Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14624.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
La quietanza, anche quando é contenuta in un atto notarile, non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore. Infatti, in tutti i casi in cui è indispensabile l’emissione della fattura, l’IVA deve essere indicata separatamente dal prezzo e, di conseguenza, la quietanza non può costituire una rinuncia implicita al suo pagamento.
Ordinanza|24 maggio 2024| n. 14624. La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
Data udienza 8 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Obbligazioni in genere – Adempimento – Pagamento – Quietanza – In genere quietanza – Prova dell’effettivo versamento dell’iva – Esclusione – Fondamento.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. BESSO Marcheis Chiara – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36246/2019 R.G. proposto da:
CR.ME., GO.SA., rappresentate e difese dagli avvocati DI.CO. e FR.PE.;
– ricorrente –
contro
DI.CL., rappresentato e difeso dall’avvocato GI.SE.;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 4790/2019 depositata il 03/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere LUCA VARRONE;
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
FATTI DI CAUSA
1. Go.Ga. e Cr.Me. esponevano di aver acquistato in data 28.03.2002 un appartamento facente parte di un più ampio edificio sito in Napoli, (…); di aver successivamente commissionato all’Ing. Di.Cl. lavori di ristrutturazione di detto immobile, pattuendo un corrispettivo di euro 77.500,00, poi consensualmente ridotto ad euro 71.500,00 poiché la spesa per l’acquisto delle porte veniva sostenuta direttamente dai committenti; che con scritture private del 19.07.2002 e del 31.07.2002 l’Ing. Di.Cl. si impegnava ad eseguire specifici lavori di rifinitura richiesti dai committenti ed a consegnare l’opera entro il 30.09.2002; che il corrispettivo pattuito veniva interamente corrisposto entro il 10.09.2002, mentre l’opera veniva consegnata soltanto in data 26.11.2002 ed accettata con riserva; che successivamente, con raccomandata a.r. del 29.11.2002 i committenti denunciavano vizi e difformità dell’opera per i quali chiedevano, senza esito, la riduzione del corrispettivo versato; a tale richiesta, pertanto, faceva seguito la domanda giudiziale, con la quale i committenti chiedevano al Tribunale di Napoli di accertare e dichiarare il loro diritto alla riduzione del prezzo dell’appalto, con condanna dell’Ing. Di.Cl. alla restituzione della somma di euro 20.000,00, o di quella diversa accertata in corso di causa, nonché al risarcimento del danno subito.
2. Si costituiva l’Ing. Di.Cl. che proponeva domanda riconvenzionale per la condanna degli attori al pagamento della somma di euro 60.865,00 dovuta per i lavori extra contratto, l’Iva non versata sulle fatture emesse e il pagamento dei compensi professionali spettanti per la perizia di stima, la progettazione e la direzione lavori.
3. Il Tribunale di Napoli, accoglieva in parte la domanda attorea, condannando il Di.Cl. alla restituzione della somma di euro 16.087. In estrema sintesi, per quel che ancora rileva, il primo Giudice riteneva che il prezzo di euro 71.500,00 fosse comprensivo anche delle ulteriori opere eseguite dall’Ing. Di.Cl.; che l’lVA, in assenza di specifica indicazione, dovesse ritenersi compresa in tale prezzo; ed, infine, sulla scorta della c.t.u. che agli attori spettasse la riduzione del prezzo in ragione dei vizi e delle difformità riscontrate dal c.t.u., quantificate in misura pari al 27% del costo complessivo delle opere.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
4. Avverso tale sentenza proponeva appello il Di.Cl..
5. Resistevano gli originari attori. Nel corso del giudizio di appello decedeva l’appellato Go.Ga., e si costituivano in prosecuzione gli eredi legittimi dello stesso, Cr.Me. e Go.Sa., la prima anche in proprio, in quanto già parte del giudizio di primo grado quale committente dei lavori.
6. La Corte d’Appello accoglieva in parte il gravame. Secondo il giudice di secondo grado risultava pacifico che le parti non avessero stipulato un contratto scritto di appalto, cosicché non esisteva un capitolato dei lavori concordati, né un elenco prezzi cui fare riferimento al fine di determinare quale fosse il costo delle opere di ristrutturazione preventivato. Sul punto, anche il primo Giudice aveva rilevato come, nella sostanza, il contrasto fra le parti fosse relativo soltanto al costo dei lavori che gli odierni appellati sostenevano essere stato concordato nella misura omnicomprensiva di euro 71.500,00, iva compresa. Invece l’appellato affermava che tale importo era quello inizialmente preventivato, al quale tuttavia dovevano essere sommati i costi degli ulteriori lavori richiesti in corso d’opera dai committenti ed i compensi per le prestazioni professionali relative alla progettazione ed alla direzione lavori.
