” del metodo mafioso vale anche a consegnare alla fattispecie un coefficiente di offensivita’ tale da giustificare, sul piano della proporzionalita’, il rigoroso editto sanzionatorio, anche in linea con i piu’ recenti approdi della Corte costituzionale, particolarmente attenta a scrutinare tale profilo della pena, superando qualsiasi preclusione derivante dalla tesi del tertium comparationis e delle cosiddette “rime obbligate” (v. da ultimo le sentenze Corte Cost., n. 236 del 2016; n. 40 del 2019 e, in tema di sanzioni “punitive”, la sentenza n. 112 del 2019).
E’ proprio il metodo di cui l’associazione – per tipizzarsi – deve “avvalersi” a convincere del fatto che l’intimidazione e l’assoggettamento omertoso che ne devono derivare, rappresentano, in se’, un “fatto” che puo’ prescindere dalla realizzazione degli ulteriori “danni” scaturenti dalla eventuale realizzazione di specifici reati-fine.
Che l’associazione mafiosa costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, l’ordine economico, quello sociale e quant’altro possa entrare nel programma della associazione e’ un fatto: ma cio’ non toglie che il relativo metodo – per integrare la fattispecie incriminatrice – allorche’ attenga a struttura autonoma ed originale, caratterizzata dal proposito di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle mafie storiche, debba andare al di la’ di una mera dichiarazione di intenti, altrimenti rischiando di far sconfinare il “tipo” normativo in connotazioni meramente soggettivistiche, sulla falsariga di modelli di “tipo d’autore”, ormai preclusi al sistema (Sez. 2, n. 24850 del 28/3/2017, Rv. 270290).
In sostanza, l’associazione mafiosa e’ “strutturalmente” aperta: chiunque dia vita o partecipi ad un sodalizio che persegua quei fini con quel metodo, e’ chiamato a rispondere del reato, a prescindere dal nomen, dal territorio e dagli eventuali delitti specifici riferibili a quel sodalizio.
Non e’ la “mafiosita’” del singolo o dei singoli a qualificare, in se’, l’associazione; ma e’ il “modo di essere e di fare” che individua il tratto che rende quella associazione “speciale” rispetto alla comune associazione per delinquere, e che rappresenta il coefficiente di disvalore aggiunto che giustifica – anche sul piano costituzionale – l’assai piu’ grave trattamento sanzionatorio.
Il problema e’ peraltro quello di stabilire, in concreto, quale sia la portata da annettere al “metodo mafioso”, dal momento che l’estrema varieta’ degli approcci definitori scaturiti tanto da parte della dottrina che della giurisprudenza mette a fuoco il rischio che si corre nel definire in chiave giuridica nozioni, categorie e fenomeni che presentano connotazioni storico sociologiche, anch’esse non poco variegate.
Il che, ovviamente, ha lasciato spazio a quelle voci che hanno stigmatizzato la formulazione del reato di cui all’articolo 416-bis c.p., in quanto descritto attraverso enunciati normativi asseritamente non del tutto satisfattivi dei principi di determinatezza e precisione delle fattispecie incriminatrici.
E’ noto, a questo riguardo, come il principio di riserva di legge, che la dottrina qualifica come “tendenzialmente assoluta”, sia consuetamente declinato secondo tre distinte, ma complementari, direttrici. Anzitutto il principio di precisione, in virtu’ del quale le norme penali devono assumere la veste formale piu’ chiara possibile, al fine di evitare interpretazioni creative e consentire a chiunque di prevedere le conseguenze delle proprie condotte (evidenti i riverberi sul versante della colpevolezza). La giurisprudenza costituzionale, come e’ noto, ha al riguardo costantemente ritenuto che l’esigenza di precisione nella descrizione della fattispecie, che scaturisce dall’articolo 25 Cost., comma 2, “non coincide necessariamente con il carattere piu’ o meno descrittivo della stessa, ben potendo la norma incriminatrice fare uso di una tecnica esemplificativa (Corte Cost., sentenze n. 79 del 1982, n. 120 del 1963 e n. 27 del 1961), oppure riferirsi a concetti extra-giuridici diffusi (Corte Cost., sentenze n. 42 del 1972, n. 191 del 1970), ovvero ancora a dati di esperienza comune o tecnica (Corte Cost., sentenza n. 126 del 1971). Il principio di determinatezza non esclude, infatti, l’ammissibilita’ di formule elastiche, alle quali non infrequentemente il legislatore deve ricorrere stante la “impossibilita’ pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a “giustificare” l’inosservanza del precetto e la cui valenza riceve adeguata luce dalla finalita’ dell’incriminazione e dal quadro normativo su cui essa si innesta” (Corte Cost., sentenze n. 302 e n. 5 del 2004; da ultimo, v. sentenza n. 172 del 2014).
Dunque, i profili definitori offerti a proposito del “metodo mafioso” vanno “estrapolati” sulla base del contesto normativo in cui gli stessi sono collocati, senza dover necessariamente attingere ai dati della “storia” e delle “esperienze” maturate alla luce delle manifestazioni offerte dalle mafie, per cosi’ dire, tradizionali.
Accanto a cio’, viene pero’ talvolta anche evocato il principio di determinatezza, dal momento che, richiamandosi “atteggiamenti” genericamente riconducibili ad una platea indifferenziata di soggetti, il cui tratto comune sarebbe rappresentato da un mero connotato “soggettivo interiore” (stato di intimidazione, di assoggettamento e di omerta’), sfuggirebbe alla possibilita’ di qualsiasi elemento empirico di “registrazione” e di prova. Dunque, in contrasto con il principio di determinatezza della fattispecie penale. Sul punto, infatti, la Corte costituzionale ha puntualizzato che la valutazione del testo normativo “e’ da condurre con un metodo di interpretazione integrato e sistemico e dovra’ essere volta ad accertare, da una parte, la intelligibilita’ del precetto in base alla sua formulazione linguistica e, dall’altra, la verificabilita’ del fatto, descritto dalla norma incriminatrice, nella realta’ dei comportamenti sociali. Infatti, come gia’ precisato, a partire dalla sentenza Corte Cost., n. 96 del 1981, “nella dizione dell’articolo 25 Cost., che impone espressamente al legislatore di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intelligibilita’ dei termini impiegati, deve logicamente ritenersi anche implicito l’onere di formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realta’” (v. la gia’ richiamata sentenza Corte Cost., n. 172 del 2014).
Ma anche sotto questo specifico versante, il dato normativo, ove si condivida la prospettiva “oggettivistica” e “materiale” di cui prima si e’ detto, sfugge alle censure di “fattispecie sociologicamente orientata” di cui, specie in passato, il reato di cui all’articolo 416-bis c.p. e’ stato fatto segno, dal momento che quei profili lato sensu ambientali connessi al metodo mafioso, assumono i caratteri del “fatto”, che deve formare oggetto, naturalmente, di prova adeguata.
E cio’ tanto piu’ vale proprio nei casi in cui non si parli delle associazioni mafiose “tradizionali”, ma di realta’ ambientalmente e, se si vuole, culturalmente diverse, e per le quali sono solo i “fatti”, e non le “denominazioni”, a contare davvero.
Non e’ un caso, d’altra parte, che proprio sul versante della prova della “mafiosita’” di un’associazione, questa Corte, abbia in piu’ occasioni, avuto modo di affermare che in tema di rilevanza dei risultati di indagini storico-sociologiche ai fini della valutazione, in sede giudiziaria, dei fatti di criminalita’ di stampo mafioso, il giudice deve tener conto, con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione, anche dei predetti dati come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, dopo averne vagliato, caso per caso, l’effettiva idoneita’ ad essere assunti ad attendibili massime di esperienza senza che cio’, peraltro, lo esima dal dovere di ricerca delle prove indispensabili per l’accertamento della fattispecie concreta oggetto del giudizio. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che il riferimento alla nozione di “imprenditore colluso” – inteso come quello che e’ entrato in un rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi non elimini la necessita’ di una rigorosa disamina del materiale probatorio ai fini della qualificazione del fatto come concorso esterno o partecipazione, atteso che la predetta nozione e’ stata richiamata in relazione ad entrambe le fattispecie). (Sez. 5, n. 47574 del 7/10/2016, Rv. 268403. Nel medesimo senso, Sez. 2, n. 21102 del 9/6/2006, Rv 2346665; Sez. 1, n. 84 del 5/1/1999, n. 84, Cabib, Rv 212579). L’esistenza di un “metodo” che produce determinati effetti, costituisce, dunque, ordinario oggetto di prova, non diversamente dall’esistenza del sodalizio e delle finalita’ che, attraverso quel metodo lo stesso persegue.
A conclusioni non dissimili sembra possibile pervenire anche in merito all’ultimo corollario che solitamente si desume dal principio di legalita’: vale a dire, quello di tassativita’ della fattispecie, il cui fine, come e’ noto, e’ quello di precludere applicazioni analogiche della norma incriminatrice ai sensi dell’articolo 14 preleggi, nonche’ degli articoli 1 e 199 c.p. e articolo 25 Cost..
Sotto questo versante, si e’ osservato, sarebbero proprio i riferimenti di carattere sociologico, storico e culturale a permettere indebite “estensioni” alla fattispecie, in particolare sul versante delle associazioni non “tradizionali”, dal momento che per queste ultime non potrebbe farsi appello proprio a quei dati di comune esperienza che possono trarsi dai metodi – di antica “sperimentazione” – praticati nei territori “occupati” da mafia, camorra o âEuroËœndrangheta.
Ancora una volta, infatti, e’ proprio facendo leva sulla lettura “oggettivistica” del dato normativo che e’ possibile scongiurare un simile epilogo. E’ di tutta evidenza, infatti, che se per raggiungere gli obiettivi descritti dall’articolo 416-bis c.p., un’associazione “priva di storia” determina, in un certo alveo sociale e ambientale, un clima diffuso di intimidazione che genera uno stato di assoggettamento (con correlativa limitazione della sfera di autodeterminazione) e di omerta’ (qualcosa di cui non si deve parlare), non viene affatto in discorso un’applicazione “analogica” della fattispecie, ma una normale applicazione del “fatto” tipizzato.
Una diversa interpretazione creerebbe, d’altra parte, un’ingiustificata disparita’ di trattamento, giacche’ sarebbero assoggettate alla disciplina di maggior rigore solo le associazioni, per cosi’ dire, a “denominazione di origine controllata” e non quelle che perseguano gli stessi fini con gli stessi metodi e realizzino, per questa via, il medesimo coefficiente di maggior disvalore rispetto alla normale associazione per delinquere.
Il deficit di determinatezza della fattispecie e’ stato, peraltro, da parte di taluno traguardato nella prospettiva – all’apparenza non nitidamente scolpita nel testo normativo – qualitativa e quantitativa che l’intimidazione deve presentare per conseguire gli effetti dell’assoggettamento e di omerta’, a loro volta utilizzati per il perseguimento dei fini dell’associazione. L’evocazione, infatti, di paradigmi “generalizzati” di riferimento (intimidazione, assoggettamento, omerta’, sono chiaramente assunti come “fenomeni” meta individuali) assegna a tali elementi di fattispecie una dimensione chiaramente “collettiva”, che esclude gli opposti estremi: da un lato, un effetto “totalizzante”, di coazione che coinvolga l’intera popolazione di un determinato territorio; dall’altro, quello della “micro-entita’” associativa, che opera in una prospettiva poco piu’ che individuale. Sul primo versante, non e’ senza significato la circostanza che questa Corte abbia anche di recente affermato che, ai fini della configurabilita’ dell’associazione per delinquere di tipo mafioso, il requisito della forza intimidatrice promanante dal sodalizio non puo’ essere escluso per il sol fatto che la sua percezione all’esterno non e’ generalizzata nel territorio di riferimento, o che un singolo non si e’ piegato alla volonta’ dell’associazione o, addirittura, ne ignori l’esistenza. (Fattispecie in tema di costituzione di nuova struttura criminale – Sez. 5, n. 26427 del 20/05/2019, Rv. 276894; Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Rv. 271724). A maggior ragione il discorso vale per le organizzazioni “non tradizionali”, come si e’ affermato nei confronti del clan (OMISSIS) di Ostia nella gia’ segnalata sentenza Sez. 5, n. 44156 del 13/6/2018 (Rv. 274120), per le quali il “metodo mafioso” va integralmente analizzato alla luce delle concrete emergenze e dello specifico atteggiarsi dell’associazione in un determinato ambito sociale e territoriale.
E’ evidente che, in questa cornice, non sara’ l’atteggiamento del singolo a contare in se’ e per se’, ma e’ la risposta “collettiva” a dimostrare che l’associazione ha raggiunto una capacita’ di intimidazione “condizionante” una generalita’ di soggetti, e che della stessa si avvale per il perseguimento degli obiettivi normativamente scolpiti dallo stesso articolo 416-bis c.p..
“Assoggettamento” ed “omerta’” rappresentano, dunque, gli “eventi” che devono scaturire dall’intimidazione: “fatti”, quindi, che devono formare oggetto di prova, e che chiaramente fuoriescono da qualsiasi ambigua lettura di tipo sociologico o culturale.
Deve pertanto in questo contesto condividersi l’assunto secondo il quale ai fini della configurabilita’ del reato di associazione di tipo mafioso con riguardo alle c.d. mafie non tradizionali e’ necessario che l’associazione abbia gia’ conseguito, nell’ambiente in cui opera, un’effettiva capacita’ di intimidazione esteriormente riconoscibile, che puo’ discendere dal compimento di atti anche non violenti e non di minaccia, che, tuttavia, richiamino e siano espressione del prestigio criminale del sodalizio. Nella circostanza, la Corte ha correttamente puntualizzato che gli eventuali atti di violenza e minaccia posti in essere da un’associazione di nuova formazione al fine di acquisire sul territorio la capacita’ di intimidazione, in quanto precedenti all’assoggettamento omertoso della popolazione e strumentali a strutturare il prestigio criminale del gruppo, sono atti esterni ed antecedenti rispetto alla configurazione del reato di cui all’articolo 416-bis c.p. (Sez. 6, n. 41772 del 13/6/2017, Rv. 271102).
D’altra parte, si e’ pure affermato che la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo puo’ essere diretta a minacciare tanto la vita o l’incolumita’ personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti, ed il suo riflesso esterno in termini di assoggettamento non deve tradursi necessariamente nel controllo di una determinata area territoriale (in termini, Sez. 6, n. 24536 del 10/4/2015, non mass.; Sez. 6, n. 24535 del 10/4/2015, Rv. 264126; Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Rv. 271724; Sez. F, n. 44315 del 12/9/2013, Rv. 258637).
Forza intimidatrice, dunque, “a forma libera”, dal momento che e’ proprio la complessita’ delle dinamiche sociali a richiedere una “flessibilita’” delle tipologie espressive e delle forme d’intimidazione, le quali ben possono trascendere la vita e l’incolumita’ personale, per attingere direttamente la “persona”, con i suoi diritti inviolabili, anche relazionali, la quale viene ad essere coattivamente limitata nelle sue facolta’.
L’associazione di stampo mafioso, dunque, ineluttabilmente “incrocia”, compromettendoli, i diritti di liberta’ di un numero indeterminato di soggetti, dando ragione a quanti considerano, ormai, strutturalmente angusta la qualificazione del reato come delitto “semplicemente” contro l’ordine pubblico, arricchendosi il bene giuridico tutelato di altri interessi meritevoli di tutela, quali l’ordine pubblico economico e l’esercizio di diritti e liberta’ costituzionalmente garantiti.
2.2. In virtu’ dei richiamati principi, la motivazione offerta dai giudici del merito si presenta del tutto coerente e in linea con i presupposti giuridici alla cui stregua e’ stata ritenuta configurabile la figura dell’associazione di stampo mafioso in riferimento al c.d. clan (OMISSIS). Pertanto, nessuna “torsione” applicativa dell’istituto o lettura “sociologica” del fenomeno vi e’ stata.
Le sentenze del tribunale e della seconda Corte di appello, infatti, lungi dal ricorrere a formule stereotipe o a connotazioni meta-giuridiche o meramente sociologiche, hanno scandagliato la dinamica associativa tanto da un punto di vista strutturale e di episodi ad essa riferibili, quanto sul versante diacronico, relativo all’evoluzione subita nel tempo dal clan che ne ha consentito la trasmigrazione di fattispecie giuridica: dalla semplice associazione per delinquere al raggiungimento di quel quid pluris che ne ha permesso l’inquadramento in quella di tipo mafioso.
Tutto cio’ viene valorizzato proprio dai puntuali riferimenti che e’ dato cogliere nelle sentenze di merito a proposito non soltanto degli specifici settori di intervento del sodalizio, ma anche dall’evolversi della metodologia attraverso la quale, nel corso del tempo, una determinata area territoriale ed ambientale ha finito per essere significativamente asservita agli scopi, parte direttamente illeciti, parte invece di tipo “imprenditoriale gestorio”, perseguiti dall’originaria compagine cosi’ trasformatasi in associazione mafiosa. Sono significativi, d’altra parte, sia i non pochi e non evanescenti episodi di intimidazione, sia il consistente “asservimento” che ne e’ conseguito in ordine ad esempio alla penetrante occupazione degli interessi che ruotavano intorno al principale cespite economico costituito dal (OMISSIS). In questo quadro di riferimento e’ ovvio che la “limitatezza” dell’ambito territoriale (peraltro trattasi di un municipio ove risiedono circa 200.00 abitanti e, dunque, pari per densita’ ad un comune di medio-grandi dimensioni) non rappresenta affatto un elemento distonico rispetto alla configurazione della fattispecie associativa mafiosa, considerato che, come si e’ gia’ piu’ volte accennato, anche porzioni circoscritte di territorio ben possono rappresentare il “terreno di coltura” nel quale gruppi criminali tradizionali possono trasformarsi in altrettante sodalita’ che rispondono al “tipo mafioso”. Ed e’ del tutto evidente, allora, che e’ l’evoluzione, che contraddistingue la vita di un sodalizio, a rappresentare la base giustificativa della diversita’ di nomen iuris (rectius di fattispecie penale contestata), cosi’ come e’ storicamente accaduto che associazioni criminali per cosi’ dire “comuni” si siano riconvertite in altrettante formazioni di tipo terroristico-eversivo.
In tale contesto, e’ la stessa cronologia dei fatti a supportare le corrispondenti evoluzioni in punto di qualificazione giuridica degli stessi, con l’ovvio epilogo della relativa “prevedibilita’”, sempreche’ non risulti essere nei fatti compromesso il relativo spazio difensivo. Nella specie, la dinamica dibattimentale e le naturali evoluzioni che il tema di prova subisce nel contraddittorio tra le parti hanno reso non soltanto ampiamente prevedibile il mutamento di addebito, ma anche chiaramente soddisfatta qualsiasi esigenza difensiva che quella evoluzione abbia comportato.
Anzi, nel caso di specie, e cio’ rende infondata la censura sollevata sul punto dalla difesa di (OMISSIS) (sub 6 dei motivi di ricorso), l’originaria imputazione proprio attraverso una rigorosa disamina fattuale ha ricevuto una limitazione sul piano temporale dal momento che correttamente i giudici del merito hanno circoscritto l’operativita’ della fattispecie associativa mafiosa all’interno di un perimetro temporale corrispondente all’assunzione, da parte del clan (OMISSIS), di una posizione egemone sulla piazza di Ostia. Il che evidentemente dissolve qualsiasi validita’ alla censura di elemento di novita’ che sarebbe stata introdotta dai giudici del merito rispetto alla platea dei fatti originariamente sussunti come base dell’editto sanzionatorio.
Tale precisazione assume anche rilievo ai fini della demarcazione tra gli ambiti riferibili all’originaria associazione a delinquere facente capo A1 (OMISSIS) e quella poi divenuta di stampo mafioso. Al riguardo, i giudici di merito hanno ben evidenziato come alla commissione di delitti fine tipici dell’associazione a delinquere semplice si sia accompagnata, in un determinato momento storico, un’evoluzione desumibile da concreti dati fattuali che ha conferito a tale sodalizio connotati di obiettiva mafiosita’. Il riferimento e’ anzitutto al ruolo che il (OMISSIS) viene chiamato a svolgere nell’ambito delle dinamiche relative agli equilibri tra le organizzazioni criminali presenti in Ostia nel 2007, allorche’, a seguito dei due attentati subiti da (OMISSIS), soggetto indicato avere legami con la mafia siciliana, viene incaricato, anche quale emissario del noto capoclan (OMISSIS) (vedi pagg. 178 e ss. della sentenza impugnata), di partecipare ad un vero e proprio summit nel corso del quale svolge il ruolo di “paciere”, tipico delle organizzazioni di stampo mafioso, alla luce anche dei termini e dell’espressioni utilizzate proprie di un gergo di appartenenti a consorterie di tale natura (vedi pagg. 19 e 20 della sentenza di primo grado). Conferire ad un terzo l’autorita’ di risolvere il conflitto, riconoscendone le decisioni, e’ tipico soltanto di chi si riconosce in una “comune cultura”, anche se di tipo criminale, generata dall’esistenza di regole mafiose condivise ed accettate, nonche’ garantite da “adeguate” sanzioni in caso di violazione. A nulla rileva che all’epoca del summit sul territorio di Ostia insistessero diverse organizzazioni criminali, in quanto, a prescindere dalle reali vicende che hanno determinato la successiva “recessione” dei (OMISSIS), tale elemento e’ declinato dal giudice del merito quale momento iniziale dell’ascesa del clan (OMISSIS), nell’ambito di una progressiva espansione che vede successivamente tale sodalizio assumere un’egemonia incontrastata, tanto che nessun conflitto con altri gruppi criminali, pure presenti nel litorale, sara’ registrato nel corso delle vicende processuali.
Anzi, a conferma del rilievo che il (OMISSIS) aveva finito per assumere, la sentenza impugnata cita anche il riferimento che lo stesso imputato fa all’autorevolezza di un suo intervento presso il clan (OMISSIS) per garantire il rientro in Ostia di un soggetto che aveva avuto in precedenza contrasti con (OMISSIS) (condannato in data 24/9/2019 dalla Corte di assise di Roma anche per il delitto di cui all’articolo 416-bis cod. pen.), autorevolezza peraltro confermata anche da altro episodio in cui proprio la spendita del nome del (OMISSIS) consentira’ ad un suo parente di non incorrere in problemi con un protetto di (OMISSIS) (vedi pag. 211 della sentenza impugnata).
Se si considera che le sentenze di merito hanno ben evidenziato gli elementi rappresentativi dell’associazione a delinquere semplice che, sino all’epoca, caratterizzava i (OMISSIS) (al riguardo molteplici sono i precedenti giudiziari e le sentenze irrevocabili acquisite ex articolo 238-bis c.p.p. ed utilizzabili nelle parti e nei limiti in motivazione specificati), ne consegue che “il salto di qualita’” coinvolge non soltanto la singola persona che vede aumentata la sua fama criminale, ma anche quel substrato di carattere familiare che ne costituiva l’originario nucleo storico che, successivamente, si verra’ ad arricchire in ragione del consolidamento del clan e dell’espansione delle sue mire illecite (il riferimento e’ da intendersi all’ingresso nella compagine di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)). Cio’ ha determinato che all’esterno il sodalizio fosse percepito come clan (OMISSIS) e non come (OMISSIS) piu’ soci, in quanto la caratura criminale del capo ha strutturato intrinsecamente quella del gruppo e con essa ha finito per confondersi. In sostanza, il profondo radicamento sul territorio lidense acquisito dal sodalizio semplice sin dalla fine degli anni âEuroËœ90, con esercizio di condotte violente ed intimidatorie porta progressivamente a conoscere, temere e rispettare il nome di (OMISSIS), quale elemento di identificazione con il gruppo criminale omonimo, in virtu’ del compimento di successivi atti di intimidazione che emulano quelli dei clan mafiosi e dei metodi da essi utilizzati.
Gia’ la sentenza di primo grado, per come rilevato da quella rescindente, aveva valorizzato ai fini della connotazione mafiosa del sodalizio, la tradizionale attivita’ usuraria praticata dai (OMISSIS) e, in particolare, le condotte di coartazione delle vittime a pagare, con mezzi leciti o illeciti, le obbligazioni contratte, da cui deriva la notorieta’ dei metodi utilizzati dai (OMISSIS) e la loro efficacia, come pure le dichiarazioni di Nazareno (OMISSIS) in ordine al timore manifestato da coloro ai quali prestava denaro alla sua sola vista, e la constatazione che anche la risoluzione di conflitti di piccola entita’ si prospettasse con metodi violenti (vedi pag. 34 della sentenza di annullamento). La Corte territoriale, ai fini del requisito dell’intimidazione esterna, dopo avere passato in rassegna gli episodi intimidatori ai danni di (OMISSIS) e del (OMISSIS) di (OMISSIS) – fatti che, seppur riferibili all’epoca di insistenza del sodalizio semplice, si connotano causalmente quali antecedenti fattuali che generano la fama criminale poi consolidatasi negli episodi evocativi dell’acquisito stampo mafioso – cita ulteriori fatti dotati di particolare rilevanza. Si fa specifico riferimento alle violente modalita’ di acquisizione del (OMISSIS) (trattasi di ben sei attentati incendiari, nonche’ l’esplosione di colpi da arma da fuoco contro l’abitazione di chi doveva vendere l’attivita’), all’attentato ai danni dell’esercizio commerciale Ristoquiz di (OMISSIS), vittima poi anche dell’estorsione di cui al capo H) della rubrica ((apparecchi gravemente danneggiati nella primavera del 2011, cosi’ come i locali del ristorante, con rituali evocativi di tipica matrice mafiosa (vernice rossa come il sangue alle pareti, rinvenimento di una protesi in plastica riproducente una mano mozza ed altro ancora), agli episodi relativi alla rappresaglia contro il (OMISSIS), ove il progettato agguato a mano armata non ebbe luogo sia perche’ questi si nascondeva – comportamento chiaramente dimostrativo di chi teme la reazione di soggetti contrapposti dotati di forza intimidatoria – sia perche’ provvidenzialmente fermata dalle forze dell’ordine, ovvero al progettato attentato contro la (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) e alla lettera inviata “nel piu’ puro stile mafioso” da (OMISSIS) a (OMISSIS) (vedi pag. 209 della sentenza impugnata). A cio’ si aggiungono ulteriori episodi intimidatori menzionati espressamente da alcuni degli associati (in particolare da quelli deputati a compiere le azioni violente, ossia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) nel corso di conversazioni telefoniche che danno espressamente conto del ripetuto compimento di atti di violenza contro la persona ovvero di danneggiamento di beni di terzi mediante incendio. Trattasi, all’evidenza, di chiare estrinsecazioni pienamente idonee ad integrare, sul piano del rispetto della tipicita’ della fattispecie, il metodo mafioso, soprattutto se si considera la pervasivita’ che tali episodi hanno notoriamente assunto in una comunita’ territorialmente delimitata quale quella lidense e del riconoscimento che di detta valenza le organizzazioni criminali gia’ ivi insistenti certificano attribuendo al (OMISSIS) il ruolo di “paciere” nelle loro contese.
Peraltro, deve essere ricordato che la sentenza impugnata cita anche altri episodi in cui il ruolo di “paciere” viene svolto dal (OMISSIS) non solo per tacitare questioni di carattere illecito, ma anche per risolvere contrasti di carattere privato (vedi ad es. pag. 211 della sentenza impugnata).
