I Legittimari
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I legittimari azione di riduzione e di restituzione
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I legittimari, azione di riduzione e di restituzione
L’istituto della legittima, in quanto compressione della libertà del testatore di disporre dei suoi beni con atto di ultima volontà, trova la sua ratio nella esigenza di tradurre in dovere giuridico post mortem quello morale di mantenere i più stretti congiunti durante la vita terrena, ovvero, come tassativamente indicato dall’art. 536 c.c., il coniuge ed i figli[1].
Per una lontana sentenza della S.C.[2] nel sistema giuridico italiano, titolo primario ed assorbente della vocazione ereditaria è il testamento, considerato come suprema espressione della volontà umana; la successione legittima ha funzione suppletiva, ed interviene ove quella volontà manchi.
La successione necessaria ha funzione limitatrice e correttiva della volontà testamentaria, in quanto costituisce un argine al potere di disposizione mortis causa del testatore, ma non implica, di per se stessa, una investitura nella titolarità dei beni. Pertanto, il legittimario pretermesso non partecipa in nessun caso alla comunione ereditaria ed ha l’onere di agire in riduzione, se vuole conseguire i beni ad altri attribuiti nel testamento sia con istituzione di erede, sia con attribuzione di legati.
La quota di riserva
La legge fissa l’entità della quota (di cui non si può disporre a titolo di liberalità) di riserva distinguendo a seconda della persona dei legittimari, non avendo essi diritto sempre alla stessa quota.
Inoltre la legge si preoccupa anche di definire le quote in caso di concorso di più legittimari.
Questa quota, che corrisponde a una frazione aritmetica del patrimonio ereditario, è detta di riserva o legittima; mentre al resto del patrimonio ereditario, del quale il de cuius poteva liberamente disporre per atto di liberalità, si dà il nome di quota disponibile.
Le Sezioni Unite [3] con la pronuncia del 2006 hanno affermato che in tema di successione necessaria l’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli legittimari appartenenti alla medesima categoria deve essere effettuata sulla base della situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non di quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o prescrizione, dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.
Successivamente la medesima Cassazione [4] ha affermato che, ai fini della determinazione della porzione disponibile e delle quote riservate ai legittimari, occorre avere riguardo alla massa costituita da tutti i beni che appartenevano al de cuius al momento della morte – al netto dei debiti – maggiorata del valore dei beni donati in vita dal defunto, senza che possa distinguersi tra donazioni anteriori o posteriori al sorgere del rapporto da cui deriva la qualità di legittimario.
Particolarmente controverso è il tema della natura giuridica della successione dei legittimari.
In considerazione della collocazione della disciplina della riserva a favore dei legittimari nel Titolo dedicato alle «Disposizioni generali sulle successioni», era sorto il dubbio che essa costituisse un terzo tipo di successione, con carattere autonomo, accanto alla successione legittima e a quella testamentaria.
Probabilmente questa era la teoria originariamente seguita dai redattori del Codice civile, ma secondo la tesi attualmente prevalente in dottrina le norme sulla riserva determinano una vera e propria vocazione ereditaria dei soggetti i cui interessi intendono proteggere, e tale vocazione può essere compresa, insieme con quella intestata, in una più generale nozione di vocazione legale, giacché le rispettive discipline, per quanto differenti, si ispirano a criteri almeno in parte comuni.
I diritti di legittima e la tutela dei legittimari pretermessi
Secondo i principi generali, prima dell’apertura della successione, agli eventuali successibili non spetta alcun diritto, né come pretesa sull’eredità, né come aspettativa giuridica.
La possibilità di essere chiamato, in qualità di legittimario, alla successione mortis causa di altra persona ancora in vita non integra una situazione giuridica tutelabile in sé, né si risolve in una ragione di credito idonea a legittimare l’interferenza nella sfera giuridica dell’altro soggetto [5] (nel caso, esercitando un suo diritto, ad esso surrogandosi ex art. 2900 c.c.).
Nessuna modifica può derivare a tale principio da alcune recenti riforme legislative, che attribuiscono ai potenziali legittimari alcuni poteri e diritti anche prima della morte dell’eventuale dante causa: ci si riferisce alla nuova disciplina degli effetti della riduzione delle donazioni lesive della legittima [6] (art. 563 c.c.), e all’introduzione del patto di famiglia (artt. 768 bis[7] – 768 octies c.c.).
Queste figure, infatti, costituiscono eccezioni, che non permettono di modificare i principi generali.
La condizione di legittimario, dunque, assume rilevanza in ogni suo aspetto soltanto al momento dell’apertura della successione, poiché solo allora può evidenziarsi una lesione di legittima: di conseguenza, potrà aprirsi la successione necessaria, come effetto della dichiarazione di inefficacia, a seguito dell’esperimento dell’azione di riduzione [8], delle disposizioni testamentarie e/o delle donazioni lesive.
Perciò, la questione più dibattuta è quella relativa alla natura della posizione del legittimario leso o pretermesso, in quanto si discute se egli possa, o meno, essere considerato erede, e, nel caso di risposta positiva a questo primo quesito, in che momento egli acquisti la qualità di erede.
La giurisprudenza, comunque, aderisce, di massima, all’orientamento prevalente e ritiene che il legittimario pretermesso diventi erede dopo il positivo esperimento dell’azione di riduzione.
Questa impostazione è stata tuttavia rimessa in discussione da una decisione in cui la Cassazione [9] ha ritenuto che l’accoglimento della domanda di riduzione attribuisca al legittimario la posizione di chiamato all’eredità, con la conseguenza che egli potrà accettare o rinunziare nel termine di dieci anni dalla sentenza favorevole, dalla quale nasce per lui la delazione ereditaria.
Per ultima pronuncia della medesima Corte [10] i legittimari acquistano la qualità di eredi soltanto all’esito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, restando altrimenti estranei alla comunione ereditaria, assume che conseguentemente ai fini della determinazione della quota di riserva occorre fare riferimento soltanto a coloro che in concreto abbiano acquisito la qualità di erede, sia per testamento sia per effetto dell’utile esperimento dell’azione di riduzione.
Più in particolare è stato previsto [11] che il legittimario pretermesso acquista la qualità di chiamato alla eredità solo dal momento della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione rimuovendo l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie.
Da ultimo la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 maggio 2014, n. 12221
ribadendo che la totale pretermissione del legittimario si può avere sia nella successione testamentaria, sia nella successione ab intestato e per lo effetto il legittimario può dirsi pretermesso nella successione testamentaria quando il testatore ha disposto a titolo universale dell’intero asse a favore di altri, in tal caso, ai sensi dell’art. 457, secondo comma, cod. civ., il legittimario non è chiamato all’eredità fino a quando l’istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti. Nella successione ab intestato, la pretermissione si verifica qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell’intero suo patrimonio con atti di donazione, sicché, stante l’assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessità di esperire l’azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce. A ciò consegue che il legittimario pretermesso, sia nella successione testamentaria sia in quella ab intestato, il quale impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista, solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione, e come tale non è tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.
Infine, con ultimo intervento il Legislatore, con la Legge 10 dicembre 2012 n. 219 – disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, in merito alla successione dei figli naturali, ha determinato una modifica imponente, determinando per lo effetto la caducazione dell’atavica distinzione tra figli naturali e legittimi, in particolare come avremo modo di analizzare successivamente [12] abolendo il diritto di commutazione ex art. 537 c.c.
In altre parole sono state riscritte le norme sulla successione, in cui ai figli (nati fuori del matrimonio o al suo interno) è riservato lo stesso identico trattamento normativo.
Modifica legislativa che ha delegittimato (giustamente – a parere di chi scrive) anche l’intervento della Corte Costituzionale[13] secondo il quale venne dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 537, c. 3, c.c., nella parte in cui prevedeva che i figli legittimi avrebbero potuto soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si opponessero, in riferimento agli artt. 3 e 30, c. 3, Cost.
Con il decreto legislativo 154/2013 (in attuazione della delega contenuta all’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
è portata a compimento la più radicale modifica del diritto di famiglia successiva alla legge 19 maggio 1975, n. 151
2) LE VARIE CATEGORIE DEI LEGITTIMARI
art. 536 c.c. legittimari: le persone a favore delle quali la legge riserva (c.c.457, 549) una quota di eredità o altri diritti nella successione sono:
1) il coniuge,
2) i figli legittimi,
i figli naturali, (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo del 12.7.13 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
3) gli ascendenti legittimi, in assenza dei figli.
Ai figli legittimi sono equiparati i legittimati e gli adottivi (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219).
