L’elezione di domicilio è un atto personale a forma vincolata

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 27 febbraio 2020, n. 7834

Massima estrapolata:

L’elezione di domicilio è un atto personale a forma vincolata, espressione della volontà dell’imputato di ricevere ogni notificazione o comunicazione presso quel domicilio e non surrogabile da una dichiarazione del difensore, con la conseguenza che non può essere considerata come valida elezione di domicilio ai sensi dell’art. 162 cod. proc. pen. la mera indicazione del luogo di residenza dell’imputato, da questi non sottoscritta, contenuta nell’atto di appello redatto dal difensore.

Sentenza 27 febbraio 2020, n. 7834

Data udienza 28 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. PERROTTI Massim – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
(OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/9/2018 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. PERROTTI Massimo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FODARONI Giuseppina, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;
Udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Avverso la sentenza indicata in epigrafe -che ha confermato la sentenza di condanna emessa dal giudice monocratico del tribunale di Lecce in data 2 dicembre 2016- propone ricorso per cassazione l’imputato, a ministero del difensore di fiducia all’uopo nominato, deducendo a ragione della impugnazione i motivi in appresso sinteticamente indicati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
1.1. inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’ (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), in relazione agli articoli 161 e 162 c.p.p., avendo la Corte territoriale notificato il decreto di citazione per il giudizio di secondo grado all’imputato, a mezzo p.e.c., presso il difensore di fiducia, ai sensi dell’articolo 157 c.p.p., comma 8 bis, laddove con precedente dichiarazione (indicazione del luogo di residenza contenuta nell’atto di appello) l’imputato aveva inteso dichiarare il proprio domicilio in (OMISSIS);
1.2. inosservanza della legge processuale e vizio esiziale di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c ed e), per avere la Corte rigettato immotivatamente il motivo di gravame con il quale si censuravano le modalita’ della identificazione dell’imputato, giacche’ le fotografie di comparazione utilizzate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini non sono state allegate al fascicolo del dibattimento, ne’ successivamente acquisite, talche’ la giurisdizione non poteva verificare la fondatezza dell’accertamento operato dalla polizia giudiziaria;
1.3. inosservanza della legge penale sostanziale (articolo 606 c.p.p., comma 1, Lett. b, in relazione all’articolo 131 bis c.p.), per avere la Corte immotivatamente rigettato la richiesta di assoluzione dell’imputato per la particolare tenuita’ del fatto, sussistendone i presupposti.
1.4. con ultimo motivo di ricorso la difesa, stante la evidente ammissibilita’ dei motivi di ricorso, chiedeva dichiararsi estinto il reato contestato e ritenuto nel merito per intervenuta prescrizione, successiva alla decisione impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso sono inammissibili, giacche’ manifestamente infondati (il primo di natura processuale), non previamente sottoposti all’attenzione della Corte di merito (il terzo, sulla particolare tenuita’ dell’offesa) e, nella restante parte, meramente riproduttivi dei motivi di gravame spesi nel merito e rigettati dalla Corte con diffuse e puntuali argomentazioni, del tutto esaustive delle doglianze mosse.
1.1. Dall’esame degli atti accessibili alla Corte in ragione degli errores in procedendo denunciati con i motivi di ricorso, risulta che il difensore del ricorrente, nella redazione dell’atto di appello, aveva indicato il luogo di residenza del proprio assistito in (OMISSIS). Tale mera indicazione, non sottoscritta dall’imputato, non costituisce rituale dichiarazione di domicilio, rilevante ai sensi dell’articolo 162 c.p.p., non manifestando affatto la volonta’ dell’imputato di ricevere ogni notificazione e comunicazione presso quel domicilio (per la mera dichiarazione del difensore contenuta nell’atto di impugnazione, v. Sez. 4, n. 7118, del 2375/2000, Rv. 216607; conf. Rv. 248827).
