In tema di associazione a delinquere di stampo mafioso

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 27 febbraio 2020, n. 7870

Massima estrapolata:

In tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta tipica deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall’imputazione, sicché, in caso di successione di condotte contestate a titolo di partecipazione o di direzione dell’organizzazione criminale, la rivalutazione delle prove acquisite e valutate nel corso di un precedente procedimento per il delitto di cui all’art. 461-bis cod. pen., conclusosi con sentenza assolutoria in relazione ad un differente arco temporale, è subordinata alla circostanza che quegli elementi riguardino comunque il nuovo periodo temporale oggetto di contestazione e non attengano, invece, al periodo coperto dal giudicato assolutorio. (In applicazione del principio, la Corte ha affermato che la chiamata in correità, quale elemento di prova principale, deve avere ad oggetto un’accusa relativa al periodo oggetto di successiva contestazione, rispetto al quale vanno, altresì, ricercati i riscontri individualizzanti, e che le intercettazioni attinenti a condotte associative comprese nel giudicato assolutorio rilevano solo in quanto siano indicative anche della progettazione di precise condotte future).

Sentenza 27 febbraio 2020, n. 7870

Data udienza 28 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere

Dott. PARDO Ignaz – rel. Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 23/08/2019 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO;
sentite le conclusioni del PG MARIA GIUSEPPINA FODARONI che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore avv.to (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza in data 23 agosto 2019, il tribunale della liberta’ di Reggio Calabria respingeva l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di (OMISSIS) nei confronti dell’ordinanza del G.I.P. di Reggio del 26-7-2019 che aveva applicato al predetto la misura della custodia cautelare in carcere ritenendolo raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 416 bis c.p..
1.2 Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore di fiducia del (OMISSIS), avv.to (OMISSIS), deducendo, con un primo motivo, violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione all’articolo 273 c.p.p. per difetto di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla prosecuzione dell’attivita’ associativa illecita da parte dell’indagato posto che lo stesso risultava avere riportato due pronunce assolutorie nei procedimenti “(OMISSIS)” ed “(OMISSIS)” che coprivano ogni attivita’ compiuta sino al (OMISSIS), risultava detenuto sin dal 2007 e sottoposto al regime del 41 bis dal 2014 sicche’ mancava la dimostrazione che continuasse a svolgere attivita’ direttive. Al proposito si sottolineava che le dichiarazioni del collaboratore De Rosa avevano ad oggetto fatti del 2007 precedenti l’arresto del (OMISSIS) del luglio di quell’anno, la conversazione del maggio 2014 tra tali (OMISSIS) e (OMISSIS) poteva riguardare altri soggetti, non era stata accertata la modalita’ concreta di trasmissione dei messaggi dal carcere, il significato dei colloqui intercettati non era stato decriptato e non vi era nessun riferimento a fatti delittuosi specifici indicativi dell’attivita’ delinquenziale associativa; peraltro l’indagato risultava soggetto affetto da patologie psichiatriche e numerose erano le evidenti stranezze nel contenuto dei suoi dialoghi intercettati in occasione dei colloqui con la moglie ed il difensore ne’ poteva attribuirsi valenza illecita e rilevante a termini e frasi mai decifrate. Si lamentava, poi, come gran parte del materiale probatorio risultava acquisito in data antecedente il (OMISSIS) e fosse coperto da due giudicati assolutori e che la possibilita’ di rivalutare detti elementi dipendeva dalla diversita’ del fatto contestato, mentre, nel caso di specie, si trattava sempre dello stesso reato procrastinato nel tempo.
Il secondo motivo lamentava violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione all’articolo 274 c.p.p. e articolo 275 c.p.p., comma 3 non sussistendo in concreto esigenze cautelari alla luce dello stato detentivo applicato per altri titoli al (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Il primo motivo nella parte in cui lamenta l’errata valutazione di prove acquisite nell’esito di separati giudizi conclusi con sentenze di assoluzione del (OMISSIS) e’ fondato ed il ricorso deve, pertanto, essere accolto.
