Corte di Cassazione, civile, Sentenza|15 maggio 2024| n. 13435.
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio, intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare, abilita la parte acquirente a chiedere la risoluzione del contratto per il venir meno della causa in concreto, ovvero dell’istituto della presupposizione qualora si accerti che l’acquisto del terreno si fondava sull’attuale assetto urbanistico del bene promesso in vendita che ne consentiva una potenziale modifica da destinazione agricola ad area edificabile, considerato che successivamente alla stipula del contratto si è determinato oggettivamente un ulteriore e imprevedibile limite alla potenziale sua edificabilità, con il rischio di una futura perdita dello stesso diritto dominicale su parte del terreno promesso in vendita.
Sentenza|15 maggio 2024| n. 13435. La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare
Data udienza 9 aprile 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti in genere – Scioglimento del contratto – Risoluzione del contratto – In genere modifica urbanistica successiva alla stipula del contratto preliminare – Azione di risoluzione per venir meno della causa in concreto ovvero dell’istituto della presupposizione – Condizioni.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1003/2022 R.G. proposto da:
AZIENDA AGRICOLA (…) Srl, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato RO.FA. che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati DA.CH. e R.SC.;
– ricorrente –
contro
Mi.Vi., Me.El., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA (…), presso lo studio dell’avvocato ALBA TORRESE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato AL.BO.;
– controricorrente –
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2747/2021 depositata il 29/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal Consigliere LUCA VARRONE;
Udito il Sostituto Procuratore generale in persona del dott. FULVIO TRONCONE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
uditi gli avvocati RO.FA. per la ricorrente e LU.FR. su delega dell’avv.to AL.TO. per la controricorrente;
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare
FATTI DI CAUSA
1. L’azienda agricola (…) citava in giudizio Mi.Vi. ed Me.El. chiedendo la risoluzione di un contratto preliminare nel quale rivestiva la parte della promissaria acquirente. In particolare, l’Attrice deduceva di aver stipulato con i convenuti un contratto di compravendita di alcuni terreni in V parte in zona (Omissis) e parte in zona (Omissis).
L’art. 5 del preliminare prevedeva la cessione dell’immobile con le più ampie garanzie prestate dalla parte venditrice sia per la libertà del cespite da ipoteche, trascrizioni pregiudizievoli, canoni, censi, livelli, decime, oneri di indole reale, che per i casi di evizione e molestie. L’art. 6 del contratto dava atto della destinazione urbanistica risultante dal certificato rilasciato in data 28/03/2011 dal Comune di Verona. Oltre a quanto previsto nel P.R.G., alla data del 4/04/2011 era vigente il Piano di Assetto del Territorio del Comune di Verona approvato con deliberazione n. 4148 del 18/02/2007 della Giunta Regionale del Veneto. Come risultava dalla Tavola n. 1 del P.A.T. (Carta dei Vincoli e della Pianificazione Territoriale) un’area di circa 8000 metri, posta al margine nord – est della proprietà, era destinata alla realizzazione della variante alla strada statale n. 12 il cui progetto era previsto in affiancamento alla ferrovia. Il prezzo per l’acquisto veniva pattuito in Euro 2.296.800,00 pari a Euro 55,00 al mq. ampiamente superiore al valore delle aree agricole che all’epoca era di Euro 7,00 al mq. L’alto valore del prezzo concordato era collegato a un’operazione di sviluppo urbanistico che coinvolgeva un’area adiacente. All’atto della stipula l’attrice appellante versava la somma di Euro 100,000,00 a titolo di caparra confirmatoria. Il termine per la stipula veniva convenuto entro e non oltre il 4/4/2012 con facoltà di proroga da parte della promissaria acquirente. (…) si era avvalsa di una prima proroga, successivamente le parti avevano sottoscritto una pattuizione novativa relativa