4) (eventualmente) A favore dei discendenti (c.c.77) dei figli legittimi o naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), i quali vengono alla successione in luogo di questi (467), la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli legittimi o naturali.
A) Coniuge
art. 540 c.c. riserva a favore del coniuge: a favore del coniuge (c.c.459) è riservata la metà ½ del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’art. 542 per il caso di concorso con i figli.
Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati 1) i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare (c.c.144), e 2) di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Coniuge e diritto di abitazione [14] [15]
Il legislatore ha inteso tutelare non tanto un interesse economico del coniuge superstite a disporre di un alloggio, quanto un interesse morale legato alla conservazione dei rapporti effettivi e di consuetudine con la casa familiare, oltre che al mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio.
L’art. 540, comma II, c.c., dispone che al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti d’abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni[16].
In altre parole i diritti reali di abitazione e di uso dei mobili che l’arredano, riservati per legge, a titolo di legato, al coniuge superstite, hanno ad oggetto la casa coniugale, ossia quella che in concreto era adibita a residenza familiare, e non quella ove i coniugi, prima del decesso di uno di essi, avrebbero voluto fissare la residenza della famiglia (art. 144 c.c.) [17].
Il diritto di abitazione si estende sia a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne è oggetto, sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa etc.), giacché l’abitazione non è costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria, sia, in virtù del combinato disposto degli artt. 983 e 1026 c.c., alle accessioni (nella specie, nuova costruzione)[18].
Per ultima Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 giugno 2014, n. 13407
il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite (art. 540 cod. civ., comma 2), ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare. Poiché, dunque, l’oggetto del diritto di abitazione mortis causa coincide con la casa adibita a residenza familiare, esso si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi- vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare. In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola. Se, infatti, per le ragioni esposte, il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del “de cuius” come residenza familiare, è evidente che l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi.
Ancora sul punto è tornata nuovamente la Cassazione
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456
secondo la quale appunto il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite…, ha ad aggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”; che “le espressioni usate dall’art. 540, comma secondo… non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi”, riferendosi “alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all’art. 43, comma secondo, c.c., richiama la effettività della dimora abituale nella causa coniugale)”; che “la ratio della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”; che “l’art. 548 primo comma c.c. equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato”, ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare [fa] venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicché “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi
Secondo la migliore dottrina[19] tali diritti rappresentano propriamente dei prelegati ex lege che l’art. 540, c.c. ha considerato come un’aggiunta alla quota di piena proprietà già riservata al coniuge.
Al legato in questione si è dato una funzione aggiuntiva non solo qualitativa (garantire al coniuge il godimento della casa familiare arredata), ma anche quantitativa.
Difatti, per la S.C.[20] si determina un incremento quantitativo della quota contemplata in favore del coniuge, in quanto i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano (quindi, il loro valore capitale) si sommano alla quota riservata al coniuge in proprietà.
Posto che la norma stabilisce che i diritti di abitazione e di uso gravano, in primo luogo, la disponibile, ciò significa che, come prima operazione si deve calcolare la disponibile sul patrimonio relitto, ai sensi dell’art. 556 c.c. e, per conseguenza, determinare la quota di riserva.
Calcolata poi la quota del coniuge nella successione necessaria, in base a quanto stabiliscono gli artt. 540 comma primo, 542 e 543 comma primo, alla quota di riserva così ricavata si devono aggiungere i diritti di abitazione e di uso in concreto, il cui valore viene a gravare la disponibile.
Se la disponibile non è sufficiente, i diritti di abitazione e di uso gravano, anzitutto, sulla quota di riserva del coniuge, che viene ad essere diminuita della misura proporzionale a colmare l’incapienza della disponibile. Se neppure la quota di riserva del coniuge risulta sufficiente, i diritti di abitazione e di uso gravano sulla riserva dei figli o degli altri legittimari.
In altri termini solo se la disponibile non è sufficiente, i diritti in esame potranno gravare sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
Ne consegue che al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni, quale prelegato, che, in prededuzione, grava sulla porzione c.d. disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per la parte eccedente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.
In tema, con ultima pronuncia sono intervenute le sezioni unite [21] stabilendo, nuovamente, e precisando che nella successione legittima spettano al coniuge del de cuius i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano previsti dall’articolo 540 secondo comma del codice civile; il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall’asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest’ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell’attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato
È giusto evidenziare, anche, che ai diritti reali di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che l’arredano, attribuiti al coniuge superstite dall’art. 540 comma 2, c.c., non si applicano gli artt. 1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare[22].
Tali diritti si configurano, pertanto, come diritti esclusivi e non comprimibili del coniuge superstite, con la conseguenza che, così come non potrà trovare accoglimento la domanda di riconoscimento di un diritto di co-abitazione o di co-utilizzazione dei beni da parte di un coerede, al contrario dovrà essere accolta la domanda di esclusione dall’uso dei beni e dal diritto di abitazione della casa già residenza familiare, di un terzo, per quanto contitolare dell’immobile per diritto ereditario.
Il presupposto
Appartenenza della casa adibita a residenza familiare al de cuius o ad entrambi i coniugi.
Per la S.C.[23] il presupposto perché sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del de cuius o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo.
Si è tuttavia posto il problema se la norma in questione si applichi anche nell’ipotesi di comproprietà con terzi della casa familiare.
A) teoria positiva [24]
1) sia per evitare limitazioni dei diritti del coniuge, peraltro non rispondenti allo spirito della legge
2) sia per impedire facili elusioni del diritto di aspettativa del coniuge stesso, quali potrebbero essere, ad es., le alienazioni in vita di piccole parti della proprietà dell’immobile a terzi.
B) teoria negativa [25], si basa sul fatto che –
1) nel caso di specie non si verificano i presupposti per la nascita del diritto di abitazione ed uso, non essendo realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il pieno godimento dei beni oggetto dei diritti stessi;
2) inoltre sul dato letterale della norma che richiede espressamente alla piena esclusiva proprietà in capo al defunto o ad entrambi i coniugi.
3) Per la Cassazione[26], nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che — non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria — possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dal II comma dell’art. 673 c.c.
Natura giuridica
Trattandosi di legato ex lege l’acquisto è automatico e non si perde per rinunzia all’eredità.
In merito la Cassazione[27] ha, appunto, affermato che la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540, cpv., c.c. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, che, costituendo ex lege oggetto di un legato, viene acquisita immediatamente da detto coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art. 649, secondo comma, c.c.), al momento dell’apertura della successione, ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull’abitazione al de cuius.
Pertanto, nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che — non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria — possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dal secondo comma dell’art. 673 c.c.
Nel caso di concorso di più legittimari
al coniuge superstite spetterà, ricorrendo i presupposti di cui all’art. 540 c.c., sia la quota di patrimonio riservata dalla legge che (in aggiunta) il legato in esame.
Nel caso di attribuzione degli stessi diritti ad un terzo
1) secondo alcuni autori [28] i diritti in questione si costituiscono automaticamente a favore del coniuge superstite, in quanto destinati a prevalere su qualunque disposizione testamentaria incompatibile.
2) È preferibile ritenere, con la dottrina prevalente [29], che il coniuge possa ottenere i diritti in esame solo con l’esperimento di un’azione di riduzione di carattere particolare, perché è rivolta ad una reintegra, sia quantitativa che qualitativa.
La trascrizione
1) alcuni autori[30] ritengono che siffatto acquisto non sia suscettibile di trascrizione poiché, trattandosi di legato ex lege, non può rientrare nella previsione dell’art.2648, ultimo comma, c.c. per il quale <la trascrizione dell’acquisto del de cuius si opera sulla base di un estratto autentico del testamento>.
2) la dottrina prevalente[31] sostiene la tesi della trascrivibilità, basandosi sull’art. 2648 c.c., il quale va inteso come comprensivo di qualunque forma di acquisto mortis causa, quindi anche del legato ex lege.
art. 2648 c.c. accettazione di eredità e acquisto di legato: si devono trascrivere l’accettazione della eredità (c.c.470 e seguenti) che importi acquisto dei diritti enunciati nei nn. 1, 2 e 4 dell’art. 2643 o liberazione dai medesimi e l’acquisto del legato (c.c.649) che abbia lo stesso oggetto.
La trascrizione dell’accettazione dell’eredità si opera in base alla dichiarazione del chiamato all’eredità, contenuta in un atto pubblico ovvero in una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (Cod. Proc. Civ. 220).
Se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità (c.c.476 e seguenti), si può richiedere la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente (Cod. Proc. Civ. 220).
La trascrizione dell’acquisto del legato si opera sulla base di un estratto autentico (c.c.2703) del testamento (disp.di att. al c.c. 225, 228).