Con le osservazioni svolte a pagina 11 il tribunale della liberta’ ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale di questa corte di legittimita’ circa l’utilizzazione in distinti procedimenti di prove acquisite in un giudizio assolutorio affermandone la liberta’ di valutazione da parte del giudice del secondo giudizio; in particolare, con una prima pronuncia a Sezioni Unite, si e’ affermato che e’ legittimo assumere, come elemento di giudizio autonomo, circostanze di fatto raccolte nel corso di altri procedimenti penali, pur quando questi si sono conclusi con sentenze irrevocabili di assoluzione, perche’ la preclusione del giudizio impedisce soltanto l’esercizio dell’azione penale per il fatto-reato che di quel giudicato ha formato oggetto, ma nulla ha a che vedere con la possibilita’ di una rinnovata valutazione delle risultanze probatorie acquisite nei processi ormai conclusisi, una volta stabilito che quelle risultanze probatorie possono essere rilevanti per l’accertamento di reati diversi da quelli gia’ giudicati. Ed invero l’inammissibilita’ di un secondo giudizio per lo stesso reato non vieta di prendere in considerazione lo stesso fatto storico, o particolari suoi aspetti, per valutarli liberamente ai fini della prova concernente un reato diverso da quello giudicato, in quanto cio’ che diviene irretrattabile e’ la verita’ legale del fatto-reato, non quella reale del fatto storico (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Rv. 203765). Con altre e piu’ recenti affermazioni il principio risulta riaffermato sempre pero’ ribadendosi che presupposto imprescindibile della rivalutazione del materiale probatorio e’ la diversita’ del fatto-reato oggetto di giudizio nel secondo procedimento; in particolare si e’ affermato come e’ legittima la valutazione, con autonomo giudizio, di circostanze di fatto raccolte nel corso di altro procedimento penale, in quanto la preclusione di un nuovo giudizio impedisce soltanto l’esercizio dell’azione penale in ordine al reato che e’ stato oggetto del giudicato, mentre non riguarda la rinnovata valutazione di dette circostanze, una volta stabilito che le stesse possano essere rilevanti per l’accertamento di reati diversi da quelli gia’ giudicati (Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013, Rv. 257239). Ora, tanto premesso, deve poi essere ricordato come con particolare riferimento all’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa si sia precisato che in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, non puo’ invocarsi il principio del “ne bis in idem” quando la partecipazione all’associazione venga desunta anche dalla commissione di altro reato per il quale sia gia’ intervenuta condanna definitiva, in quanto l’inammissibilita’ di un secondo giudizio impedisce al giudice di procedere contro lo stesso imputato per il medesimo fatto, gia’ giudicato con sentenza irrevocabile, ma non gli preclude di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo liberamente ai fini della prova di un diverso reato (Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256724).
L’applicazione dei sopra esposti principi comporta affermare che se non sussiste un divieto di ne bis in idem in relazione alla rivalutazione di prove gia’ acquisite nel corso di distinti procedimenti, anche conclusi con pronunce assolutorie, tuttavia la rivalutazione e’ subordinata alla precisa circostanza che si tratti di fatti reato diversi da quelli gia’ giudicati; e l’argomento della diversita’ dei fatti associativi contestati nell’ambito di diversi procedimenti va percio’ naturalmente collegato ai diversi segmenti temporali della partecipazione mafiosa incriminata che costituiscono autonomi fatti-reato giudicabili separatamente, ciascuno dotato di propria individualita’. Sul punto deve pertanto affermarsi che in caso di successione di condotte contestate a titolo di partecipazione o direzione di organizzazione mafiosa la rivalutazione delle prove acquisite e valutate nel corso di un precedente procedimento per il delitto di cui all’articolo 416 bis c.p., concluso con sentenza assolutoria in relazione ad un differente arco temporale, e’ subordinato alla circostanza che quegli elementi riguardino comunque il nuovo periodo temporale oggetto di contestazione e non attengano invece al periodo coperto da giudicato assolutorio. Il rispetto del giudicato assolutorio gia’ pronunciato in via definitiva esclude, quindi, che nel diverso giudizio possano essere valutate prove che in relazione ad un determinato arco temporale abbiano fatto concludere gia’ per l’insussistenza del fatto e cioe’ abbiano determinato l’esclusione della colpevolezza per un determinato periodo.
In applicazione dei sopra affermati principi, deve ritenersi che in presenza di un precedente giudicato assolutorio, non puo’ utilizzarsi come elemento di prova una chiamata di correita’ avente ad oggetto condotte poste in essere nel periodo coperto dal giudicato e poi procedere alla sola ricerca di riscontri individualizzanti ex articolo 192 c.p.p., comma 3 per il nuovo e successivo periodo oggetto di contestazione, nel successivo procedimento sempre per fatti di cui all’articolo 416 bis cod. pen.. La successione di contestazione di condotte partecipative o direttive, elevate nei riguardi del medesimo soggetto in separati e successivi procedimenti penali, richiede che la prova oggetto di rivalutazione deve riguardare direttamente il nuovo periodo temporale; cosi’ che la chiamata di correo quale elemento di prova principale deve avere ad oggetto una accusa in relazione al periodo “nuovo” cioe’ di successiva contestazione ed, analogamente, anche i riscontri individualizzanti devono essere ricercati sempre in relazione alla fase oggetto di seconda o successiva contestazione (nel caso di specie terza) poiche’ la prova nel suo complesso deve attenere alla condotta partecipativa oggetto di contestazione senza rilevanza degli elementi attinenti il periodo coperto da giudicato assolutorio.