al contratto preliminare di compravendita, prorogando a titolo non oneroso, di comune accordo, la data della stipula al 31/10/2014. Il prezzo al mq. era previsto in Euro 68,00 anziché Euro 55,00. Per dare seguito all’operazione urbanistica, in data 3/04/2012 veniva presentata dall’appellante al protocollo del Comune di Verona la documentazione a corredo della richiesta di modifica della destinazione urbanistica. Tuttavia, nell’anno 2013, il Comune di Verona approvava la deliberazione della Giunta Comunale n. 292 del 18/09/2013 per la variante alla S.S. n. 12 prevedendo due tracciati che incidevano pesantemente sull’area promessa in vendita a (…). La parte sud dell’area, sulla quale non vi era alcun vincolo, veniva interessata da una rotatoria delivellata che occupava un’ampia parte dell’area che insieme alla fascia di rispetto stradale e agli svincoli necessari per collegare la rotatoria alla viabilità locale rendeva almeno un terzo dell’area inutilizzabile e soggetta al vincolo espropriativo, mentre la parte a nord rimaneva col vincolo ferroviario. I proprietari delegavano (…) a presentare al Comune un progetto di modifica del tracciato della S.S. n. 12 che diminuisse la compromissione del progetto urbanistico prospettato ma che non aveva seguito. Con lettera 5/10/2014 i promittenti venditori invitavano (…) a sottoscrivere l’atto di trasferimento definitivo, in risposta il legale rappresentante di quest’ultima contestava loro l’inadempimento ed esercitava il recesso dal preliminare con conseguente richiesta del doppio della caparra pari a Euro 200.000,00. La controparte contestava la legittimità del recesso sostenendo che al momento della firma dell’ultima proroga l’esistenza dei progetti della variante S.S., non ancora approvati, avrebbe dovuto essere nota alla promissaria acquirente. Con comunicazione 1/12/2014 i legali dell’appellante ribadivano la validità del recesso dal preliminare di vendita. Con lettera 10/08/2015 il legale dei Mi.Vi. deduceva l’inadempimento dell’azienda (…) al preliminare di vendita, comunicando che esso doveva ritenersi risolto per fatto e colpa imputabili ad esclusiva responsabilità dell’attrice appellante.
2. I convenuti contestavano la legittimità del recesso perché si trattava di un progetto preliminare e il progetto relativo alla strada era stato ufficializzato nel 2014, ben dopo la sottoscrizione del preliminare che era dell’aprile 2011 e, in ogni caso, chiedevano il recesso dal preliminare per l’inadempimento della controparte.
3. Il Tribunale escludeva ogni ipotesi di non corretto adempimento dell’obbligazione derivante dal contratto preliminare del 4 aprile 2011. In particolare, doveva escludersi la fondatezza sia del recesso da parte dell’attrice che della domanda di risoluzione del contratto preliminare non sussistendo alcun inadempimento. Le prime prospettazioni di possibili vincoli urbanistici erano emerse successivamente alla stipula, in data 18/09/2013, quando il Comune di Verona aveva prospettato uno spostamento verso ovest dell’innesto della variante alla S.S. con la tangenziale sud. Nessuna colpa contrattuale o di altro tipo andava ravvisata in capo ai promittenti venditori dell’area. La situazione amministrativa dell’area, come emergeva dalla CTU, non consentiva di ritenere esistente una modificazione definitiva della situazione urbanistica tale da legittimare lo scioglimento del vincolo negoziale; non era stato approvato alcun progetto, dovendosi ancora definire il tracciato della strada. Il rigetto sul punto delle domande non avrebbe pregiudicato una futura domanda di risoluzione del preliminare ove avessero trovato attualità le modificazioni urbanistiche solo prospettate. Doveva rigettarsi la domanda riconvenzionale dei convenuti perché nessun inadempimento era ravvisabile in capo a (…) (potenziale acquirente dell’area e sensibile a ogni modificazione urbanistica che potesse incidere negativamente sul proprio intento speculativo) e nessuna definitività di situazione sussisteva, tale da giustificare il venir meno del vincolo. In tale situazione congelata i promittenti acquirenti potevano trattenere la caparra atteso il vigore del preliminare.