Ma tra i fautori di questa teoria vi è divergenza riguardo al titolo idoneo per effettuare la trascrizione, non potendo essere utilizzato a tal fine lo steso art. 2648 il quale prevede due titoli qui non esistenti poiché nel nostro caso manca l’atto da trascrivere.
A) Un primo autore [32] sostiene che l’unica via che consente la trascrizione è la sentenza di accertamento dell’acquisto di abitazione da parte del coniuge,
B) Altro [33] indica il titolo idoneo in un atto notorio attestante la sussistenza dei presupposti legali per l’attribuzione del diritto;
C) Altro [34] ancora indica il titolo nel certificato di denunciata successione;
D) Mentre c’è chi [35] ritiene che per trascrivere l’acquisto basti presentare, insieme con il certificato di morte, la nota di trascrizione indicante il vincolo coniugale con il de cuius.
E) Altri, infine, sostengono[36], invece, che la trascrizione dell’acquisto del diritto di abitazione va effettuata sulla base di un atto pubblico o con sottoscrizione autenticata nel quale il coniuge dichiari di accettare il legato ex lege.
Secondo un’altra tesi [37], minoritaria, i diritti verrebbero meno in caso di nuove nozze: si richiamano gli artt. 632 2 co e 9 2 co bis, L.D. nonché, in chiave analogica di abuso di diritto, 1015 e 1026 c.c., quasi ad abitare nella casa con un nuovo coniuge offendesse la memoria del coniuge defunto.
In merito ai conflitti derivanti dalle trascrizioni la S.C.[38] ha stabilito che rispetto ad un immobile, destinato ad abitazione familiare e su cui il coniuge del defunto abbia acquistato il diritto di abitazione sulla base dell’art. 540, secondo comma, c.c., l’ipoteca iscritta dal creditore sulla piena proprietà dello stesso bene, in forza del diritto concessogli dall’erede, è opponibile al legatario alle condizioni stabilite dall’art. 534, commi secondo e terzo, c.c.
Non è invece utilizzabile come regola di risoluzione del conflitto quella dell’anteriorità della trascrizione dell’acquisto dell’erede rispetto alla trascrizione dell’acquisto del legatario, perché la norma sugli effetti della trascrizione, dettata dall’art. 2644 c.c., non riguarda il rapporto del legatario con l’erede e con gli aventi causa da questo: infatti, il legatario acquista il diritto di abitazione direttamente dall’ereditando, e perciò non si verifica né in rapporto all’acquisto dell’erede dall’ereditando né in rapporto all’acquisto del creditore ipotecario dall’erede la situazione del duplice acquisto, dal medesimo autore, di diritti tra loro confliggenti.
B) Coniuge separato
art. 548 c.c. riserva a favore del coniuge separato: il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato (Cod. Proc. Civ. 324), ai sensi del secondo comma dell’art. 151, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato.
Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.
Quanto alla natura giuridica dell’assegno vitalizio, sono state proposte in dottrina due opinioni:
1) quella delle natura non alimentare [39]; autorevolmente sostenuta si basa sulla lettera della legge, che non parla di alimenti e di stato di bisogno.
2) quella della natura alimentare [40]; il diritto all’assegno vitalizio nasce soltanto se il coniuge superstite già godeva degli alimenti al momento dell’apertura della successione, trovandosi, evidentemente, in stato di bisogno. La natura alimentare comporta l’applicazione della normativa sugli alimenti, in particolare l’art. 447 c.c e dell’art. 545 c.p.c.
art. 447 c.c. inammissibilità di cessione e di compensazione: il credito alimentare non può essere ceduto (1260, 2751)
L’ obbligato agli alimenti non può opporre all’altra parte la compensazione, neppure quando si tratta di prestazioni arretrate.
art. 545 c.p.c. crediti impignorabili: non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto.
Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza.
Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura auto.ta dal presi.te del trib.le o da un giudice da lui delegato.
Tali somme possono essere pignorate nella misura di 1/5 per i tributi dovuti allo Stato, alle pr.ce e ai co.ni, ed in eguale misura per ogni altro credito.
Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate prece.nte non può estendersi oltre l’1/2 dell’amm.re delle somme predette.
Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in spec. disp. di legge.
C) Coniuge divorziato
Il coniuge divorziato perde il diritto a succedere, per l’evidente ragione che non esiste il rapporto giustificativo della successione legittima.
La Legge dell’1 dicembre 1970, n.898 (modificata dalle leggi 1.8.1977, n.436 – 6.3.1987, n. 74) tuttavia gli ha riconosciuto un’attribuzione patrimoniale in considerazione del precedente vincolo matrimoniale.
Assegno (natura = legato alimentare) dovuto al soggetto, che aveva diritto alla corresponsione periodiche di somme di denaro, soltanto se versa in stato di bisogno. Di conseguenza troverà applicazione la normativa sugli alimenti (art. 433 e ss. c.c.)
In caso di più coniugi divorziarti superstiti la determinazione degli assegni non andrà fatta attraverso un semplice computo matematico (ad. Es tre coniuge ad ognuno di essi 1/3 della quota dell’assegno carico dell’eredità) ma la misura sarà determinata ad personam, poiché dalla legge sembra emergere che l’attribuzione patrimoniale in oggetto è determinata in funzione delle condizioni personali di ogni singolo coniuge.
Infine, in tema sempre di rapporto tra coniugi, per la S.C.[41], in tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell’ex coniuge, l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.
D) Figli
legittimi e naturali – eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
art. 537 c.c. riserva a favore dei figli legittimi e naturali: salvo quanto disposto dall’art. 542, se il genitore lascia un figlio solo, legittimo o naturale (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), a questi è riservata la metà ½ del patrimonio.
Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei 2/3, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, legittimi e naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
E) Ascendenti
art. 538 c.c. riserva a favore degli ascendenti legittimi: se chi muore non lascia figli legittimi né naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), ma ascendenti legittimi, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio, salvo quanto disposto dall’art. 544.
Ai sensi dell’art. 538 c.c. se chi muore non lascia figli legittimi né naturali, ma ascendenti legittimi, a favore di questi è riservato un terzo del patrimonio del de cuius, cd. legittima. La quota di legittima rappresenta, dunque, quella porzione di eredità di cui il testatore non può disporre, né a titolo di liberalità, né mortis causa (cd. quota indisponibile o riserva) in quanto spettante per legge ai soggetti di cui all’art 536 c.c., denominati legittimari, legati al de cuius da stretti rapporti di parentela o da un rapporto di coniugio, con la conseguenza che qualora la quota di legittima è intaccata dal de cuius, per effetto di atti di disposizione, o di donazioni, oppure in caso di testamento, si ha una lesione della legittima.
Il legittimario pretermesso dal testatore, non assume, pertanto, la posizione di chiamato all’eredità: a questa, infatti, sono chiamati solo coloro che sono designati dal testamento, il quale, intanto, rimane valido ed efficace.
In tal caso, al fine di reintegrare la quota di legge e, conseguentemente, conseguire la quota di eredità di spettanza, il legittimario preterito deve esercitare l’azione di riduzione, volta a far dichiarare invalidi (integralmente o parzialmente) gli atti che hanno prodotto la lesione della sua quota.
Solo a seguito di tale azione il legittimario conseguirà la qualità di chiamato all’eredità, in quanto avrà conseguito una quota della stessa; infatti, solo dal momento della sentenza che accoglie la domanda di riduzione, viene rimossa l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie, che conservano, fintantoché non vengano impugnate con l’azione di riduzione, la loro piena efficacia.
F) Figli naturali non riconoscibili
art. 594 c.c. assegno ai figli naturali non riconoscibili: gli eredi, i legatari e i donatari sono tenuti, in proporzione a quanto hanno ricevuto, a corrispondere ai figli naturali di cui all’art. 279, un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall’art. 580, se il genitore non ha disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi. Se il genitore ha disposto in loro favore, essi possono rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno.
Articolo così sostituito con il decreto legislativo del 12 luglio 13 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
art. 594 c.c. assegno ai figli nati fuori del matrimonio non riconoscibili.
Gli eredi, i legatari e i donatari sono tenuti, in proporzione a quanto hanno ricevuto, a corrispondere ai figli nati fuori del matrimonio di cui all’articolo 279 un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall’articolo 580, se il genitore non ha disposto per donazione o testamento in favore dei figli medesimi. Se il genitore ha disposto in loro favore, essi possono rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno.
art. 580 c.c. diritti dei figli naturali non riconoscibili: ai figli naturali aventi diritto al mantenimento, all’istruzione e alla educazione, a norma dell’art. 279, spetta un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta.