Il riconoscimento ad un soggetto dell’autorita’ per risolvere dissidi nell’ambito di una determinata comunita’, comporta logicamente l’affidamento di un ruolo paragonabile a quello “istituzionale” proprio dei soggetti pubblici a cio’ deputati. Nel caso in esame tale investitura consegue esclusivamente al prestigio criminale che in tale ambiente il soggetto si e’ guadagnato e certamente non di prestigio professionale o di altra positiva qualita’ socialmente apprezzata. Tale aspetto e’ espressione di un indice che notoriamente caratterizza le mafie tradizionali e altresi’ univocamente dimostrativo tanto della forza di pervasivita’ che il sodalizio ha acquisito, quanto del clima di omerta’ che ne e’ derivato.
Le doglianze mosse dalle difese sul punto tendono invece ad una lettura parcellizzata di tali episodi, che la Corte di merito conduce alla stregua di una valutazione unitaria dei fenomeni il cui elemento portante e’ il (OMISSIS). Non si assiste, pertanto, ad un’espansione analogica della fattispecie del delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. ad una realta’ associativa di carattere semplice, ma all’esatto contrario: un sodalizio semplice si eleva nella sua quotidiana operativita’ ad associazione mafiosa, attraverso ulteriori e pregnanti condotte tipiche alle quali tutti i sodali partecipano consapevolmente arrecando ciascuno un contributo causale finalisticamente orientato proprio ad acquisire egemonia criminale nel territorio di insediamento.
Del resto, per come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, ricondurre alla sola figura del (OMISSIS) il complesso dei fenomeni criminali pur emersi dall’attivita’ di investigazione sarebbe riduttivo e semplicistico anche sotto il profilo della logicita’. Infatti, condotte di sistematica valenza criminale consumate e sedimentate nel corso degli anni e in settori ben precisi e diversificati non possono che essere espressione di un’azione articolata secondo un preciso e preordinato programma criminoso che vede naturalmente al vertice il “capo”, il quale, nella realta’ delle cose, deve necessariamente avvalersi di una struttura consolidata ed organizzata senza la quale egli, da solo e soprattutto in un periodo in cui era detenuto agli arresti ospedalieri e/o controllato, nulla avrebbe potuto realizzare di significativo, tanto piu’ in un territorio ove operavano (e operano) altri agguerriti sodalizi.
E al consapevole perseguimento di tale fine risultano asserviti tutti i sodali ritenuti partecipi di tale associazione criminale, per quanto anche evidenziato in ragione delle specifiche condotte dimostrative che in relazione a ciascuno di costoro sono state puntualmente illustrate da tutte le sentenze di merito e al cui esame si rinvia nel successivo paragrafo 3.
Deve altresi’ essere sottolineato che in tale contesto, l’assenza di denunce ad opera delle persone offese, lungi dal dimostrare l’assenza dell’esteriorizzazione del metodo e della pervasivita’ del sodalizio, costituisce, al contrario, un indice fattuale di tipo logico che il giudice del merito ha correttamente valorizzato ai fini della sussistenza del reato. Invero, tale dato non e’ stato esaminato come elemento fine a se stesso, ma apprezzato nell’ambito di un contesto caratterizzato da una varieta’ di fatti illeciti accertati, ma mai denunciati. Non e’ stato quindi affermato che, poiche’ nel territorio di Ostia non risultano denunce e reati, e’ presente un’associazione mafiosa; piuttosto e’ stato riconosciuto che dalla constatazione che per i reati, anche se non specificamente contestati, emersi da questo e da altri procedimenti strettamente connessi, le persone offese, anche se non individuate, non hanno mai sporto denuncia, e’ stato possibile risalire ad un clima di omerta’ confermativo del metodo mafioso.
Cio’, del resto, e’ stato ulteriormente avvalorato dalle sentenze di merito laddove e’ stato evidenziato come i testi esaminati nel corso dei diversi giudizi abbiano negato anche situazioni assolutamente evidenti (tanto che per diversi di questi e’ stata disposta la trasmissione degli atti al pubblico ministero per il delitto di falsa testimonianza).
Ulteriore ed adeguato riscontro circa l’esistenza della pervasivita’ si coglie nel riferimento alla c.d. “zona grigia”, ossia all’accertata succube sudditanza verso gli interessi del clan (OMISSIS) proveniente da professionisti di varia estrazione (dal direttore di banca ai custodi giudiziari, all’impiegata dell’Assobalneari, a funzionari pubblici, commercialisti), sempre pronti ad aderire o addirittura a prevenire con estremo zelo le richieste in ordine ai bisogni o alle aspettative piu’ svariate, anche quando non compatibili con norme di legge o doveri deontologici, per il “rispetto” portato verso il capo della consorteria ed il desiderio di evitare qualsiasi genere di insoddisfazione dei temibili interlocutori.
Sul punto inammissibile risulta la doglianza formulata dai ricorrenti illogicamente e contraddittoriamente condivisa dalla seconda sentenza di appello – volta a ricondurre la compiacenza ad un rapporto reciprocamente conveniente. Al di la’ della natura di alternativa di merito della censura, la stessa si fonda su una lettura “atomistica” del compendio probatorio richiamato e non si confronta con il contesto fattuale di riferimento in cui tali deprecabili condotte – che in alcuni casi costituiscono anche reato (essendo, come si e’ gia’ accennato, stata sul punto disposta la trasmissione degli atti ad opera dei giudici di merito alla Procura della Repubblica) – siano state poste in essere. Peraltro, gli stessi stralci delle conversazioni riportate appaiono fortemente significativi piu’ di una situazione di sudditanza che di una mera compiacenza. Tale condizione non puo’ essere quindi svilita ai fini in esame, in quanto e’ logicamente espressiva dell’esistenza di un atteggiamento di timore diffuso che si e’ impadronito di settori nevralgici del territorio, a conferma dello spessore e della fama criminale conseguiti nel tempo dal sodalizio.
Quanto al requisito dell’intimidazione c.d. interna, pur evocato dal giudice del merito a conferma dell’esistenza della fattispecie, si tratta di un elemento che va valutato al fine di escludere mere ipotesi di carattere concorsuale di tipo eventuale, non ricorrenti nel caso in esame, tenuto conto che gli episodi di carattere residuale di “fibrillazione”, comunque registrati, sono fisiologici nell’ambito delle organizzazioni criminali, tanto piu’ se provenienti da partecipi non facenti parte del nucleo strettamente familiare su cui si innesta il sodalizio, e che non risultano avere mai messo in discussione seriamente l’egemonia del capo.
Infondate, infine, risultano le doglianze sulla rilevanza probatoria delle sentenze citate, in quanto la Corte ne ha valutato i fatti spiegando la diretta pertinenza con quelli di causa e, soprattutto, li ha inseriti nell’ambito di una ricostruzione sicuramente piu’ significativa di quella offerta dalla prima sentenza della Corte di appello (censurata in modo netto e deciso dalla Sesta sezione penale di questa Corte), ricostruzione che tiene opportunamente conto anche dei numerosi e continenti precedenti anche non definitivi, relativi a prescrizioni acquisibili ex articolo 238-bis c.p.p..
2.3. In conclusione, la vicenda fattuale descritta dai giudici di merito rappresenta un emblematico esempio di c.d. “mafia locale”, vale a dire di raggruppamento che persegue gli obiettivi delineati dall’articolo 416-bis c.p., comma 3, attraverso la metodologia ivi menzionata, essendo indubbio che l’ultimo comma della richiamata disposizione incriminatrice fa riferimento alle ipotesi prive di una qualsiasi connotazione di nomenclatura tradizionale, che vedano la propria vita ed operativita’ circoscritta entro ambiti territoriali, seppure limitati.
Pertanto, l’intensita’ del vincolo di assoggettamento omertoso ha natura e le forme di manifestazione degli strumenti intimidatori, gli specifici settori di intervento e la vastita’ dell’area attinta dalla egemonia del sodalizio, le molteplicita’ dei settori illeciti di interesse, la caratura criminale dei soggetti coinvolti, la manifestazione esterna del potere decisionale, la sudditanza degli interlocutori istituzionali e professionali, sono tutti elementi che vengono a comporre il mosaico delle condizioni di applicazione della fattispecie, a determinarne il relativo coefficiente di offensivita’ e la “gravita’”, evidentemente significativa anche agli effetti del soddisfacimento del principio di proporzionalita’ nella determinazione del trattamento sanzionatorio.
Sulla base delle argomentazioni nel complesso evidenziate, si puo’ affermare che anche la citta’ di Roma ha conosciuto l’esistenza di una presenza “mafiosa”, sebbene in modo diverso da altre citta’ del Sud, ma non per questo meno pericolosa o inquinante il tessuto economico-sociale di riferimento.
3. Le singole posizioni degli imputati in ordine al delitto di cui all’articolo 416-bis c.p..
Premessa.
Con riguardo alla condotta di partecipazione va osservato come tra i delitti fine dell’associazione di stampo mafioso rientri anche quello di cui al capo A1) della rubrica, ossia l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. In questo caso l’espansione del traffico di droga mediante fonti di approvvigionamento dall’estero costituisce una delle finalita’ perseguite dal sodalizio capeggiato dal (OMISSIS), al cui raggiungimento e’ stato destinato uno specifico assetto organizzativo, tanto che i reati hanno visto riconosciuto il vincolo della continuazione in quanto avvinti dal medesimo disegno criminoso. Questa Corte ha, infatti, affermato come sia configurabile il concorso tra un’associazione di stampo mafioso e un’associazione per delinquere dotata di un’autonoma struttura organizzativa che, avvalendosi del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati al sodalizio mafioso, persegua un proprio programma delittuoso (nella specie traffico di sostanze stupefacenti), dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell’interesse del clan (Sez. 2, n. 41736 del 9/4/2018, Rv. 274077 – in motivazione, la Corte ha escluso la configurabilita’ di una violazione del “ne bis in idem”, mancando, nel rapporto tra le due fattispecie associative, piena coincidenza degli elementi costitutivi ed essendo esse volte alla tutela di beni giuridici differenti; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258163; S.U., n. 1149 del 25/9/2008, dep. 2009, Rv. 241883).
Sulla base di tale premessa, si evidenzia che la gran parte degli imputati condannati per l’associazione finalizzata al traffico di droga sono anche partecipi di quella di stampo mafioso. Di conseguenza, ai fini della prova della partecipazione al clan (OMISSIS), assumono evidente rilievo anche le condotte perpetrate al fine di realizzare le operazioni di importazione di droga dall’estero alle quali e’ dedicata un’apposita trattazione. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, affermato che, in tema di associazione a delinquere, e’ consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza e della partecipazione al sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalita’ esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operativita’ dell’associazione medesima (S.U., n. 10 del 28/3/2001, Magistris, Rv. 218376, Sez. 2, n. 19435 del 31/3/2016, Rv. 266670; Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, Rv. 254233).
Pertanto, a prescindere dalla collocazione espositiva che la sentenza impugnata ha riservato alle vicende relative ai “due” sodalizi, ai fini dell’esclusione del vizio di motivazione in tema di partecipazione al sodalizio mafioso assumeranno anche rilievo, per gli imputati in entrambe le associazioni coinvolti, gli argomenti spesi a corredo delle condotte criminose di cui al capo A1), alle quali quindi si fara’ specifico rinvio (par. C1).
3.1. (OMISSIS).
Le doglianze sollevate in tema di partecipazione della ricorrente (sub 3 dei motivi di ricorso) sono infondate. La sentenza impugnata risulta avere indicato, infatti, diversi elementi che, in ragione del contesto fattuale di riferimento, assumono valenza dimostrativa della partecipazione, con il ruolo di organizzatrice, al sodalizio diretto dal marito (OMISSIS). In particolare, e’ stato valorizzato anzitutto il ruolo di primo piano assunto dall’imputata nella gestione del (OMISSIS). Trattasi di un elemento di particolare significato, in quanto la vicenda (OMISSIS), per come descritta dalle sentenze di merito con le sue violente modalita’ di acquisizione, e’ simbolo della forza di intimidazione del clan (OMISSIS) e del relativo potere sul territorio di Ostia, anche alla luce delle persistenti condotte di intestazione fittizia volte a conservarne la proprieta’, per come gia’ accertato con decisioni divenute irrevocabili. L’avere pertanto affidato alla ricorrente un ruolo di primo piano nella gestione di tale attivita’ e’ dimostrativo dell’intraneita’ al sodalizio caratterizzato da una predominante componente di carattere familiare. Tale contributo assume particolare rilievo ai fini associativi in quanto si colloca anche nel periodo di tempo in cui il (OMISSIS) e’ sottoposto a misura cautelare e, quindi, assicura al sodalizio e al suo capo, in virtu’ della fiducia derivante dal legame coniugale, la piena operativita’.
Il contenuto illecito dell’opera prestata e la piena consapevolezza della sua valenza emerge anche da altri episodi citati dalla sentenza impugnata in cui la ricorrente risulta a conoscenza delle pretese usurarie vantate dal (OMISSIS), anche facendosene attiva promotrice, laddove emerge la circostanza che il ritorno delle somme prestate a titolo usurario, sarebbe stato impiegato per eseguire lavori di sistemazione dello stabilimento balneare (OMISSIS); alla medesima conclusione porta la vicenda della forzosa collocazione di macchinette elettroniche da gioco presso le attivita’ commerciali, pena la corresponsione di un importo mensile; rilevante e’ anche l’episodio relativo alla “rievocazione da parte di (OMISSIS) dell’offesa portata da (OMISSIS) anche al nome di (OMISSIS)”, dove sono presenti (OMISSIS) e (OMISSIS), unitamente al marito. In tale contesto, pertanto, l’aver ricordato i precedenti penali dell’imputata in concorso con il marito (OMISSIS) (sia in tema di violazione della legge stupefacenti che di usura continuata e di intestazione fittizia) non appare utilizzato per affermare una sorta di partecipazione di “autore”, ma a dare contenuto alla direzione finalistica delle condotte agevolative tenute nella prospettiva di commettere reati. Del resto, la conclusione raggiunta dal giudice del merito risulta coerente con l’impostazione accusatoria, la quale attribuisce alla ricorrente la commissione, in concorso anche con altri sodali, di tre delitti fine dell’associazione – (trattasi dei delitti di cui ai capi O), O1) e Q)) – costituiti da intestazioni fittizie di societa’, beni e/o attivita’ commerciali riferibili al clan (OMISSIS), in relazione alle quali le ipotesi base sono gia’ coperte da giudicato essendo stato rigettato il ricorso dell’imputata dalla Sesta sezione penale di questa Corte con la sentenza rescindente. Inoltre, per come emerge dalla sentenza impugnata, le intestazioni fittizie oggetto della contestazione elevata nel presente giudizio sono, in realta’, solo un segmento di altre analoghe intestazioni, aventi carattere temporalmente precedente o successivo e in relazione alle quali la ricorrente ha riportato condanna irrevocabile dalla Corte di appello di Roma del 16.12.2016 (condotte anche aggravate Decreto Legge n. 152 del 1991, ex articolo 7), ma unite dalla medesima finalita’ illecita volta, per un verso, a mascherare l’illegittima spoliazione del (OMISSIS) al legittimo titolare ed a schermarne la proprieta’ e, per altro verso, a concentrare nella famiglia (OMISSIS) il controllo di tutte le attivita’ economico-imprenditoriali connesse. La ricorrente, pertanto, risulta aver preso pienamente parte alla realizzazione di quei delitti fine aventi, in un determinato momento storico, carattere essenziale per l’affermazione e la conservazione del sodalizio, attraverso un contributo di carattere “costituente” che temporalmente si snoda ben oltre il periodo oggetto di intercettazione. Al riguardo, questa Corte ha, infatti, affermato come il giudice del merito ben possa ricavare la partecipazione al sodalizio dalla commissione dei delitti fine allorche’ questi, commessi in concorso con altri sodali, siano espressivi di un comune programma delittuoso, posto che attraverso di essi si manifesta la stessa operativita’ dell’associazione (ex multis, Sez. 2, n. 19435 del 31/372016, Rv. 266670). Peraltro, la finalizzazione in ottica associativa delle condotte illecite e dei contributi forniti dall’imputata trova logico riscontro anche nella genesi del clan (OMISSIS) ricostruita dalla sentenza impugnata, laddove si evidenzia come la ricorrente facesse a pieno titolo parte dell’iniziale associazione per delinquere “capeggiata nel 1998 da (OMISSIS) e dalla moglie (OMISSIS)”, ai quali pervenivano, in ragione del loro ruolo (sono definiti dal GUP come le “menti del gruppo”), i proventi delittuosi delle diverse attivita’ illecite (vedi pagg. 176, 177 e 189 della sentenza impugnata e le sentenze anche irrevocabili citate a carico di altri soggetti che sono stati imputati in procedimenti penali connessi che hanno visto coinvolti anche la ricorrente ed il marito utilizzabili a suo carico); tale sodalizio costituisce, infatti, l’antecedente fattuale rispetto a quello che successivamente ha acquisito la struttura di un’associazione di stampo mafioso.
Anche con riferimento all’attribuzione della qualifica di organizzatrice, la sentenza impugnata si sottrae al denunziato vizio di legittimita’. L’affermazione che la ricorrente “tratta in posizione di assoluta parita’ con il marito (OMISSIS)” non assume alcun rilievo apodittico, in quanto tale riconoscimento risulta collegato al ruolo di primo piano che alla stessa e’ attribuito nell’ambito della gestione del (OMISSIS), ove la ricorrente, nota come la “(OMISSIS)” (l’appellativo e’ riferito all’omonima societa’ che gestiva lo stabilimento balneare), si occupa direttamente di questioni inerenti alla societa’, da’ le direttive alle figlie sul comportamento da tenere in caso di controllo della polizia giudiziaria ed interviene in occasione della nomina degli amministratori. Trattasi di un ruolo di primo piano che non solo trae un riconoscimento “interno” al sodalizio (al riguardo viene sottolineata la critica espressa nei confronti dello stesso (OMISSIS) per l’atteggiamento ritenuto troppo morbido nella gestione dell’attivita’ di recupero di un credito dell’importo di Euro 10.000, per cui propone il suo diretto interessamento – vedi pag. 193 della sentenza impugnata), ma anche “esterno”, essendosi stati sottolineati dalla Corte di merito, nell’ambito delle vicende inerenti alla “c.d. zona grigia”, diversi episodi in cui emerge una sudditanza da parte di professionisti del settore pubblico e privato, pronti ad aderire o addirittura ad anticipare con estrema sollecitudine le richieste piu’ diverse, anche quando incompatibili con norme di legge o doveri deontologici. Un atteggiamento interpretato correttamente dai giudici di merito come manifestazione del “rispetto” dovuto alla ricorrente quale autorevole espressione del clan (OMISSIS).
In conclusione, l’affermazione di responsabilita’ nei confronti della (OMISSIS) non si fonda sul mero rapporto di parentela, ma viene supportata anche da oggettivi elementi espressione della stretta intraneita’ illecita al gruppo e dall’autonomo ruolo che nasce in forza di quel legame. Questa Corte (Sez. 2, n. 19177 del 15/03/2013, Rv. 255828) ha gia’ chiarito che, in presenza di rapporti di parentela tra i presunti partecipanti ad una associazione per delinquere di tipo mafioso, deve escludersi l’idoneita’ di semplici relazioni di parentela o di affinita’ a costituire, di per se’, prova od anche soltanto indizio dell’appartenenza di taluno all’associazione. Tuttavia, una volta accertata, da un lato, l’esistenza di un’organizzazione delinquenziale a base (anche) familiare e, dall’altro, una non occasionale attivita’ criminosa di singoli esponenti della stessa famiglia (intesa in senso lato), alla quale fa capo l’organizzazione stessa, nel medesimo campo nel quale questa opera, puo’ essere considerato come non privo di valore indiziante, in ordine alla partecipazione dei suindicati soggetti al sodalizio criminoso, anche il fatto che vi siano legami di parentela o affinita’ fra essi e coloro che in quel sodalizio occupano posizioni di vertice o, comunque, di rilievo (Sez. 2, n. 41736 del 9/4/2018, Rv. 274077; Sez. 2, n. 49007 del 16/9/2014, Rv. 261426; Sez. 3, n. 48568 del 25/2/2016, Rv. 268184).
3.2. (OMISSIS).
Infondate e/o manifestamente infondate sono le censure sollevate con riguardo alla partecipazione del ricorrente, correttamente ricondotta dalla sentenza impugnata alla figura del “partecipe” (sub 1 dei motivi di ricorso). Il legame con il clan (OMISSIS), invero, emerge anzitutto dal contributo fornito riguardo alle diverse operazioni di importazione di droga dall’estero; inoltre al ricorrente viene anche assegnato il compito di piazzare la droga (il “fumo”) e quello di prendere contatti con gli spacciatori al dettaglio.
Importante nella configurazione dello spessore della partecipazione all’associazione da parte del (OMISSIS) appare la richiesta autorizzazione al (OMISSIS) a compiere una rapina: l’esistenza di una condizione per l’esecuzione di un’attivita’ illecita, anche se finalizzata a soddisfare un interesse personale di un sodale, e’ logicamente indicativa di uno stato di soggezione e rispetto nei confronti del capo derivante da un vincolo di appartenenza al gruppo. Tale lettura del resto trova ulteriore conferma anche nell’ulteriore episodio citato dalla Corte di merito che vede il ricorrente sfuggire ad una rappresaglia di altri delinquenti, a causa di un affronto portato loro, “solo per rispetto al (OMISSIS) al quale era collegato”. Ricevere uno status di protezione – alla luce delle risultanze processuali – anche indiretto solo per l’appartenenza al clan di (OMISSIS) e’ significativo dell’essere “uomo a disposizione”, nella misura in cui colpire il (OMISSIS) avrebbe significato arrecare un affronto alla persona dello stesso (OMISSIS). Trattasi di un comportamento tipico delle dinamiche mafiose, in ossequio alla regola di rispettare l’autorita’ di colui che comanda su una determinata area territoriale. Parimenti significativo nell’ottica associativa deve essere ritenuto l’episodio che vede (OMISSIS) inizialmente fermare, tramite il (OMISSIS), la reazione punitiva che il ricorrente intendeva eseguire contro il (OMISSIS), ritenuto l’autore del ferimento del (OMISSIS), pusher di riferimento suo e del clan nella zona di spaccio di Tor Bella Monaca. Il rispetto dell’ordine (v. pag. 202 della sentenza impugnata) dimostra il consapevole inserimento dell’imputato in un contesto organizzato che gli impone l’osservanza di regole di comportamento stabilite dal vertice.
La circostanza, infine, che il ricorrente sia stato autorizzato dal (OMISSIS) a detenere, seppur al fine di commettere una rapina, una delle pistole appartenenti al gruppo (nella specie una 38 special di cui verra’ trovato in possesso nel corso di una perquisizione), avvalora ulteriormente, sul piano logico-fattuale, la conclusione in tema di partecipazione all’associazione raggiunta dalla Corte di merito. E’, infatti, del tutto illogico che un sodalizio presti ad un terzo estraneo una delle armi che ne costituiscono il compendio, in quanto solo un soggetto partecipe e fidato puo’ assicurare che, in caso di insuccesso dell’iniziativa che e’ stato autorizzato a compiere (perche’ fermato o arrestato), il gruppo non ne sara’ coinvolto quale “fonte” di provenienza dell’arma.
Gli elementi sopra evidenziati rendono, quindi, non pertinente, sul piano della coerenza e logicita’ della motivazione, il fatto che il ricorrente, secondo le deduzioni difensive introdotte con i motivi di ricorso, sia rimasto estraneo agli episodi di violenza e d’intimidazione consumati e tentati ai danni di (OMISSIS) “il pugile” e della (OMISSIS) e che, quindi, non puo’ essere definito espressione del braccio armato dell’organizzazione. In realta’ la stessa sentenza impugnata ha riconosciuto tale “qualita’” solo ai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), tanto da confermare l’assoluzione del ricorrente quale co-detentore delle altre armi dell’associazione per le quali, invece, gli altri coimputati sono stati condannati.
Altrettanto e’ a dirsi con riguardo al contenuto di un’intercettazione dalla quale emergerebbe il ruolo di esattore del ricorrente per conto del sodalizio, secondo la difesa non riconducibile all’imputato in quanto indicato solo per nome. La censura e’ generica in quanto non si confronta con le altre intercettazioni pure riportate nella sentenza ove il ricorrente viene evocato con il nome di ” (OMISSIS)” e con il contesto associativo di riferimento che rende tale elemento indicativo del coinvolgimento proprio del ricorrente.
Inammissibile, infine, e’ anche la doglianza volta a ricondurre le ragioni del programmato attentato ai danni del (OMISSIS) ad un diverso movente, estraneo alle dinamiche associative riconducibili al clan (OMISSIS), in quanto tale valutazione omette di confrontarsi con i plurimi e convergenti elementi indicati dal giudice del merito che consentono di sostenere anche un movente di carattere concorrente, quale quello di vendicarsi per l’avvenuto ferimento di un pusher riconducibile al sodalizio, oltre quello “passionale” accertato in altra sede (sullo specifico punto vedi par. C.3.2).
3.3. (OMISSIS).
Anche per tale imputato risultano infondate le censure mosse a proposito della condotta di partecipazione. Deve essere ribadita preliminarmente anche in relazione all’affermazione di responsabilita’ ex articolo 416-bis c.p., la rilevanza delle condotte prestate a favore della connessa associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui si e’ detto in premessa. Tale attivita’, causalmente volta a realizzare anche una delle finalita’ del sodalizio mafioso, risulta ulteriormente supportata dalla circostanza della co-detenzione, da parte del ricorrente, delle armi del sodalizio. Peraltro, gia’ la Sesta sezione penale di questa Corte nel rigettare il ricorso dell’imputato avverso la prima sentenza di appello con riguardo al capo S) – relativo alle armi -, aveva evidenziato la genericita’ del motivo dedotto rispetto all’evidenza del contenuto delle conversazioni intercettate; si fa riferimento in particolare alla conversazione del (OMISSIS) con il (OMISSIS) nel corso della quale il medesimo (OMISSIS) esterna il dissenso alla consegna delle armi al (OMISSIS), palesandone in tal modo la disponibilita’ (peraltro nella sentenza impugnata vengono, al riguardo, menzionate anche altre conversazioni intercorse con (OMISSIS) ed anche con (OMISSIS)).
La circostanza che il gruppo (OMISSIS) fosse armato proprio con riferimento al compendio balistico rinvenuto in suo possesso rinviene nella sentenza impugnata congrua motivazione; e’ stato precisato, infatti, come e’ proprio all’intervento di (OMISSIS) che si deve la risoluzione della controversia insorta a causa della richiesta di restituzione delle pistole avanzata da (OMISSIS) a (OMISSIS) e (OMISSIS). Inoltre, molteplici sono i dialoghi in cui si fa riferimento all’uso delle armi (nel modello indicate) per compiere minacce, attentati o vendette nell’interesse del gruppo che vedono come diretto protagonista anche il ricorrente (significativa e’ la vicenda relativa alla reazione da compiere per conto del clan (OMISSIS) contro il (OMISSIS), reo di essere stato l’autore del ferimento del (OMISSIS)).
In conclusione, gli elementi evocati dal giudice del merito danno conto della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso, quale soggetto attivamente a disposizione della compagine attraverso ripetuti contributi causalmente volti a perseguire le finalita’ illecite del clan ovvero a difenderne l’integrita’. Ne consegue che, in tale ambito, risulta anche logico e coerente avere ricondotto la co-detenzione delle armi alla finalita’ di agevolare il sodalizio mafioso, cosi’ ponendosi rimedio al vizio motivazionale in cui era incorsa la prima sentenza di appello che aveva escluso riguardo alla illegale co-detenzione delle armi l’aggravante speciale in ragione del disconoscimento della natura mafiosa del sodalizio. Anche il terzo motivo di ricorso dell’imputato relativo all’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 contestata a proposito della detenzione illegale delle armi deve ritenersi pertanto infondato.
3.4. (OMISSIS).