4. L’azienda Agricola (…) proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
5. Mi.Vi. ed Me.El. resistevano all’appello e proponevano appello incidentale.
6. La Corte d’appello rigettava l’appello principale e accoglieva in parte l’appello incidentale. In particolare, la Corte territoriale riteneva di dover parzialmente condividere le motivazioni del giudice di prime cure per cui nessun inadempimento ovvero mancato adempimento riguardo la domanda principale poteva essere attribuito agli appellati Mi.Vi. e Me.El.. Infatti, la loro obbligazione, ricavata dal contratto del 4 aprile 2011, notarile e trascritto, era esclusivamente quella di vendere per atto pubblico a (…), o a persona da nominare, i beni ivi indicati al prezzo di Euro 2.296.800 tanto che all’art. 5 di detto contratto vi era l’obbligo di Mi.Vi. e Me.El. a non vendere fino alla stipula del definitivo che doveva avvenire entro il 4 aprile 2021. I beni nel medesimo art. 5 del preliminare erano indicati liberi da pesi e gravami salvo quelli espressamente elencati e veniva offerta garanzia per evizioni e molestia. Non era contestato che al momento del preliminare non era ancora cominciato l’iter amministrativo di cui si lamentava la parte promissaria acquirente. Dunque, nessuno obbligo gravava sui promittenti venditori che potevano già vendere sin dal 2011 mentre il primo atto amministrativo risaliva al 2013.
Peraltro, il contratto preliminare non prevedeva alcun obbligo per i promittenti venditori di agire nei confronti della P.A. per evitare modificazioni dell’area promessa in vendita e, comunque, non risultava in alcun modo dedotto né dimostrato che tale iniziativa poteva sortire risultati favorevoli per l’appellante.
Neppure poteva affermarsi che gli appellati non sì erano comportati secondo correttezza e buona fede, dal momento che l’iniziativa di prorogare il termine per la stipula del contratto definitivo era stata, per ben due volte, dell’Azienda Agricola (…) e, nel frattempo, quest’ultima era venuta a conoscenza degli interventi amministrativi in programma sulla medesima area.
Con riferimento al secondo motivo, la Corte d’Appello ribadiva che all’epoca della firma del contratto preliminare non era in atto alcun procedimento amministrativo e che al momento della sentenza non era possibile evidenziare una modificazione definitiva dell’area in grado di giustificare lo scioglimento del vincolo negoziale da parte della società appellante, e inoltre, dichiarava l’inammissibilità della produzione documentale contenuta nella comparsa conclusionale trattandosi di documenti risalenti al settembre-ottobre 2020 e che, comunque, di certo non potevano essere allegati agli scritti conclusivi, non deputati a ciò e rigettava anche la richiesta di rinnovo della CTU.
Inoltre, non riscontrava alcuna impossibilità sopravvenuta, in mancanza di un impedimento assoluto e definitivo, non riscontrabile senza un provvedimento di esproprio sull’area. Peraltro, non si era in presenza di un impedimento assoluto e definitivo della prestazione, ma solo di un pregiudizio circa l’utilizzazione dell’area da parte del creditore secondo le sue previsioni di sfruttamento. Allo stesso modo era infondata la richiesta di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta perché il procedimento amministrativo in atto apparteneva alla normale alea del contratto, poiché una modifica del tracciato era del tutto prevedibile utilizzando la diligenza dell’uomo medio;
nessun pregio poteva essere riconosciuto al fatto che gli accadimenti di natura amministrativa frustrassero anche parzialmente gli intenti de (…). Infine, neanche la risoluzione per factum principis poteva essere accolta sempre per la mancanza del provvedimento amministrativo.