Articolo così sostituito con il decreto legislativo del 12 luglio 13 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219
art. 580 c.c. Diritti dei figli nati fuori del matrimonio non riconoscibili.
Ai figli nati fuori del matrimonio aventi diritto al mantenimento, all’istruzione e alla educazione, a norma dell’articolo 279, spetta un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta.
I figli nati fuori del matrimonio hanno diritto di ottenere su loro richiesta la capitalizzazione dell’assegno loro spettante a norma del comma precedente, in denaro, ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari.
I figli naturali hanno diritto di ottenere su loro richiesta la capitalizzazione dell’assegno loro spettante a norma del comma precedente, in denaro, ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari.
Qualche autore [42] nega al figlio naturale non riconoscibile la qualità di legittimario, affermando che l’assegno in esame costituisce soltanto un onere gravante su coloro che hanno conseguito attribuzioni gratuite dal de cuius.
È preferibile la teoria positiva [43] perché la nuova normativa (art. 195 c.c. riforma del diritto di famiglia) indica chiaramente nel figlio naturale non riconoscibile (ex art. 279 c.c., poiché, in base all’art. 274 c.c., l’azione di riconoscimento giudiziale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata e inoltre il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato ex art. 251 c.c., richiamato dall’art. 278 c.c.) un legittimario e nell’assegno un diritto di legittima.
Non vi è dubbio che, come sostiene la dottrina quasi unanime[44], l’assegno vitalizio non ha carattere alimentare per l’assorbente ragione che esso è commisurato alle sostanze ereditarie, prescindendo dallo stato di bisogno.
Si tratta di un diritto che sorge ex novo per effetto di una vocazione mortis causa a titolo particolare e, più precisamente, di un legato obbligatorio ex lege di rendita vitalizia.
La principale conseguenza di questa natura giuridica è l’inapplicabilità della normativa sui crediti alimentari.
Pertanto
1) la decorrenza sarà dal giorno dell’apertura della successione (e non dal giorno della domanda giudiziale o della costituzione in mora ex art. 445 c.c.),
2) saranno consentite la cedibilità, la compensabilità e la transigibilità (negata agli alimenti ex art. 447 c.c.),
3) sarà irrilevante la svalutazione monetaria essendo un debito di valuta (e non di valore come quello alimentare).
Per una non recente sentenza della S.C.[45] l’ammontare dell’assegno vitalizio, che a norma dell’art. 580 c.c. è attribuito ai figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili, si determina in proporzione delle sostanze ereditarie al momento dell’apertura della successione, quale che sia la loro natura, ed anche se le stesse non producano frutti o reddito, come nel caso di una pinacoteca, una biblioteca etc. Tale modo di commisurazione dell’assegno non è contraddetto dalla seconda parte dello stesso articolo 580, la quale non stabilisce affatto il criterio di determinazione, già fissato invece nella prima parte, ma pone soltanto un limite quantitativo dell’assegno, nel senso che questo non può superare l’ammontare della rendita della quota spettante al figlio naturale riconosciuto.
Gli artt. 580 e 594 c.c., in forza dei quali ai figli naturali non riconoscibili, siano essi minorenni o maggiorenni, spetta un assegno vitalizio di natura successoria sull’eredità del padre naturale (rispettivamente, in sede di successione legittima e di successione testamentaria), sono applicabili anche in favore di colui che abbia un diverso stato di figlio legittimo, tenuto conto che tale status non è incompatibile con un’indagine da effettuarsi incidenter tantum, ai soli indicati fini patrimoniali, su una diversa procreazione naturale, anche considerando che, nella disciplina del diritto di famiglia introdotta dalla legge 19 maggio 1975 n. 151, l’accertamento della genitorialità effettiva, purché non si profili l’incesto, è ammesso pure in situazione di divieto di riconoscimento per contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato (art. 278 c.c., nuovo testo, in relazione ai precedenti artt. 251 e 253)[46].
Peraltro, il diritto all’indicato assegno postula, oltre all’accertamento del suddetto fatto procreativo, l’ulteriore requisito dell’impossibilità di proporre l’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità (stante il richiamo all’art. 279 c.c. da parte dei citati artt. 580 e 594 c.c.), e tale requisito va inteso nel senso d’impossibilità assoluta, cioè originaria, non d’impossibilità soltanto relativa, perché sopravvenuta, con la conseguenza che il diritto medesimo deve essere negato al figlio naturale che, divenuto maggiorenne, abbia omesso di esperire, nel termine di decadenza all’uopo fissato, l’azione di disconoscimento del padre legittimo, sempreché ciò configuri una volontaria scelta circa l’incontestabilità dello status di figlio legittimo, in quanto compiuta nella consapevolezza della diversa filiazione naturale e nella ricorrenza delle condizioni previste per l’azione di disconoscimento del padre legittimo, nonché in assenza di cause di forza maggiore impeditive del tempestivo esercizio di detta azione di disconoscimento.
Per altra successiva pronuncia[47] il diritto all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c. (oltre che al figlio naturale soggetto ad un divieto assoluto di riconoscimento) spetta anche al figlio naturale che abbia il diverso status di figlio legittimo nel caso in cui sia scaduto il termine previsto dalla legge per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità legittima, salvo che questi abbia consapevolmente rinunciato al riconoscimento per lo specifico motivo di preferire la conservazione dello stato di figlio legittimo. Ne consegue che l’azione ex art. 580 c.c. è sempre ammissibile per il figlio naturale che non possa più agire per il disconoscimento della paternità legittima, gravando invece sul convenuto l’onere di provare il fatto ostativo del diritto all’assegno, costituito dalla consapevole rinuncia del richiedente al riconoscimento al fine di conservare lo stato di figlio legittimo.
G) IL DIRITTO DI COMMUTAZIONE
Abrogato con il decreto legislativo 154/2013 recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219
In realtà ante riforma tale commutazione era una facoltà concessa ad alcuni coeredi di soddisfare, in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ad altri coeredi, ritenendoli così estranei alla comunione ereditaria.
art. 537 c.c. riserva a favore dei figli legittimi e naturali: salvo quanto disposto dall’art. 542, se il genitore lascia un figlio solo, legittimo o naturale (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), a questi è riservata la metà del patrimonio.
Se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli, legittimi e naturali.
I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice, valutate le circostanze personali e patrimoniali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219)
Nel corso degli anni la dottrina ha fortemente dibattuto in merito all’istituto abrogato de plano, soprattutto riguardo alla natura, negozio giuridico, ai termini, la forma, l’intrasmissibilità e l’indivisibilità.
La dottrina prevalente [49] interpretava la norma nel senso che il coniuge superstite fosse titolare, insieme con i figli legittimi, del diritto di commutazione, ma l’interpretava nel senso che i figli legittimi avessero tale facoltà non solo quando succedessero da soli, ma anche in concorso con il coniuge.
Si riteneva [50], comunque, che quest’ultimo dovesse prestare il consenso nella scelta dei beni da offrire in commutazione (in forza della sua qualità di partecipante alla comunione) la quale poteva realizzarsi con beni ereditari o denaro.
Qualora mancasse tale consenso i figli legittimi avrebbero dovuto chiedere al giudice la determinazione dei beni da commutare.
Il fondamento
Era la preferenza accordata alla famiglia legittima nei confronti della famiglia naturale. Inestensibilità dell’istituto alla successione testamentaria, non potendo trovare la sua fonte nella volontà del testatore.
Natura
Diritto potestativo, in quanto il suo esercizio produceva il mutamento della situazione giuridica dei figli naturali, i quali non erano tenuti ad alcun comportamento (né positivo, né negativo), ma dovevano soltanto soggiacere alle conseguenze giuridiche della dichiarazione di volontà dei figli legittimi.
Il negozio giuridico di commutazione
La facoltà di commutazione si manifestava mediante la volontà di commutare, detta anche dichiarazione di scelta.
Tale atto costituiva un negozio giuridico unilaterale recettizio.
La non opposizione dei figli naturali, costituiva una condizione risolutiva di efficacia del negozio unilaterale.
Oggetto del negozio
La dichiarazione di commutazione doveva stabilire anche i beni con i quali si intendeva attuarla.
Apparivano, infatti, elementi essenziali dell’oggetto del negozio in esame tanto il diritto che s’intendeva ricevere in commutazione, quanto il diritto che si voleva trasferire in sostituzione.
1) Si riteneva preferibile che il figlio naturale potesse ottenere parte in immobili ereditari e parte in denaro.