Con riferimento alla posizione di (OMISSIS) Fasci’ani ritiene il Collegio che sia infondato il motivo di ricorso (sub 3.4) in tema di partecipazione. La circostanza che il giudice del merito non abbia asseverato una responsabilita’ del ricorrente con riguardo ai delitti in materia di armi e di estorsione non fa venir meno, tanto sul piano della corretta applicazione della legge penale che della coerenza e logicita’ della motivazione, la ritenuta partecipazione dell’imputato anche al sodalizio di stampo mafioso capeggiato dallo zio (OMISSIS).
Invero, a conferma dell’intraneita’ del ricorrente all’associazione de qua, la sentenza impugnata ha evocato, oltre alle condotte al ricorrente ascritte in materia di violazione della legge stupefacenti – causalmente finalizzate a rafforzare anche il sodalizio di stampo mafioso (vedi par. C.3.4) -, ulteriori comportamenti aventi una specifica valenza dimostrativa. Cosi’ e’ stato fatto riferimento alla scrittura sotto dettatura dello zio (OMISSIS), detenuto presso l'(OMISSIS) agli arresti domiciliari, di un messaggio da recapitare ad opera di altri sodali ed il cui contenuto, in ragione della modalita’ delle richieste formulate per riscuotere una somma di denaro (alternativa tra pagamento in denaro o adempimento reale mediante consegna di orologio Rolex o autovettura,
previo colloquio diretto con (OMISSIS) per “scegliere” l’opzione di pagamento), e’ stato ragionevolmente ricondotto a rapporti aventi contenuto usurario. Anche l’intestazione fittizia da parte di (OMISSIS) in favore dello zio (OMISSIS) di uno degli immobili utilizzati per portare a termine l’operazione volta all’acquisizione del (OMISSIS) dalla precedente proprieta’ costituisce espressione dei contributi che, unitamente a quello apportato all’associazione finalizzata al traffico di droga (il ricorrente e’ il latore dalla Spagna dei “pizzini” diretti, tramite il (OMISSIS), allo zio (OMISSIS), sul punto vedi par. C.3.4 e C.1), sono stati correttamente ricondotti nell’alveo della figura del partecipe e non del concorrente esterno, anche in ragione anche della particolare affectio societatis dimostrata dal ricorrente. A tale riguardo, infatti, deve essere sottolineato – come si precisera’ nel paragrafo C.1 dedicato al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 – che il ricorrente, nel riferire in ordine a questioni legate ai traffici di droga o ai ruoli che alcuni sodali debbano svolgere all’interno dell’associazione, parla con lo zio di altri familiari ( (OMISSIS)) o coimputati ( (OMISSIS), (OMISSIS)), con la piena consapevolezza del ruolo di capo rivestito dal (OMISSIS) e del potere decisionale ad esso riconosciuto. La stessa intestazione fittizia di uno degli immobili che dovra’ servire a giustificare formalmente l’acquisto del (OMISSIS), destinato a divenire il simbolo del potere del clan (OMISSIS) in Ostia e le cui modalita’ di acquisizione sono chiara espressione dell’evidente carattere mafioso assunto dal sodalizio (vedi sul punto pag. 180 e ss. della sentenza impugnata), da’ ragionevolmente conto del diretto coinvolgimento del ricorrente negli interessi perseguiti dall’associazione ” (OMISSIS)”, alla cui realizzazione egli si presta consapevolmente. Cio’ spiega anche la ragione per la quale lo zio (OMISSIS) metta al corrente e commenti con l’imputato un episodio illecito di particolare rilievo che vede coinvolto (OMISSIS), sodale nell’ambito dell’associazione finalizzata al traffico di droga.
Allorche’ si e’ asseverata l’esistenza di un sodalizio caratterizzato da una prevalente componente di carattere familiare che ne detiene le redini, nessuna manifesta illogicita’ sconta la motivazione della sentenza impugnata laddove, poi, riconduce al tema associativo anche l’intento manifestato dal ricorrente di vendicare l’offesa portata dall’ex pugile (OMISSIS) al nome dei (OMISSIS), coniugandosi il risentimento familiare con quello proprio del nomen attribuito e riconosciuto al sodalizio. In tema di associazione mafiosa, questa Corte ha affermato che la condotta di partecipazione si distingue da quella del concorrente ex articolo 110 c.p. perche’, a differenza di questa, implica l’esistenza del “pactum sceleris”, con riferimento alla consorteria criminale, e delraffectio societatis”, in relazione alla consapevolezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata. Ne consegue che e’ punibile, a titolo di partecipazione e non in applicazione della disciplina del concorso esterno, colui che presta la sua adesione ed il suo contributo all’attivita’ associativa, anche per una fase temporalmente limitata (Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012, Rv. 254105). Nel caso in esame, dalla ricostruzione dei giudici di merito risulta come il ricorrente, seppur per un periodo di tempo limitato ma comunque apprezzabile, sia stato attivamente a disposizione del clan che poteva contare su di lui anche in costanza di latitanza (vedi par. C.3.4. sulla vicenda dei biglietti e l’incontro in territorio spagnolo con il (OMISSIS), incaricato di tessere le fila del traffico internazionale di stupefacenti per conto del sodalizio dei (OMISSIS)). Il tema della partecipazione dell’imputato, pertanto, lungi dall’essere risolto mediante una mera “traslazione” dei ruoli allo stesso assegnati dalle decisioni di merito (da dirigente secondo la sentenza di primo grado a partecipe secondo quella di secondo grado) e’ stato affrontato e risolto dalla Corte territoriale con motivazione congrua e scevra da vizi logici e giuridici, pienamente aderente alle risultanze processuali.
3.5. (OMISSIS).
Anche con riguardo all’imputata (OMISSIS) risulta infondata la censura mossa in tema di partecipazione all’associazione a delinquere di stampo mafioso (sub 2 dei motivi di ricorso). Pienamente idonee, a detti fini, risultano le molteplici intestazioni fittizie alle quali la ricorrente si e’ prestata, in quanto volte nel tempo a realizzare la mutevole schermatura dei beni aziendali riferibili al sodalizio a conduzione eminentemente parentale. L’aver assunto, per come riconosciuto anche da decisioni divenute irrevocabili, il ruolo di co-artefice e strumento delle concrete modalita’ attuative del vorticoso giro di persone giuridiche inerenti al (OMISSIS) (alla ricorrente si deve anche il compimento del fatto storico causalmente volto a dar vita all’operazione (OMISSIS) avendo sottoscritto, unitamente alla sorella, il preliminare per l’acquisto), in cui coinvolge anche altre persone a lei direttamente riferibili, ne fa un tassello importante nella realizzazione delle scelte strategiche del sodalizio che, per come compiutamente evidenziato dalle sentenze di merito, riguardano il cespite patrimoniale di maggior rilievo, nonche’ simbolo del “dominio” dei (OMISSIS) sul territorio di Ostia.
La circostanza che il (OMISSIS) faccia riferimento alla ricorrente, nel corso di una conversazione con la figlia (OMISSIS), come facente parte di una sorta di “direttorio” familiare volto a decidere sulle comuni strategie da adottare per preservare il (OMISSIS) da possibili aggressioni giudiziarie nell’ambito di procedimenti penali o di prevenzione, nonche’ l’esistenza in capo A1l’imputata di un ambito di autonomia gestionale nell’amministrazione del (OMISSIS), esclude, sul piano della logicita’ della motivazione, che ella sia stata mera esecutrice inconsapevole del volere altrui. Del tutto isolata resta, quindi, l’ipotesi difensiva secondo cui il coinvolgimento della stessa nella vicenda (OMISSIS) si debba ad un interesse patrimoniale di carattere esclusivamente personale della ricorrente, rispetto ad una lettura del suo coinvolgimento fatta propria dai giudici di merito che logicamente ne valorizza la funzione essenziale di persona a disposizione del clan per l’acquisizione e la conservazione del bene in questione.
D’altra parte le emergenze probatorie sono significativamente dimostrative del fatto che la ricorrente si sia resa protagonista del compimento di piu’ atti esecutivi del programma criminoso idonei a rafforzare la struttura operativa del gruppo ed attraverso i quali si e’ manifestata in concreto l’operativita’ e la “presenza” sul territorio dell’associazione medesima. Inoltre, i plurimi delitti d’intestazione fittizia commessi dalla ricorrente sono stati correttamente ritenuti volti a celare gli interessi illeciti direttamente riconducibili al sodalizio, proprio in considerazione della sottostante causale di carattere associativo (sul rilievo a fini partecipativi del compimento di una o piu’ attivita’ significative nell’interesse dell’associazione, vedi Sez. 2, n. 18559 del 13/3/2019, Rv. 276122; sulla possibilita’ per il giudice del merito di trarre la prova della partecipazione dalla commissione di delitti fine rientranti nel programma associativo, cfr. Sez. 2, n. 19435 del 31/3/2016, Rv. 266670; Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2016, dep. 2013, Rv. 254233).
Quanto, poi, al profilo relativo alla prevedibilita’ (sub 3 dei motivi di ricorso) che il sodalizio potesse essere ricondotto nella piu’ grave fattispecie associativa di stampo mafioso, si rinvia a quanto sopra precisato in tema di premessa generale, evidenziandosi, tuttavia, come i plurimi atti di prepotente abuso e sopraffazione che il giudice del merito ha evocato come dimostrativi della forza di intimidazione del clan (OMISSIS) si collochino notoriamente anche in epoca coeva e successiva all’inizio del contributo fornito dalla ricorrente attraverso la sottoscrizione del preliminare di acquisto delle quote della societa’ ” (OMISSIS)”. Invero, proprio la vicenda relativa all’acquisizione del (OMISSIS) – accompagnata da plurimi atti intimidatori nei confronti degli originari proprietari – si pone nella sentenza impugnata quale momento emblematico di esteriorizzazione del metodo mafioso (vedi pagg. 180 e ss. della sentenza impugnata).
3.6. (OMISSIS).
Manifestamente infondato per genericita’ e’ il motivo di ricorso in tema di partecipazione con funzioni apicali all’associazione a delinquere di stampo mafioso da parte di (OMISSIS) (sub 5 dei motivi di ricorso). A parere del Collegio la Corte territoriale, infatti, non ha fondato l’affermazione di responsabilita’ dello stesso facendo riferimento alla “caratura criminale” dell’imputato tratta dai suoi precedenti penali, ma sulla scorta di precisi indici fattuali altamente dimostrativi della sua qualita’ di artefice di tutte le iniziative di carattere illecito finalizzate alla costituzione dell’omonimo clan con le tipiche caratteristiche di stampo mafioso. La presenza di ordini e direttive rivolte agli associati, il via libera dato alla commissione di reati, l’assunzione delle determinazioni relative alla strategia del sodalizio e alla commissione dei relativi delitti fine, le cointeressenze con gli altri sodali, l’incontestato riconoscimento del suo ruolo primario attribuitogli dai correi, e financo da altri personaggi di rilievo appartenenti ad altri gruppi criminali, danno chiara dimostrazione della correttezza della lettura in chiave associativa che degli episodi criminosi ad egli ascritti ha operato la sentenza impugnata. Di conseguenza, assolutamente fisiologico e conseguenziale risulta l’identificazione operata dal giudice del merito del suo stesso nome con la consorteria oggetto del giudizio de quo e l’attribuzione allo stesso del ruolo di capo.
3.6. (OMISSIS).
Infondate sono le censure mosse in ordine alla partecipazione della ricorrente (OMISSIS) al gruppo associativo (sub 1.2 dei motivi di ricorso). La circostanza che la stessa abbia coadiuvato il padre (OMISSIS) nel coltivare i rapporti con gli altri associati allorquando si trovava in clinica agli arresti domiciliari non risulta l’unico elemento indicato dalla sentenza impugnata a sostegno della condotta di partecipazione. Infatti, partendo dalla incontestabile rilevanza causale dell’opera di chi assicura le comunicazioni verso l’esterno per conto del capo di un’organizzazione, consentendogli, in tal modo, di continuare a dirigere i traffici illeciti dell’associazione, vanificando cosi’ le finalita’ della misura cautelare cui era notoriamente sottoposto, va evidenziato come i giudici di merito abbiano indicato altri elementi dimostrativi sia della consapevolezza dell’imputata della funzionalita’ del suo ruolo al perseguimento delle finalita’ associative, quanto dell’importanza della sua presenza quale riferimento per evenienze di carattere contingente.
Infatti, gia’ in epoca remota (1998-2000), la ricorrente e’ risultata essere stata coinvolta in vicende che l’hanno vista protagonista nella compagine criminosa. In particolare alla stessa e’ stata affidata la titolarita’ di procure ad operare su alcuni c/c tedeschi interessati dall’operazione oggetto del reato di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-quinquies (trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori) contestato a suo padre (OMISSIS); ha sottoscritto insieme alla sorella (OMISSIS) il compromesso per l’acquisto dello stabilimento balneare (OMISSIS); e’ stata incaricata a svolgere le funzioni del padre ( (OMISSIS)) nel periodo in cui quest’ultimo era detenuto agli arresti domiciliari, per la risoluzione di problemi attinenti alla conduzione del (OMISSIS); ha informato il padre sullo stato di una trattativa gia’ in fase avanzata (senza alcuna direttiva del (OMISSIS)) e relativa alla concessione di un prestito a titolo di usura (c.d. poliambulatorio); e’ stata a conoscenza di “affari di famiglia” concernenti ancora reati di usura e/o estorsione (significativa al riguardo una conversazione con il padre relativa al recupero della somma di Euro 1.500,00; vedi pagg. 193 e 216 della sentenza impugnata); ha gestito in autonomia un “portafoglio” di debitori, riservandosi sul punto qualsiasi tipo di decisione (con il solo onere di informare periodicamente il padre sull’andamento dell’attivita’ usuraria); ha partecipato a riunioni di rilievo per la vita del sodalizio (il riferimento e’ agli incontri per la restituzione delle armi richieste da (OMISSIS) e alle decisioni da assumere a seguito del ferimento del (OMISSIS), vicenda nell’ambito della quale la ricorrente ha convocato uno dei sodali, il (OMISSIS) al cospetto del padre in merito all’autorizzazione circa la rappresaglia da intraprendere contro il (OMISSIS), reo di essere l’autore di tale gesto; vedi pagg. 112 e ss. della sentenza impugnata); e’ presente, poi, nell’occasione in cui il padre concede l’assenso al (OMISSIS) per “lavorare”.
Confermano, altresi’, il consapevole coinvolgimento della ricorrente negli affari del clan (OMISSIS) il concorso nella commissione delle intestazioni fittizie di cui ai capi O) ed O1) della rubrica, volte alla conservazione del (OMISSIS) nel dominio della famiglia, nonche’ la partecipazione al sodalizio finalizzato al traffico di droga (al riguardo vedi par. C.3.6).
Di conseguenza, alla luce del complesso degli elementi indicati, correttamente alla ricorrente e’ stato assegnato nella sentenza impugnata il ruolo di partecipe sia in virtu’ della funzione di nuncius del padre, sia di quello di soggetto operativo a disposizione della consorteria. Costituisce, infatti, un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui integra il delitto di partecipazione all’associazione la condotta di colui che assolve il compito di far circolare messaggi, ordini ed informazioni tra i soggetti in posizione apicale detenuti e i partecipi in liberta’. (Fattispecie relativa alla moglie di un capo clan che informava regolarmente il marito ristretto in carcere della condizione dei sodali latitanti e dell’andamento del traffico di stupefacenti gestito dall’organizzazione – Sez. 2, n. 41736 del 9/4/2018, Rv. 274077; Sez. 2, n. 13506 del 28/2/2013, Rv. 255731). Nel caso in esame, i messaggi e le informazioni di cui la ricorrente veniva a conoscenza erano, infatti, diretti ad un soggetto all’epoca in stato di detenzione ospedaliera, “attenzionato” dalle forze dell’ordine (la stessa sentenza evidenzia i particolari accorgimenti utilizzati dagli associati soprattutto dopo gli arresti di alcuni di loro, per comunicare con il (OMISSIS)) e con un ruolo apicale in quanto capo del sodalizio. E’, dunque, per il tramite della figlia (OMISSIS) che il padre puo’ tenere i contatti con gli altri sodali direttamente impegnati nella commissione delle attivita’ illecite perseguite dall’associazione. Si tratta, all’evidenza, di un comportamento causalmente efficiente, supportato, per come sopra indicato, dal dolo di partecipazione, ben ricavato dalla diretta interlocuzione con il genitore e dalla presenza della ricorrente nelle riunioni tenute dal padre con gli altri sodali ovvero nei contatti avuti con alcuni di essi. Tanto sarebbe sufficiente ad asseverare la qualita’ riconosciutale dalla decisione impugnata.
Le altre condotte criminose attribuitole dal giudice del merito danno conferma ulteriore dell’intraneita’ della ricorrente al contesto associativo, dimostrando come il sodalizio potesse contare in ogni momento sulla sua vicinanza al padre per intervenire in relazione alle piu’ varie contingenze operative, come si deduce anche dall’espresso riferimento che alla medesima fa (OMISSIS) in uno dei suoi “biglietti” indirizzati allo zio (OMISSIS), ove viene indicata come quella che puo’ intercedere per la risoluzione di una questione in cui e’ coinvolta una persona che lui raccomanda (vedi pagg. 258 e ss. della sentenza di primo grado richiamata sul punto da quella impugnata).
La condotta di partecipazione risulta, pertanto, essere stata correttamente ricavata in forza di una permanente e stabile disponibilita’ per il perseguimento dello scopo sociale che si e’ concretizzata attraverso comportamenti contributivi che hanno di fatto accresciuto la potenziale capacita’ operativa del sodalizio.
Tale quadro probatorio affronta positivamente anche la prova di “resistenza” rispetto a circostanze su cui si appuntano le censure della difesa per contrastare le conclusioni raggiunte in ordine alla vicenda del credito vantato dal padre nei confronti del titolare della ” (OMISSIS)”, e alla valutazione di conversazioni concernenti importi di incerta provenienza, verosimilmente illecita (facendosi richiamo a specifiche e menzionate localita’ quali “Prenestina”.. “San Basilio”..), ma che trovano solo generici elementi di riferimento negli atti processuali.
3.7. (OMISSIS).
Infondate sono le doglianze mosse in tema di partecipazione dal ricorrente (OMISSIS) (sub 2.3. seconda parte dei motivi di ricorso). Le doglianze difensive si sono incentrate sull’assenza, per tale imputato, di elementi pregressi di collegamento temporale e giudiziario con l’associazione a delinquere semplice e i traffici delittuosi riferibili al fratello e agli altri familiari (anche se sul punto la sentenza impugnata precisa, per dovere di completezza, come il ricorrente annoveri un coinvolgimento con il (OMISSIS) in un processo penale per plurimi episodi di usura conclusosi con declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati), ovvero della commissione di delitti fine espressione della pervasivita’ nel tessuto economico-sociale del sodalizio di stampo mafioso. Tuttavia a parere del Collegio, la verifica compiuta dal giudice del merito e gli elementi all’uopo valorizzati sgombrano il campo da ogni incertezza probatoria concernente la sussumibilita’ della condotta tenuta dal ricorrente, per come accertata dai giudici di merito, nel corretto paradigma della partecipaizone associativa contestata. Infatti, nella sentenza impugnata si da’ atto dell’assenza di precedenti penali significativi (quelli annoverati dall’imputato sono risalenti agli anni 1992 e 1998), della duplice assoluzione in ordine ai capi L) e P) della rubrica e del mancato coinvolgimento nel traffico di stupefacenti, non essendo stati rinvenuti nelle dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS) adeguati elementi di riscontro.
Tuttavia, in base agli ulteriori elementi probatori acquisiti, l’affermazione di responsabilita’ del ricorrente si sottrae ai vizi denunciati. La condotta di partecipazione e’ stata, infatti, ricavata da un serie di “indicatori” chiara espressione del rapporto fiduciario che legava i due fratelli all’interno del sodalizio criminale. Viene valutato a tale fine particolarmente significativo l’episodio concernente il recupero delle armi del sodalizio detenute dal (OMISSIS) e da (OMISSIS), di cui e’ stato incaricato proprio il (OMISSIS). Che l’ordine promanasse dal (OMISSIS) e non fosse un’iniziativa estemporanea e personale del (OMISSIS) e’ stato spiegato dalla Corte di merito con congrua motivazione esente da censure logico-giuridiche. Si e’ escluso, infatti, che l’ordine trovasse la sua ragione nell’esigenza di rivendere le armi per sanare i debiti derivanti dalla latitanza in territorio spagnolo del figlio (OMISSIS)-+10. Quest’ultimo, infatti, e’ stato assolto dal reato di concorso nella detenzione e nel porto delle armi del sodalizio (con la conseguenza che non poteva ritenersi provenire la richiesta da tale imputato); inoltre, l’esistenza in capo A1 (OMISSIS) di redditi stabili e cospicui derivanti dall’attivita’ commerciale svolta dal ricorrente escludono la presenza di una giustificazione di vendita delle stesse per ragioni di ordine finanziario. Inoltre, in presenza dell’iniziale perplessita’ manifestata da (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’aderire alla richiesta di restituzione delle armi, ha fatto seguito il diretto intervento del (OMISSIS) per suggellare l’autenticita’ della provenienza dell’ordine dal capo del sodalizio, con conseguente restituzione delle armi fatte pervenire ai destinatari delle richieste. In questo caso ritiene il Collegio che le letture alternative del compendio probatorio non sono consentite in queste sede a fronte di motivazione logicamente espressa, da cui si rileva come al contributo causale volto all’esecuzione di un ordine del capo, si accompagna anche la partecipazione alla riunione “strategica” sulla destinazione delle armi.
D’altra parte, la circostanza che il ricorrente conoscesse coloro che detenevano le armi del sodalizio e’ un ulteriore indice di intraneita’ dello stesso all’associazione, in quanto trattasi di condivisione di un’informazione vitale per l’esistenza e l’operativita’ del clan di appartenenza. A fronte, pertanto, di un’attivita’ altamente significativa per il sodalizio (la sentenza rescindente ha posto il giudicato sulla co-detenzione delle armi da parte del ricorrente unitamente a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per la sola pistola Glock), l’essere consapevole dell’identita’ dei detentori delle armi e l’avere a questi rivolto la richiesta di riconsegnarle esprime – per come gia’ evidenziato dalla sentenza di annullamento (pag. 49) – il potere di fatto sulle stesse. La successiva partecipazione alla riunione on il capo e la sua collaboratrice (OMISSIS) per decidere su una questione di tale delicatezza, esclude che il contributo del ricorrente possa essere ricondotto a differenti ipotesi di reato (concorso esterno), dovendosi correttamente ritenere che solo ad un associato di riconosciuta affectio e’ consentito interloquire e presenziare alla determinazione del clan. In questo caso la prova dell’appartenenza all’associazione mafiosa trova coerente motivazione anche nella ricostruzione complessiva della rete dei rapporti personali, dei contatti, delle cointeressenze e delle frequentazioni, come dimostrato anche da altri procedimenti gia’ passati in giudicato, rilevanti ai fini della dimostrazione dell’affectio societatis (Sez. 5, n. 13701 del 14/2/2014, Rv. 260211, Sez. 5, n. 47602 del 29/11/2012, Rv. 254105), da valutarsi, dunque, alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo effettivo che emergono anche da significativi “facta concludentia” (Sez. 5, n. 32020 del 16/3/2018, Rv. 273571).
3.8. (OMISSIS).
Manifestamente infondate sono le doglianze mosse riguardo la condotta di partecipazione contestata a (OMISSIS) (sub 2 dei motivi di ricorso e 6.2 dei motivi aggiunti). La sentenza impugnata poggia la sua affermazione di responsabilita’ in ordine al reato associativo su molteplici indici dimostrativi che vedono il ricorrente coinvolto in prima persona e con un ruolo di primo piano nel disegno perseguito dal (OMISSIS) di realizzare una fitta rete di canali di approvvigionamento di droga dall’estero utilizzabili dall’associazione (sul punto vedi par. C.3.8). Questa scelta “espansionistica” dell’attivita’ del gruppo criminale rispondeva ad una precisa strategia del sodalizio di stampo mafioso che, con l’incremento dei traffici di droga, intendeva rafforzare la sua caratura criminale. La condotta di partecipazione si ricava non solo dal pieno coinvolgimento del ricorrente nelle plurime vicende di importazione di droga, ma anche in quello relativo alla co-detenzione delle armi, di vitale importanza per l’operativita’ ed il rafforzamento del sodalizio di stampo mafioso e nelle varie “iniziative” che attengono alle “reazioni” che lo stesso clan (OMISSIS) avrebbe dovuto assumere nei momenti di conflittualita’, al fine di rafforzare il suo prestigio criminale e la presenza sul territorio (il riferimento e’ alle vicende (OMISSIS) e (OMISSIS)).
Per quanto riguarda il profilo giuridico della contestazione, occorre sottolineare che il clan (OMISSIS) aveva strutturato al suo interno un riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico, riservando al nucleo familiare la gestione delle attivita’ piu’ propriamente incidenti nel tessuto economico-sociale territoriale. Con riferimento invece all’attivita’ organizzativa spesa ai fini della partecipazione del sodalizio mafioso nell’attivita’ di narcotraffico emerge lo specifico impegno, tra cui quello del ricorrente, a stabilizzare una posizione del sodalizio mafioso all’esterno, anche senza avvalersi necessariamente del metodo mafioso (Sez. 1, n. 17702 del 21/1/2010, Rv. 247059; in tema di rilievo delle condotte Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 ai fini della partecipazione all’associazione di stampo mafioso, vedi Sez. 2, n. 26725 del 1/3/2013, Rv. 256724; Sez. 6, n. 31908 del 14/5/2019, Rv. 276469).
Nessun rilievo assume, in difetto di ricorso per cassazione del pubblico ministero, ai fini della risoluzione delle questioni poste in tema di partecipazione al delitto di cui al capo D) della rubrica, la circostanza che la Corte di merito, pur avendo argomentato nel senso di riconoscere al ricorrente un ruolo “autonomo – organizzativo” anche nel sodalizio mafioso (vedi pag. 216 della sentenza impugnata), lo abbia poi condannato come partecipe con una pena in continuazione contenuta (vedi pag. 248 della sentenza impugnata). Peraltro, anche a voler considerare eventuali profili di contraddittorieta’ nell’attribuzione motivazionale di “pari” ruoli al ricorrente in entrambe le associazioni, vi sarebbe comunque carenza di interesse in ordine alla deduzione della censura in quanto all’imputato e’ stata poi inflitta la pena per il semplice ruolo di partecipe, applicando una valutazione riconducibile al concorso formale per il calcolo della sanzione tra il reato di cui all’articolo 416-bis c.p. ed il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 (S.U. n. 1149 del 25/9/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883).
4. L’aggravante dell’essere l’associazione armata (articolo 416-bis c.p., comma 4).
La circostanza aggravante dell’essere l’associazione di stampo mafioso armata e’ stata riconosciuta nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Non sono stati proposti specifici motivi dai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali peraltro risultano essere stati condannati il primo per la detenzione di una delle pistole dell’associazione, di cui aveva ottenuto la disponibilita’ per commettere una rapina dietro l’autorizzazione del capo clan (OMISSIS) e, il secondo, per avere custodito le armi del sodalizio per un periodo di cinque mesi, di cui poi disponeva secondo le determinazioni del capo (OMISSIS).
Diversamente hanno invece proposto motivi di ricorso gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS).
Quanto a (OMISSIS), la doglianza (vedi sub 1.2 dei motivi di ricorso) e’ inammissibile poiche’ genericamente formulata.
