Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13 settembre 2004 il Tribunale di Roma respinse la domanda proposta da R.L. , diretta ad ottenere la condanna di suo padre R.E. al pagamento di una indennità per il mancato godimento, da parte dell’attrice, di un appartamento di cui era stata spossessata dal convenuto pur essendone usufruttuaria per la quota di metà, per successione testamentaria alla madre M.M. , deceduta il (omissis) . A tale decisione il giudice di primo grado pervenne osservando che a R.E. – il quale aveva esercitato con esito positivo azione di riduzione delle disposizioni testamentarie della moglie, come legittimario totalmente pretermesso – competeva, a norma degli art. 540 e 548 c.c., il diritto di abitazione sull’immobile in questione, che aveva costituito la casa familiare fino alla separazione personale dei coniugi, intervenuta consensualmente nel giugno 1993.
Impugnata dalla soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 4 luglio 2008 ha rigettato il gravame, ritenendo che non fosse stata adeguatamente censurata la pronuncia di primo grado; è stata altresì disattesa, in quanto non proposta con impugnazione incidentale, la domanda dell’appellato di accertamento dell’inclusione, nell’oggetto del suo diritto di abitazione, del box auto di pertinenza dell’appartamento suddetto.
R.L. ha proposto ricorso per cassazione, in base a un motivo. R.E. si è costituito con controricorso, formulando a sua volta un motivo di impugnazione in via incidentale, cui R.L. ha opposto un proprio controricorso. Sono state presentate memorie dall’una e dall’altra parte.

Motivi della decisione

Con il motivo addotto a sostegno del ricorso principale R.L. lamenta che la Corte d’appello, ritenendo che la sentenza di primo grado non fosse stata impugnata adeguatamente sul punto, ha eluso la questione che le era stata posta, invece, in maniera specifica e puntuale: se R.E. fosse titolare del diritto di abitazione sull’appartamento oggetto della controversia, pur se al momento della morte di M.M. l’immobile da oltre cinque anni non era più la loro casa familiare, essendosene il marito allontanato fin dall’epoca della loro separazione.
La censura è fondata.
Dagli atti di causa – che questa Corte può direttamente prendere in esame, stante il carattere di error in procedendo del vizio denunciato: cfr. Cass. 10 settembre 2012 n. 15071 – risulta che R.L. , nell’adire la Corte d’appello, aveva rivolto alla sentenza del Tribunale critiche precise e pertinenti, sostenendo la tesi che il diritto riservato dall’art. 540 c.c. non compete al coniuge superstite che al momento dell’apertura della successione, a seguito di separazione personale, non abita più in quella che era stata la casa familiare, poiché la norma intende assicurare una continuità di residenza che in tal caso è stata ormai interrotta.
Questo assunto viene ora ribadito da R.L. , che conclude l’illustrazione del motivo posto a base del suo ricorso formulando il quesito: “Se sia conforme al disposto dell’art. 540 c.c. l’attribuzione del diritto di abitazione al coniuge superstite quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria”.
La questione, in tali precisi termini, è stata affrontata per la prima volta nella giurisprudenza di legittimità, per quanto consta, solo recentissimamente, con Cass. 12 giugno 2014 n. 13407, che l’ha risolta nel senso propugnato da R.L. : si è ritenuto, essenzialmente, che “il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite…, ha ad aggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”; che “le espressioni usate dall’art. 540, comma secondo… non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi”, riferendosi “alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare (dove il concetto di residenza, di cui all’art. 43, comma secondo, c.c., richiama la effettività della dimora abituale nella causa coniugale)”; che “la ratio della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”; che “l’art. 548 primo comma c.c. equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato”, ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare [fa] venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicché “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi”.
Alla luce di questi principi – dai quali non vi è ragione di discostarsi, stante la loro coerenza con la lettera e lo scopo della norma da cui sono stati tratti – il ricorso principale deve essere accolto.
Ne consegue altresì, per le stesse assorbenti ragioni, il rigetto del ricorso incidentale, con il quale R.E. si duole del mancato accoglimento della propria domanda di accertamento dell’inclusione, nell’oggetto del preteso suo diritto di abitazione nell’appartamento in questione, del box auto di pertinenza.
Accolto pertanto il ricorso principale e rigettato l’incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Roma, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale; rigetta l’incidentale; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

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