2) Nel negozio di commutazione non doveva essere precisato l’ammontare della somma o i beni immobili, poiché questa precisazione si riferiva alla fase di esecuzione della commutazione che poteva avvenire solo in base ad una accordo o, in mancanza di questo, in base ad una decisione giudiziale.
Termini
In assenza di una espressa previsione legislativa, si era discusso in dottrina relativamente ai termini entro i quali dovevano essere esercitati il diritto di commutazione e l’eventuale opposizione.
A) per quanto riguarda il termine per l’esercizio del diritto potestativo della commutazione:
1) parte della dottrina [51] – riteneva che non era possibile ottenere dal giudice la fissazione di un termine, trascorso il quale i figli legittimi non potessero più optare per la commutazione.
Il solo mezzo per costringere i figli legittimi ad una decisione era la domanda di divisione;
2) in contrario [52] – si osservava che ragioni di coerenza e giustizia nei confronti del figlio naturale imponessero di limitare nel tempo la sua soggezione al diritto di commutazione.
È pertanto era preferibile sostenere che il figlio naturale potesse chiedere all’autorità giudiziaria la fissazione di un termine per l’esercizio del diritto di commutazione, applicando analogicamente la norma dell’art. 481 c.c.
B) per quanto riguarda il termine per l’esercizio dell’opposizione:
1) parte della dottrina[53] – applicava analogicamente l’art. 1236 in tema di remissione – entro un congruo termine;
2) Altri[54] – sempre per analogia facevano ricorso all’art. 645 c.c., affermando che i figli legittimi avrebbero potuto adire l’autorità giudiziaria per ottenere la fissazione di un termine.
3) Altro autore[55] riteneva che in questo caso potesse applicarsi il termine decennale di prescrizione (art. 2946), analogamente a quanto è previsto per la rinunzia al legato.
Forma
A) per quanto riguardava la dichiarazione di scelta (negozio unilaterale)
1) la dottrina prevalente [56] – affermava che la dichiarazione di scelta dovesse essere fatta per atto pubblico o scrittura privata autenticata solo quando i figli legittimi avessero deciso di dare in commutazione beni immobili ereditari;
2) altra parte della dottrina [57] – riteneva, invece che la forma scritta era necessaria non solo in caso di commutazione con immobili ereditari, ma anche nel caso di assegnazione di una somma di denaro, qualora l’eredità comprendesse beni immobili.
Poiché si trattava di un negozio di natura divisorio si ritieneva applicabile per la forma l’art. 1350, n. 11 e per la trascrizione l’art. 2646.
art. 1350 c.c. atti che devono farsi per iscritto: devono farsi per atto pubblico (2699 e seguenti) o per scrittura privata (2702 e seguenti), sotto pena di nullità:
11) gli atti di divisione di beni imm.li e di altri diritti reali immobiliari (2646);
art. 2646 c.c. trascrizione delle divisioni: si devono trascrivere le divisioni (c.c.713, 1111 e seguenti) che hanno per oggetto beni immobili (c.c.812), come pure i provvedimenti di aggiudicazione degli immobili divisi mediante incanto, i provvedimenti di attribuzione delle quote tra condividenti e i verbali di estrazione a sorte delle quote (Cod. Proc. Civ. 788 e seguenti).
Si devono pure trascrivere la domanda di divisione giudiziale (Cod. Proc. Civ. 784) e l`atto di opposizione indicato dall’art. 1113, per gli effetti ivi enunciati (disp.di att. al c.c. 224).
B) per quanto riguarda la forma dell’opposizione –
– secondo alcuni [58] valgono le regole, essendo una domanda giudiziale, di contenuto e di forma che il codice di procedura civile prescrive per l’atto introduttivo in giudizio.
Secondo altri [59], invece, l’opposizione può essere manifestata in qualunque forma.
Intrasmissibilità del diritto di commutazione – all’acquirente della quota Ereditaria
Poiché la commutazione non ineriva alla quota ereditaria, ma alla qualità di erede, costituiva cioè un attributo personale dei figli legittimi.
Indivisibilità del diritto di commutazione
L’accordo di tutti sia nell’esercizio di scelta sia nel modo della scelta.
I soggetti attivi non potevano, neppure d’accordo, esercitare singolarmente il diritto di limitatamente alla quota loro spettante, perché scopo della commutazione era quello di sciogliere definitivamente la comunione nei confronti dei soggetti passivi.
Inoltre non poteva essere esercitato soltanto nei confronti di alcuni soggetti passivi
1) sia perché dal testo della norma non risulta tale possibilità
2) sia perché altrimenti non si rispetterebbe il principio della parità di trattamento di tutti i figli naturali.
3) INTANGIBILITA’ DELLA QUOTA
In linea di principio si possono distinguere due forme d’intangibilità:
A) INTANGIBILITA’ QUANTITATIVA – in questo caso il legittimario ha diritto solo a conseguire un valore pari alla quota spettategli.
B) INTANGIBILITA’ QUALITATIVA – in quest’altro caso il legittimario ha diritto di conseguire la quota stessa in natura; ha il diritto, cioè, di conseguire una quota formata, in proporzione alla sua entità, di una parte di ogni cespite ereditario.
Il codice vigente ha seguito il principio dell’intangibilità quantitativa.
Il testatore, cioè, è libero, nella formazione della quota [purché i beni facciano parte del compendio ereditario, secondo una preferibile dottrina[60], a differenza di un’altra [61], che estremizzando il principio dell’intangibilità quantitativa, ammette la possibilità di comporre la quota anche attraverso diritti di credito] del legittimario, di stabilire i beni che intende assegnare come quota del patrimonio – ciò risulta innanzitutto:
1) dall’art. 588 c.c.[62], che consente esplicitamente l’attribuzione di beni determinati in funzione della quota del legittimario, cioè che la quota dell’erede sia formata da beni liberamente scelti dal de cuius (es. tutti beni immobili al primo figlio e tutti beni mobili al secondo figlio);
2) dalle disposizioni sulla divisione: il testatore può anche disporre che la divisione ereditaria:
a) non abbia luogo prima che tutti gli eredi abbiano raggiunto i 18 anni;
b) ovvero prima che sia trascorso dalla sua morte un termine non eccedente il quinquennio, salvo che gravi circostanze giustifichino un intervento giudiziale in senso contrario e ciò vale anche in presenza di eredi legittimari.
3) Inoltre il testatore può stabilire a favore di un legittimario della facoltà di scelta di beni, nei limiti del valore della propria quota, dovendosi solo controllare l’effettiva rispondenza del valore dei beni alle quote stabilite per legge, e può anche operare egli stesso la divisione.
- Eccezioni al principio dell’intangibilità della quota
Vengono altresì indicate oltre a quelle che si andranno ad analizzare nei paragrafi successivi:
1) Art. 540 c.c. [63] – diritto di abitazione ed uso della casa familiare riservato al coniuge
2) Art. 692 c.c. – la sostituzione fedecommissaria può avere ad oggetto anche i beni che costituiscono la legittima
3) Art. 713 c.c. – clausola con la quale il testatore dispone che la divisione non abbia luogo prima che sia trascorso un determinato lasso di tempo.
Per la Corte di Legittimità[64] il principio dell’intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni – di qualunque natura – purché compresi nell’asse ereditario; ne consegue che non viola il disposto degli artt. 536 e 540 c.c. il testatore che abbia lasciato al coniuge l’usufrutto generale sui beni mobili e immobili nonché la prima proprietà di eredità, contanti, depositi bancari e postali, sempre che il valore di detti beni copra la quota riservata al coniuge, atteso che l’attribuzione dell’usufrutto generale non costituisce assegnazione di legato ma istituzione di erede e che l’attribuzione della proprietà prima di alcune categorie di beni vale come istituzioni di erede se essi sono intesi come quota dei beni del testatore.
1 A FORMA DI TUTELA (di tipo quantitativo) a favore dell’intangibilità della legittima
art. 549 c.c. divieto di pesi o condizioni sulla quota dei legittimari: il testatore non può imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, salva l’applicazione delle norme contenute nel titolo IV di questo libro (c.c.733 e seguenti).
Il legittimario non dovrà agire in riduzione essendo nulli il peso o la condizione apposti; dovranno cioè considerarsi non apposti, analogamente a quanto prescrive l’art. 634 c.c. in ordine alle condizioni contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Per la S.C.[65] la disposizione contenuta nell’art. 549 c.c. va interpretata nel senso che la quota di legittima non è suscettibile di oneri o condizioni che ne diminuiscano il valore, cioè la sua entità, e nel senso che al detto limite quantitativo si aggiunga un limite qualitativo.