Quella avanzata da (OMISSIS) (sub 3.1. dei motivi di ricorso) e’ manifestamente infondata, in quanto poggia su una prospettiva di merito, smentita dalla sentenza impugnata, secondo cui le armi detenute dal ricorrente non sarebbero riconducibili al sodalizio. La Corte territoriale, invece, con motivazione congrua ha ritenuto che le armi di cui il ricorrente ha avuto la diretta disponibilita’ fossero direttamente riconducibili all’associazione di stampo mafioso in ragione del potere di decisione sulla sorte e sull’impiego delle stesse da parte del capo (OMISSIS) e di ulteriori molteplici indici fattuali ricavati dal compendio intercettivo in cui i diversi sodali (tra cui proprio quelli nei cui confronti la circostanza e’ stata riconosciuta) fanno riferimento alle armi ed alla necessita’ di utilizzarle nell’ambito delle illecite dinamiche proprie del sodalizio.
Quanto a (OMISSIS), e’ asseverato da tutte le sentenze di merito e dalla sentenza rescindente (pag. 48) che il ricorrente non solo fosse consapevole di tale detenzione come dimostrano gli espliciti colloqui tra i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ma che avesse, in ragione del ruolo di capo, poteri dispositivi, per come si ricava sia dall’autorizzazione alla consegna della pistola Glock al (OMISSIS) necessaria allo stesso per commettere una rapina, sia dalla decisione sulla sorte delle armi allorche’ il fratello (OMISSIS) ne chiese la restituzione ai custodi. Pertanto, la riconducibilita’ delle armi al ricorrente non si fonda su una mera presunzione derivante dal suo ruolo di capo del sodalizio – pur evocata dalla Corte di merito quale ulteriore elemento logico di supporto – ma su specifici episodi fortemente dimostrativi dello stretto legame di consapevolezza che di fatto egli aveva sia in ordine al possesso delle armi che del loro eventuale impiego.
Infine, con riferimento a (OMISSIS) (sub 4 dei motivi di ricorso), la consapevolezza della disponibilita’ di armi da parte del sodalizio e’ stata desunta tanto dal riferimento al contenuto di diverse intercettazioni in cui, in sua presenza, si fa riferimento alle armi e al potere di disporre delle stesse da parte del padre, sia dalla presenza della ricorrente alla riunione con (OMISSIS) e (OMISSIS) in data 11.4.2013 a “(OMISSIS)” (ove il (OMISSIS) era detenuto agli arresti domiciliari) per risolvere la questione relativa alla consegna delle armi da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) a seguito della richiesta fatta loro da (OMISSIS) (sul punto vedi par. B.3.7).
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata, nell’analisi complessiva della piattaforma probatoria acquisita tanto in punto di riconducibilita’ delle armi al sodalizio di stampo mafioso e agli scopi da questo perseguiti, quanto alla piena consapevolezza in capo ai ricorrenti della presenza di armi, si sottrae ai vizi di legittimita’ denunziati.
5. L’aggravante del riciclaggio “mafioso” (articolo 416-bis c.p., comma 6).
La circostanza e’ stata riconosciuta in motivazione nei confronti di tutti gli imputati condannati per la partecipazione al sodalizio di stampo mafioso di cui al capo D) della rubrica ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); vedi pag. 227 della sentenza impugnata). Nei confronti di (OMISSIS) la condanna per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6, e’ irrevocabile non avendo egli proposto ricorso per cassazione. Le conclusioni tratte sul punto dai giudici di merito e passate in giudicato costituiscono un elemento ulteriore di valutazione nel presente procedimento in relazione alla fondatezza delle doglianze proposte dai ricorrenti.
Tutti i ricorrenti hanno censurato l’applicazione dell’aggravante de qua sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione. Al riguardo, osserva la Corte che devono ritenersi inammissibili, poiche’ generici, i motivi dedotti da (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente, sub 1.2 e sub 3 dei motivi dei ricorsi); devono ritenersi infondate le censure sollevate dagli altri ricorrenti ( (OMISSIS) sub 4; (OMISSIS) sub 4; (OMISSIS) sub 4; (OMISSIS) sub 5; (OMISSIS) sub 6; (OMISSIS) sub 2; (OMISSIS) sub 3). La parziale sovrapponibilita’ delle questioni sollevate ne consente almeno in parte qua una trattazione unitaria, arricchita dalle specifiche valutazioni riferite alle censure proprie delle singole posizioni dei ricorrenti.
Cio’ premesso, il Collegio condivide la qualificazione riconosciuta dai giudici di merito della natura oggettiva della circostanza in esame, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, financo espressa a Sezioni Unite (S.U., n. 25191 del 27/02/2014, Mediate, Rv. 259589; tra le altre, Sez. 5, n. 52094 del 30/09/2014, Rv. 261334; Sez. 5, n. 12251 del 25/01/2012, Rv. 252172; Sez. 6, n. 6547 del 10/10/2011 -dep. 17/02/2012-, Rv. 252114; Sez. 6, n. 42385 del 15/10/2009, Rv. 244904; Sez. 1, n. 4375 del 25/06/1996, Rv. 205497). In proposito si osserva, richiamando quanto sostenuto da autorevole dottrina, come l’aggravante rappresenti una sorta di “progressione criminosa” rispetto al reato-base e denoti la maggiore pericolosita’ di un’organizzazione che, mediante il conseguimento degli obiettivi prefissati, produce una piu’ intensa lesione degli interessi protetti, influendo sul mercato finanziario e sulle regole della concorrenza mediante la penetrazione in settori di attivita’ imprenditoriale lecita. Il perseguimento della finalita’ descritta dall’articolo 416-bis c.p., comma 6, mediante i proventi dei delitti rappresenta, pertanto, una connotazione obiettiva dell’associazione, della quale qualifica la pericolosita’. L’aggravante deve quindi essere riferita all’attivita’ dell’associazione in quanto tale e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, non occorrendo che quest’ultimo si interessi personalmente di finanziare, con i proventi dei delitti, le attivita’ economiche di cui i soldali intendano assumere o mantenere il controllo. Il carattere oggettivo della circostanza comporta che di essa ne risponda il singolo sodale, per il solo fatto della partecipazione (purche’, ai sensi dell’articolo 59 c.p., comma 2, questi sia consapevole o colpevolmente inconsapevole dell’avvenuto reimpiego di profitti delittuosi), allorquando la sussistenza di tale elemento accessorio sia riconosciuta rispetto all’associazione di appartenenza, e non necessariamente si badi – in capo ad un coimputato. L’aggravante prevista dall’articolo 416-bis c.p., comma 6, infatti, avendo natura oggettiva va riferita all’attivita’ dell’associazione in quanto tale e non necessariamente alla condotta del singolo partecipe, con la conseguenza che essa e’ valutabile a carico di tutti i componenti del sodalizio di tipo mafioso sempre che siano stati a conoscenza dell’avvenuto reimpiego dei profitti delittuosi, ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (S.U., n. 25191 del 27/2/2014, Iavarazzo, Rv. 25958889). Opinare diversamente, d’altra parte, significherebbe far dipendere l’applicazione di istituti di natura sostanziale, quale la configurabilita’ di una circostanza ed il correlativo aggravio sanzionatorio, da un’evenienza a carattere processuale, ossia la sottoposizione a procedimento penale unitamente ad una parte dei sodali che non rappresentino l’associazione nella sua interezza, venendosi cosi’ a determinare un ingiustificato distinguo tra individui giudicati ad esito di processi diversi, ma appartenenti alla medesima associazione, dotata di una portata lesiva che giustifica, per quanto supra osservato, l’aggravio di pena.
Tale precisazione assume particolare rilievo nel caso in esame. Infatti, entrambi i giudici di merito hanno ravvisato la sussistenza dell’aggravante nell’avere il clan (OMISSIS) reimpiegato i proventi derivanti dalle attivita’ illecite del sodalizio per il mantenimento delle attivita’ imprenditoriali riferibili alla famiglia (in particolare per la valorizzazione dello stabilimento balneare (OMISSIS)). Al proposito, e’ stato anche fatto riferimento ad una intercettazione da cui emerge chiaramente la destinazione dei proventi derivanti dall’usura alla copertura dei costi per lavori importanti di manutenzione ordinaria, straordinaria e ristrutturazione da fare al (OMISSIS) in vista dell’aperura della stagione estiva. A cio’, poi, deve anche aggiungersi, per come si ricava dal complesso degli ulteriori elementi probatori riportati in sentenza (e per lo piu’ ricavati dalle intercettazioni), l’esistenza di un flusso finanziario a vantaggio del sodalizio derivante dai proventi di cui ai delitti di usura, estorsione e traffico di stupefacenti (nella zona di Tor Bella Monaca), accertato proprio nel periodo di operativita’ dell’associazione di stampo mafioso e proveniente anche dal contributo dei sodali che non facevano strettamente parte del nucleo familiare dei (OMISSIS).
D’altra parte, poiche’ il (OMISSIS), per come asseverato dai giudici di merito (vedi supra), ha assunto la qualita’ simbolica del dominio del clan (OMISSIS) su Ostia – dovendosi escludere che tale iniziativa economica sia frutto di progetti ideati autonomamente dai singoli associati (come dedotto dalle difese di (OMISSIS) e (OMISSIS)) – appare coerente con le acquisizioni probatorie sul punto far derivare una presunzione di conoscenza in capo a tutti i sodali, ovvero escludere l’ignoranza colposa, dell’esistenza di un nesso di destinazione verso tale cespite di parte delle somme provento dei delitti fine del sodalizio. Se si considera, poi, che detta attivita’ economica – la quale e’ strutturalmente connessa, anche sotto il profilo temporale, all’assunzione della natura mafiosa del clan – era gia’ presente al momento dell’ingresso dei sodali “estranei” ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) al nucleo familiare dei (OMISSIS), appare priva di decisivita’ la censura che riferimento alla brevita’ dell’arco temporale nel quale si e’ manifestata la loro partecipazione per dedurre l’insussistenza della stessa. A tal fine deve aversi riguardo all’orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui ai fini della configurabilita’ del reato di partecipazione a un’associazione per delinquere comune o di tipo mafioso, non e’ necessario che il vincolo tra il singolo e l’organizzazione si protragga per una certa durata, ben potendo, al contrario, ravvisarsi il reato anche in una partecipazione di breve periodo (Sez. 5, n. 18756 dell’8/10/2014, dep. 2015, Rv. 263698) ed emergendo in ogni caso l’apprezzabilita’ dello stesso in relazione ai comportamenti tenuti in favore del sodalizio (con conseguente infondatezza delle doglianze mosse al riguardo dai ricorrenti (OMISSIS) (sub 4) e (OMISSIS) (sub 3.2)).
In relazione alla posizione di (OMISSIS) l’attribuzione dell’aggravante poggia non solo sull’appartenenza ad un clan eminentemente familiare, ma anche su indicatori pienamente dimostrativi dell’essersi consapevolmente prestato agli scopi perseguiti dallo zio (OMISSIS) proprio ai fini dell’operazione (OMISSIS); con riferimento alla posizione di (OMISSIS) correttamente il quadro probatorio e’ stato riconosciuto nel consistente apporto dalla stessa prestato alle operazioni volte alla conservazione e al mantenimento del cespite alle finalita’ perseguite dall’associazione; quanto a (OMISSIS), per le conclusioni raggiunte appare corretto il riferimento al suo diretto coinvolgimento nelle operazioni di intestazione fittizia a corredo della conservazione della struttura.
Non esclude, infine, la sussistenza dell’aggravante il fatto che le sentenze di merito abbiano individuato principalmente nel (OMISSIS) l’attivita’ imprenditoriale oggetto di reimpiego. Invero, si tratta di una struttura produttiva caratterizzata da un complesso di molteplici e connesse attivita’ imprenditoriali ivi insistenti, di rilevanti dimensioni nell’ambito del settore balneare e ricreativo in quel di Ostia, diretta a prevalere, per la dimensione e il numero dei servizi offerti, sulle altre strutture dello stesso settore economico.
La particolare rilevanza dell’attivita’ imprenditoriale svolta dal (OMISSIS) con le sue collaterali attivita’ economiche di carattere strumentale, rende corretta con il quadro probatorio di riferimento la valutazione presente nelle sentenze di merito secondo la quale da tale “immanente notorieta’” e’ stato possibile trarre anche un elemento logico per ritenere chiaro, ai sodali non direttamente coinvolti nella gestione, l’evidenza del sistematico reimpiego di risorse su tale cespite, funzionale non solo alla sua manutenzione ma anche per il riciclaggio dei proventi del clan. Devono ritenersi quindi infondate le censure sollevate sul punto dalla difesa di (OMISSIS) (sub 4) e da (OMISSIS) (sub 2).
C) I delitti fine dell’associazione di stampo mafioso.
Premessa.
Come sopra evidenziato, le sentenze di merito hanno ricondotto al clan (OMISSIS) molteplici attivita’ criminose in tema di delitti contro il patrimonio (usura, estorsioni, danneggiamenti), contro la persona (minacce, attentati, programmati atti di violenza) e in materia di stupefacenti. Cio’ a conferma della pervasivita’ criminale dell’associazione, a prescindere dai delitti fine contestati nel presente procedimento. Si evidenzia, infatti, che l’insufficienza di un elemento indiziario ai fini dell’affermazione di responsabilita’, in sede dibattimentale, per un reato fine, non ne preclude l’utilizzazione con riferimento al reato associativo, in quanto capace di dar conto, unitamente ad altri elementi di prova, dell’esistenza del sodalizio e del coinvolgimento del soggetto a cui si riferisce nella vita dell’associazione (in termini, vedi Sez. 5, n. 18837 del 5/11/2013, dep. 2014, Rv. 260920; Sez. 2, n. 14052 del 10/1/2019, Rv. 275418). Nel prosieguo della motivazione si affronteranno, pertanto, le questioni attinenti ai delitti fine specificamente enucleati e contestati nel presente procedimento, osservandosi come altri delitti abbiano formato oggetto di separati procedimenti penali.
C.1. L’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (capo A1 della rubrica).
1. Le questioni in ordine alla sussistenza ed alla partecipazione degli imputati all’associazione.
1. Le censure, sollevate da tutti gli imputati condannati in ordine al capo A1) della rubrica, attengono sia alla sussistenza del sodalizio che alla condotta di partecipazione. I motivi riguardano la violazione e la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nonche’ il vizio di motivazione.
1.1. Occorre fare preliminarmente riferimento alla sentenza rescindente, la quale non solo ha ravvisato un vizio di motivazione nella sentenza assolutoria, ma ha richiamato anche i principi gia’ dettati da questa Corte di legittimita’ in tema di prova in ordine alla sussistenza dell’associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 con l’indicazione al giudice del merito di valutare attentamente e in modo unitario il compendio probatorio, oggetto invece di un’evidente lettura parcellizzata ad opera della prima Corte di appello. In particolare, e’ stato evidenziato come quegli indici che secondo le prospettazioni difensive sarebbero dimostrativi di iniziative estemporanee dei singoli soggetti di volta in volta coinvolti nelle operazioni di importazione di droga (non riuscita) possano risultare invece – sulla scorta di una ricostruzione fattuale che tenga conto anche della valenza dei dialoghi intercettati e dei documenti rinvenuti – evocativi di condotte rientranti nel programma definito di una struttura caratterizzata da stabilita’.
1.2. Soffermandosi sull’esatta portata della fattispecie de qua, occorre anzitutto precisare che incriminata e’ l’associazione e non la partecipazione all’associazione, come si ricava dal tenore testuale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 1 che distingue l’associarsi dalla condotta di partecipazione menzionata nel comma 2. Il reato associativo viene a consumazione (soprattutto sub specie di accordo costitutivo, ma anche come ipotesi di adesione successiva a sodalizio gia’ venuto in essere) ben prima ed indipendentemente dalla concreta realizzazione del programma criminoso (gia’ ontologicamente un posterius rispetto alla nascita dell’associazione) per le ragioni di anticipazione della tutela delle oggettivita’ giuridiche protette (in primo luogo, l’ordine pubblico, gravemente minacciato dalla venuta in essere di gruppi associati che perseguano finalita’ criminali), la cui esposizione a pericolo e’ direttamente discendente dai particolari delitti fine dell’associazione. Per la sussistenza del reato associativo, l’accordo (coessenzialmente aperto) e’ destinato a costituire una struttura permanente ove i singoli associati divengono – ciascuno nell’ambito dei compiti assunti o affidati – parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti che, relativamente alla figura di reato contemplata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 sono della stessa specie, preordinati, cioe’, alla cessione o al traffico di sostanze stupefacenti. E’ la struttura, anche rudimentale, del sodalizio che designa la figura associativa cosi’ da caratterizzarla, per la necessaria predisposizione del programma criminoso, di fattori di assoluta singolarita’ e da rendere, in fondo, “ininfluente” l’inserimento del reato di associazione per delinquere nella categoria dei reati a concorso necessario, altri risultando gli elementi decisivi ai fini della identificazione dell’essenza stessa di tale reato (nel senso che e’ sufficiente anche un’organizzazione minima, vedi Sez. 2, n. 19146 del 20/2/2019, Rv. 275583). Diviene, allora, predominante il profilo teleologico: il particolare allarme sociale derivante dalla struttura giustifica la previsione di un’autonoma figura di reato contrassegnata, sul piano delle finalita’ repressive perseguite dall’ordinamento, dal pericolo per l’ordine pubblico per il cui concretizzarsi la legge non richiede che i delitti per la commissione dei quali la societas sceleris e’ stata costituita vengano effettivamente realizzati, a differenza di quanto accade per l’accordo che si inserisca quale momento cruciale del reato meramente plurisoggettivo (in termini Sez. 6, n. 9320 del 12/5/1995, Rv. 202038; Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, Rv. 275583). Infatti, mentre per la punibilita’ del concorso di persone occorre la concreta realizzazione dei reati programmati, quantomeno nella forma del tentativo, per la sussistenza del delitto associativo e’ del tutto irrilevante l’effettiva commissione dei reati programmati, tanto che la responsabilita’ del singolo associato per tale reato puo’ essere affermata anche qualora nessuno dei delitti fine sia stato consumato ovvero se anche l’imputato non abbia preso parte materialmente ad alcuna delle imprese criminose condotte a termine dall’associazione (ex multis, Sez. 6, n. 10725 del 25/9/1998, Rv. 211743; Sez. 6, n. 3846 del 20/11/2000, dep. 2001, Rv. 218417; Sez. 6, n. 7957 del 5/12/2003, dep. 2004, Rv. 228482; Sez. 2, n. 933 dell’11/10/2013, dep. 2014, Rv. 258009; Sez. 5, n. 1964 del 7/12/2018, dep. 2019, Rv. 274442).
Dal punto di vista della condotta tipica, si puo’ affermare che la partecipazione all’associazione sia, al tempo stesso, qualcosa di meno e qualcosa di piu’ rispetto alla realizzazione concreta di un contributo fattivo al programma associativo.
1.3. Questi essendo i presupposti, ritenere che l’assenza di delitti fine o di sequestri di droga siano elementi ostativi alla ritenuta sussistenza del reato in esame si pone in dissonanza sia con la stessa tipicita’ della fattispecie, sia con i principi enucleati sul punto da questa Corte di legittimita’ ed indicati anche dalla sentenza rescindente. Sul punto appare consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in materia di reati associativi, la commissione dei “reati-fine” non e’ necessaria, sia ai fini della configurabilita’ e neppure ai fini della prova della sussistenza della condotta di partecipazione (Sez. 3, n. 9459, del 6/11/2015, dep. 2016, Rv. 266710; Sez. 3, n. 29655 del 29/1/2018, Rv. 273717).
Infatti, la prova della partecipazione all’associazione, stante l’autonomia del reato associativo rispetto ai “reati-fine”, puo’ essere data con mezzi e modalita’ diverse da quelli utilizzati in ordine alla commissione dei predetti reati. In tal senso non rileva il fatto che l’imputato di reato associativo non sia stato condannato per i “reati-fine” dell’associazione (Sez. 3, n. 40749 del 5/3/2015, Rv. 264826). Parimenti, la prova dei reati di traffico e detenzione di sostanze stupefacenti in presenza del mancato rinvenimento della droga puo’ essere desunta non soltanto dal sequestro e dal rinvenimento delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie, quali ad es. il contenuto di intercettazioni (Sez. 2, n. 19712 del 6/2/2015, Rv. 263544; Sez. 2, n. 53615 del 20/10/2016, Rv. 268710).
1.3.1. E’ stata sottolineata dai ricorrenti la natura “estemporanea” delle quattro operazioni volte all’importazione di droga dall’estero, non andate a buon fine per ricavare l’assenza di un periodo temporale idoneo a ritenere possibile la sussistenza del reato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. In realta’, a parere del Collegio, la brevita’ dell’intervallo temporale, dal dicembre 2012 all’emissione della misura custodiale del luglio 2013; i differenti canali di approvvigionamento; la partecipazione di soggetti non sempre coincidenti; il perseguimento anche di interessi personali dei sodali; l’assenza di ruoli prestabiliti, non si rivelano, nel presente caso ed alla luce della ricostruzione del fatto per come operata dai giudici di merito, decisivi ai fini dell’esclusione della sussistenza della fattispecie incriminata.
1.3.2. Osserva la Corte che in ordine alla durata del vincolo associativo, ai fini della configurabilita’ del reato di partecipazione ad associazione per delinquere, nessun riferimento di carattere temporale predeterminato si rinviene nella fonti normative. Infatti, i caratteri di stabilita’ e permanenza che devono qualificare il vincolo associativo non implicano necessariamente la protrazione dell’associazione per una durata temporale certa e, a fortiori, che il vincolo associativo si instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato. L’indeterminatezza riguarda il programma criminoso che si mira ad attuare, non l’associazione ex se considerata, la quale non e’ esclusa dalla durata di “esistenza in vita” accertata nel concreto, e neppure dalla circostanza che il vincolo associativo si sia instaurato con una preventiva individuazione del tempo di operativita’ del sodalizio (magari correlata al raggiungimento o meno di determinati obiettivi di profitto – Sez. 5, n. 18756 dell’8/10/2014, Rv. 263698; Sez. 2, n. 52005 del 24/11/2016, Rv. 268767; Sez. 3, n. 27910 del 27/3/2019, Rv. 276677).
Occorre piuttosto che nell’arco temporale, seppur caratterizzato da brevita’, il sodalizio abbia dato prova di “vitalita’”, di guisa che si possa affermare la messa in pericolo del bene giuridico. E tale vitalita’ non deve essere necessariamente ricavata dalla realizzazione dei “delitti-fine”, ma dalla persistente volonta’ dei sodali di tradurre in atto il programma delinquenziale datosi ed al quale apportano un contributo causale in un contesto caratterizzato da un minium di organizzazione.
E cio’ e’ proprio quello che e’ avvenuto nel caso di specie, ove secondo le sentenze di merito, si e’ assistito ad una frenetica attivita’ volta ad importare droga dall’estero, nell’ambito di un disegno governato dal (OMISSIS) e dall’organizzazione che al medesimo faceva riferimento. Puntualmente evocati sono stati gli indici dimostrativi della sussistenza di un sodalizio riconducibile al modello di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 la cui combinazione logico-fattuale da’ pienamente conto della messa in pericolo dei beni giuridici tutelati.
Risulta anzitutto che alcuni degli imputati ritenuti sodali fossero gravati da precedenti penali specifici ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e che tutti fossero alla ricerca di occasioni per acquistare droga al fine di farne commercio. Inoltre, erano consapevoli e disponibili a partecipare ad operazioni di narcotraffico, tanto che si tenevano reciprocamente informati delle rispettive opportunita’ di “lavoro”. Si tratta dunque di partecipi potenzialmente capaci di dar vita ad un traffico di droga (sono state rinvenute diverse armi a diposizione del sodalizio e molteplici sono i riferimenti all’uso di utenze pulite effettivamente nella disponibilita’ di alcuni sodali o concorrenti). Risulta, poi, che tale volonta’ si sia tradotta in concreto anche nella ricerca e nell’individuazione di contatti con soggetti coinvolti nel traffico internazionale di stupefacenti ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), il sedicente (OMISSIS), (OMISSIS)). Pertanto, correttamente e’ stato ritenuto che l’intento criminale, per come disvelato dalle intercettazioni e dalla documentazione acquisita, dagli accertamenti concernenti gli spostamenti dei soggetti coinvolti, sia andato ben oltre la sfera dell’intenzione – cosi’ evitandosi qualunque rilievo di colpa di autore – ma si sia estrinsecato attraverso il compimento di un’attivita’ materiale che, anche in ragione delle qualita’ degli interlocutori, poteva avere concreto successo. Cio’, del resto, e’ altresi’ confermato dal fatto che tale attivita’ si sia diretta e in parte svolta verso Paesi notoriamente implicati nei traffici internazionali di droga (come la Spagna e il Marocco, con riferimenti anche al Belgio, come emerge dalle intercettazioni per un viaggio del (OMISSIS)). Questa ricostruzione e’ stata operata in modo sostanzialmente univoco dalle tre sentenze di merito che hanno dato puntualmente atto degli incontri tra i soggetti coinvolti nei diversi viaggi compiuti proprio allo scopo di attivare traffici di sostanze stupefacenti. Dalle intercettazioni si ricava, infatti, che l’intento non fosse solo esplorativo, ma volto a perfezionare in tempi rapidi l’acquisto della sostanza stupefacente.
Peraltro, dagli stessi dialoghi risulta come alle proposte si accompagnasse il riferimento all’esistenza di un substrato organizzativo diretto ad assicurare l’importazione e la successiva cessione al dettaglio della droga e che il pagamento delle partite dello stupefacente poteva anche contare su una provvista di denaro gia’ disponibile. Al riguardo, rilevano i molteplici riferimenti contenuti nelle intercettazioni (“e’ sempre tutto pronto”) concernenti le modalita’ di trasporto della droga e le manifestazioni delle volonta’ di perseguire gli obiettivi prefissati. Sotto questo profilo e’ assolutamente condivisibile e coerente con l’impianto motivazionale il riferimento contenuto nella sentenza impugnata (pag. 126) ove viene richiamato, come nel caso della vicenda relativa all’importazione della droga dalla Spagna, che tale Paese fosse stato individuato in ragione della presenza di “mezzi e uomini” sui quali il sodalizio poteva contare (vedi pag. 126 della sentenza impugnata).