Risultava certo che tutte le opere realizzate dal Di.Cl. erano state richieste dai committenti, i quali non avevano mai contestato tale circostanza, se non in relazione alla fornitura e posa in opera di alcune travi in ferro di sostegno del soffitto; ma si erano limitati ad eccepire alcuni vizi.
In tale contesto, doveva farsi applicazione dell’art. 1657 cod. civ., secondo cui spetta al Giudice la determinazione del prezzo dei lavori eseguiti, se del caso anche a mezzo di indagine tecnica (Cass. Civ., Sez. II, 15.09.2014 n. 19413).
Il prezzo così determinato, inoltre, doveva comprendere anche le maggiori o diverse opere eseguite su richiesta del committente, ai sensi dell’art. 1661 Cod. civ.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
Sulla scorta della c.t.u. predisposta ed espletata in primo grado risultava come l’appellante avesse eseguito opere di ristrutturazione di valore complessivo pari ad euro 114.411,72, di cui euro 6.930,00 per la fornitura e posa in opera delle travi in ferro. In relazione a quest’ultima opera, contestata dagli appellati, risultava dagli atti del giudizio di primo grado che il c.t.u. aveva chiesto di poter eseguire dei saggi, onde verificare l’esistenza ed il numero delle travi, ma che tale richiesta non era stata accolta dal Giudice, perché l’intervento era eccessivamente oneroso e potenzialmente dannoso per l’immobile, dovendosi asportare parti del soffitto.
Sul punto, tuttavia, secondo la Corte d’Appello poteva farsi riferimento alla prova testimoniale espletata. Dalle deposizioni di alcuni degli operai emergeva che le travi in ferro avrebbero dovuto fare da sostegno a quelle di legno preesistenti (teste Vi.An.), e che nel corso dei lavori erano state installate nuove travi di ferro a sostegno delle vecchie travi di legno (teste Ca.An.).
Inoltre, il c.t.u. nel corso di numerosi sopralluoghi condotti aveva verificato in maniera analitica ogni tipo di lavorazione ed ogni impianto realizzato presso l’immobile, in contraddittorio con le parti ed i loro tecnici, e aveva accertato che effettivamente alcune delle opere non risultavano completate o non erano state realizzate a regola d’arte, così come contestato dai committenti.
Il consulente, pertanto, aveva ridotto il valore delle opere complessivamente eseguite dall’appellante, tenendo conto dei vizi e delle difformità riscontrate, stimandole in complessivi euro 82.831,44, comprensive delle travi in ferro.
La consulenza era estremamente analitica, e non vi erano ragioni per discostarsi dalle conclusioni anche per l’applicazione del tariffario delle opere pubbliche adottato dalla Regione Campania nel 2003 aumentato del 5%, tenuto conto del fatto che i lavori erano stati realizzati fra la primavera e l’autunno del 2002 e che, come detto, nel caso di specie mancava ab origine un capitolato delle opere.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
Tali essendo i valori delle opere accertati, risultava effettivamente errato il calcolo eseguito dal primo Giudice per determinare il costo dell’opera, pur ridotto per effetto dei vizi e delle difformità riscontrate dal c.t.u.. Il costo totale delle opere risultava essere di euro 114.411,72 e non soltanto di euro 90.231,56, valore che era contenuto nel primo computo metrico allegato alla consulenza, e che riguardava soltanto una parte dei lavori, ovvero quelli originariamente concordati. Dovevano considerarsi anche gli altri lavori indicati dall’appellante e non contestati dai committenti, quantificati in un computo metrico separato nella misura di ulteriori euro 17.250,16; mentre il costo delle travi in ferro era quantificato in ulteriori euro 6.930,00.
Secondo il consulente la somma di euro 114.411,72, esclusa IVA, doveva ridursi, tenendo conto per ciascuna lavorazione dei vizi o difetti riscontrati, giungendo così a stimare il costo delle opere originarie in euro 65.680,13 e quello delle opere extra contratto in euro 10.221,31, fermo restando invece il costo delle travi in legno pari ad euro 6.930,00.
