La normativa sul condono edilizio ha natura derogatoria ed eccezionale

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 25 marzo 2020, n. 2086.

La massima estrapolata:

La normativa sul condono edilizio ha natura derogatoria ed eccezionale che ne impone una lettura di stretta interpretazione (Cons. St., Ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20). Infatti, la norma di cui all’art. 35 della l. 47 del 1985, richiamata dall’art. 39 della l. 724 del 1994, stabilisce che “alla domanda deve essere allegata una descrizione delle opere per le quali si chiede la concessione o l’autorizzazione in sanatoria, sicché le determinazioni dell’Amministrazione al riguardo non possono che limitarsi ad esse, senza che, dovendo la disposizione essere interpretata in maniera restrittiva, possa in alcun modo ritenersi che il Comune potesse ampliare l’oggetto della domanda alle opere non espressamente indicate nella istanza, ma in documentazione prodotta in epoca successiva alla presentazione della domanda”.

Sentenza 25 marzo 2020, n. 2086

Data udienza 5 marzo 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7357 del 2019, proposto da
Ma. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ca. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, 21 giugno 2019 n. 549, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. Diego Sabatino.
Nessuno è comparso per le parti, avendo le stesse proposto istanza congiunta di passaggio in decisione.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 7357 del 2019, Ma. s.a.s. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, 21 giugno 2019 n. 549 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di (omissis)