Dalla ricostruzione dei fatti correttamente e’ stato dunque ritenuto che l’attivita’ di importazione di droga, il contatto e l’incontro con le relative fonti di approvvigionamento richiede necessariamente la predisposizione di strumenti volti al materiale trasporto dello stupefacente, alla sua custodia ed alla successiva cessione, seppur non necessariamente in ogni suo dettagliato aspetto. La prospettiva di un’importazione internazionale di stupefacenti, peraltro di diversa qualita’, appare del tutto incompatibile con un’ipotesi di accordo estemporaneo a base concorsuale, come prospettato dalle difese, militando piuttosto per un’importazione a sviluppo progressivo, posto che l’intento perseguito dai ricorrenti deve ritenersi essere stato non quello di acquisire una partita di droga, ma quello di creare dei canali stabili in prospettiva di un numero di operazioni indeterminato, obiettivo del tutto coerente con la ricerca anche di piu’ fonti per l’approvvigionamento di diverse tipologie di stupefacente (hashish e cocaina). Una conclusione che trova riscontro anche nella prosecuzione delle operazioni volte all’importazione di droga dalla Spagna allorche’ (OMISSIS) – che costituiva in quel Paese per l’associazione un riferimento di rilievo – e’ stato arrestato, ponendo termine alla sua latitanza. Inoltre, ulteriore conferma di tali premesse, viene ricavato dal contenuto definito “eloquente” dalla sentenza rescindente – dei biglietti rinvenuti in possesso del (OMISSIS) e riconducibili ad (OMISSIS), all’epoca latitante in Spagna, che danno univocamente conto dell’interesse perseguito da (OMISSIS) nel dar vita ad un traffico internazionale di droga, del ruolo di primo piano da costui svolto e dell’esistenza di forti legami tra i sodali. Nello specifico, dalla lettura dei biglietti si ricava come (OMISSIS) mettesse al corrente lo zio del buon esito di una trattativa volta alla realizzazione di un numero indeterminato d’importazioni di droga. Inoltre, nell’ambito di contrasti che erano insorti con il (OMISSIS), altro sodale coinvolto nel traffico di sostanze stupefacenti, rimetteva allo zio tanto la decisione sui ruoli che avrebbero dovuto svolgere il (OMISSIS), da tenere in primaria considerazione, ed il (OMISSIS), di cui lamentava l’inaffidabilita’, tanto da mettere in discussione la sorte di quest’ultimo. Infine, dagli elementi acquisiti emerge la prova della sussistenza del credito di somme di denaro riconducibili al traffico di droga (venivano indicati nomi, cifre e tipologia dello stupefacente), che vedevano coinvolti, tra gli altri, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Alla luce degli elementi sopra evidenziati il riferimento al mancato sequestro di droga e del denaro legato al traffico di droga, cosi’ come alla mancata contestazione di delitti fine, non risultano affatto decisivi, per come anche espressamente enunciato dalla sentenza rescindente, ad escludere l’ipotizzata associazione, avendo i giudici di merito puntualmente evocato una serie di indici che danno congruamente conto dell’esistenza di una sodalizio idoneo a realizzare con stabile continuita’ gli obiettivi tipici avuti di mira.
In tale contesto, non risulta altresi’ determinante la questione relativa alla fase in cui si sarebbero arrestate le operazioni di non riuscita importazione. Peraltro, il Procuratore generale ha ben evidenziato come tutte le condotte che si collochino nel momento antecedente all’incontro di volonta’ che determina il passaggio della proprieta’ delle sostanze oggetto dell’illecita importazione, possono ben collocarsi nella sfera del tentativo punibile o non punibile, in ragione della natura delle trattative intercorse tra le parti, dovendosi ritenere che, nei contratti tra le parti e nella formazione progressiva del consenso che demarca la fattispecie consumata del reato, assumano rilievo ai fini della punibilita’ del tentativo, le trattative che presentano una connotazione di univocita’ e idoneita’ rispetto al raggiungimento di quel consenso. E’ compito del giudice di merito analizzare, nel concreto coacervo indiziario, se emergano i suddetti elementi di univocita’ che depongono nel senso del raggiungimento di un accordo, che possono evidenziarsi allorche’, come pare essersi verificato in alcune delle operazioni, la trattativa raggiunga un livello che la dottrina processuale civilistica definisce “affidante”, ossia che, in ragione di cio’, anche sul piano della responsabilita’ civile, produce conseguenze giuridiche rilevanti, ove il contratto non si concluda, potendo determinare una responsabilita’ pre-contrattuale dei contraenti (ex articolo 1337 c.c.). Tale carattere puo’ essere, a parere del Collegio, ravvisato in presenza di indizi di condotte che mostrino una seria volonta’ di raggiungere l’accordo, ossia tutte le volte in cui, per la natura, la qualita’ e il numero dei contatti intervenuti tra le parti della trattativa, risulti che i contraenti abbiano riposto una sorta di affidamento sulla possibile conclusione dell’operazione. In altre parole, la trattativa affidante potra’ evidenziarsi in quelle specifiche condotte assunte dalle parti che esprimano una seria volonta’ di concludere un accordo. Si fa riferimento, a mero titolo esemplificativo e non certo esaustivo, alla condotta di recarsi all’estero, all’incontro con i venditori, all’assaggiare il prodotto, al discutere dell’affare in piu’ occasioni, alla ricerca di un accordo, alla prospettazione del prezzo, del quantitativo e del luogo di consegna, pur senza concretamente raggiungere tale accordo relativamente a detti elementi – Sez. 3, n. 7806 del 15/11/2017, dep. 2018, Rv. 272446; Sez. 3, n. 41096 del 30/1/2018, Rv. 273961).
Pertanto, una volta che il giudice del merito, per come anche asseverato dal precedente giudizio di legittimita’, ha ricavato l’associazione da altri facta concludentia, non si puo’ addurre quale vizio di motivazione il rilievo che detto giudice non abbia valutato ai fini di prova l’assenza dei sequestri di droga o del denaro o della contestazione di delitti fine oppure la supposta brevita’ dell’arco temporale. Le conclusioni raggiunte sono invece coerenti con la premessa generale cristallizzata dalla sentenza rescindente che ha ritenuto dissonante con tali premesse un’assoluzione che non si e’ confrontata con una lettura unitaria degli altri elementi dimostrativi, limitandosi ad affermare l’apodittica assenza di rinvenimento di droga e di denaro.
Analogamente e’ a dirsi con riguardo alla breve durata del sodalizio: premesso che nessun indice normativo esige un minimo periodo temporale ai fini dell’integrazione della fattispecie, rileva, invece, che in tale periodo siano intercorse trattative “affidabili”, ossia idonee a conseguire seriamente il reciproco consenso al trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale e cio’ a corredo proprio dell’affermata serieta’ del vincolo a cui si e’ dato origine. Di conseguenza, il riferimento – pur stigmatizzato nella sua supposta rilevanza dalla sentenza rescindente – alla brevita’ dell’arco temporale non si’ rivela affatto decisivo, neppure nella prospettiva motivazionale della Corte di merito, ne’ in quella addotta dalle difese. La sentenza impugnata, infatti, pur avendo comunque considerato significativo il periodo oggetto di accertamento, in aderenza quindi ai principi sopra affermati, ha altresi’ ritenuto che le investigazioni avessero disvelato soltanto una parte di un piu’ ampio traffico di droga che sarebbe sicuramente emerso laddove le intercettazioni fossero state attivate prima del dicembre 2012, ma soprattutto se non fossero intervenuti gli arresti degli imputati nel maggio 2013. In alcuni casi le difese, invece, hanno evidenziato come l’arco temporale investigato fosse in realta’ piu’ ampio, in quanto sarebbero state attivate captazioni anche prima dell’epoca di contestazione del reato, ma in assenza di dialoghi rilevanti. Al riguardo, in ordine a tali affermazioni, e’ stato precisato – cosi’ correggendosi la motivazione del giudice del merito – che non si puo’ ricavare un dato a carico dell’imputato dall’assenza del presupposto probatorio, come sarebbe per le intercettazioni eventualmente intercorse in data precedente e successiva al periodo contestato; e’ stato sottolineato come sia solo affermata e non documentata la circostanza dell’esistenza di un periodo piu’ ampio di captazione, anche in considerazione del dato fattuale costituito dal chiaro riferimento del (OMISSIS) al momento dell’inizio della sua partecipazione al sodalizio e, quindi, dell’operativita’ dell’associazione (dicembre 2012-gennaio 2013).
1.3.3. Ne’ le ulteriori “emergenze” indicate dai ricorrenti a conferma della natura estemporanea delle operazioni inficiano, sul piano della logicita’ della motivazione e della corretta applicazione della norma censurata, le conclusioni alle quali e’ pervenuta la Corte territoriale.
La presenza accertata di differenti canali di approvvigionamento e’, infatti, sintomatica della pericolosita’ dell’associazione, in quanto per un verso dimostra come gli imputati intendessero dar vita ad un traffico di droga ad ampio spettro (circostanza confermata anche dalla ricerca sia di cocaina che di hashish) e, per altro, come gli stessi potessero contare su un mercato di distribuzione piu’ ampio.
Quanto alla partecipazione al traffico di droga di soggetti non sempre coincidenti nei plurimi episodi conosciuti, questa Corte ha affermato che il reato associativo e’ a forma libera e puo’ realizzarsi in modi e contenuti diversi, indipendenti dall’esistenza di un formale atto di inserimento nel sodalizio e da uno stretto contatto con gli altri sodali, sicche’ il partecipe puo’ anche non avere la conoscenza dei capi o degli altri affiliati essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, di fatto si inserisca nel gruppo per realizzarne gli scopi (Sez. 2, n. 55141 del 16/7/2018, Rv. 274250; Sez. 2, n. 4976 del 17/1/1997, Rv. 207845). Peraltro, nel caso in esame, i giudici di merito hanno evidenziato come l’elemento di congiunzione tra i soggetti coinvolti nelle operazioni fosse costituito dalla presenza e dalla regia del (OMISSIS), il quale si avvaleva dell’opera di (OMISSIS) quale anello di congiunzione con i vari sodali e, all’occorrenza, anche del contributo di (OMISSIS). E cio’ risulta coerente con l’impostazione accusatoria validata dalla sentenze di merito, secondo cui l’associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 costituisce uno dei “delitti-fine” di quella di stampo mafioso presente in Ostia, governata dal (OMISSIS) e che vede alcuni degli associati rivestire ruoli in entrambe. Al riguardo, questa Corte ha affermato che e’ configurabile il concorso tra un’associazione di stampo mafioso e un’associazione per delinquere dotata di un’autonoma struttura organizzativa che, avvalendosi del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati al sodalizio mafioso, persegua un proprio programma delittuoso (nella specie, traffico di sostanze stupefacenti), dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell’interesse del clan (in motivazione, la Corte ha escluso la configurabilita’ di una violazione del ne bis in idem, mancando, nel rapporto tra le due fattispecie associative, piena coincidenza degli elementi costitutivi – Sez. 2, n. 41736 del 9/4/2018, Rv. 274077; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258163).
La compresenza nell’ambito dei due sodalizi criminosi di sodali appartenenti all’una o all’altra associazione e l’attivita’ di collegamento svolta dal (OMISSIS), e per il tramite di (OMISSIS) e di altri familiari, da’ conto sul piano dimostrativo-fattuale della riconducibilita’ del traffico di droga tra le finalita’ perseguite dal sodalizio mafioso e, quindi, della natura stabile dell’accordo di importazione.
1.3.4. L’esistenza di un interesse personale che avrebbe mosso alcuni dei sodali (come si ricava da alcuni conversazioni telefoniche tra (OMISSIS) e altri coimputati come (OMISSIS) e (OMISSIS)) non esclude che la genesi delle operazioni fosse comunque ben ascrivibile ad un contesto organizzato. Al riguardo, questa Corte ha, infatti, affermato che non e’ di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversita’ degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento della complessiva attivita’ criminale. Non e’ richiesto, pertanto, per il riconoscimento della fattispecie, che le successive condotte delittuose dei singoli siano compiute in nome e per conto dell’associazione, ma solo che rientrino nel programma criminoso della stessa ovvero che quest’ultima sia elevata a mezzo per il perseguimento anche di scopi personali (Sez. 3, n. 6871 dell’8/7/2016, dep. 2017, Rv. 269150; Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, dep. 2019, Rv. 276068).
Ne’, poi, puo’ ritenersi rilevante, per escludere la sussistenza dell’associazione, la circostanza che (OMISSIS) e (OMISSIS), originariamente coimputati nel delitto associativo di cui al capo A1), siano stati poi assolti, in separato procedimento, dal G.U.P. del Tribunale di Roma con sentenza del 13/6/2014. Invero, l’estraneita’ all’associazione e’ coerente con le stesse conclusioni alle quali perviene la sentenza impugnata, la quale assegna ai due – nonche’ al latitante (OMISSIS), ad (OMISSIS) e al Carlos Villano Rendon – il ruolo non di sodali, ma di soggetti che gia’ trafficavano in droga e dotati delle loro autonome fonti, ai quali gli odierni prevenuti si erano rivolti per cercare di importare la droga dalla Spagna o da altri Paesi. L’assoluzione dall’accusa di far parte della compagine associativa per Kowlaski e (OMISSIS) non priva affatto di rilievo il loro coinvolgimento nella vicenda a carico dei ricorrenti, in quanto non incide sulla serieta’ dei contatti e dei collegamenti posti in essere ai fini del traffico di droga, per come ritenuto dallo stesso G.U.P. del Tribunale di Roma che, con separata ordinanza, ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Roma proprio in ordine al loro coinvolgimento nel delitto di cui all’articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73. L’interessamento espresso proprio da tali soggetti verso l’organizzazione riconducibile al (OMISSIS), evidenziato non solo da ripetuti contatti telefonici, ma anche dai viaggi in Italia al fine di portare a compimento le trattative in corso, e’ al contrario espressione della fiducia e dell’affidabilita’ che questi riponevano negli interlocutori e, dunque, si pone nel costrutto motivazionale di condanna come ulteriore elemento fattuale dimostrativo.
Questa conclusione trova una conferma processuale nella sentenza irrevocabile con la quale il G.U.P. del Tribunale di Roma ha condannato il coimputato (OMISSIS) per il delitto di cui al capo A1), prodotta dal pubblico ministero in questo processo ai sensi dell’articolo 238-bis c.p.p..
1.3.5. Ne’ rilevano, ai fini della prospettata esclusione dell’affectio societatis, i reciproci risentimenti e i rilievi critici manifestati da alcuni degli associati nei confronti di altri, nel corso delle loro conversazioni, a causa delle difficolta’ emerse per concludere le operazioni di importazione dello stupefacente. Osserva il Collegio che – al di la’ delle spiegazioni fornite dalla Corte di merito (che li ha ricondotti alla difficolta’ del (OMISSIS) di coordinare in prima persona le operazioni, ovvero alla qualita’ operativa non eccelsa dei “quadri” intermedi) – non vi sono azioni e comportamenti concreti che abbiano assunto valenza decisiva e che siano stati espressione di una chiara volonta’ di recesso dall’accordo intrapreso.
Peraltro, questa Corte ha affermato che si e’ in presenza di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti ogniqualvolta tra tre o piu’ persone si stringa, anche di fatto, un patto che ha in se’ la cosiddetta “affectio societatis”, in forza del quale tutti gli aderenti sono portati ad operare nel settore del traffico della droga, nella consapevolezza che le attivita’ proprie ed altrui ricevano vicendevole ausilio e, tutte insieme, contribuiscano all’attuazione del programma criminale (Sez. 2, n. 43327 dell’8/10/2013, Rv. 256969).
In conclusione, le argomentazioni utilizzate dalla Corte di merito circa la sussistenza del delitto associativo affrontano in modo condivisibile l’impossibilita’ di configurare un’ipotesi di concorso continuato nel reato di violazione della legge stupefacenti. Non si e’, infatti, ravvisato il concorso necessario sulla scorta di un mero dato di carattere organizzativo, requisito che puo’ accompagnare anche la singola condotta d’importazione di droga, ma sulla base dell’accertata condivisione di un accordo criminoso volto a creare in modo stabile dei canali di approvvigionamento funzionali alle attivita’ illecite gia’ proprie di un gruppo organizzato di riferimento.
La sentenza impugnata risulta, pertanto, avere fatto corretta applicazione dei principi di diritto dettati da questa Corte in materia, cosi’ ponendo rimedio non solo alla carenza e contraddittorieta’ motivazionale della precedente sentenza di appello, per come affermato dalla decisione rescindente, ma anche all’erronea interpretazione della legge penale nella misura in cui si era escluso il reato associativo. Al di la’ di una lettura parcellizzata del compendio probatorio, la sentenza annullata, legando la prova del delitto associativo alla commissione dei reati fine, aveva infatti operato una non consentita “trasformazione” della fattispecie di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 la cui consumazione prescinde, per giurisprudenza costante, dalla realizzazione dei reati fine (Sez. 3, n. 9457 del 6/11/2015, Rv. 266286; Sez. 2, n. 16540 del 27/3/2013, Rv. 255491; Sez. 6, n. 7387 del 3/12/2013, dep. 2014, Rv. 258796, secondo cui ai fini della configurabilita’ di un’associazione finalizzata al narcotraffico, e’ necessario: a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilita’, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c) che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo).
La circostanza che nell’associazione a delinquere l’eventuale commissione dei reati fine possa costituire un elemento probatorio di significativo rilievo non significa che tale fattore si elevi ad elemento costitutivo di carattere totalizzante ed esclusivo, impedendo al giudice del merito l’apprezzamento di ulteriori risultanze probatorie, da cui emerga – come nel caso di specie – un piano concreto di attivita’ e una risoluzione criminale ben definita nell’ambito di un substrato organizzativo riconoscibile nella potenziale espansione dell’attivita’ delittuosa.
Peraltro, in difetto dell’accertata consumazione dei reati programmati, allorche’ ci si trovi dinanzi – come nel caso di specie – ad un piano concreto di attivita’ e di una risoluzione ben definita nell’ambito di un substrato organizzativo, indagare se le importazioni non riuscite abbiano o meno raggiunto la soglia del tentativo non risulta decisivo per ritenere positivamente l’associazione.
2. L’aggravante dell’essere l’associazione composta da un numero di persone superiore a dieci e di essere armata.
2.1. Con riferimento all’aggravante del numero delle persone, sebbene la Corte di merito ne abbia asseverato l’esistenza nei confronti degli imputati ritenuti partecipi dell’associazione dedita al traffico di stupefacenti in ragione del loro numero (ai nove imputati deve, infatti, aggiungersi (OMISSIS), giudicato e condannato separatamente), va evidenziato come detta circostanza non risulti essere stata espressamente contestata nel capo d’imputazione, a differenza di quella dell’essere l’associazione armata, ne’ e’ stata ritenuta dal giudice di primo grado, non avendone egli fatto alcuna menzione sia nella parte motiva che nel calcolo della pena. Cio’ posto, va evidenziato come la Corte di merito, pur a fronte di tali evidenze, sia pervenuta a risultati differenti, poiche’ in alcuni casi ha applicato l’aggravante con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius, in altre statuizioni l’ha ignorata non computandola.
Cio’ premesso, per quanto riguarda la rilevanza della questione in punto di trattamento sanzionatorio rispetto alle posizioni interessate, si rinvia a quanto indicato sub D), ad eccezione delle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) (per entrambi sub 4 dei motivi dei ricorsi) i cui motivi sono manifestamente infondati o inammissibili.
Infatti, per quanto riguarda il primo imputato, il Collegio rileva la sussistenza di carenza di interesse all’impugnazione perche’ la circostanza non risulta essere stata applicata ai fini della determinazione della pena, per come verra’ precisato nel prosieguo della motivazione (vedi punto 2.2.3 del paragrafo D) – vedi anche pagg. 246 e 251 della sentenza impugnata).
Per quanto attiene al secondo imputato, la censura e’ stata cosi’ motivata: “si sarebbe dovuta escludere la circostanza aggravante di cui al Testo Unico n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3”. Al riguardo, si osserva che ove il ricorrente avesse inteso censurare l’applicazione dell’aggravante del numero delle persone, la doglianza risulterebbe enunciata e priva di qualunque argomentazione, concernente il riferimento alla natura armata dell’associazione. Se, invece, fosse volta, per quanto si ricava dalla spiegazione del motivo, a censurare l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4 vi sarebbe carenza di interesse in quanto la stessa non risulta applicata al ricorrente (vedi pagg. 247 e 251 della sentenza impugnata), anche con riguardo al delitto di cui all’articolo 416-bis c.p. (vedi pag. 226 della sentenza impugnata).
2.2. Rispetto alla natura armata dell’associazione, va precisato altresi’ che al riguardo nessuna specifica censura e’ stata mossa con i rispettivi ricorsi degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei cui confronti l’aggravante e’ stata riconosciuta. Hanno invece dedotto i relativi motivi di ricorso gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
Quanto a (OMISSIS) (vedi sub 4 dei motivi di ricorso, prospettato con riguardo ad entrambe le associazioni) la censura deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse. Se e’ vero, infatti, che la Corte di merito nella parte motiva ne ha riconosciuto a carico della ricorrente la sussistenza con riguardo ad entrambi i sodalizi (vedi pagg. 162 e 163 della sentenza impugnata), e’ altrettanto vero che di tale circostanza non si e’ tenuto conto ai fini del trattamento sanzionatorio; infatti per entrambi i reati tanto la pena base stabilita per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 quanto quella in continuazione per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., hanno fatto riferimento alla sola pena stabilita per la condotta di partecipazione non aggravata (stabilita ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nel minimo edittale).
La censura mossa da (OMISSIS) (sub 4 dei motivi di ricorso) e’ invece manifestamente infondata. La Corte di merito risulta, infatti, avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte, secondo cui in tema di stupefacenti, per la configurabilita’ dell’aggravante dell’associazione armata, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4, sebbene diversamente da quella omologa, ipotizzata dall’articolo 416-bis c.p., comma 5, per l’associazione di tipo mafioso, sia richiesta unicamente la disponibilita’ di armi, non esigendosi anche la correlazione tra queste ultime e gli scopi perseguiti dal sodalizio criminoso, e’ tuttavia necessaria la prova che l’uso delle armi non sia riferito ad un uso esclusivamente personale del soggetto che le detiene (Sez. 1, n. 21957 del 6/5/2010, Rv. 247408). Orbene, sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha accertato che il sodalizio poteva fare affidamento sulla disponibilita’ di un certo numero di armi – della cui detenzione alcuni dei sodali, compreso il ricorrente, sono stati ritenuti gia’ colpevoli in forma irrevocabile – trattasi del capo S) della rubrica – a seguito del rigetto e/o inammissibilita’ dei rispettivi ricorsi da parte della sentenza rescindente (salvo il profilo relativo alla sussistenza dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7).
Inoltre, e’ stato, altresi’, asseverato da tutte le sentenze di merito e dalla sentenza rescindente (vedi pag. 48) che il ricorrente non solo fosse consapevole della detenzione delle armi insieme ai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ma che avesse, in ragione del ruolo di capo anche del sodalizio finalizzato al traffico di droga, poteri dispositivi sulle stesse, come si ricava sia dall’autorizzazione alla consegna della pistola Glock al (OMISSIS) per commettere una rapina, sia dalla decisione sulla destinazione delle armi allorche’ (OMISSIS) ne chiese la restituzione agli allora custodi. Pertanto, la riferibilita’ della disponibilita’ delle armi al ricorrente non si fonda su una mera presunzione derivante dal ruolo di capo del sodalizio – pur evocata dalla Corte di merito quale ulteriore elemento logico di supporto – ma su specifici elementi di riscontro fortemente dimostrativi dello stretto legame che di fatto egli aveva con le armi e sul loro eventuale impiego.
Ne’ la configurabilita’ della circostanza aggravante viene meno in ragione del fatto che le armi fossero utilizzabili anche per il raggiungimento degli scopi dell’associazione di stampo mafioso. Non appare possibile contestare che tali strumenti di offesa possano perseguire simultaneamente diverse finalita’ illecite e dunque prestarsi ad incidere sul disvalore di entrambi i sodalizi criminosi, tenuto conto che l’obiettivo di alimentare in modo stabile ed organizzato il traffico di sostanze stupefacenti costituiva una delle finalita’ proprie dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, come e’ avvalorato anche dalla sostanziale identita’ dei partecipi al sodalizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 nei cui confronti e’ stata riconosciuta l’aggravante.
L’aver elevato, infine, nell’ambito della contestazione sub S) relativa alla detenzione delle armi la sola aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 e’, del resto, coerente con la tecnica di formulazione dei capi di imputazione, in quanto la contestazione della circostanza con riferimento all’attivita’ del sodalizio finalizzato al traffico di droga va necessariamente elevata e compresa nel relativo capo di imputazione A1).
3. Le singole posizioni degli imputati in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74.
Deve essere preliminarmente sottolineato che in tutti i ricorsi e’ prospettata – sotto il vizio di motivazione ricorrendo all’ipotesi del travisamento della prova – una valutazione del compendio probatorio diversa e piu’ favorevole ai ricorrenti, rispetto a quella accolta nella sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di appello. Viene dunque utilizzato un criterio di impugnazione tipico della fase di merito che, dando atto di determinate risultanze che si muovono in una certa direzione, ne valuta pero’ la recessivita’ rispetto ad altre (l’assenza di ogni coinvolgimento degli imputati nel sodalizio), con un apprezzamento di “evidenze” di segno diverso e dal quale e’ certamente lecito dissentire, senza pero’ evocare categorie di censura riservate a ben precise, e qui non ravvisabili ne’ deducibili, patologie inferenziali. Un apprezzamento del genere – stante i plurimi riferimenti ad argomenti ed elementi di merito – esula completamente dai compiti assegnati alla Corte di legittimita’, il cui scrutinio e’ circoscritto solo ed unicamente alla tenuta logica (rectius non manifestamente illogica) del percorso argomentativo espresso con la decisione impugnata, essendo preclusa ogni diversa – o se si vuole piu’ convincente secondo la pretesa di parte soluzione del thema decidendum.
Il pur apprezzabile sforzo devolutivo dei ricorrenti finisce, infatti, per articolarsi attraverso enunciazioni inammissibili dinanzi alla Corte regolatrice, poiche’ tendono a stimolare la funzione giudicante di legittimita’ nella direzione di un terzo grado di giudizio di merito (che nel caso di specie peraltro sarebbe addirittura “il quarto”). In questa ottica occorre sempre distinguere l’illogicita’ manifesta e la contraddittorieta’ – intesa quale concetto di relazione che esprime un conflitto dialettico tra quanto deciso e l’apporto conoscitivo derivante da un atto processuale (che determina un risultato non coerente rispetto alle risultanze probatorie) – dal confronto empirico tra la ricostruzione effettuata dalla sentenza impugnata e le sue ritenute incompletezze, che richiede invece l’esigenza di un diverso apprezzamento dei capitoli di prova che sono stati pedissequamente riversati nell’atto di ricorso. E’, infatti, estranea al giudizio di legittimita’ la valutazione del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito, non potendo essere apprezzati in questa sede, se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacita’ dimostrativa. In altri termini, le allegazioni delle conversazioni, una volta esclusa una palese e non controvertibile difformita’ tra il contenuto dimostrativo della prova assunta e cio’ che il provvedimento di condanna ne abbia tratto, finiscono per risultare volte ad eludere il divieto gravante su questo organo di operare una diversa ricostruzione del fatto.
Alla luce delle suesposte considerazioni, le prove a confutazione elencate nei ricorsi sono state comunque valutate sia pure nella porzione utile e necessaria ai fini del discorso giustificativo reso, non emergendo ictu oculi un problema di prova non esplorata nella sua interezza e la cui integrazione nel tessuto motivazionale della sentenza impugnata potrebbe falsificare senza dubbio le conclusioni raggiunte.
Per tali ragioni, una volta ritenuta l’inammissibilita’ delle doglianze ridondanti nel merito, verranno esaminate le singole posizioni per quanto compete in questa sede.
3.1. (OMISSIS).
Le censure (sub 1 dei motivi di ricorso) sono manifestamente infondate e, quindi, inammissibili.
Infatti, il ricorrente si e’ limitato a prospettare un’interpretazione (di alcuni fatti emersi al processo) alternativa a quella asseverata dalle sentenze di merito, motivatamente disattesa dalla Corte territoriale a fronte dell’indicazione di altri e ben piu’ pregnanti elementi di prova aventi carattere individualizzante con cui lo stesso ricorrente ha omesso di confrontarsi (si pensi al riscontro negativo della versione resa dall’imputato al fine di ricondurre a motivi leciti il viaggio effettuato unitamente al (OMISSIS) in Spagna per realizzare l’importazione di droga per conto dell’associazione – vedi pagg. 331 e 332 della sentenza di primo grado).
Al riguardo, e’ stato fatto riferimento ai rapporti che sono emersi con il (OMISSIS), al contenuto delle intercettazioni telefoniche in cui lo stesso risulta da altri associati anche menzionato (vedi ad es. pag. 332 sentenza di primo grado) che si riferiscono ai traffici di droga monitorati dalla P.G., alla sua presenza negli incontri con il (OMISSIS) e gli altri correi, alla trasferta in Spagna con il (OMISSIS) nell’ambito dell’attivita’ volta all’importazione di droga per conto dell’associazione ed al fattivo contributo fornito in occasione di successivi incontri e/o contatti sempre finalizzati all’importazione dello stupefacente.