Il Tribunale, pur avendo affermato di condividere in toto le conclusioni del c.t.u., aveva ritenuto di ricavare autonomamente dai conteggi sopra indicati una percentuale media di scarto tra opere realizzate a regola d’arte ed opere difformi, pari al 27%; ed aveva poi detratto tale percentuale dal prezzo pagato dai committenti, scorporato dell’Iva, così determinando in euro 16.087,00 l’importo dovuto in restituzione a questi ultimi.
La motivazione sul punto era manifestamente illogica e contraddittoria, oltre che giuridicamente viziata: il valore delle opere eseguite dall’appellante, pur tenendo conto di tutti i vizi e difetti riscontrati, e quindi per tale ragione già proporzionalmente ridotto dal c.t.u., ammontava ad euro 82.831,44 ed era pertanto superiore all’importo corrisposto dai committenti, pacificamente pari ad euro 71.500,00, al netto dell’IVA. Infatti, era altrettanto errata l’affermazione secondo la quale in assenza di prova contraria l’IVA doveva ritenersi compresa nel prezzo pattuito mentre invece era necessaria a tal fine una espressa pattuizione (Cass. Civ., Sez. II, 04.03.2019 n. 6244).
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
Quanto ai compensi richiesti a titolo di progettazione e direzione dei lavori, invece, non poteva ritenersi provato l’affidamento dell’incarico all’appellante, invero, la sola planimetria dell’immobile versata in atti dal Di.Cl., peraltro, priva di qualsivoglia protocollo di acquisizione apposto dal Comune e di conseguente approvazione di un progetto tecnico, non poteva costituire prova dello svolgimento dell’attività professionale per cui veniva richiesto il pagamento del compenso.
In effetti, non soltanto tale documento era privo della firma di approvazione dei committenti, ma risultava anche carente dal punto di vista tecnico, essendo comunque privo della necessaria relazione tecnica contenente i lavori da eseguire e di tutta la documentazione amministrativa che, anche ai fini del conferimento dell’incarico di direzione dei lavori, risultava necessario depositare presso le autorità amministrative, quale, ad esempio, la denuncia di inizio attività.
7. Cr.Me. e Go.Sa. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
8. Di.Cl. ha resistito con controricorso e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di rigetto del ricorso.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Travisamento ed erronea valutazione delle risultanze della CTU espletata nel primo grado di giudizio. Conseguente omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte riguarderebbe la lettura della consulenza tecnica in relazione al valore complessivo di tutte le opere (appalto, extra contratto e travi) eseguite dal Di.Cl. che era pari ad euro 90.231,56.
La Corte territoriale avrebbe sommato i tre distinti computi metrici redatti dal consulente, non rendendosi conto che nel primo computo metrico era indicato il valore complessivo delle opere e che i tre computi metrici non dovevano essere tra loro sommati, in quanto il secondo ed il terzo computo metrico rappresentavano semplicemente una specificazione del primo.
Ciò sarebbe confermato anche dai capitolati di spesa di cui al secondo e terzo computo metrico che possono essere agevolmente rinvenuti già nel primo computo metrico. Correttamente, dunque, all’importo complessivo di Euro 90.231,56, il CTU ha applicato il coefficiente riduttivo stimato nella misura del 27% in virtù delle opere incomplete e comunque viziate e difettose, così stimando in Euro. 65.680,13 “il costo relativo a tutte le opere nel loro complesso effettuate dall’Ing. Di.Cl. all’interno dell’appartamento dei coniugi Go.Sa.-Cr.Me.” (cfr. pag. 61, cpv 3 dell’elaborato definitivo) e, quindi, comprensive anche di quelli che Di.Cl. definisce lavori extra contratto (memoria 184 cpc lettera m), nonché delle travi.
Infine, a ulteriore conferma dell’errore, i ricorrenti richiamano il quesito formulato dal Tribunale che aveva espressamente conferito incarico al CTU di “quantificare il valore delle opere realizzate sia nel loro complesso, sia differenziando quelle, se esistenti, indicate alla lettera m della memoria ex art. 184 del Di.Cl.” (cfr. ordinanza resa fuori udienza il 10.03.2008).
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
1.1 Il primo motivo di ricorso è fondato.
Di recente questa Corte ha chiarito il limite entro il quale può farsi valere con il ricorso in cassazione il travisamento della prova.
Con la sentenza n. 5792 del 2024 si è affermato il seguente principio di diritto: Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre -se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale. (Sez. U -, Sentenza n. 5792 del 05/03/2024, Rv. 670391 – 01).