per l’annullamento
– del provvedimento 18.3.2019, n. 1/2019 del Comune di (omissis).
I fatti di causa possono essere così riassunti.
Ma. s.a.s. ha impugnato il provvedimento sopra indicato, ritenendosi lesa dall’ingiunzione a demolire notificata dal Comune di (omissis) che con tale atto contesta l’abusiva realizzazione di una sala per colazioni di circa metri quadrati otto completamente chiusa, realizzata a seguito del rilascio del titolo 14.4.1991.
Dopo l’esecuzione delle opere ammesse dalla concessione citata, l’amministrazione effettuò un sopralluogo all’esito del quale ingiunse la demolizione di due manufatti, uno dei quali va appunto individuato nella copertura della sala colazioni per cui è lite in questa sede. Venne allora notificata l’ingiunzione a demolire 17.5.2001 che il T.A.R. annullò per la parte di che si tratta con la sentenza 2016/1265, passata in cosa giudicata, dove dichiarò appunto l’annullamento della dichiarazione di illegittimità della sala per colazioni dell’albergo, argomentando in merito al difetto di istruttoria e di motivazione;
In data 22 gennaio 2019, il Comune ha eseguito un successivo sopralluogo in data 22.1.2019 con cui ha acquisito la prova del fatto che la sala colazioni è rimasta sempre coperta e costituisce tuttora uno spazio chiuso che si ritiene abusivo. Pertanto l’amministrazione ha motivato la ritenuta natura illecita del manufatto inquadrandolo dal punto di vista urbanistico e paesistico, rilevando la difformità della sua esecuzione rispetto al risalente titolo citato.
La ricorrente ha notificato l’impugnazione affidata a censure in fatto e diritto, con cui è chiesta l’adozione di una misura cautelare.
Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio con memoria con cui ha chiesto respingersi la domanda.
All’udienza del 19 giugno 2019, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata, redatta in forma semplificata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione all’avvenuta realizzazione senza titolo del piccolo manufatto.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 3 ottobre 2019, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza 3 ottobre 2019 n. 5005.
All’udienza del 5 marzo 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “1) Erroneità dell’appellata sentenza per difetto di istruttoria e di motivazione. Travisamento. Illogicità. Contraddittorietà. Violazione dell’art. 31 D.P.R. 380/01”, viene lamentata l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che con il nuovo sopralluogo esperito il 22 gennaio 2019 e con l’accertamento dell’immutato stato del manufatto in contestazione rispetto a quanto accertato quasi 20 anni fa, il Comune abbia posto rimedio alla carente istruttoria e motivazione poste a base dell’annullamento, da parte dello stesso T.A.R., del precedente ordine di demolizione 17 maggio 2001.
Ad avviso dell’appellante, il Comune, per ottemperare correttamente alla pronuncia, avrebbe dovuto riesaminare la situazione, confrontando non già l’attuale stato di fatto con quello constatato e sanzionato all’epoca (unico accertamento invece esperito, con esito scontato e incontestato, nessuna ulteriore variazione essendo stata apportata), bensì confrontando l’attuazione situazione (identica a quella di 20 anni orsono) con l’ultimo progetto approvato, al fine di verificare se: – il manufatto edificato fosse contemplato in tale progetto (come ha sempre sostenuto la ricorrente e come poteva essere agevolmente verificato dagli atti progettuali approvati e come peraltro comprovato dalla perizia giurata depositata); – il manufatto edificato fosse invece difforme dal progetto approvato (come poteva trasparire dalla motivazione dell’ordine di demolizione annullato) ed eventualmente in che misura (al fine di individuare la pertinente fattispecie sanzionatoria).
2.1. – La censura non ha fondamento.
La corretta risoluzione della questione in scrutinio passa attraverso la disamina in fatto della natura del manufatto realizzato e della sua asserita inclusione nell’ultimo progetto approvato, ossia quello ricompreso nella concessione nr. 2687/10281 del 28 aprile 1995.
In merito alla fase fisiologica, la descrizione delle opere è funzionale allo svolgimento del procedimento di cui all’art. 20 del Testo unico dell’edilizia e, pertanto, deve consentire la qualificazione tipologica dell’opera, la sua comparazione con gli strumenti urbanistici vigenti e fornire gli strumenti al responsabile del procedimento di formulare la sua proposta, che si correda di “una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto”.
Maggiore rigidità si rinviene poi nella normativa sul condono edilizio, attesa la sua natura derogatoria ed eccezionale, che ne impone una lettura di stretta interpretazione (Cons. St., Ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20). Infatti, la norma di cui all’art. 35 della l. 47 del 1985, richiamata dall’art. 39 della l. 724 del 1994, stabilisce che “alla domanda deve essere allegata una descrizione delle opere per le quali si chiede la concessione o l’autorizzazione in sanatoria, sicché le determinazioni dell’Amministrazione al riguardo non possono che limitarsi ad esse, senza che, dovendo la disposizione essere interpretata in maniera restrittiva, possa in alcun modo ritenersi che il Comune potesse ampliare l’oggetto della domanda alle opere non espressamente indicate nella istanza, ma in documentazione prodotta in epoca successiva alla presentazione della domanda” (Cons. Stato, V, 27 marzo 2013, n. 1776).
Il livello di precisione della descrizione di un intervento edilizio si muove dunque all’interno di un doppio confine, dato, da un lato, dal divieto di aggravamento procedimentale, di cui all’art. 1, comma 2, della legge 241 del 1990 e, dall’altro, dalle esigenze del procedimento di rilascio del titolo, dove l’art. 20 del Testo unico dell’edilizia richiede, tra l’altro, che la descrizione renda possibile la corretta qualificazione tecnico – giuridica dell’opera e la comparazione con gli strumenti urbanistici vigenti.
Conclusivamente, va affermato che la descrizione degli interventi edilizi è presupposto imprescindibile perché l’istante possa conseguire l’auspicato titolo edilizio e costituisce un onere il cui contenuto di dettaglio è dato in funzione degli obiettivi della disciplina edilizia e precisato, in particolare, dall’art. 20 del Testo unico dell’edilizia.
Nel caso in esame, nella concessione nr. 2687/10281 del 28 aprile 1995 si legge che il sindaco “concede la facoltà di eseguire i lavori di cui alla premessa”, dove in premessa viene indicato unicamente “l’esecuzione dei lavori di realizzazione di un vano per ascensore”. Per altro verso, nella parte dispositiva, la detta concessione fa riferimento al progetto allegato che, a sua volta, indica unicamente che “In luogo della tettoia esistente sul lato sud-ovest del fabbricato, verrà realizzata, mediante la costruzione di una struttura portante in muratura con copertura in vetro o materiale sintetico trasparente, una tettoia a servizio dell’attività alberghiera, la quale, nel periodo invernale verrà utilizzata, previa installazione di tamponature anch’esse in vetro, quale saletta convegni ad integrazione della struttura turistico ricettiva.”
Pertanto, sia se si aderisca ad una lettura formale della concessione, come riferita al solo vano ascensore, sia che si estenda l’ambito all’insieme di opere descritte nel progetto, in ogni caso, il manufatto individuato dal Comune nei suoi distinti sopralluoghi, ossia la detta sala colazioni, non risulta autorizzata.
Sulla scorta di quanto dedotto, non pare censurabile il comportamento del Comune, atteso che, per le finalità di repressione dell’abusivismo edilizio, il riscontro dell’esistenza di un manufatto, nelle sue dimensioni fisiche, e della sua incompatibilità con le previsioni vigenti, nella sue dimensioni giuridiche, giustificano pienamente l’intervento operato.
3. – Con i successivi motivi, la parte appellante, considerato che la prima censura ha riguardato la prima e la seconda censura proposte dinanzi al primo giudice, ripropone in sede di appello, con diversa numerazione, il terzo e il quarto motivo del ricorso in prime cure.
Con il secondo motivo, come così rinumerato e rubricato “2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 D.P.R. 380/01 sotto diverso profilo. Difetto di presupposto (terzo motivo del ricorso introduttivo)”, si lamenta il cattivo esercizio del potere comunale di controllo, atteso che, trattandosi di intervento approvato “il Comune non avrebbe potuto irrogare alcuna sanzione -sostanzialmente disapplicando la concessione edilizia del 1995- bensì, sussistendone i presupposti, soltanto esercitare i poteri di autotutela.”
3.1. – La censura è infondata.
Come evidenziato da controparte, il primo giudice ha ritenuto assorbita la doglianza nei primi due motivi e tale scelta deve essere considerata corretta, atteso che la censura si fonda su un unico presupposto, ossia l’avvenuta autorizzazione dell’intervento, che è invece stata smentita dai riscontri probatori.
4. – Con il terzo motivo, rubricato “3) In subordine: violazione e falsa applicazione dell’art. 31 D.P.R. 380/01 sotto ulteriore profilo. Difetto di presupposto (quarto motivo del ricorso introduttivo). Erroneità dell’appellata sentenza per omessa pronuncia”, viene lamentata la mancata considerazione della solo parziale difformità del manufatto rispetto a quello eventualmente assentito.
4.1. – La censura non ha pregio.
A tal fine, occorre ricordare la giurisprudenza pacifica di questo Consiglio in tema di trasformazione delle verande in locali chiusi per escludere che nel caso in specie possano riscontrarsi i presupposti per l’applicazione della più favorevole disciplina invocata dalla controparte (da ultimo, ex multis, Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2019, n. 6720; id., VI, 9 ottobre 2018, n. 5801; id., VI, 26 marzo 2018, n. 1893; id., VI, 25 gennaio 2017, n. 306).
Anche l’ultimo motivo va quindi respinto.
5. – Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).
L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 7357 del 2019;
2. Condanna Ma. s.a.s. a rifondere al Comune di (omissis) le spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro. 1.500,00 (euro millecinquecento) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF, Estensore
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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