In tale ambito, entrambi i giudici di merito hanno disatteso, con congrua motivazione, la versione difensiva volta ad escludere che l’incontro con (OMISSIS) – avvenuto il (OMISSIS) nell’ospedale di Ostia – fosse del tutto casuale. A conforto di tale conclusione non vi e’ solo l’illogicita’ della spiegazione fornita dall’imputato, ossia quella di avere avanzato una richiesta di una sigaretta ad un uomo sconosciuto ivi ricoverato, ma anche gli accertamenti di P.G. che hanno evidenziato come il ricovero del (OMISSIS) fosse ben conosciuto dagli associati che si recavano in ospedale per incontrarlo, fino a quando, l’attenzione delle forze dell’ordine divenne percepibile e gli interessati decisero di evitare altre visite nel nosocomio. La circostanza poi che al ricorrente sia stata revocata la patente di guida speciale non esclude la valenza a carico dell’ (OMISSIS) di quelle conversazioni in cui, nelle sentenze di merito, lo stesso viene definito come “l’autista”. Tale appellativo si giustifica per il fatto che in passato il ricorrente era stato titolare di una speciale licenza, circostanza che, sul piano logico, e’ idonea a fornire una spiegazione coerente con il fatto che una condizione personale sia divenuta poi il suo soprannome.
3.2. (OMISSIS).
Le censure sollevate (vedi sub 2 dei motivi di ricorso) devono ritenersi infondate.
La circostanza che il (OMISSIS) abbia preso attivamente parte alla prima operazione di importazione di droga dalla Spagna non esclude, infatti, la sua partecipazione anche al sodalizio di cui al capo A1). Tale coinvolgimento, infatti, per quanto si ricava dalle sentenze di merito, non risulta affatto occasionale ma, al contrario, come una conseguenza dell’intraneita’ del ricorrente all’organizzazione del (OMISSIS). Al (OMISSIS) e’ stato contestato anche il capo D), avendo l’imputato stretto rapporti e contatti con gli altri sodali in quel frangente impegnati, ed essendo il referente di (OMISSIS) nell’ambito di una ben determinata area di spaccio della cui integrita’ era il responsabile. A tal fine e’ stato fatto riferimento all’episodio che vede coinvolto il ricorrente nel tentativo di vendetta conseguente al ferimento di (OMISSIS). In questo caso la Corte di merito ha fornito una lettura dell’episodio che non esclude una sua riconducibilita’ a ragioni dovute ai traffici di droga. Cio’ che rileva nella vicenda tuttavia, – e in cio’ la censura mossa dal ricorrente si rivela generica ed anche aspecifica rispetto alle motivazioni della Corte – non e’ tanto la dimostrazione di un movente alternativo o concorrente a quello giudizialmente accertato dal Tribunale di Roma in altro procedimento (ove l’autore del fatto per motivi di gelosia e’ stato ritenuto un tale Andrea (OMISSIS)), ma quello di considerare che, in conseguenza di tale evento, si e’ scatenata un’obiettiva fibrillazione tra gli associati facenti parte del clan (OMISSIS), in quanto gli stessi si sono ritenuti “attaccati” nel loro controllo sul traffico di droga in quel territorio. Correttamente e’ stato fatto riferimento alle intercettazioni telefoniche in cui lo stesso (OMISSIS) si fa portatore, parlando con i suoi interlocutori, della necessita’ di una risposta violenta nei confronti di chi era ritenuto (a torto a ragione) autore dell’attentato, proprio per riaffermare il predominio del clan sul territorio conteso, anche alla luce di altri fatti di analogo tenore che si erano al contempo verificati e che venivano dagli interessati ricondotti alla medesima matrice. Peraltro, l’esistenza di un movente legato ai traffici di droga viene contestualizzata dal riferimento che lo stesso ricorrente fa nel corso di un’intercettazione della necessita’ di “piazzare” in quel luogo la droga (Rit 2622/13 del 4.4.13, pag. 201 della sentenza impugnata), circostanza che fa venir meno letture alternative riconducibili a mera boriosa tracotanza.
Sulla base di tali premesse appare esente da censure logico giuridiche la motivazione che attribuisce al (OMISSIS) il ruolo di partecipe qualificato pur senza accedere al livello di organizzatore all’interno dell’associazione come contestato in rubrica. Le censure difensive non riescono a disarticolare la coesione dimostrativa dell’ipotesi accusatoria legata ai molteplici e ripetuti contatti che vedono il ricorrente in prima persona impegnato nella realizzazione, unitamente agli altri associati, dell’importazione di droga dalla Spagna nell’ambito di un disegno criminoso organizzato e guidato dal (OMISSIS).
Infine, non assume decisivo rilievo, ai fini dell’esclusione della condotta di partecipazione, la circostanza che in conseguenza dell’arresto del ricorrente (avvenuto il 15 maggio 2013 per il possesso di una pistola Glock) non si siano registrati interventi dell’organizzazione volti ad assicurargli una difesa legale per come per lo piu’ avviene nell’ambito di sodalizi anche di stampo mafioso. Sebbene l’assistenza agli associati possa costituire uno degli indici da cui puo’ essere ricavato un legame del singolo partecipe con il sodalizio di riferimento, nel caso di specie non e’ provato che l’associazione ricorresse a tale forma di aiuto. Risulta, invece, che gli arresti del ricorrente e del (OMISSIS) per la detenzione illegale delle armi siano presto entrati nel patrimonio conoscitivo dell’associazione (come si ricava dai dialoghi intercettati tra i sodali), persino tra coloro che non ne facevano parte (ad es. il (OMISSIS)) e fonte di evidente fibrillazione e preoccupazione per la sorte delle operazioni e degli stessi associati (tanto che il (OMISSIS) preferiva darsi alla latitanza).
3.3. (OMISSIS).
Le censure (sub 1 e sub 1.1 dei motivi di ricorso) risultano manifestamente infondate.
La Corte di merito, lungi dal risolvere il tema della partecipazione del ricorrente con il ridimensionamento dell’originaria posizione direttiva, inizialmente contestatagli, a quella meramente partecipativa, ha al contrario puntualmente preso in esame i molteplici indici fattuali dimostrativi del contributo apportato al sodalizio. In particolare, l’imputato risulta essere stato parte attiva nelle operazioni di importazione gestite unitamente al (OMISSIS), nella cui realizzazione e programmazione e’ stato personalmente coinvolto, tanto da discuterne apertamente con il coimputato in ordine a quantita’ e importi. Inoltre, ha mantenuto i contatti anche con gli altri protagonisti della vicenda ( (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)) e con coloro che dovevano assicurare la provenienza della droga ((OMISSIS), (OMISSIS)), sotto la regia di (OMISSIS), con il quale sono documentati incontri specifici (vedi pagg. 127 e 154 della sentenza impugnata). A tale fine correttamente sono stati evidenziati i due viaggi compiuti in Spagna a distanza di poco tempo l’uno dall’altro che coerentemente sono stati ritenuti espressione di una messa a disposizione attraverso un contributo concreto volto alla realizzazione di quei traffici illeciti che caratterizzano le finalita’ del sodalizio di cui al capo A1).
Sulla base di queste considerazioni, ritiene il Collegio che debba essere esclusa, quindi, qualsiasi ipotesi di “connivenza” ovvero di contiguita’ compiacente od ancora di favoreggiamento nell’analisi della posizione del (OMISSIS). Invero, una condotta che concretamente favorisce le attivita’ ed il perseguimento degli scopi sociali, posta in essere da un soggetto intraneo al sodalizio, non puo’ essere ricondotta alla categoria della connivenza e/o del favoreggiamento, essendo accompagnata dalla coscienza e volonta’ di raggiungere, attraverso quegli atti, i fini perseguiti dall’associazione e fatti propri. In questo caso la condotta che viene realizzata concretizza il fatto tipico previsto dalla norma istitutiva della fattispecie associativa (Sez. 6, n. 25454 del 13/2/2009, Rv. 244520; Sez. 3, n. 9457 del 6/11/2015, Rv. 266286; Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, Rv. 276068). Peraltro, l’ipotesi alternativa e residuale del favoreggiamento nei confronti di (OMISSIS), che la difesa ha prospettato in relazione all’episodio in cui il ricorrente fornisce allo stesso il telefono per comunicare con gli altri sodali mentre era in regime di arresti ospedalieri, costituisce una lettura parziale e riduttiva delle risultanze probatorie.
Dalle evidenze acquisite, l’impugnazione, oltre che con una partecipazione attiva del ricorrente su piu’ fronti, non si confronta con la ricostruzione dell’episodio operata dai giudici di merito. In realta’, aver consentito l’utilizzabilita’ del telefono a (OMISSIS) rappresenta un aiuto funzionale alla possibilita’ che lo stesso impartisse le disposizioni finali per l’incontro tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) da un lato e i correi (OMISSIS) e (OMISSIS) dall’altro, tutti impegnati nell’esecuzione di importazione di droga dalla Spagna.
Cio’ considerato, correttamente i giudici di merito non hanno preso in considerazione le giustificazioni fornite dall’imputato sui suoi viaggi in Spagna, se non per escluderle.
Infine, deve essere altresi’ sottolineato che il coinvolgimento del ricorrente negli affari di droga insieme agli altri sodali, e’ logicamente avvalorato da ulteriori elementi presi in esame dal giudice del merito che evidenziano come il nome del (OMISSIS) fosse compreso nell’elenco dei biglietti rinvenuti al Si’bio e al medesimo consegnati da (OMISSIS), concernenti i rapporti di debito-credito relativi ai traffici di droga, e come lo stesso fosse coinvolto nell’episodio della ritorsione ipotizzata dal clan ai danni del (OMISSIS) per questioni legate all’egemonia della piazza di spaccio nella zona di Tor Bella Monaca.
Alla luce di tali conclusioni, l’affermazione di responsabilita’ in ordine al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 rinviene all’interno del quadro probatorio autonomi elementi di conferma della condotta partecipativa, sia dal punto di vista causale che soggettivo, con la conseguenza che nessuna “sovrapposizione” puo’ ritenersi sussistente con la ritenuta partecipazione al sodalizio di stampo mafioso di cui al capo D).
3.4. (OMISSIS).
Le doglianze proposte da (OMISSIS) risultano manifestamente infondate (sub 2 dei motivi di entrambi i ricorsi).
Le sentenze di merito hanno individuato la condotta di partecipazione del ricorrente nell’essere a disposizione del sodalizio guidato dallo zio (OMISSIS), anche in territorio spagnolo, in particolare proprio ove si sono svolte le iniziative finalizzate all’importazione di droga da parte dell’associazione. E’ stato, infatti, sottolineato come la presenza dell’imputato in Spagna non fosse dovuta soltanto alla sua condizione di latitante, ma fosse funzionale agli scopi perseguiti dal sodalizio che anche in quel Paese vantava un riconoscibile substrato organizzativo (vedi pag. 126 della sentenza impugnata). Tali conclusioni trovano conferma nella “eloquente” documentazione (cosi’ espressamente definita dalla sentenza rescindente) rinvenuta al (OMISSIS) ed attribuita al ricorrente con cui lo stesso (OMISSIS) dava indicazioni al suo referente fidato in Italia in ordine alla conclusione di una trattativa riguardante l’invio di hashish a distanza di due settimane al prezzo di Euro 1.500,00 al chilo, in via continuativa ed anche attraverso scambi con altra sostanza. E’ utile richiamare, altresi’, il contenuto delle intercettazioni eseguite nello stesso periodo ed anche altre annotazioni, pur ricondotte al (OMISSIS), di nomi, cifre ed indicazioni di “FU” e “CO”, al quale e’ riconosciuto un intervento risolutore in una fase di stallo delle trattative in cui si era trovato il (OMISSIS) e che aveva richiesto l’intervento di (OMISSIS) (si veda pag. 102 della sentenza impugnata) su incarico dello zio (OMISSIS).
La circostanza che il ricorrente nella lettera indirizzata allo zio abbia affermato che “ce la danno tra 2 settimane”, usando piu’ volte il plurale, anche con riguardo sia alla natura permanente dell’accordo illecito che al possibile scambio con la cocaina (“se ce l’abbiamo noi”), rende esplicito – sul piano della logicita’ della motivazione – come tale attivita’ rientrasse a pieno titolo nel disegno criminoso perseguito dal (OMISSIS). Invero, le successive operazioni di importazione di droga hanno avuto ad oggetto tali sostanze e hanno visto coinvolti coimputati direttamente menzionati nelle missive. In particolare, si fa riferimento al (OMISSIS) (gia’ condannato con sentenza irrevocabile del G.U.P. del Tribunale di Roma quale partecipe del sodalizio di cui al capo A1), al (OMISSIS), dei cui ruoli doveva decidere lo zio (e in ordine ai quali (OMISSIS) interloquiva), nonche’ al (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), coinvolti a vario titolo nei traffici di droga e nei confronti dei quali l’imputato vantava dei crediti. Pertanto, l’essersi speso (seppur vanamente), in un dato momento storico, concretamente in favore delle esigenze dell’associazione (sia “ricucendo” un originario rapporto venutosi a deteriorare, quanto sostituendo al vecchio fornitore un nuovo canale di approvvigionamento), da’ piena concretezza della disponibilita’ manifestata con la sua presenza in Spagna ad agire in favore del sodalizio capeggiato dallo zio (OMISSIS).
Il percorso argomentativo della sentenza impugnata, pertanto, non ha eluso il tema della verifica della condotta di partecipazione del ricorrente all’associazione di cui si discute mediante un mero ridimensionamento del ruolo a lui riconosciuto (da dirigente a semplice partecipe), ma lo ha analizzato pervenendo a conclusioni coerenti con gli elementi di fatto raccolti. La circostanza che, poi, le operazioni volte all’importazione di droga fossero comunque proseguite anche dopo il suo arresto, da un lato, non priva di valenza causale il suo contributo associativo, essendo comunque stato apprezzabile per quanto sopra osservato e, per altro, deve ritenersi dimostrativo dell’esistenza del vincolo associativo che caratterizza il concorso tra gli altri correi.
Del resto, questa Corte ha affermato che per la configurabilita’ della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti non e’ richiesto un atto di investitura formale, ma e’ necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale al perseguimento degli scopi dell’associazione in un dato momento storico, anche se per una fase temporalmente limitata (Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012, Rv. 254105; Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, Rv. 257905 – nella specie si e’ ritenuta apprezzabile la partecipazione di imputato delimitata temporalmente ad un arco inferiore ai due mesi; Sez. 1, n. 4805 del 23/11/1992, dep. 1993, Rv. 192648).
Inoltre, la compenetrazione del ricorrente in un sodalizio a vocazione prettamente familiare nel suo nucleo essenziale, rilevante anche ai fini della partecipazione all’associazione di cui all’articolo 416-bis c.p., esclude tanto l’occasionalita’ del contributo fornito, quanto le ipotesi concorsuali di carattere eventuale. Anzi, sul tema, la Corte di cassazione ha affermato come una volta verificata la sussistenza dei requisiti inerenti alla continuita’ e sistematicita’ dello spaccio ed alla predisposizione di una struttura operativa stabile, la costituzione del sodalizio criminoso non e’ esclusa per il fatto che lo stesso sia per lo piu’ imperniato attorno a componenti dello stesso nucleo familiare, poiche’, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, lo rendono ancora piu’ pericoloso (Sez. 1, n. 35992 del 14/6/2011, Rv. 250773).
3.5. (OMISSIS).
A fronte dell’indicazione da parte del giudice del merito, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, di plurimi elementi dimostrativi del suo diretto coinvolgimento in posizione apicale nelle operazioni di importazione di droga, si ritiene che le doglianze mosse (sub 4 dei motivi di ricorso) attengano alla sussistenza del sodalizio di cui al capo A1), in relazione alle quali si rinvia alla parte generale (sub B), ovvero alla sussistenza delle circostanze aggravanti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 3 e 4 esaminate nel par. C.1.2.
3.6 (OMISSIS).
3.6.1. Deve ritenersi infondata risulta la censura volta ad escludere rilevanza penale alla condotta tenuta dall’imputata ai fini della partecipazione all’associazione “de quo” (sub 3.4 dei motivi di ricorso).
Al riguardo, la Corte territoriale ha indicato una serie di telefonate tra i correi, avvenute in un arco temporale coevo alle operazioni volte all’importazione della droga, nelle quali si fa esplicito riferimento alla ricorrente per i contatti da tenere con (OMISSIS) e, conseguentemente, alla necessita’ che la stessa sia tenuta informata in modo costante. A tal fine viene fatto riferimento al contenuto di una telefonata tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) relativa alle modalita’ di organizzazione delle importazioni di droga, dalla quale risulta come proprio il (OMISSIS) avesse deciso di recarsi dalla ricorrente in ragione del ruolo che la stessa rivestiva all’interno del sodalizio. Inoltre, e’ emerso che l’imputata era a diretta conoscenza del ritorno del (OMISSIS) dalla Spagna dove si era recato per acquistare la droga, tanto da richiedere personalmente al (OMISSIS) di intervenire in favore del (OMISSIS), rimasto bloccato sulla strada del rientro per un problema alla sua auto. Alla stessa (OMISSIS) e’ stata poi ricondotta l’iniziativa di proteggere il (OMISSIS) dalle accuse mossegli dal (OMISSIS) che lo riteneva responsabile del controllo di polizia al quale era stato sottoposto, nonche’ dell’arresto in territorio spagnolo di (OMISSIS). A tale proposito, i giudici di merito, con motivazione congrua, anziche’ giustificare tale intervento con mere ragioni di amicizia, per come prospettato genericamente dalla difesa, hanno al contrario evidenziato come un simile episodio fosse una chiara manifestazione della partecipazione all’associazione da parte di (OMISSIS), proprio perche’ relativa al coinvolgimento personale di un altro associato, con conseguente diretta ricaduta sulla sorte personale dello stesso. Una tale lettura trova conferma anche per quanto riferito dal coimputato (OMISSIS), il quale collega il coinvolgimento del (OMISSIS) nelle sue vicende, in particolare, all’opera per l’attivita’ che egli stava compiendo per conto del sodalizio (vedi pag. 143 della sentenza impugnata).
Del resto la sentenza impugnata richiama, seppur non direttamente attinente ai traffici oggetto del sodalizio, la circostanza che (OMISSIS) risultava gia’ direttamente coinvolta in affari illeciti relativi alla droga, essendo creditrice di una partita di “fumo” la cui acquisizione vedeva implicati anche i sodali (OMISSIS) e (OMISSIS). Deve ritenersi su questo punto inammissibile la doglianza difensiva che riconduce il significato della telefonata ad un credito relativo soltanto all’anticipazione della somma necessaria all’acquisto della sostanza per conto terzi, sia perche’ prospetta una lettura alternativa dell’intercettazione non consentita in questa sede, sia perche’ l’interpretazione del giudice del merito e’ pienamente coerente con gli elementi significanti della conversazione intervenuta tra (OMISSIS) e (OMISSIS), sia perche’ non e’ indicato se tale alternativa prospettazione sia conseguenza di un’affermazione esplicita dell’imputata. In questo caso deve essere applicato il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo’ essere sindacato in sede di legittimita’ se non nei limiti della manifesta illogicita’ ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, Rv. 268389; v. anche S.U., n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715).
L’esclusione di un ruolo di mero nuncius inconsapevole, pure prospettata dalla difesa, e’ inoltre logicamente ricavato dalla presenza della ricorrente ad incontri aventi sicura valenza illecita: correttamente e’ stato fatto riferimento a quello relativo alla destinazione delle armi del sodalizio; a quello attinente alle decisioni da assumere a seguito del ferimento del (OMISSIS); alla vicenda nell’ambito della quale la ricorrente e’ colei che provvede a convocare il (OMISSIS) al cospetto del padre in merito all’autorizzazione necessaria per eseguire la rappresaglia nei confronti del (OMISSIS); a quella relativa all’assenso concesso dal padre al (OMISSIS) per “lavorare”.
Di conseguenza, alla luce del quadro complessivo degli elementi indicati, deve essere ritenuto corretto il ruolo di partecipe attribuito alla ricorrente dalla sentenza impugnata. Nel caso di specie trova applicazione il principio giurisprudenziale in base al quale integra il delitto di partecipazione la condotta di colui che assolve il compito di far circolare messaggi, ordini ed informazioni tra i soggetti in posizione apicale detenuti e i partecipi in liberta’ (fattispecie relativa alla moglie di un capo clan che informava regolarmente il marito ristretto in carcere della condizione dei sodali latitanti e dell’andamento del traffico di stupefacenti gestito dall’organizzazione – Sez. 2, n. 41736 del 9/4/2018, Rv. 274077; Sez. 2, n. 13506 del 28/2/2013, Rv. 255731). Nel caso in esame, i messaggi e le informazioni di cui (OMISSIS) veniva a conoscenza erano, infatti, diretti a soggetto, (OMISSIS), all’epoca in stato di detenzione ospedaliera, “attenzionato” dalle forze dell’ordine (tanto che la stessa sentenza evidenzia i particolari accorgimenti utilizzati dagli associati soprattutto dopo gli arresti di alcuni di loro per comunicare con il (OMISSIS)). E, infatti, proprio per il tramite della figlia (OMISSIS), che il padre puo’ tenere i contatti con gli altri sodali direttamente impegnati nella commissione delle attivita’ illecite perseguite dall’associazione. Quello in esame risulta, all’evidenza, un comportamento causalmente efficiente, supportato, per come sopra indicato, dal dolo di partecipazione, ben ricavato dalla diretta interlocuzione e dalla presenza della ricorrente nelle riunioni tenute dal padre con gli altri sodali ovvero nei contatti con alcuni di essi.
3.6.2. Manifestamente infondata si rivela la doglianza circa il mancato apprezzamento della valenza a discarico della consulenza della difesa volta a contestare la presenza dell’imputata agli episodi ritenuti significativi della sua intraneita’ al sodalizio. Infatti, con riguardo all’episodio del 18.2.2013, si e’ addotto solo genericamente che la Corte di merito non ha valutato criticamente i relativi rilievi, non specificando quali sarebbero dovuti essere gli aspetti che la Corte avrebbe trascurato. Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata da’ puntualmente conto delle ragioni in forza delle quali la prospettazione difensiva non sia stata ritenuta rilevante e decisiva al fine di escludere l’incontro tra la ricorrente ed il (OMISSIS), in considerazione della stessa incompletezza della base documentale su cui le deduzioni a discarico erano fondate, nonche’ di elementi confermativi della possibilita’ concreta che i due si fossero visti.
Ad analoghe conclusioni puo’ pervenirsi anche con riferimento all’incontro che la ricorrente avrebbe avuto con il padre ed il (OMISSIS) funzionale alle decisioni da prendere a seguito del ferimento di (OMISSIS) (6.3.2013). In questo caso, le prospettazioni del perito di parte sono state compiutamente valutate e poi disattese con motivazione congrua, per avere la Corte territoriale evidenziato la natura parziale di tali accertamenti, rispetto al momento in cui il (OMISSIS) comunica il via libera al (OMISSIS) per l’esecuzione della rappresaglia (vedi pag. 156 della sentenza impugnata).
Del tutto generica e’, poi, la censura volta ad escludere il rilievo attribuito alla conversazione del 5 aprile 2013 nel corso della quale la ricorrente avrebbe “tranquillizzato” il padre sull’operazione di importazione della cocaina che si ipotizzava di far passare per Civitavecchia. In particolare non sono stati indicati gli elementi di fatto in forza dei quali l’assunto del giudice del merito sarebbe stato oggetto di travisamento ovvero sarebbe incorso in vizio di motivazione.
In conclusione, deve ritenersi infondata la censura di non avere considerato, mediante la valutazione di elementi acquisiti dalla difesa, la rilevanza degli accertamenti difensivi finalizzati ad escludere la presenza dell’imputata al colloquio dell’11 aprile 2013 con (OMISSIS) e (OMISSIS) relativo alla restituzione delle armi detenute da (OMISSIS) e (OMISSIS). Per confutare la presenza della ricorrente all’incontro, la difesa censura l’utilizzazione dei “siti internet riportanti le distanze tra diverse localita’” che non sarebbero attendibili per la ricostruzione dei tempi relativi agli spostamenti di (OMISSIS) rispetto all’accertamento effettuato dal consulente tecnico della difesa. Viene censurata la decisione di escludere una puntuale allegazione probatoria in virtu’ di un accertamento extra-processuale estraneo al dibattimento e non verificabile dalle parti. Tuttavia, a parere del Collegio, l’accertamento operato ha fatto ricorso a strumenti di carattere diffuso ed oggettivo per determinare la distanza tra due luoghi, noti alle parti (via Castegnavizza ove (OMISSIS) avrebbe dovuto trovarsi e (OMISSIS) ove era ricoverato il padre in regime di arresti ospedalieri). Tale verifica, peraltro, ha formato oggetto di esame dibattimentale e, quale fatto notorio, deve ritenersi consentita in quanto fa riferimento ad elementi di carattere obiettivo e pubblicamente conosciuti o conoscibili, di fatto coincidente con quello dell’accertamento, ed in assenza di una prova rigorosa in ordine all’esistenza di situazioni anomale o particolari idonee a confutarne la valutazione in concreto.
3.7. (OMISSIS).
L’inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche.
3.7.1. Infondata e’ la censura di inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche dedotta da (OMISSIS) (sub 1 dei motivi di ricorso).
A parere del Collegio, la riproposizione da parte del G.I.P. nel provvedimento di convalida dell’intercettazione, dello stesso testo del decreto con cui il pubblico ministero ha disposto d’urgenza le operazioni non esclude di per se’, in relazione alla tipologia dell’atto (convalida), che il giudice non abbia fatto proprie le considerazioni espresse nel decreto, stante anche l’assenza di ulteriori elementi, anche processuali, che depongano nel senso di escludere l’esistenza di una preventiva valutazione di integrale condivisione delle argomentazioni addotte dal requirente. Una diversa conclusione non puo’, del resto, ricavarsi dal modulo ora legislativamente previsto riguardante il contenuto dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare personale (articolo 292 c.p.p., comma 2 cbis), in quanto trattasi di disciplina che attiene a provvedimento avente natura ed incidenza differente rispetto al quale la sanzione di nullita’ ha carattere eccezionale non applicabile in via analogica.
Il decreto di convalida da parte del giudice delle indagini preliminari, in quanto rebus sic stantibus, assorbe integralmente il provvedimento originario e rende utilizzabili i risultati delle operazioni di intercettazione, precludendo in particolare ogni discussione sul requisito dell’urgenza (Sez. 6, n. 55748 del 14/9/2017, Rv. 271741).
3.7.2. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso, avendo la sentenza impugnata rilevato come l’informativa, che ne costituisce il presupposto probatorio, richiamasse, oltre alla fonte confidenziale, anche la precedente acquisizione dei biglietti manoscritti provenienti da (OMISSIS), all’epoca ancora latitante. Altresi’ il provvedimento impugnato aveva rilevato come in un biglietto si parlasse di forniture di stupefacenti che sarebbe stato possibile acquisire entro breve termine (corrispondente alla data della richiamata informativa). Pertanto, la circostanza che la fonte non sia stata sentita a sommarie informazioni o al dibattimento non assume alcun rilievo di decisivita’, in quanto molteplici sono gli elementi su cui si fonda il provvedimento di autorizzazione all’attivita’ di intercettazione, sussistendo un articolato e strutturato quadro investigativo in cui erano state inserite precisamente le informazioni confidenziali, mentre la sanzione processuale opera solo allorquando le fonti confidenziali rappresentino l’unico elemento oggetto di valutazione ai fini degli indizi di reita’, (ex multis, Sez. 6, n. 42845 del 26/6/2013, Rv. 257295).
