Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|6 maggio 2021| n. 11840.

La servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli edifici; l’art.1043 c.c., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride o “nere”, intese quest’ultime come acque di scarico delle latrine, dovendosi, piuttosto, intendere il riferimento alle acque impure, contenuto nel secondo comma, come volto unicamente a stabilire che, in questo caso, la servitù coattiva è subordinata all’adozione di opportune precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente.

Ordinanza|6 maggio 2021| n. 11840

Data udienza 20 novembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: SERVITU’ – COATTIVE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 30117-2019 proposto da:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3620/2019 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 27/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– i sigg.ri (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– la corte distrettuale ha argomentato l’infondatezza del gravame la’ dove fondato sull’assunto di una diversa disciplina della servitu’ di scarico a seconda che essa abbia ad oggetto acque impure ovvero acque luride o “nere”, intese queste ultime quali acque delle latrine; la corte ha, inoltre, ritenuto condivisibile la conclusione del ctu in ordine alla giustificazione delle modalita’ di esercizio della servitu’ coattiva ed adeguato l’indennizzo riconosciuto a favore degli appellanti titolari del fondo servente;
– la cassazione della sentenza impugnata e’ chiesta sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).

CONSIDERATO

che:
– il primo motivo, con cui si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, e cioe’ l’omessa considerazione della relazione tecnica depositata nel medesimo giudizio dal ctu geometra (OMISSIS), con conclusioni diverse da quelle del ctu Dott. (OMISSIS), successivamente nominato ed il cui esito e’ stato condiviso dai giudici di merito, e’ inammissibile;
va infatti dato atto che di tale circostanza non si rinviene traccia nella sentenza impugnata e che i ricorrenti non indicano dove e quando la stessa sia stata dagli stessi eccepita prima del presente ricorso (cfr. Cass. 19350/2005; 15196/2018);
– il secondo motivo, con cui si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’articolo 1043 c.c., comma 2, e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Un. 7155/2017);
– ad avviso del ricorrente, il giudice dell’appello avrebbe errato nel fornire una interpretazione estensiva del disposto di cui all’articolo 1043 c.c., comma 2, valutando come sinonimi i termini “lurido” e “impuro” mentre il disposto normativo in questione, quando si riferisce allo scarico domandato per “acque” fa riferimento alle (sole) acque impure e non alle acque luride;
– l’assunto non trova riscontro nella consolidata interpretazione di legittimita’ che, diversamente, ritiene che la servitu’ coattiva di scarico puo’ essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli edifici; l’articolo 1043 c.c., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride o “nere”, intese quest’ultime come acque di scarico delle latrine, dovendosi, piuttosto, intendere il riferimento alle acque impure, contenuto nel comma 2, come volto unicamente a stabilire che, in questo caso, la servitu’ coattiva e’ subordinata all’adozione di opportune precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente (cfr. Cass.22990/2013; 3750/2007; id.9357/2000; 4361/1995);
– poiche’ la corte territoriale ha provveduto conformemente alla giurisprudenza di questa Corte ed il motivo non offre elementi per modificare il principio interpretativo applicato, la censura, e’ come gia’ anticipato, inammissibile;
– l’inammissibilita’ di entrambi i motivi comporta l’inammissibilita’ del ricorso;
– in applicazione del principio di soccombenza, i ricorrenti sono condannati alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo;
– ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti e liquidate in Euro 3000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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