Il caso in esame è riconducibile a questa seconda ipotesi in quanto era oggetto di discussione tra le parti l’entità dei lavori svolti dal Di.Cl. tanto da affidare l’incarico per la loro determinazione al consulente tecnico. La Corte d’Appello ha poi travisato il contenuto della consulenza tecnica sommando il computo metrico dei lavori complessivamente svolti con quello dei lavori extracontratto già ricompresi nel primo e in tal modo ha effettuato un’erronea duplicazione degli stessi, come sostanzialmente riconosciuto dallo stesso controricorrente. Risulta fondato, pertanto, il ricorso nella parte in cui evidenzia che i tre computi metrici non dovevano essere tra loro sommati, in quanto il secondo ed il terzo rappresentavano semplicemente una specificazione del primo necessaria per fornire risposta ai quesiti formulati dal giudice di primo grado che aveva chiesto sia di accertare l’entità complessiva dei lavori che di distinguere quelli di cui alla memoria 184 c.p.c.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
Nella specie, pertanto, ci si trova in presenza di un travisamento della prova su un punto decisivo che mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo della sentenza impugnata, infatti, il travisamento della prova implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale.
Il primo motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo e del terzo che per esigenze di sintesi si riportano solo nella rubrica formulata dai ricorrenti.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione artt. 1657, 1667 e 1668 c.c., combinato disposto, ex art. 360, comma 1, n. 3, cpc. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cpc – Mancata valutazione e/o travisamento delle prove documentali – Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 1661 c. c. ed artt. 115, comma 1 e 116 cpc, combinato disposto, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc. – Motivazione inesistente su un fatto decisivo del giudizio. Conseguente nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cc in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc. – Mancata e/o erronea valutazione delle prove documentali in atti. Omesso esame di fatto/documento decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La censura riguarda l’IVA che dovrebbe ritenersi ricompresa nel pagamento già effettuato come da quietanza liberatoria. Secondo i ricorrenti non sarebbe dovuta alcuna somma a titolo di IVA nemmeno sull’importo già pagato. A dimostrazione di ciò invocano la quietanza del 10.09.2002 dove il Di.Cl. dichiara espressamente di non aver null’altro a pretendere dai committenti al momento di ricevere l’assegno a saldo dei lavori commissionati.
Secondo parte ricorrente, anche a voler considerare che la dichiarazione liberatoria del 10.09.2002 con attestazione di “non aver null’altro a pretendere” – non impugnata e disconosciuta dal Di.Cl. e quindi, prova assoluta, ex art. 115-116 cpc – non è utile elemento al fine di accertare che il prezzo pattuito era da considerarsi comprensivo di IVA, la stessa costituirebbe pur sempre atto “abdicativo” o rinuncia espressa dell’eventuale diritto spettante al creditore.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La sentenza è conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui nel silenzio delle parti il calcolo del valore stimato delle opere appaltate è basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’IVA. Infatti, l’imposta sul valore aggiunto è un costo fiscale che esula dal corrispettivo e si aggiunge ad esso. La previsione, nel contratto, di un corrispettivo a corpo o a misura costituisce una semplice modalità di determinazione del prezzo e non comporta l’inclusione dell’imposta predetta nell’ambito della somma pattuita, a meno che ciò non sia espressamente previsto dal contratto (in motivazione Sez. 2, Ordinanza n. 6244 del 2019).
Inoltre, la questione della rinuncia al credito mediante la quietanza da un lato presenta aspetti di novità non risultando affrontata nella sentenza e neanche dedotta da parte ricorrente nel giudizio di merito e dall’altro è infondata. Anche in questo caso l’interpretazione della Corte d’Appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui: la quietanza perfino quando contenuta in un atto notarile non dimostra anche l’effettivo versamento dell’imposta sul valore aggiunto da parte dell’acquirente al venditore. Infatti, in tutti i casi in cui è indispensabile l’emissione della fattura, l’Iva deve essere indicata separatamente dal prezzo – come avrebbe dovuto essere nel caso di specie e di conseguenza la quietanza non può costituire una rinuncia implicita al pagamento dell’IVA.
5. In conclusione la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il quarto e dichiara assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
La quietanza non dimostra l’effettivo versamento dell’IVA da parte dell’acquirente al venditore.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il quarto e dichiara assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2° Sezione civile in data 8 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2024.
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