Analogamente deve ritenersi per le emergenze delle intercettazioni che attengono condotte associative gia’ giudicate in procedimenti conclusi con pronunce di assoluzione perche’, pur non essendo preclusa la loro rivalutazione alla luce della giurisprudenza in precedenza citata, il loro contenuto puo’ rilevare solo in quanto siano indicative anche della progettazione di precise condotte future sicche’ sulle stesse riverberino i loro effetti direttamente, altrimenti non rilevando nel successivo procedimento proprio perche’ attinenti un periodo di contestata partecipazione o direzione associativa che e’ irrimediabilmente coperto dal giudicato di proscioglimento rispetto al quale e’ preclusa una rivalutazione delle condotte.
In sostanza, quindi, va fatta applicazione del principio, pur dettato con riferimento al differente caso della precedente condanna e secondo cui in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso, la condotta di partecipazione deve essere provata con puntuale riferimento al periodo temporale considerato dall’imputazione, sicche’ l’esistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato per lo stesso delitto in relazione ad un precedente periodo puo’ rilevare solo quale elemento significativo di un piu’ ampio compendio probatorio, da valutarsi nel nuovo procedimento unitamente ad altri elementi di prova dimostrativi della permanenza all’interno della associazione criminale (Sez. 2, n. 21460 del 19/03/2019, Rv. 275586). Principio questo che va con fermezza ribadito ove il precedente giudicato abbia addirittura portata assolutoria poiche’ in tale ultimo caso quel limitato effetto della precedente condanna ai fini della presunzione di permanenza nel medesimo contesto associativo manca pure del presupposto fondamentale.
L’applicazione dei sopra esposti principi comporta dichiarare la fondatezza del proposto ricorso. Nel caso in esame, infatti, il tribunale della liberta’ di Reggio Calabria nel lungo provvedimento impugnato, ha ampiamente riportato elementi di prova che riguardano periodi coperti dal giudicato assolutorio nei confronti del (OMISSIS) dando pure atto che il suddetto indagato risulta essere stato assolto all’esito di distinti procedimenti che coprono il periodo della presunta condotta delittuosa sino al (OMISSIS); in particolare, infatti, sia le dichiarazioni del (OMISSIS) che attengono ad episodi datati (OMISSIS) sia le intercettazioni riportate sino a pagina 33 del provvedimento, tutte antecedenti il 5-6-13, non possono essere direttamente valutate quali elementi di prova di una condotta partecipativa o direttiva posta in essere nel periodo temporale successivo che solo puo’ essere oggetto di contestazione nel presente procedimento. E quanto alla accusa proveniente sempre dal collaboratore (OMISSIS) nel corso di un interrogatorio svoltosi nel settembre 2014 (pagina 14 dell’ordinanza), dell’avere il (OMISSIS) proceduto alla nomina di un reggente la famiglia criminale di appartenenza nella persona del (OMISSIS), anche tale precisa indicazione dovra’ essere contestualizzata temporalmente poiche’ ove riferita a tempi anteriori il (OMISSIS) rimane anch’essa priva di rilevanza indiziaria nel presente procedimento avente ad oggetto un arco temporale necessariamente successivo.
Ne deriva pertanto affermare che espunti tali elementi in quanto privi di capacita’ probatoria in ordine a periodi temporali coperti da giudicato assolutorio dovra’ procedersi a nuovo esame delle risultanze delle indagini al fine di accertare se, anche a livello di sola gravita’ indiziaria, sussistano elementi sufficienti per affermare la prosecuzione delle attivita’ illecite da parte del (OMISSIS) in costante stato detentivo anche dopo il (OMISSIS) tenendo pure conto della sottoposizione dello stesso al regime detentivo del 41 bis ord.pen. e della limitazione dei contatti conseguenti tale particolare regime.
Tale valutazione deve essere estesa anche ai colloqui intercettati tra il (OMISSIS) ed il difensore avv.to (OMISSIS) avendo il tribunale del riesame, proceduto a valorizzare in chiave accusatoria, cumulativamente conversazioni sia attinenti il periodo coperto da giudicato assolutorio che altre successive.