2 A FORMA DI TUTELA (di tipo qualitativo) a favore dell’intangibilità della legittima.
A) CAUTELA SOCINIANA –
dal nome del giurista del ‘500 Mario Socino
art. 550 c.c. lascito eccedente la porzione disponibile: quando il testatore dispone di un usufrutto[66] o di una rendita vitalizia (c.c.1872) il cui reddito eccede quello della porzione disponibile (c.c.556), i legittimari (536), ai quali è stata assegnata la nuda proprietà della disponibile o di parte di essa, hanno la scelta o 1) di eseguire tale disposizione o 2) di abbandonare (c.c.1350) la nuda proprietà della porzione disponibile. Nel secondo caso il legatario, conseguendo la disponibile abbandonata, non acquista la qualità di erede (588).
La stessa scelta spetta ai legittimari quando il testatore ha disposto della nuda proprietà di una parte eccedente la disponibile.
Se i legittimari sono più, occorre l’accordo di tutti perché la disposizione testamentaria abbia esecuzione.
Le stesse norme si applicano anche se dell’usufrutto, della rendita o della nuda proprietà è stato disposto con donazione.
A rigore per accertare se vi è stata lesione di legittima, occorrerebbe capitalizzare l’usufrutto; ma poiché la durata dell’usufrutto commisurata com’è alla vita dell’usufruttuario è incerta, l’accertamento risulterebbe anch’esso incerto ed aleatorio.
È per tale incertezza che è stato introdotto l’istituto in esame, il quale lascia il legittimario arbitro di questa valutazione, offrendogli il vantaggio di operare una scelta.
Questo articolo permette dunque al legittimario di optare in ogni caso, o per la proprietà piena della quota di riserva e questo pur se in base al valore della nuda proprietà o dell’usufrutto della porzione disponibile spettategli non risultasse esservi stata lesione.
La Cassazione [67] ha affermato che la finalità della norma di cui all’art. 550 c.c. è la salvaguardia del principio della intangibilità della legittima.
Tale salvaguardia si attua o in via diretta, nel caso in cui il legittimario abbandoni la nuda proprietà o, rispettivamente, l’usufrutto della porzione disponibile o in via indiretta, quando egli preferisca eseguire la disposizione testamentaria, con ciò stesso ritenendo che il valore della legittima intaccata, unito a quello della nuda proprietà della disponibile o all’usufrutto sulla disponibile eguaglia o supera il valore della legittima.
Si tratta quindi di una tutela di tipo non già quantitativo, come per l’azione di riduzione, ma qualitativo, che permette anche di evitare l’aleatorietà della durata della vita dell’usufruttuario.
Il diritto potestativo va esercitato entro 10 anni dall’apertura della successione (con possibilità di esperire l’actio interrogatoria in analogia agli artt. 481 e 650 c.c.), con decisione unanime dei legittimari.
Natura
Si è in presenza di un negozio giuridico unilaterale (collettivo se i legittimari sono più di uno), recettizio, non formale e quindi anche tacito (ad es. volontaria esecuzione della disposizione con immissione nei beni ad opera del legittimario e percezione di frutti e rendite).
È preferibile peraltro ritenere, per il noto principio della simmetria, anche in omaggio alla certezza dei rapporti giuridici, che debba trovare applicazione la normativa sul formalismo e, precisamente, l’art. 1350, n. 5 (rinunzia), c.c. quando la scelta del legittimario abbia ad oggetto beni immobili ai quali egli rinunzia per conseguire la legittima.
ESEMPIO: Tizio ha disposto del suo patrimonio nominando erede universale l’unico figlio Caio e nominando il fratello Sempronio legatario di tutto l’usufrutto. A seguito della dichiarazione di volontà di Caio, che intende utilizzare il rimedio previsto dall’art. 550 c.c., il legatario Sempronio subisce una modificazione oggettiva del legato: da usufrutto universale a piena proprietà della metà (ossia delle porzione disponibile).
La scelta di cui tratta l’art. 550 c.c. (cautela sociniana) non deve identificarsi in una rinuncia all’eredità, ma in una opzione di cui la legge non determina la forma; dunque non sono necessarie le solennità richieste dall’art. 519, potendo la scelta stessa provarsi con testimoni o presunzione, anche se trattasi di usufrutto o nuda proprietà riflettenti beni immobili, e potendo essa avvenire sia espressamente che tacitamente [68].
Infine, per altra pronuncia [69], la norma attribuisce al legittimario, al quale, rispettivamente, sia stata assegnata la nuda proprietà ovvero l’usufrutto della disponibile (o di parte di essa), il potere di incidere unilateralmente sulla successione, senza ricorrere all’azione di riduzione, la quale, impostata sul concetto di lesione quantitativa, non assicura al legittimario la qualità (piena proprietà), oltre che la quantità della legittima — configura, quale diritto potestativo, una scelta (per la legittima in piena proprietà, con abbandono del resto — cioè della nuda proprietà o dell’usufrutto della disponibile —, ovvero per il conseguimento dell’oggetto della disposizione testamentaria) di cui la legge non determina la forma, con la conseguenza che essa, espressa o tacita, può essere provata anche per testimoni o per presunzioni, anche se è in questione l’usufrutto o la nuda proprietà di beni immobili. L’effettuazione di tale scelta è incompatibile con il successivo ricorso all’azione di riduzione per la diversità di presupposti, struttura e finalità delle norme di cui agli artt. 550 e 554 c.c.
B) Legato in sostituzione di legittima (o legato privativo)
art. 551 c.c. legato in sostituzione di legittima: se a un legittimario è lasciato un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunziare al legato (c.c.649 e seguenti) e chiedere la legittima.
Se preferisce di conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un supplemento, nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima, e non acquista la qualità di erede. Questa disposizione non si applica quando (LEGATO CON IL DIRITTO AL SUPPLEMENTO) il testatore ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento.
Il legato in sostituzione della legittima grava sulla porzione indisponibile. Se però il valore del legato eccede quello della legittima spettante al legittimario, per l’eccedenza il legato grava sulla disponibile.
Il legittimario può anche rifiutare e pretendere invece la liquidazione della quota, ma, se non lo fa, perde il diritto di chiedere un supplemento qualora il valore del legato sia inferiore a quello della legittima.
L’attribuzione di un legato in sostituzione di legittima è un modo concesso al testatore di soddisfare le ragioni del legittimario senza chiamarlo all’eredità, essendo poi commesso all’onorato scegliere tra il conseguimento del legato, con la perdita del diritto a chiedere un supplemento nel caso in cui il suo valore sia inferiore a quello della legittima, o la rinuncia al legato e la richiesta della legittima. Ne deriva che il riservatario, se non rifiuta il legato in sostituzione di legittima, non entra a far parte della comunione ereditaria e conseguentemente, non potendo invocare alcun istituto proprio della divisione dei beni ereditari, rispetto ai quali difetta di legittimazione, ha diritto al legato e così al valore monetario dello stesso — ove ne sia prevista la liquidazione del de cuius — all’apertura della successione e non a quello della relativa domanda giudiziale [70].
Al fine della configurabilità del legato in sostituzione di legittima, occorre che risulti l’intenzione del testatore di soddisfare il legittimario con l’attribuzione di beni determinati senza chiamarlo all’eredità, intenzione che, in mancanza di formule sacramentali, peraltro non richieste, può desumersi anche dal complessivo contenuto dell’atto, in forza di un accertamento che, implicando un apprezzamento dei fatti, è demandato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato [71].
Poi, lo stabilire se una disposizione testamentaria a favore di un legittimario integri un legato in sostituzione oppure in conto di legittima costituisce accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato ed immune da violazione dei canoni ermeneutici che devono presiedere all’interpretazione delle disposizioni di ultima volontà[72].
Sempre per la Cassazione [73] nel legato in sostituzione di legittima l’attribuzione patrimoniale oggetto della disposizione testamentaria è caratterizzata dalla intenzione del testatore di soddisfare integralmente mediante la stessa i diritti di legittimario spettanti all’istituito. Tale intenzione — che deve emergere in maniera inequivoca, sia da una espressa proposizione sia dal complesso delle proposizioni in cui si articola la scheda testamentaria è sufficiente a determinare, a norma dell’art. 551 primo e secondo comma c.c., l’alternativa offerta al legittimario di chiedere l’integrazione della legittima o conseguire il legato, senza che si richieda quale elemento essenziale la contestuale menzione di tale alternativa da parte dello stesso testatore, in quanto le conseguenze giuridiche dell’esercizio (o mancato esercizio) del potere di scelta spettante all’istituito sono espressamente previste dall’art. 551 c.c.