3.7.3. Infine, un ulteriore profilo di inammissibilita’ della suddetta censura puo’ individuarsi nel mancato confronto con le ragioni poste dalla sentenza impugnata a fondamento del rigetto dell’eccezione di inutilizzabilita’, essendosi il ricorrente limitato a richiamare sul punto il contenuto della memoria prodotta nel corso del giudizio di appello (in tema di inammissibilita’ per riproduzione delle doglianze svolte con l’atto di appello, vedi ex multis Sez. 6, n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584).
3.8. (OMISSIS).
L’inutilizzabilita’ dei biglietti rinvenuti e fotografati a (OMISSIS).
3.8.1. La censura, sollevata dalla difesa di (OMISSIS) (sub 1 dei motivi di ricorso dell’avv. (OMISSIS)), non e’ fondata.
Occorre preliminarmente osservare che la categoria dell’inutilizzabilita’, introdotta dal nuovo codice di procedura penale a garanzia del rispetto dei divieti probatori, ma neppure ignota nel codice di rito del 1930 – ove era stata inserita non a caso in tema di inutilizzabilita’ delle intercettazioni contra legem -, presenta natura e disciplina positiva non riconducibili ai tradizionali paradigmi che regolano il diverso fenomeno della nullita’. Quest’ultima, infatti, pertiene all’intera gamma degli atti processuali, a prescindere dalla natura e dalla funzione che gli stessi svolgono nell’ambito della dinamica processuale. L’inutilizzabilita’, invece, evoca, come questa Corte ha avuto modo incidentalmente di sottolineare, un “difetto funzionale della causa dell’atto probatorio”, vale a dire un’inidoneita’ dell’atto stesso a svolgere la funzione che l’ordinamento processuale gli assegna (S.U., n. 13426 del 25/3/2010, Cagnazzo ed altri, Rv. 246271; Sez. 1, n. 16293 del 2/3/2010, Rv. 246657; Sez. 2, n. 4887 del 20/1/2017, Rv. 268991). Cio’ sta, dunque, a significare che per la categoria dell’inutilizzabilita’ non opera in modo automatico il principio sancito per le nullita’ dall’articolo 185 c.p.p., comma 1, in base al quale “la nullita’ di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo”. Cio’ trova conferma anche nella sentenza n. 219 del 2019 della Corte costituzionale, con la quale sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimita’ costituzionale, sollevate sulla base di vari parametri, dell’articolo 191 c.p.p. nella parte in cui “non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilita’ ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall’autorita’ giudiziaria con provvedimento motivato, nonche’ la deposizione testimoniale in ordine a tali attivita’”. Il Giudice delle Leggi ha al riguardo, infatti, precisato che, derivando il divieto probatorio e la conseguente “sanzione” dell’inutilizzabilita’ da un’espressa previsione di legge, qualsiasi “estensione” di tale regime ad atti diversi da quelli cui si riferisce il divieto non potrebbe che essere frutto di una, altrettanto espressa, previsione legislativa. Del resto – ha ancora puntualizzato la Corte costituzionale – e’ ricorrente in giurisprudenza l’affermazione secondo la quale tale principio, valido per le nullita’, non si applica in materia di inutilizzabilita’, riguardando quest’ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non quelle la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite (ex plurimis, Sez. 6, n. 5457 del 12/9/2018, dep. 2019, Rv. 275029; Sez. 2, n. 44877 del 29/11/2011, Rv. 251361).
Nel caso di specie, risulta evidente la legittimita’ dell’attivita’ della polizia giudiziaria, la quale ha ritualmente operato, in presenza dei relativi presupposti, una perquisizione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 103 nel corso di operazioni di polizia per la prevenzione e la repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti e nell’evidente intendimento di non pregiudicare lo sviluppo delle indagini a quel momento in corso. Nel prendere contezza del materiale rinvenuto in possesso della persona nei confronti della quale la perquisizione si stava effettuando, la polizia giudiziaria ha provveduto a “documentare” l’esito di quella attivita’ non attraverso un provvedimento di non obbligatorio sequestro dei biglietti rinvenuti nella disponibilita’ del perquisito, ma a fotografarne il contenuto. Esattamente come avrebbe potuto fare nel trarre documentazione fotografica dei restanti oggetti rinvenuti e delle modalita’ attraverso le quali l’intera dinamica operativa si era venuta a snodare. Cio’ che si pretenderebbe inutilizzabile non e’ quindi il risultato probatorio di un’attivita’ illegittima, ma la documentazione di un’attivita’ ritualmente svolta. La fotocopia dei biglietti finisce per essere, in definitiva, null’altro che un corredo documentale aggiuntivo alle modalita’ tipiche di documentazione dell’attivita’ di tipo investigativo (verbale di perquisizione Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 103) e trova la sua ulteriore legittimazione di sistema anche nella categoria della prova atipica (ex multis, Sez. 2, n. 22972 del 16/2/2018, Rv. 273000; S.U., n. 26795 del 28/3/2006, Prisco, Rv. 234267; vedi anche S.U., n. 35814 del 28/3/2019, PG c/Margis, Rv. 276285).
Per altro, va rilevato come la documentazione di cui si assume l’inutilizzabilita’ e’ stata ritualmente allegata alla prima informativa utile di polizia giudiziaria, a sua volta regolarmente depositata negli atti del pubblico ministero e, dunque, oggetto di discovery. Il che rende adeguata contezza di come per un verso nessun vizio – e men che mai di divieto probatorio – risulta affliggere le modalita’ di esecuzione del controllo di polizia, mentre sotto altro assorbente profilo, nessuna lesione puo’ avere subito – come invece genericamente deduce il ricorrente – il diritto di difesa degli imputati, tenuto conto del fatto che gli stessi sono stati posti in condizione di interloquire su tutto il materiale depositato all’esito delle indagini preliminari ivi compresa la documentazione oggetto del motivo di ricorso qui in esame.
3.8.2. Manifestamente infondata e’, altresi’, la censura (sub 1.1 dei motivi di ricorso) di violazione di legge con riguardo all’articolo 237 c.p.p., sul rilievo dell’assenza di perizia grafica sui biglietti originali. Per asseverare la provenienza di un documento dall’imputato non e’ indispensabile il ricorso alla perizia grafica, potendo questa essere ricavata da altri convergenti elementi. Nel caso in esame, la paternita’ in capo A1 ricorrente e’ stata tratta, anzitutto, dal contenuto della prima missiva, risultando evocati chiari elementi di appartenenza familiare e la condizione di latitante in quel momento rivestita dal (OMISSIS); quanto alle successive missive, e’ stata ricavata dalla notevole affinita’ grafica delle parole usate, nonche’ dal contenuto delle intercettazioni telefoniche dalle quali emergono elementi di certa riferibilita’ dei documenti all’imputato. Inoltre, lo stesso ricorrente non ha mai disconosciuto formalmente la paternita’ dei biglietti, condizione anzi necessaria nel contesto sopra delineato per avanzare una richiesta di perizia. Peraltro, nessuna violazione del diritto di difesa e’ ricollegabile alla mancata acquisizione degli originali (rimasti nella disponibilita’ del coimputato), in quanto questa Corte ha affermato che, ai fini dell’esecuzione della perizia grafica, non e’ indispensabile il documento originale che si suppone falsificato, potendo essa effettuarsi anche su una copia fotostatica di tale documento (Sez. 4, n. 29080 del 27/3/2018, Rv. 272962). Tale assunto rende priva di rilievo l’argomentazione spesa dalla Corte d’appello sulla possibilita’ di acquisizione al processo del documento originale per l’iniziativa del coimputato, circostanza che farebbe dipendere l’esercizio del diritto di difesa di un imputato dalle scelte difensive di un altro coimputato (l’esercizio del diritto di difesa deve essere certo nella sua azionabilita’ e non eventuale).
Non puo’ d’altra parte essere sottaciuta la circostanza che malgrado, come gia’ evidenziato, la fotocopia dei biglietti sia stata depositata all’esito delle indagini preliminari e abbia costituito dunque oggetto del “materiale di prova” devoluto dapprima al G.U.P. e poi al giudice del dibattimento, la mancanza di contestazioni o di richieste probatorie specifiche volte a disattenderne l-autenticita’” e la relativa provenienza rendono comunque intempestive le censure articolate al riguardo soltanto nel corso del giudizio di appello.
3.8.3. Nel merito, per quanto riguarda la posizione del ricorrente, preliminarmente debbono ritenersi inammissibili tutte le doglianze (sub 1.1 dei motivi di ricorso) che sono state proposte mediante il richiamo, anche testuale, ai motivi di appello, riportati integralmente nel ricorso. In tema di ricorso per cassazione sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, in quanto difettano di una critica argomentata avverso il provvedimento impugnato e l’indicazione delle ragioni della loro decisivita’ rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584). E’, infatti, pacifico, secondo questa Corte, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ dell’impugnazione (in tal senso, Sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Rv. 253849; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Rv. 230634; Sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Rv. 260608).
3.8.4. Infondate sono, poi, le censure autonomamente articolate in ordine al ruolo svolto dall’imputato (sub 1.2 dei motivi di ricorso avv. (OMISSIS) e sub 1 dei motivi di ricorso avv. (OMISSIS)), anche quale dirigente del sodalizio, presenti nei motivi del ricorso principale e in quelli aggiunti, successivamente depositati.
Anzitutto va evidenziato che la Corte di merito, al pari del giudice di primo grado, ha puntualmente declinato indici dimostrativi della partecipazione del ricorrente come dirigente al sodalizio capeggiato dal (OMISSIS). Al riguardo, non solo e’ particolarmente significativa la telefonata in cui l’imputato finisce per ammettere la sua intraneita’ al gruppo del (OMISSIS) “da cinque mesi”, ma anche la circostanza che lo stesso risulta essere sempre presente in tutte le vicende relative alle operazioni di importazione della droga dall’estero, dove svolge un’attiva funzione di collegamento con tutti i sodali a vario titolo coinvolti, coordinando le varie operazioni. Inoltre, sempre al (OMISSIS) competeva, all’interno del gruppo, per il ruolo ricoperto, la riscossione dei proventi dello spaccio in una determinata area.
Pertanto, al ricorrente vanno riconosciuti compiti di coordinamento e direzione dell’attivita’ degli associati, avendo egli assicurato attraverso una continua assistenza la piena funzionalita’ dell’organismo criminale in stretta vicinanza con il capo (OMISSIS) (sul tema ex multis, Sez. 6, n. 38240 del 7/12/2017, dep. 2018, Rv. 273737; Sez. 4, n. 53568 del 5/10/2017, Rv. 271707).
Ne’ tale attribuzione di qualita’ risulta, sul piano argomentativo, contraddetta dalla circostanza che (OMISSIS), ritenuto il referente del sodalizio in territorio spagnolo, si sia servito del ricorrente come latore dei propri messaggi allo zio (OMISSIS). Invero, tale episodio va necessariamente letto in relazione all’importanza del contenuto dei biglietti affidati, in cui e’ proprio (OMISSIS) a sottolineare la piena affidabilita’ del (OMISSIS) tanto con riguardo alle vicende interne al sodalizio (in merito al ridimensionamento del ruolo del (OMISSIS), reo di avere volto a suo esclusivo vantaggio i proventi di un traffico di droga), quanto ai futuri programmi di carattere illecito che il coimputato doveva gestire. Peraltro, proprio l’aver consegnato i biglietti al (OMISSIS) evidenzia la particolare vicinanza di questo imputato al (OMISSIS) ed il fatto che si trovasse in Spagna su incarico del capo per concludere un’operazione di importazione di droga. Di conseguenza, il complesso degli elementi ben enucleati dal giudice del merito porta ad escludere che il ruolo avuto dal (OMISSIS) nella vicenda possa essere circoscritto alla cura di un recapito di “pizzini” ad opera di un mero esecutore di ordini.
La circostanza che il (OMISSIS) sia stato sempre presente in tutte le operazioni di importazione di droga giustifica il riconoscimento di una posizione direttiva rispetto agli altri sodali ai quali e’ stata invece attribuita la qualita’ di partecipi. A cio’, peraltro, per come in premessa indicato, la sentenza impugnata aggiunge altri elementi significativi. Anche sotto tale profilo le doglianze risultano manifestamente infondate.
Ne’ elementi utili ad escludere il ruolo primario attribuito dalle sentenze di merito al (OMISSIS) possono rinvenirsi nell’episodio (OMISSIS), in quanto il ricorrente, lungi dall’aver svolto un ruolo di carattere secondario, e’ intervenuto su diretto incarico di (OMISSIS) per fermare l’imminente reazione che il (OMISSIS) voleva porre in essere nei confronti di colui (il (OMISSIS)) che era ritenuto l’autore del ferimento. La circostanza che l’ordine di procedere sia poi stato impartito dal (OMISSIS) non priva di rilevanza l’intervento del (OMISSIS), in quanto il ricorrente, a differenza del (OMISSIS) che si era limitato a comunicare il messaggio proveniente dal capo, era anche incaricato dal (OMISSIS) di parlare con il (OMISSIS) prima di decidere se dare corso all’immediata rappresaglia che veniva sollecitata dal (OMISSIS) (vedi pag. 154 della sentenza impugnata).
Per quanto riguarda, infine, la “millanteria” e renfatizzazione” che, a parere della difesa, caratterizzerebbero le conversazioni del (OMISSIS) – il quale attribuirebbe alla sua persona un ruolo maggiore di quello in realta’ svolto ritiene il Collegio che si tratti di mera prospettazione alternativa di carattere interpretativo non ammissibile in questa sede e priva della specificazione degli elementi fattuali di supporto; quanto alle ragioni che avrebbero determinato i viaggi in Spagna del (OMISSIS), l’assenza di credibilita’ di una causa lecita trova adeguata motivazione nella sentenza impugnata e contrasta con le evidenze intercettive acquisite (vedi in particolare pag. 143 della sentenza impugnata).
C.2. L’estorsione in danno di Daniele lodo: capo H) della rubrica.
La sentenza rescindente della Sesta sezione penale ha rigettato il motivo di ricorso che l’imputato aveva proposto avverso la condanna per l’episodio estorsivo contestato al capo H) della rubrica in concorso con (OMISSIS) (nei cuo confronti la condanna e’ divenuta irrevocabile) e ai danni di (OMISSIS), salva la verifica – coerente con l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale avverso l’esclusione della natura mafiosa del clan (OMISSIS) ad opera della prima sentenza di appello – circa la sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 (essere la minaccia posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416-bis c.p.) e Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 (per avere agevolato l’attivita’ del sodalizio mafioso). E’ dunque irrevocabile l’affermazione di responsabilita’ del ricorrente per il reato base, unitamente a quella di (OMISSIS), il quale non ha proposto ricorso avverso la sentenza impugnata.
Tanto premesso il motivo di ricorso (sub 7 dei motivi di ricorso) con cui si deduce il vizio di violazione di legge, nonche’ di motivazione proposto al riguardo da (OMISSIS) risulta generico e manifestamente infondato.
Quanto al vizio di motivazione, la doglianza e’ anzitutto generica in quanto dedotta sul rilievo della mancata confutazione dei motivi di appello, omettendo tuttavia di specificarne la portata. E’, inoltre, manifestamente infondata poiche’ la Corte territoriale risulta avere ben sottolineato gli elementi dimostrativi della sussistenza dell’aggravante nella duplice declinazione contestata (tanto in ordine all’appartenenza che alla finalita’ agevolativa). La sentenza impugnata ha accertato i contatti tra il ricorrente, il coimputato (OMISSIS) e la persona offesa (OMISSIS), il cui complessivo tenore si palesa intimidatorio, facendo leva sul “peso” del (OMISSIS) e sul “potere persuasivo” del suo intervento. A cio’ si aggiunge la condotta palesemente reticente della parte offesa in dibattimento per ragione dello stato di totale intimidazione in cui versava ed il contenuto delle intercettazioni da cui emerge uno specifico interesse del ricorrente alla gestione delle macchinette per videogiochi ed un significativo contesto fornito dalle stesse vicende patite dall’esercizio commerciale della parte offesa, costituito dai gravi danneggiamenti ad evidente scopo intimidatorio, con modalita’ tipicamente mafiose (oltre il danneggiamento delle slot-machines, venivano imbrattati i locali con vernice di color rosso e lasciati in bella evidenza mani in plastica mozzate ed altro ancora), escluso dalla persona offesa in piu’ occasioni.
La circostanza che gli ordini di riscossione dovessero essere impartiti a nome e per conto del ricorrente e che al cospetto di questi dovessero essere portati coloro che si fossero rifiutati di eseguirli, e’ espressione del metodo mafioso perche’ l’approccio estorsivo risulta rafforzato dall’evocazione della capacita’ criminale del (OMISSIS), da intendersi riferita all’omonimo gruppo criminale, stante quanto osservato a proposito dell’esistenza del sodalizio mafioso. Inoltre, il fatto che le somme pretese fossero volte al pagamento del “pizzo” per non avere installato le macchinette del (OMISSIS), da’ conto di come l’estorsione fosse volta ad agevolare il clan, in quanto strumento per assicurare proprio quella “prassi” di carattere “standardizzato” di cui parla la sentenza impugnata, secondo cui i commercianti erano posti nell’alternativa di installare le slot-machines del ricorrente ovvero di corrispondere una somma mensile. Risulta, pertanto, dimostrato quel quid pluris che caratterizza fattualmente l’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 contestata unicamente sotto il profilo dell’agevolazione mafiosa e non del metodo, con la conseguenza che le doglianze espresse sul punto dal ricorrente (sub 8.2 dei motivi di ricorso) risultano “eccentriche” (e dunque sono inammissibili) rispetto al tema processuale. D’altra parte, sebbene nella motivazione i giudici di appello facciano riferimento anche alla sussistenza di tale circostanza nella declinazione del metodo, ai fini del trattamento sanzionatorio condannano l’imputato in ordine al delitto di cui al capo H), “cosi’ come contestato nell’originaria imputazione”.
In ogni caso, nella vicenda in esame, il metodo mafioso non e’ stato ricavato solo dalla spendita del nome del (OMISSIS), ma dal legame che tale nomen aveva con specifici fatti di carattere intimidatorio evocativi del metodo mafioso in precedenza perpetrati proprio ai danni dell’esercizio commerciale di (OMISSIS). Di conseguenza, il richiamo al (OMISSIS) e’ chiaramente espressivo, in quel contesto territoriale, della forza intimidatoria ascrivibile all’omonimo consesso mafioso che ivi la esercita, di carattere causalmente concreto e non invece potenziale. Sul punto, questa Corte ha precisato, con orientamento che il Collegio condivide, che la circostanza aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 nella forma del metodo, e’ legittimamente desumibile laddove la richiesta economica di natura estorsiva, seppure formulata in maniera implicita, provenga da un soggetto ben noto alla vittima quale associato alla locale malavita organizzata e dedito all’attivita’ estorsiva, salvo che non ricorrano elementi indicativi della riconducibilita’ della indebita richiesta economica ad altri contesti. (Nella specie la S.C. ha ritenuto esente da censure la motivazione della Corte territoriale che aveva ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso in relazione all’indebita richiesta economica di dare “una mano”, proveniente da un criminale che la vittima ben conosceva essere inserito all’interno della locale cosca mafiosa; Sez. 2, n. 36115 del 27/6/2017, Rv. 271004).
Inoltre, corretta risulta l’applicazione delle disposizioni sostanziali censurate nella parte in cui se ne e’ ritenuto il concorso con l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, avendo la Corte di merito al riguardo richiamato il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui in tema di estorsione, la circostanza aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 convertito nella L. n. 203 del 1991, puo’ concorrere con quella di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, richiamata dall’articolo 629 c.p., comma 2, essendo le stesse ancorate a presupposti fattuali differenti: la prima, infatti, presuppone l’accertamento che la condotta di reato sia stata commessa con modalita’ di tipo mafioso, pur non essendo necessario che l’agente appartenga al sodalizio criminale, mentre la seconda si riferisce alla provenienza della violenza o minaccia da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, senza la necessita’ di accertare in concreto le modalita’ di esercizio di tali violenza o minaccia ne’ che esse siano attuate utilizzando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alla associazione mafiosa (ex multis Sez. 5, n. 2907 del 23/10/2013, dep. 2014, Rv. 258464; Sez. 1, n. 4088 del 6/2/2018, dep. 2019, Rv. 275131).
C.3. Le intestazioni fittizie legate al (OMISSIS): capi O), O1) e Q) della rubrica.
1. L’affermazione di responsabilita’ dei coniugi (OMISSIS) per il delitto base e’ irrevocabile, salva l’applicazione dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 avendo la sentenza rescindente della Sesta sezione penale, in accoglimento del ricorso del pubblico ministero, annullato la prima decisione di appello che aveva escluso la circostanza a seguito del disconoscimento del carattere mafioso del gruppo cui le illecite condotte erano correlate in ragione delle modalita’ mafiose e della agevolazione del clan. Per quanto riguarda, invece, (OMISSIS) e (OMISSIS), in accoglimento del ricorso delle imputate, il compito demandato dalla sentenza rescindente era quello di verificare, in relazione alla natura istantanea del reato (con effetti permanenti) che si consuma nel momento in cui viene realizzata l’attribuzione fittizia, l’apporto fornito da ciascuna di esse nel momento in cui si e’ realizzato il trasferimento fittizio della titolarita’ dei beni.
1.1. Cio’ premesso, manifestamente infondate sono le doglianze avanzate da (OMISSIS) (sub 8.1 dei motivi di ricorso) e (OMISSIS) (sub 5 dei motivi di ricorso) tanto sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione. La natura fittizia delle operate intestazioni al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e’ tema su cui gia’ insiste il giudicato essendo stati dichiarati inammissibili sul punto i ricorsi degli imputati dalla sentenza rescindente che, peraltro, sulla vicenda si lega anche ad altra decisione della Sesta sezione penale (Sez. 6, n. 28613 del 9/6/2016 non mass.) che ha parimenti dichiarato inammissibili i ricorsi degli altri coimputati estranei al sodalizio mafioso, ma coinvolti nelle operazioni di schermatura contestate ai suddetti capi O) ed O1).
E’ stato infatti accertato come entrambe le operazioni negoziali (relative alle societa’ ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)”) siano espressione del disegno perseguito dal (OMISSIS) di mantenere nel suo dominio la gestione dello stabilimento (OMISSIS). Si tratta di un disegno che affonda le sue radici sin dal momento della formale acquisizione del bene, avvenuta, per come puntualmente ricostruito dalle sentenze di merito, con modalita’ mafiose e attraverso un’operazione che puo’ definirsi “capestro” (vedi pagg. 181-185 della sentenza impugnata). Ai numerosi atti intimidatori, mai denunziati, ai danni di chi doveva vendere il bene ai (OMISSIS) (si tratta di ben sei attentati incendiari, nonche’ dell’esplosione di colpi da arma da fuoco contro l’abitazione dell’allora proprietario Sinceri) ha fatto seguito una cessione del cespite le cui modalita’ di pagamento non solo hanno assai fortemente ridimensionato l’importo stabilito, ma hanno realizzato una spoliazione del bene in danno dell’altro contraente. Invero, solo una minima parte del prezzo di acquisto e’ stata corrisposta in contanti; il versamento degli importi stabilito con modalita’ rateali e’ stato soddisfatto solo in minima parte; gli immobili previsti in permuta sono stati sovrastimati e per tre di questi l’acquirente ha assunto poi la veste di fiduciario interposto degli stessi (OMISSIS), tanto che ha subito una condanna irrevocabile per il delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinques; infine l’accollo di un pignoramento di un debito esistente sulle quote della societa’ titolare del cespite non e’ stato mai attivato dal creditore nei confronti dei (OMISSIS).
Se questo e’, dunque, il contesto fattuale da cui origina l’acquisizione del (OMISSIS), definito dalle sentenze di merito come una sorta di “roccaforte” evocativa del dominio del clan (OMISSIS) su Ostia, alla cui funzionalita’ sono anche destinati parte dei proventi dell’attivita’ illecita del sodalizio (vedi al riguardo anche quanto precisato in sentenza par. B.5 a proposito dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6), del tutto coerente e logico e’ l’aver ricondotto alla finalita’ dell’agevolazione mafiosa le successive intestazioni fittizie, che vedono peraltro come concorrenti due partecipi, in quanto volte proprio ad assicurare, per ragioni economiche (percezione di reddito e reimpiego anche dei proventi illeciti), di prestigio e di “visibilita’” territoriale, il mantenimento del potere decisionale sul bene principale del sodalizio di stampo mafioso.
1.2. Infondate risultano le doglianze mosse da (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente sub 4 e sub 5 dei rispettivi motivi di ricorso).
L’apporto causale fornito dalle due ricorrenti e’ stato individuato nell’aver rafforzato, mediante la disponibilita’ mostrata nel curare gli aspetti gestionali del bene, il proposito criminoso del (OMISSIS), cosi’ assicurando che la concreta gestione del (OMISSIS), al di la’ dei soggetti fittiziamente interposti, restasse nel dominio del clan (OMISSIS). Invero, il fatto di poter sempre contare sulla presenza delle figlie nell’ambito della gestione del (OMISSIS), seppur nella formale disponibilita’ di soggetti interposti, ha svolto sul piano determinativo delle operate e diversificate intestazioni, poste in essere dal (OMISSIS), un’efficienza causale di tipo determinativo-istigativo. Non si tratta, dunque, di avere ricondotto a contributo causale di un delitto istantaneo un’attivita’ successivamente prestata, ma di avere ricavato da tale attivita’ un indice probatorio di una previa intesa che ha rafforzato il proposito criminoso dell’autore delle operate intestazioni, certo di poter successivamente contare sul sostegno di soggetti di assoluta fiducia e appartenenti al proprio nucleo familiare, circostanza particolarmente importante anche in ragione dello stato detentivo (arresti ospedalieri) e/o delle restrizioni in cui all’epoca (OMISSIS) era sottoposto.
Del resto, che tale disponibilita’, poi tradottasi nel compimento di atti di gestione di fatto ad opera di entrambe le ricorrenti, fosse di carattere “preventivo” risulta essere stato logicamente e coerentemente ricavato dal giudice del merito da diversi significativi elementi fattuali.
Quanto ad (OMISSIS), e’ stato evidenziato il suo diretto coinvolgimento tanto nell’antecedente causale da cui “origina” l’acquisizione del (OMISSIS), avendo unitamente alla sorella sottoscritto il preliminare di acquisto delle quote della societa’ ” (OMISSIS)” a cui lo stabilimento balneare era riferibile, quanto nei successivi “interventi” volti ad individuare i prestanome (alla medesima collegati da vincoli affettivi e/o “parentali”) e a raccoglierne il consenso, verificatisi in epoca precedente (DA.FA.) e successiva (SETTESEI) a quelli contestati ai capi O) ed O1), per come accertato nell’ambito di separato procedimento nel quale la ricorrente ha riportato condanna (vedi sul punto Sez. 2, n. 16048 del 21/2/2018 e Sez. 6, n. 28613 del 9/6/2016), nonche’ nel compimento di atti inerenti alla gestione dello stabilimento in costanza delle contestate intestazioni.
Quanto a (OMISSIS), oltre all’intervento in sede di stipula del preliminare, la sentenza impugnata ha richiamato sia i contenuti di una missiva scritta da (OMISSIS) alla vigilia della stipula del contratto di affitto in favore di (OMISSIS) s.r.l., allorche’ “invitava” (OMISSIS) (concorrente nel reato di cui al capo 0) a far lavorare soprattutto la figlia (OMISSIS), e una conversazione registrata tra (OMISSIS) e la ricorrente (in data 7.9.2012), in costanza della realizzazione dell’ulteriore intestazione fittizia di cui al capo O1), da cui emerge come l’imputata avesse assicurato al padre la piena disponibilita’ ad fornire un impegno assiduo nella gestione del (OMISSIS).