1.2. Ne’ risulta, dalla lettura del verbale della udienza celebrata in grado di appello, che il difensore abbia eccepito in quella sede il vizio della citazione denunziato con i motivi di ricorso. Il che, trattandosi -ove sussistente- di una nullita’ di ordine generale, ma a regime intermedio (articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), inibisce comunque la ammissibilita’ della censura non coltivata dal difensore di fiducia nel corso del successivo giudizio (Sez. U., n. 58120, del 22/06/2017, Rv. 271771).
1.2. Quanto al secondo motivo di ricorso (omessa allegazione al fascicolo del dibattimento delle fotografie utilizzate dalla polizia giudiziaria per la identificazione dell’autore delle condotte), trattasi, cosi’ come per il terzo, della denunziata violazione della legge processuale non previamente eccepita innanzi al giudice della impugnazione, con i motivi di gravame, e, dunque, inammissibile in questa sede di legittimita’, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3 (cfr. sul punto, Sez. 2, n. 17693, del 17/1/2018, Rv. 278221; Sez. 2, n. 29707, del 8/3/2017, Rv. 270316; Sez. 3, n. 16610, del 24/1/2017, Rv. 269632; Sez. 3, n. 21920, del 16/5/2012, Rv. 252773, che ritiene il vizio non sanabile neppure ex post, per effetto della motivazione comunque spesa, in assenza di gravame, sul punto dalla Corte di appello).
1.2.1. Il motivo di ricorso scivola comunque nella valutazione del merito, avendo il ricorrente dubitato della idoneita’ del riconoscimento effettuato dall’uff.le di polizia giudiziaria sulla base delle immagini fotografiche esaminate. D’altra parte, ai fini del controllo di legittimita’ sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza,
concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorche’ i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico – giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia’ esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (da ultimo, Sez. 4, n. 56311-18, del 28/11/2018; Sez. 2, 55955-18, del 10/9/2018; che richiamano Sez. 3, n. 13926/2012, Rv. 252615).
1.2.2. Tanto chiarito quanto all’ambito del sindacato di legittimita’ sulla motivazione della sentenza d’appello in caso di doppia pronuncia di colpevolezza, va rilevato che le deduzioni difensive sono volte a sollecitare una diversa valutazione delle emergenze processuali (in particolare, del peso degli argomenti offerti con le prove dichiarative e documentali esaminate nel corso del giudizio di primo grado), operazione che, a fronte del preciso ancoraggio alle emergenze processuali e del rigore logico giuridico che connota le scansioni dell’iter argomentativo delle decisioni impugnate, non puo’ trovare spazio in sede di legittimita’.
1.2.3. Del resto, l’affidamento che la giurisdizione riposa sulle procedure di identificazione iconografica dei soggetti sottoposti a indagini preliminari risponde a canoni logici, prima ancora che giuridici, ampiamente condivisi; restando affidato alla congruita’ logica della motivazione l’apprezzamento di attendibilita’ dell’avvenuto riconoscimento (sul punto, Sez. 4, n. 3494, del 01/02/1996, Rv. 204956; Sez. 5, n. 9505, del 24/11/2015, Rv. 267562). Ne’ sul punto la difesa ha argomentato alcuna critica specifica alla affidabilita’ del risultato probatorio, tale da incrinarne la solidita’ euristica.
1.3. neppure il terzo motivo di ricorso si sottrae alla scure della inammissibilita’ (articolo 606 c.p.p., comma 3, trattandosi anche in questo caso di una violazione della legge penale sostanziale (articolo 131 bis c.p.) non previamente rappresentata alla Corte di merito con i motivi di gravame, ne’ dedotta in udienza nella sede propria di merito.
2. Il ricorso proposto va pertanto dichiarato inammissibile.
2.1. Consegue alla ritenuta inammissibilita’ che la decisione di merito sull’accertamento del fatto e l’attribuzione della penale responsabilita’, intervenuta in data 21 settembre 2018, cristallizza i suoi effetti a quella data. Il decorso del tempo successivo a tale evento non puo’ essere quindi efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione (che si sarebbe maturata il 5 ottobre 2018, tenuto conto della sospensione di 60 giorni realizzatasi per effetto del differimento della udienza dovuto a legittimo impedimento dell’imputato), in quanto non si e’ mai validamente ed efficacemente formato un rapporto di impugnazione (Sez. U. n. 21 del 22/10/2000, Rv. 217266; piu’ recentemente, Sez. 2; n. 28848, del 8/5/2013, Rv. 256463).
2.2. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro duemila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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