Natura
È una disposizione a titolo particolare – sottoposta a condizione risolutiva – potestativa – nel senso che la vocazione testamentaria a titolo di legato rimane priva di efficacia qualora il legatario rinunzi.
In tal modo diverrà un legittimario pretermesso è potrà, agendo in riduzione, conseguire la qualità di erede.
Necessaria, appunto la rinunzia al fine di sospenderne gli effetti, poiché come da dettato della S.C.[74] il legato in sostituzione di legittima, al pari di ogni altro legato, ai sensi dell’art. 649, primo comma, c.c., si acquista ipso iure senza bisogno di accettazione. Peraltro, il comportamento del beneficiario di tale legato suscettibile di evidenziare la volontà, espressa o tacita, di conservare il lascito testamentario, assume, per un verso, valore confermativo della già realizzata acquisizione patrimoniale, e comporta, per l’altro, la immediata perdita ope legis del diritto di chiedere la legittima a norma dell’art. 551 c.c.
Non è applicabile secondo parte della dottrina [75] all’istituto in esame la disciplina prevista dall’art. 549 c.c., poiché non vi è ragione per non consentire al testatore di attribuire al legittimario, in sostituzione di legittima, un bene, graditissimo al legittimario, anche se l’attribuzione è sottoposta a condizione sospensiva. Il legittimario, ovviamente potrà sempre rinunziare al legato e chiedere la legittima.
Altra parte della dottrina [76] sostiene la tesi dell’invalidità, poiché il legatario è pur sempre un legittimario, sia pure non a titolo di erede.
Esempio: lego a mio figlio Caio il fondo Tuscolano, in sostituzione della legittima, a condizione che si lauri in medicina.
La scelta si opera con un negozio unilaterale recettizio, né collettivo, disponendo il legittimario per sé, impugnabile per violenza o dolo, mentre è irrilevante l’errore sull’entità o valore del cespite legato, ma non circa la sua titolarità, ove risultasse di terzi o dello stesso legatario, con conseguente nullità dello stesso.
Applicandosi le regole del legato, l’accettazione impedisce la comunione e rende definitivo un acquisto già verificatosi de iure all’apertura della successione, ed è quindi a forma libera.
Il potere attribuito ex art. 551 c.c. ad un legittimario onorato di un legato in sostituzione di legittima di conseguire la quota dei beni ereditari nella misura stabilita dalla legge attraverso l’esercizio dell’azione di riduzione, anziché di conservare il legato, postula l’assolvimento dell’onere di rinunciare al legato, per cui, attesa la natura di «facoltà» del relativo potere di scelta e della rinunzia (art. 650 c.c.), non è ipotizzabile una autonoma prescrittibilità, avulsa da quella del diritto in cui sono comprese (salva la assoggettabilità a decadenza, come nell’ipotesi prevista dall’art. 650 c.c. di esperimento dell’actio interrogatoria da parte di un terzo).
Ne consegue che, qualora l’azione di riduzione sia stata esercitata dal detto legatario entro il termine decennale di prescrizione, decorrente dalla data di apertura della successione, la rinuncia attuativa del potere di scelta può essere sempre esercitata dal legatario stesso ove non sia intervenuta decadenza e l’assolvimento dell’onere della rinunzia al legato, costituente condizione dell’azione di riduzione (e non presupposto processuale), deve essere accertato con riguardo al momento della decisione e non a quello della proposizione della domanda [77].
La rinunzia
a) Da un lato deve essere a forma scritta in caso di legato immobiliare; anche se per la Cassazione[78] la rinuncia al legato sostitutivo, cui l’art. 551 c.c. subordina la facoltà dell’onorato di chiedere la legittima, non può desumersi di per sé dalla sola dichiarazione di rifiutare le disposizioni testamentarie in quanto lesive dei diritti del legittimario, non potendosi negare a priori a siffatta dichiarazione il significato proprio di una riserva di chiedere soltanto l’integrazione della legittima, ferma restando l’attribuzione del legato, sia esso sostitutivo od in conto della legittima. Analogamente non presuppone necessariamente una formale rinuncia al legato la dichiarazione di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario con il contestuale rifiuto delle disposizioni testamentarie lesive della legittima e con espressa riserva di chiedere in sede competente la integrazione, essendo necessario considerare il comportamento complessivo del legatario anteriore e successivo alla dichiarazione ed all’inizio della causa per trarne elementi univoci nel senso di un’effettiva rinuncia.
Il principio per cui la rinunzia richiede forma scritta ad substantiam solo quando abbia come oggetto immediato i diritti reali immobiliari indicati nell’art. 1350 c.c., è estraneo all’ipotesi di rinunzia ad un legato in sostituzione della legittima allorché il contenuto del legato medesimo abbia il carattere meramente obbligatorio di liberazione del legatario da una prestazione dovuta nei confronti del testatore (c.d. remissio mortis causa). Ciò non toglie — peraltro — che la rinuncia, quale negozio unilaterale dismissivo di un diritto (reale o obbligatorio) il cui acquisto si è verificato ipso iure al momento dell’apertura della successione, onde essere ritenuta e rinvenuta come tale, richieda una valida e non equivoca manifestazione dell’intento abdicativo del diritto [79].
b) Dall’altro, riconduce l’istituito nella condizione di erede legittimario pretermesso, che potrà partecipare così alla comunione ereditaria solo dopo aver esperito l’azione di riduzione, di cui la rinunzia è peraltro condizione.
Il legittimario che preferisca rinunziare al legato si viene a trovare nella medesima situazione di quello pretermesso dallo stesso testatore, la cui volontà era diretta a garantirgli il legato e non già la quota dell’eredità: venuta meno la disposizione a titolo particolare, il legittimario non è altro che un erede necessario pretermesso e come tale non partecipa alla comunione ereditaria se non dopo avere esperito e vinto l’azione di riduzione, dato che fino a tale momento restano valide le disposizioni che violano i diritti correlati alle quote di riserva [80].
Pertanto il legittimario, beneficiario di un legato in sostituzione della legittima, avente per oggetto una somma di denaro, ove intenda rinunciare al legato non ha diritto di ritenere, fino al soddisfacimento delle sue ragioni, i beni immobili ereditari dei quali abbia la detenzione, poiché detti beni possono divenire oggetto di comunione da parte dei legittimari soltanto in caso di esercizio, con esito favorevole, da parte degli stessi, dell’azione di riduzione[81].
In quanto facoltà, non si prescrive, salvo decadenza ex art. 650, ma si prescrive però l’azione di riduzione, che pertanto dovrà essere iniziata entro il decennio dall’apertura della successione.
C) Il C.D. Legato con diritto al supplemento – art. 551 co 2 seconda parte
È ben vero che il de cuius può far salvo il diritto al supplemento, ma allora si tratterà non di un legato sostitutivo, ma di un’attribuzione ereditaria a titolo di legittima, con particolare conformazione della quota.
Natura giuridica
È discusso se il beneficiario della disposizione in esame sia vero legatario o non sia piuttosto, nonostante la dizione legislativa, erede testamentario.
È preferibile questa seconda tesi, perché la volontà di non privare il legittimario della facoltà di chiedere il supplemento implica necessariamente la volontà di non privarlo della quota di eredità a lui riservata; la volontà del testatore è in realtà, quella di istituire il legittimario nella quota di legittima.
Il beneficiario, in altri termini, è un erede testamentario, la cui quota è composta dallo stesso testatore (institutio ex re certa) in parte con l’oggetto del legato e in parte con il supplemento.
Per ottenere il supplemento il legatario in esame (in realtà erede) non dovrà agire con l’azione di riduzione, ma con la petizione di eredità[82].
Egli dovrà accettare o rinunziare all’eredità per intero.
D) Il C.D. Legato in conto di legittima –
art. 552 c.c. donazione e legati in conto di legittima: il legittimario che rinunzia all’eredità (519 c.c. e seguenti), quando non si ha rappresentazione (467 c.c.), può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti (c.c.521-2); ma quando non vi è stata espressa dispensa dall’imputazione (564 c.c.), se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni (554 c.c. e seguenti), restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l`eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a quest`ultimo.
Il senso della norma è chiaro: la rinunzia del legittimario determina un ampliamento della quota degli altri legittimari, ma nello stesso tempo sottrae dal loro novero un soggetto che avrebbe visto la propria quota di riserva diminuirsi assai, dovendo ad essa imputare le donazioni oltre che i legati ricevuti in conto di legittima.
E questo può essere pericoloso per gli istituiti nella parte disponibile, che potrebbero essere aggrediti in riduzione dai legittimari la cui quota si è accresciuta.