A cio’, infine, per entrambe, il giudice del merito aggiunge, oltre alla qualita’ di sodali dell’associazione di stampo mafioso di cui il (OMISSIS) costituiva il cespite patrimoniale di maggior pregio e valore, anche quanto emerso dalla telefonata intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS) il 7.9.2012 da cui risulta che le ricorrenti, unitamente anche alla madre (OMISSIS), fossero direttamente coinvolte sulle comuni strategie da adottare per preservare il (OMISSIS) da possibili procedure giudiziarie nell’ambito di procedimenti penali e di prevenzione.
La Corte territoriale con la sentenza impugnata ha quindi adempiuto – con motivazione congrua e scevra da vizi logici – al compito demandatole dalla sentenza rescindente, nel rispetto del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui in relazione al delitto di trasferimento fraudolento di valori, colui che si rende fittiziamente titolare di denaro, beni o altre utilita’, al fine di eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniale, ne risponde, a titolo di concorso, non solo con chi ha operato la fittizia attribuzione, ma anche con coloro che, in modo convergente e previa intesa, ne hanno consapevolmente favorito o agevolato la condotta elusiva (Sez. 2, n. 42601 del 24/9/2019, non mass.; Sez. 2, n. 4450 dell’8/1/2019, Rv. n. 276304).
2. L’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 per i reati di cui ai capi O), O1) e Q) della rubrica.
Con riguardo al riconoscimento dell’aggravante hanno articolato censure (OMISSIS) (sub 5.1 dei motivi di ricorso), (OMISSIS) (sub 5 dei motivi di ricorso), (OMISSIS) (sub 8.1 dei motivi di ricorso) e (OMISSIS) (sub 5.1 dei motivi di ricorso).
2.1. Inammissibile deve ritenersi la doglianza sollevata dalla (OMISSIS) e da (OMISSIS) quanto alla sussistenza del metodo mafioso: la Corte di merito ne ha escluso la ricorrenza avendo ravvisato la circostanza limitatamente alla declinazione dell’agevolazione (vedi pag. 242 della sentenza impugnata); quanto all’agevolazione, la censura della (OMISSIS) e’ generica in quanto omette di confrontarsi specificamente con le argomentazioni addotte dalla Corte di merito ai fini del riconoscimento dell’aggravante che non si fondano unicamente sulla qualita’ di partecipe della ricorrente al sodalizio di cui al capo D), ma ne rivelano specifici indici dimostrativi (vedi al riguardo la telefonata intercettata tra la ricorrente e (OMISSIS) a pag. 245 della sentenza impugnata).
2.2. Infondate e/o manifestamente infondate sono le censure sollevate da (OMISSIS), (OMISSIS) (con riguardo all’agevolazione) e (OMISSIS).
Quanto al rilievo che le intestazioni fittizie fossero a vantaggio personale del (OMISSIS) ovvero della famiglia piuttosto che del sodalizio, le censure riguardano un tema motivatamente affrontato e disatteso dalla Corte di merito; i giudici di appello hanno, infatti, evidenziato come il sodalizio diretto da (OMISSIS) fosse anzitutto un clan eminentemente a carattere familiare e come il (OMISSIS) non solo ne costituisse il cespite principale ma, in ragione delle modalita’ mafiose con cui e’ stato acquisito, fosse il simbolo della potenza e della persistenza della pressione criminale dei (OMISSIS) sul territorio lidense; d’altra parte e’ stato gia’ evidenziato come per i giudici di merito la proprieta’ del (OMISSIS) fosse assolutamente funzionale alle dinamiche associative risultando destinatario di parte dei proventi derivanti dall’attivita’ delittuosa dell’associazione e strumento attraverso il quale investire e ripulire quanto direttamente percepito attraverso l’attuazione del composito programma criminoso.
Peraltro, la sentenza impugnata, richiamando un orientamento di questa Corte, ha al riguardo correttamente precisato come la circostanza non e’ esclusa laddove l’agente persegua l’ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso, purche’ ad esso si accompagni la consapevolezza di favorire l’interesse della cosca beneficiata (Sez. 5, n. 11101 del 4/2/2015, Rv. 262713). Deve essere esclusa, infatti, l’incompatibilita’ genetica tra la finalita’ di perseguire un proprio utile e quella di avvantaggiare l’associazione destinataria del provento, giacche’ il doppio finalismo e’ insito nella condotta di chi, pur di perseguire uno scopo personale, reca concreti vantaggi all’associazione mafiosa. Nello specifico, l’indubbio vantaggio personale di conservare la disponibilita’ dei beni economici di tanto ingente valore al riparo delle confische di prevenzione non e’ stato disgiunto, nella motivazione della sentenza impugnata, dalla volonta’ di mantenere tali floride attivita’ imprenditoriali ed i cospicui redditi che ne derivavano al servizio delle esigenze del sodalizio criminoso.
Inoltre, quanto ad (OMISSIS) il diretto coinvolgimento nella incessante successione di prestanome, insieme al contributo causale fornito alla perdurante gestione di fatto del (OMISSIS) da parte della famiglia (OMISSIS), con l’intento di preservare i beni dai sequestri e dalle altre misure ablatorie che nel tempo si sono succedute, da’ ragionevolmente conto della consapevolezza (o quantomeno dell’ignoranza colpevole) in capo A1l’imputata di favorire anche il sodalizio a cui quel bene faceva riferimento.
Ad analoga conclusione puo’ pervenirsi anche con riguardo a (OMISSIS), essendo le intestazioni fittizie alle quali ha concorso animate dalla finalita’ di preservare anche in capo A1 sodalizio il bene, per come si ricava anche dal suo diretto coinvolgimento nella fase iniziale di acquisizione del (OMISSIS). Questa Corte ha al riguardo precisato come l’aggravante puo’ trovare applicazione anche quando si tratti di condotte funzionali a favorire l’operativita’ di un sodalizio di stampo mafioso, in quanto strumentali a sottrarre i beni e le attivita’ illecitamente accumulate dall’associazione a misure ablatorie (Sez. 2, n. 34523 del 16/4/2014, Rv. 260850).
2.3. Inammissibile poiche’ generica risulta l’ulteriore doglianza (sub 8 dei motivi di ricorso) connessa al tema in esame, con cui (OMISSIS) ha dedotto, sul piano della violazione di legge, anche convenzionale e del vizio di motivazione, l’esistenza di ne bis in idem sostanziale in ordine alla vicende oggetto di contestazione ai capi O) ed O1), in quanto accadimenti gia’ scrutinati nel procedimento nei confronti di (OMISSIS) + 8, pur se diversamente qualificati nell’odierno processo. Invero, nell’articolazione della censura – che richiama l’allegata memoria prodotta nel corso del giudizio di rinvio – si danno per asseverati i presupposti di carattere processuale che invece non sono stati specificamente indicati nelle loro chiare enunciazioni fattuali e negli esiti, cosi’ precludendo alla Corte di verificare l’ammissibilita’ e la fondatezza della doglianza.
Inoltre, l’accertamento delle condizioni di operativita’ della preclusione del “ne bis in idem”, per giudicato sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto, non puo’ essere svolto dalla Corte di cassazione, poiche’ resta estraneo al giudizio di legittimita’ l’accertamento del fatto e la parte non puo’ produrre documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione e’ rimessa esclusivamente al giudice di merito, potendo comunque l’imputato far valere la violazione di detto divieto davanti al giudice dell’esecuzione (ex multis, Sez. 4, n. 48575 del 3/12/2009, Rv. 245740; Sez. 2, n. 2662 del 15/10/2013, dep. 2014, Rv. 258593; Sez. 2, n. 18559 del 13/3/2019, Rv. 276122; Sez. 3, n. 20887 del 15/4/2015, Rv. 263407).
C.4. La violazione della legge armi e la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa: capo S) della rubrica.
Gia’ coperta da giudicato e’ l’affermazione di responsabilita’ per l’illegale detenzione delle armi di cui al capo S) della rubrica nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Quanto a (OMISSIS), il giudicato si e’ formato limitatamente all’illegale detenzione della pistola Glock, per cui e’ stato gia’ condannato in via definitiva con sentenza del Tribunale di Roma a seguito del suo arresto.
Il tema devoluto dalla sentenza di annullamento concerneva la sussistenza dell’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, esclusa dalla prima sentenza di appello a seguito del disconoscimento del carattere mafioso del gruppo al quale erano correlate le contestazioni.
L’aver motivatamente ricondotto la co-detenzione delle armi, per cui i ricorrenti sono stati riconosciuti responsabili di tale reato a titolo di concorso morale e materiale, all’organizzazione (vedi pag. 232 della sentenza impugnata in cui si evoca il riferimento ad un’entita’ terza da parte di chi la detiene), in ragione anche dell’attribuzione al (OMISSIS), nella sua qualita’ di capo, del potere decisionale sulla sorte delle stesse, peraltro detenute consapevolmente a detti fini dagli altri correi, da’ ragionevolmente conto, sul piano della logicita’ della motivazione, della sussistenza dell’aggravante tanto nella forma dell’agevolazione che di quella del metodo; il compendio e’ infatti destinato ad agevolare il clan, rafforzandone la forza di intimidazione sia nel territorio di pertinenza che verso i potenziali rivali (diverse sono le intercettazioni riportate dalle sentenze di merito in cui i sodali fanno riferimento all’utilizzo delle armi per risolvere questioni legate agli affari del sodalizio) e non limitatamente agli affari di droga (settore comunque di carattere essenziale per l’associazione), alla luce anche dei molteplici episodi di violenza e di intimidazione in cui e’ stato dai sodali progettato o accertato l’impiego delle armi.
Le censure mosse dai ricorrenti ( (OMISSIS) sub 3; (OMISSIS) sub 8.2 e (OMISSIS) sub 1.2 dei motivi di ricorso; (OMISSIS) sub 6.3. dei motivi aggiunti), tanto sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione risultano, pertanto, infondate.
D) Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Infondato e’ il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma con cui si e’ dedotto il vizio di motivazione in ordine all’esclusione nei confronti delle imputate (OMISSIS) e (OMISSIS) di un ruolo apicale nell’ambito delle compagini associative loro rispettivamente ascritte.
Il riferimento, infatti, a circostanze che la Corte territoriale avrebbe trascurato nella valutazione della rilevanza del contributo prestato dalle ricorrenti involge questioni di fatto non deducibili in questa sede.
Ne’ l’illogicita’ del percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata per escludere l’attribuzione alle imputate di un ruolo qualificato puo’ fondarsi su un’asserita cognizione incompleta e frammentaria degli atti di causa. Le prove a “confutazione” indicate nel ricorso del Procuratore generale risultano, infatti, essere state puntualmente riportate e vagliate in sentenza, la quale si e’ fatta carico di evidenziare, nell’ambito degli argomenti legati alle molteplici imputazioni, tutti gli elementi che riguardano le condotte ed il ruolo assunto da ciascun partecipe. Tale precisazione esclude il paventato vizio di motivazione laddove, con riguardo alla parte relativa al ruolo ricoperto dai singoli associati (tanto nel sodalizio di cui al capo D) che in quello di cui al capo A1) della rubrica), si sono richiamati gli elementi decisivi del giudizio svolto, sia pure nella porzione rilevante ai fini del discorso giustificativo, a fronte di una dichiarata evidenza di differenze di ruolo e funzioni che hanno caratterizzato le figure delle imputate. Cio’ rende non puntuale il riferimento alla dedotta disparita’ di trattamento che vi sarebbe stata secondo il ricorrente tra le imputate e in particolare con la loro madre (OMISSIS), ovvero, quanto a (OMISSIS), anche con il (OMISSIS), in quanto il vizio di motivazione deve essere ricavato sulle ragioni che, viceversa, hanno condotto la sentenza impugnata ad indicare la posizione di semplice partecipe di entrambe.
L’aver asseverato l’esistenza di una sorta di direttorio familiare costituente il nucleo centrale del sodalizio di stampo mafioso non significa avere del pari riconosciuto una sorta di pari dignita’ a tutti coloro che ne facevano parte, considerato che la sentenza impugnata ha indicato molteplici elementi ampiamente dimostrativi di come alla concertazione “familiare” seguisse poi l’assunzione delle decisioni da parte del capo indiscusso (OMISSIS), riconoscendosi, semmai, alla (OMISSIS) un ruolo di maggior peso in funzione dello storico legame, non solo coniugale, ma dettato dai comuni trascorsi illeciti, con colui che era al vertice del sodalizio.
Ne’ l’attribuzione alle imputate, da parte della sentenza impugnata, di un ruolo di partecipe sia pure di “grado elevato” si traduce in un vizio di illogicita’, con conseguente error iuris relativo alla corretta sussunzione nella categoria di riferimento, potendosi ravvisare, anche nell’ambito del partecipe, in ragione della natura del contributo prestato, una differente gradualita’, per come del resto si ricava anche dal combinato disposto di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 1 e articolo 133 c.p., comma 1, n. 1 che stabiliscono una forbice edittale riguardo al trattamento sanzionatorio. La previsione di una graduazione della pena impone al giudice di selezionare, nell’ambito della qualifica di partecipe, i contributi prestati in ragione del loro concreto grado di offensivita’, distinguendosi tra quelli base, intermedi ed elevati. Cosi’ personalizzandosi anche il trattamento sanzionatorio in ossequio al disposto di cui all’articolo 27 Cost., comma 3.
Peraltro, quanto ad (OMISSIS), la circostanza che il suo contributo si “esaurisca” nell’ambito dei delitti di carattere “familiare” e non sfoci anche in quelli di diversa natura che comunque caratterizzano l’associazione (usura, estorsioni, progettati attentati, armi, traffico di droga) da’ pienamente conto dell’assenza di illogicita’ manifeste nella conclusioni raggiunta dalla sentenza impugnata.
Parimenti e’ a dirsi con riferimento a (OMISSIS), ove il quid pluris rispetto alla sorella del coinvolgimento nel sodalizio finalizzato al traffico di droga, nonche’ in conversazioni in cui si fa riferimento all’usura ovvero a riunioni in cui si discute anche di armi, non e’ accompagnato da ulteriori significativi elementi che diano conto di un’autonomia decisionale in capo A1l’imputata, assumendo la stessa un ruolo di carattere subordinato. L’aver inflitto all’imputata una pena comunque piu’ elevata rispetto a quella della sorella esclude qualsiasi profilo di irragionevolezza manifesta della motivazione in ragione del differente ruolo partecipativo comunque svolto dalle imputate.
In conclusione, la Corte d’appello, attraverso un approccio globale non circoscritto a considerare in maniera parcellizzata le circostanze di fatto complessivamente enunciate, e’ giunta alla meno grave qualificazione di partecipe in ragione delle soglie probatorie utili, con rilievo della peculiarita’ della singola posizione da ciascuna ricoperta.
Ne’, infine, risulta decisivo l’orientamento giurisprudenziale citato dal ricorrente a proposito del riconoscimento della qualifica di promotore per l’associato a delinquere che andrebbe conferito per il sol fatto di avere sovrainteso alla complessiva attivita’ di gestione del sodalizio, necessitando tale posizione anche di quei requisiti di riconoscibilita’ interna ed esterna che sono stati motivatamente esclusi (ex multis, Sez. 6, n. 40530 del 31/5/2017, Rv. 271482).
E) Ulteriori considerazioni sui motivi dei ricorsi inerenti alla partecipazione degli imputati all’associazione a delinquere di stampo mafioso ed all’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
La sentenza impugnata, quanto alle ritenute partecipazioni tanto sotto il profilo oggettivo che dell’affectio societatis, quanto ai rispettivi delitti fine, si sottrae ai denunziati vizi di legittimita’, in quanto si e’ in presenza di un percorso motivazionale giuridicamente corretto e logicamente coerente, come tale non sindacabile in questa sede; al contrario, le critiche mosse dai ricorrenti nei loro rispettivi ricorsi tendono anche a sollecitare una diversa valutazione della vicenda fattuale, attivita’ assolutamente preclusa nel giudizio di legittimita’. Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimita’ e’ infatti preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perche’ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione, assegnatale dal legislatore, di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalita’ e di capacita’ di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (ex multis, Sez. 6, n. 9923 del 5/12/2011, dep. 2012, Rv. 252349). Ancora la giurisprudenza ha affermato che l’illogicita’ della motivazione, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, Rv. 271227; S.U., n. 24 del 24.11.1999, Spina, RV. 214794; Sez. 3, n. 41362 del 25/5/2014, non mass.).
Parimenti inammissibili risultano, infine, quelle doglianze che, sotto il profilo del paventato travisamento della prova, in realta’ finiscono per confutare il giudizio e l’ambito della valutazione espressa dal giudice del merito. In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, e’ ravvisabile ed efficace, infatti, solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis, Sez. 5, n. 48050 del 2/7/2019, Rv. 277758).
F) Il trattamento sanzionatorio.
1. La questione di legittimita’ costituzionale della pena stabilita dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 ( (OMISSIS), sub 3 dei motivi di ricorso).
1.1. L’eccezione sollevata dalla difesa di (OMISSIS) e’ inammissibile per carenza di interesse.
Sebbene il ricorso per cassazione possa avere ad oggetto anche l’eccezione d’illegittimita’ costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito, in quanto potrebbe comportare una censura di violazione di legge riferita al provvedimento impugnato, occorre sempre che sussista la rilevanza della questione, nel senso che dall’invocata dichiarazione d’illegittimita’ possa conseguire una pronuncia favorevole in termini di annullamento, totale o parziale, del provvedimento (Sez. 1, n. 409 del 10/12/2008, dep. 2009, Rv. 242456). Nel caso in esame l’intervento di carattere manipolativo sulla forbice edittale che il ricorrente invoca – ed in relazione al quale ha prospettato il dubbio di costituzionalita’ – e’ riferito al trattamento sanzionatorio di altra fattispecie associativa (l’articolo 416-bis c.p.) che, tuttavia, nel minimo edittale (con riferimento alla condotta del partecipe) prevede la stessa pena base che e’ stata inflitta al ricorrente nel presente giudizio sulla scorta del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 2. Ad analoghe conclusioni si perverrebbe laddove si considerasse anche l’ipotesi aggravata, sussistendo, quanto al minimo della pena, perfetta identita’ sanzionatoria tra Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, il comma 4 e dell’articolo 416-bis c.p., il comma 4.
2. Il computo delle circostanze aggravanti in ordine al capo A1) ed al capo D) della rubrica.
2.1. L’imputato (OMISSIS) ha dedotto la violazione del principio del divieto di reformatio in peius avendo la Corte d’appello applicato ai fini della determinazione della pena, seppur non contestata e ne’ ritenuta dal giudice di primo grado, l’aggravante del numero delle persone di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3 (sub 2 dei motivi di ricorso).
Ritiene il Collegio che la censura risulti parzialmente fondata. Il ricorrente, infatti, in primo grado risulta essere stato condannato dal Tribunale di Roma ad anni dieci di reclusione (con esclusione dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4), minimo della pena previsto per il partecipe. Nel capo di imputazione – rubricato Al) – risulta espressamente contestata soltanto l’aggravante di essere l’associazione armata. Nessun riferimento a detta circostanza si rinviene nel calcolo della pena effettuato dal giudice di primo grado. Pertanto, il giudice di appello che, in difetto di impugnazione del pubblico ministero, ne riconosca ex officio l’esistenza (vedi pag. 162 della sentenza impugnata), incorre nel divieto di reformatio in peius (in termini vedi Sez. 4, n. 9123 dell’8/11/2017, dep. 2018, Rv. 272188; nel senso che nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entita’ complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, S.U., n. 40910 del 27/9/2005, W. Morales, Rv. 232066). L’imputato, pertanto, tenuto conto della concessione delle attenuanti generiche, doveva essere condannato ad una pena inferiore a quella inflitta in primo grado.
Non puo’ tuttavia procedere questa Corte di legittimita’ alla determinazione della relativa pena nel senso indicato dal ricorrente (che invoca una riduzione pari al massimo concedibile), in quanto nella sentenza impugnata non si rinvengono indici da cui possa ricavarsi che il giudice del merito avrebbe concesso – laddove non avesse proceduto al giudizio di comparazione – le attenuanti generiche nella loro massima estensione. Infatti, la possibilita’ riconosciuta alla Corte di cassazione dall’articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), nella formulazione modificata dalla L. n. 103 del 2017, di rideterminare direttamente la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito, procedendo ad un annullamento senza rinvio, e’ circoscritta alle ipotesi in cui alla situazione da correggere possa porsi rimedio senza necessita’ dell’esame degli atti dei processi di primo e secondo grado e della formulazione di giudizi di merito, obiettivamente incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimita’ (Sez. 6, n. 44874 dell’11/9/2017, Rv. 271484; Sez. 5, n. 6782 del 6/12/2016, dep. 2017, Rv. 269450).
Va, pertanto, necessariamente annullata sul punto la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, al fine di stabilire l’esatta misura della diminuzione di pena conseguente al riconoscimento delle attenuanti generiche, ferma restando l’affermazione di responsabilita’ di carattere irrevocabile per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 in qualita’ di partecipe.
2.2. In virtu’ del principio dell’effetto estensivo dei motivi di impugnazione, l’errata applicazione della suddetta aggravante si rinviene anche con riguardo alle posizioni degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).
2.2.1. Quanto al (OMISSIS), l’aggravante risulta essere stata considerata, unitamente a quella dell’essere l’associazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 armata, nel giudizio di equivalenza con le concesse attenuanti generiche, laddove la Corte di merito ha inflitto la pena pari ad anni dieci di reclusione (il minimo stabilito per il partecipe). Competera’ al giudice del rinvio valutare se, eliminata tale circostanza dal giudizio di comparazione, permanga l’equivalenza con l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4 ovvero operi un giudizio di prevalenza, ferma restando l’affermazione di penale responsabilita’ del ricorrente.
2.2.2. Quanto ad (OMISSIS), la sentenza impugnata ha apportato espressamente un aumento di pena in forza dell’aggravante del numero delle persone pari a mesi uno di reclusione che invece deve ritenersi, per quanto detto, non applicabile. Puo’, pertanto, questa Corte di legittimita’, ai sensi dell’articolo 620 c.p.p., lettera l), direttamente procedere all’eliminazione dell’aumento apportato. La pena finale cosi’ rideterminata risulta pari ad anni dieci e mesi cinque di reclusione.
2.2.3. Non risulta, invece, in concreto applicata l’aggravante del numero delle persone per (OMISSIS), essendosi fatto riferimento “al delitto di cui al capo A1) come contestato nell’originaria imputazione” e, quindi, comprensivo soltanto dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi: con riguardo a (OMISSIS) ove nel calcolo della pena l’aggravante non e’ menzionata, a differenza di quella di cui al comma 4, di cui non si e’ poi tenuto conto in concreto ai fini del calcolo della pena; le stesse conclusioni valgono con riguardo a (OMISSIS), essendo stata inflitta la pena base di anni ventiquattro di reclusione che corrisponde al minimo edittale in presenza dell’aggravante dell’essere l’associazione armata e facendosi riferimento nel dispositivo al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74 “come originariamente contestato”; come pure con riferimento a (OMISSIS), in quanto risulta inflitto il minimo edittale (pari ad anni dodici) stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 4 partecipando egli ad un’associazione armata e richiamandosi nel dispositivo solo tale aggravante; ed infine in ordine a (OMISSIS), poiche’ nel dispositivo si fa espresso riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, solo comma 4.
2.2.4. Quanto ad (OMISSIS), deve ricondursi a mera svista di battitura – e dunque ad ipotesi non riconducibile al vizio di motivazione – il riferimento contenuto nell’ambito del giudizio di equivalenza alle “aggravanti”, anziche’ alla sola “aggravante” di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 6 che e’ stata riconosciuta a carico della ricorrente. Invero, dal calcolo della pena esplicitato in sentenza si ricava come la Corte di merito, nell’operare il giudizio di bilanciamento con le concesse attenuanti generiche, abbia avuto ben presente che nella comparazione confluiva una sola circostanza e, in particolare, quella di cui al comma 6 di cui all’articolo 416-bis c.p., avendo nel capoverso precedente della motivazione espressamente precisato che andava esclusa l’aggravante di cui al comma 4 (vedi pagg. 248 e 252 della sentenza impugnata). Peraltro, il riferimento alle aggravanti puo’ giustificarsi anche con la presenza dell’altra circostanza ad effetto speciale di cui alla Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 comunque riconosciuta a carico della ricorrente riguardo ai delitti fine.
3. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3.1. La censura, sollevata dalle difese di (OMISSIS) (sub 6 dei motivi di ricorso), di (OMISSIS) (sub 7 dei motivi di ricorso) e di (OMISSIS) (sub 6.4 dei motivi aggiunti), e’ manifestamente infondata. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e’ giustificata da una motivazione coerente esente da manifesta illogicita’, che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419). Si deve considerare il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244).
Nel caso in esame, l’elemento ostativo e’ rappresentato dalla riconosciuta appartenenza dei ricorrenti ai due sodalizi criminosi (quello Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74 e quello di cui all’articolo 416-bis c.p.). Si tratta, quindi, di un giudizio fondato sull’obiettiva gravita’ dei reati ascritti e sulla conseguente pericolosita’ sociale che rendono logicamente recessivi gli indici “positivi” indicati dalle difese. Peraltro, la giovane eta’ di (OMISSIS) resta un elemento meramente anagrafico, tenuto conto che l’imputato, per come precisato dalla sentenza impugnata, gia’ all’epoca di commissione dei reati era latitante per il delitto di omicidio, ragione per la quale si trovava in Spagna. Inoltre, il minor lasso di tempo che ha caratterizzato la sua partecipazione alle associazioni criminose risulta essere stato comunque valutato dal giudice del merito ai fini dell’entita’ della pena, stabilita nel minimo edittale. Quanto alla coimputata (OMISSIS), il riferimento alla diversa qualita’ di partecipe rispetto a quella di organizzatrice assegnatole dal Tribunale non si rivela decisivo, in quanto trattasi pur sempre di partecipazione a carattere “molteplice” e, peraltro, anche supportata dall’aggravante dell’essere il sodalizio armato.
G) Le statuizioni civili.
Dal rigetto dei ricorsi consegue la condanna in solido tra loro degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ritenuti colpevoli dell’associazione di stampo mafioso di cui al capo D) della rubrica (fatto illecito in relazione al quale vi e’ stata condanna nel merito al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili), alla rifusione delle spese di costituzione e lite sostenute nel grado dalle parti civili costituite e, precisamente, “Roma Capitale”, ” (OMISSIS)”, Regione Lazio, (OMISSIS), ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)”, nella misura di Euro 6.500,00 in favore di ciascuna di esse, oltre il 15% per rimborso forfettario dovuto ex lege, c.p.a. ed i.v.a., liquidazione che tiene conto dell’attivita’ defensionale concretamente svolta e delle notule presentate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio derivante dall’applicazione dell’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 3, e rinvia per nuova determinazione della pena ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilita’.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente all’aumento di un mese di reclusione per l’aggravante Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 74, comma 3, che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna in solido tra loro altresi’ (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) alla rifusione delle spese di costituzione e lite sostenute nel grado dalle parti civili Roma capitale, ” (OMISSIS)”, Regione Lazio, (OMISSIS), ” (OMISSIS) Associazioni nomi e numeri contro le mafie” e ” (OMISSIS)”, spese che liquida per ciascuna in Euro seimilacinquecento oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, c.p.a. ed i.v.a. come per legge.
Rigetta il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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