Invero, con riferimento specifico alla prosecuzione della condotta partecipativa da parte di soggetto detenuto deve essere ricordato ancora come sia affermazione di questa corte quella secondo cui ai fini della configurabilita’ del reato di associazione per delinquere, laddove uno dei sodali abbia patito uno stabile isolamento dal gruppo in forza di detenzione prolungata e senza soluzione di continuita’, occorre la prova della permanenza di un contributo oggettivamente apprezzabile alla vita ed all’organizzazione del gruppo stesso, anche se solo a carattere morale (Sez. 2, n. 6819 del 31/01/2013, Rv. 254503); sicche’ la verifica da compiere sara’ quella di accertare se in base agli elementi di prova successivi il (OMISSIS) non soltanto (OMISSIS) abbia mantenuto contatti con altri soggetti in liberta’ ma, altresi’, se egli abbia attraverso tali contatti concretamente arrecato un contributo al mantenimento operativo della cosca di appartenenza.
2.2 Ancora deve essere sottolineato come il ricorso appaia pure fondato nelle parti in cui deduce vizio di motivazione rilevante in relazione alla individuazione del Caddi nel soggetto cui terzi associati al medesimo gruppo criminoso fanno riferimento in alcuni colloqui e limitatamente alla mancata decifrazione dei messaggi che si assumono trasmessi dal (OMISSIS) ad altri sodali. Invero, sotto il primo profilo, va sottolineato come nel colloquio (OMISSIS)- (OMISSIS) del 20 maggio 2014 riportato per stralci alle pagine 14-15 l’individuazione del (OMISSIS) quale soggetto interessato alla ricezione dei profitti illeciti delle estorsioni, non essendo avvenuta tramite il riferimento al nome di battesimo del ricorrente bensi’ in forza della sola indicazione della parentela (il cugino), sconta il difetto di possibili interpretazioni alternative (altri potendo essere i cugini del (OMISSIS) cui si fa riferimento) che il ricorso pure prospetta e che dovranno essere esaminate per eventuale certa confutazione.
In relazione al secondo aspetto, posto che secondo il precedente di questa corte in precedenza riportato il permanente inserimento di un soggetto detenuto da lungo tempo ed anche in regime restrittivo rafforzato puo’ essere provato soltanto sulla base della dimostrazione di un concreto contributo alla vita ed alla organizzazione del gruppo criminale (Sez. 2, n. 6819 del 31/01/2013 cit.) comporta che, per attribuire tale particolare valenza ai colloqui carcerari, occorre necessariamente dimostrare che sia avvenuta la trasmissione di messaggi dal detenuto ad altri sodali e che il contenuto degli stessi abbia pur genericamente riferimento alle attivita’ delinquenziali del gruppo di appartenenza o che, comunque, continuino a sussistere relazioni con gli altri esponenti che manifestano il perdurante inserimento del detenuto all’interno del clan. Altrimenti non potendosi formulare una valutazione di apprezzabile compenetrazione nell’organizzazione e di un contributo morale alla medesima sulla base di una generale presunzione di permanenza tanto piu’ quando tale presunzione sia venuta meno alla luce di una sopravvenuta pronuncia di proscioglimento; ne deriva pertanto che, nel caso in esame, la valutazione della perdurante appartenenza del (OMISSIS) al clan non puo’ essere fondata esclusivamente sulla impossibilita’ di decifrare il contenuto dei colloqui dello stesso con la moglie facendone derivare automaticamente carattere illecito ovvero attribuendo ex se rilievo e spessore associativo mafioso a tutte le stranezze rimaste indecifrate contenute nelle conversazioni intercettate e nelle missive inviate. E cio’ ancor piu’ ove non sia data dimostrazione precisa della trasmissione di tali messaggi dalla moglie del (OMISSIS) che li riceveva in carcere ad altri soggetti componenti lo stesso gruppo criminale in liberta’.
Anche tale rivalutazione andra’ pertanto effettuata in sede di giudizio di rinvio dovendo il tribunale della liberta’ escludere rilevanza ai fini della dimostrazione della partecipazione o direzione dell’associazione ndranghetista a quei colloqui o messaggi che siano rimasti privi di decifrazione perche’ aventi contenuto totalmente incongruo rispetto all’accusa ed individuare i messaggi aventi contenuto significativo sotto il preciso profilo della prosecuzione della vita associativa criminale inviati dal (OMISSIS) ad altri sodali e da questi ricevuti.
Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, l’impugnato provvedimento deve essere annullato con rinvio al tribunale del riesame di Reggio Calabria.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Reggio Calabria – sezione per il riesame dei provvedimenti coercitivi – per nuovo esame. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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