Pertanto la legge dispone che i conteggi al fine di calcolare la quota disponibile siano fatti come se il legittimario non avesse rinunziato, cosicché i legittimari non rinunzianti potranno rivalersi solo sulla parte di disponibile eventualmente lesiva mentre per l’eventuale supero essi rivolgeranno direttamente contro le donazioni e legati ricevuti dal rinunziante
4) CONCORSO
Figli e coniuge
art. 542 c.c. concorso di coniuge e figli: se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, legittimo o naturale (c.c. 459, 231, 258) a quest’ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge.
Quando i figli, legittimi o naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli, legittimi e naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), è effettuata in parti uguali.
Si applica il terzo comma dell`art. 537.
Ascendenti e coniuge
art. 544 c.c. concorso di ascendenti legittimi e coniuge: quando chi muore non lascia né figli legittimi né figli naturali (eliminazione avvenuta con il decreto legislativo recante revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ai sensi dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), ma ascendenti legittimi e il coniuge (c.c.459), a quest’ultimo è riservata ½ del patrimonio, ed agli ascendenti ¼.
In caso di pluralità di ascendenti, la quota di riserva ad essi attribuita ai sensi del precedente comma è ripartita tra i medesimi secondo i criteri previsti dall`art. 569.
NOTE
[1] Tribunale Bari, Sezione 1 civile, Sentenza 10 maggio 2010, n. 1600. Rilevato quanto innanzi, è del tutto destituita di fondamento l’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie asseritamente lesive della quota di legittima nella specie proposta dall’attrice che, nella sua qualità di sorella del testatore, non può vantare alcun diritto come legittimaria. Le considerazioni svolte, la non opinabilità delle questioni trattate, in quanto portato di una conoscenza minima che dovrebbe costituire patrimonio comune di tutti gli operatori del diritto, e la sussistenza se non del dolo dell’attrice, nella introduzione della domanda nella piena consapevolezza della sua infondatezza ed a fini solo speculativi, quanto meno della colpa grave, giustificano la richiesta condanna ex art. 96 c.p.c. al risarcimento del danno patrimoniale, da identificarsi con le spese processuali supportate dai convenuti per la difesa tecnica, e non patrimoniale, in ipotesi siffatte ritenuto sussistente in re ipsa, in quanto le descritte condotte processuali sono indubbiamente ritenute produttive di danni di natura psicologica (e quindi di una vera e propria lesione alla integrità psico-fisica) nella specie liquidati in via equitativa.
[2] Corte di Cassazione, sentenza del 23-10-54, n. 4037
[3] Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza del 9 giugno 2006 n. 13429
[4] Corte di Cassazione, sentenza del 1373 del 20-1-2009
[5] Corte di Cassazione, sentenza del 21616 del 15-11-2004
[6] Aprire il seguente collegamento on-line I legittimari azione di riduzione e di restituzione Vedi par.fo 7) L’AZIONE DI RESTITUZIONE, pag. 80
[7] Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.
LIBRO SECONDO. Delle successioni – TITOLO QUARTO. Della divisione – Capo V-bis.del patto di famiglia
E’ patto di famiglia il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. (1)
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(1) Il presente articolo è stato inserito, insieme al capo cui appartiene, dall’art. 2 L. 14.02.2006, n. 55, con decorrenza dal 16.03.2006.
[8] Aprire il seguente collegamento on-line I legittimari azione di riduzione e di restituzione Vedi par.fo 6) L’AZIONE DI RIDUZIONE, pag. 46
[9] Corte di Cassazione, sentenza 10755/1996
[10] Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 8 giugno 2012, n. 9360. In precedenza Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, sentenza 13 gennaio 2010, n. 368. In materia di successione ereditaria, l’erede legittimario che sia stato pretermesso acquista la qualità di erede soltanto dopo il positivo esercizio dell’azione di riduzione; ne consegue che, prima di questo momento, egli non può chiedere la divisione ereditaria né la collazione dei beni, poiché entrambi questi diritti presuppongono l’assunzione della qualità di erede e l’attribuzione congiunta di un asse ereditario.
[11] Corte di Cassazione, sentenza del 3-12-96, n. 10775
[12] Vedi par.fo 2) LE VARIE CATEGORIE DI LEGITTIMARI, punto G) Il diritto di commutazione pag. 25
[13] Corte Costituzionale, Sentenza 18 dicembre 2009, n. 335
[14] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto in generale aprire il seguente collegamento on-line L’usufrutto, l’uso e l’abitazione
[15] Vedi par.fo 3) INTANGIBILITA’ DELLA QUOTA, pag. 32
[16] Per una maggiore consultazione sulla comunione legale in generale aprire il seguente collegamento on-line La comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento
[17] Corte di Cassazione, sentenza del 27-2-98, n. 2159
[18] Corte di Cassazione 17 aprile 1981, n. 2335
[19] Capozzi
[20] Corte di Cassazione, sentenza del 6-4-2000, n. 4329
[21] Per la consultazione integrale della sentenza aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 27 febbraio 2013 n. 4847
[22] Tribunale di Bologna civile, sentenza 18 marzo 2002, n. 953
[23] Corte di Cassazione, sentenza del 23-5-2000, n. 6691
[24] Vicari
[25] Capozzi – Ferri
[26] Corte di Cassazione 10 marzo 1987, n. 2474
[27] Corte di Cassazione, sentenza del 10-3-87, n. 2474
[28] per tutti Ferri
[29] Perego – Mengoni – Gabrielli – Rescigno – Capozzi
[30] per tutti Gazzoni
[31] Pugliatti – Ferri – Nicolò – Messineo – Boero – Mariconda – Gabrielli
[32] Pugliatti
[33] Messineo
[34] Ferri
[35] Gabrielli
[36] Nicolò – Capozzi
[37] Mengoni – Gabrielli
[38] Corte di Cassazione, sentenza 10014 del 24-6-2003
[39] Cicu – Mengoni – Messineo – Carraro
[40] Gabrielli – Cattaneo – Rescigno – Capozzi
[41] Corte di Cassazione, Sezione I civile, sentenza 28 maggio 2010, n. 13108
[42] Azzariti
[43] Bianca
[44] Santoro – Passarelli – Calderone – Mengoni
[45] Corte di Cassazione, sentenza del 22-6-68, n. 2086
[46] Corte di Cassazione, sentenza del 24-1-86, n. 467
[47] Corte di Cassazione, sentenza del 22-1-92, n. 711
[48] Vedi par.fo 1) PRINCIPI GENERALI E LA QUOTA DI RISERVA, pag. 6
[49] Mengoni – Ferri – Cattaneo – Palazzo
[50] Palazzo
[51] Mengoni
[52] Cantelmo
[53] Carraro
[54] Cattaneo
[55] Capozzi
[56] Mengoni – Ferri
[57] Mengoni
[58] per tutti Mengoni – Capozzi
[59] Cattaneo
[60] Pino – Mengoni – Ferri
[61] Azzariti
[62] art. 588 c.c. Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario.
L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.
[63] Vedi par.fo 2) LE VARIE CATEGORIE DEI LEGITTIMARI, lettera A) Coniuge, pag. 8
[64] Corte di Cassazione, sentenza del II, sent. 13310 del 12-9-2002
[65] Corte di Cassazione, sentenza del 12-9-70, n. 1403
[66] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto in generale aprire il seguente collegamento on-line L’usufrutto, l’uso e l’abitazione
[67] Corte di Cassazione, sentenza del 29-12-70, n. 2782
[68] Corte di Cassazione, sentenza del 7-10-60, n. 2599
[69] Corte di Cassazione, sentenza del 18-1-95, n. 511
[70] Corte di Cassazione, sentenza del 5-4-90, n. 2809
[71] Corte di Cassazione, sentenza 16083 del 29-7-2005
[72] Corte di Cassazione, sentenza del 12-2-2000, n. 1573
[73] Corte di Cassazione, sentenza del 26-1-90, n. 459
[74] Corte di Cassazione, sentenza del 27-5-96, n. 4883
[75] Tamburino – Capozzi – Cantelmo – Ieva
[76] Mengoni
[77] Corte di Cassazione, sentenza del 26-1-90, n. 459.
[78] Corte di Cassazione, sentenza del 14-4-92, n. 4527
[79] Corte di Cassazione, sentenza del 15-5-97, n. 4287
[80] Corte di Cassazione, sentenza del 3-7-75, n. 2586
[81] Corte di Cassazione, sentenza del 3-8-72, n. 2604
[82] Per la consultazione dell’istituto della petizione ereditaria il seguente collegamento on-line L’azione di petizione ereditaria
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