L’inadempimento doveva essere valutato in relazione al tempo in cui i fatti si erano svolti e non poteva risolversi in un giudizio protratto a data da destinarsi, in attesa delle valutazioni della Pubblica Amministrazione. (…) aveva deciso nel 2014, dopo due proroghe, di non stipulare l’atto definitivo rendendosi inadempiente e rendendo irrilevante attendere la definizione del procedimento amministrativo. Infatti, la parte inadempiente alla propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, non poteva più appellarsi all’esistenza di un provvedimento amministrativo per giustificare l’impossibilità sopravvenuta, qualora questo provvedimento fosse ragionevolmente prevedibile secondo l’ordinaria diligenza. Non poteva configurarsi alcuna risoluzione per factum principis e gli appellati non dovevano restituire la caparra di Euro 100.000,00.
6.1 Le medesime considerazioni potevano svolgersi a contrariis riguardo l’appello incidentale dei Mi.Vi. ai quali nulla poteva essere imputato tenuto conto anche del loro evidente interesse a incassare il prezzo con un ritardo di cinque anni, né si poteva pretendere di esporsi in quel lasso di tempo a rischi che non competevano loro. D’altra parte, le domande erano rivolte ad ottenere un effetto risolutorio di talché era esclusa la possibilità della sopravvivenza del contratto medesimo e la presenza di una caparra confirmatoria esauriva ogni ulteriore danno in capo ai Mi.Vi., i quali ben potevano trattenere la caparra di Euro 100.000,00 a fronte dell’inadempienza della controparte e della legittimità del recesso. La richiesta di ulteriori danni doveva rigettarsi in mancanza di prova, in particolare della prova di altre cospicue offerte per l’acquisto dell’area e la richiesta CTU era meramente esplorativa, così come superflue erano le istanze di esibizione ex art. 210 c.p.c.
7. L’Azienda Agricola La Marchesina ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
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8. Mi.Vi. ed Me.El. hanno resistito con controricorso.
9. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
10. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 9, 10, 12, 20, 32 e 39 del D.P.R. n. 327/2001, degli artt. 3, 12, 22 e 29 della L. R. Veneto n. 11/2004 c dell’art. 12, co. 3, D.P.R. n. 380/2001. Sussistenza di un vincolo a carattere espropriativo che incide sul diritto di proprietà.
La censura ha ad oggetto la ritenuta erroneità della decisione della Corte d’Appello circa il fatto che in assenza di un provvedimento di esproprio definitivo il vincolo sul bene non poteva ritenersi esistente.
Al contrario il procedimento espropriativo non è rappresentato da un unico atto ma è un procedimento complesso, ovvero un insieme di atti e di procedimenti che, indissolubilmente concatenati tra di loro, concorrono al risultato finale individuabile nel decreto di esproprio.
Secondo parte ricorrente, l’incisione sul diritto di proprietà (intesa come capacità di paralizzare/sospendere in tutto o in parte l’esercizio dei diritti tipici della proprietà) si verifica anche prima del decreto di esproprio, a partire da un certo momento della procedura amministrativa. Già l’approvazione di uno strumento urbanistico generale che preveda al suo interno, il tracciato dell’opera pubblica, è sufficiente per imporre un vincolo a carattere espropriativo con la previsione di un indennizzo.
Parte ricorrente richiama gli artt. degli artt. 9, 10, 12, 20, 32 e 39, D.P.R. n. 327/2001 (“T.U. espropri”) ed evidenzia che sin dall’approvazione del P.T.C.P. si è concretizzato il vincolo e l’approvazione nel 2018 del verbale della conferenza di servizi ha completato la procedura di dichiarazione di pubblica utilità. L’art. 39 D.P.R. n. 327/2001 prevede che, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo, è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto.
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Il ricorrente ritiene che anche gli artt. 3, 12, 22 e 29, L.R. Veneto n. 11/2004, sarebbero violati e/o falsamente interpretati dalla Corte d’Appello. Infatti, dopo l’approvazione della delibera n. 292/2013, la Provincia di Verona ha immediatamente introdotto nel P.T.C.P. (già precedentemente adottato con D.C.P. n. 52 del 27/06/2013) il nuovo tracciato e, quantomeno dall’approvazione della D.C.P. n. 13 del 13/03/2014 (quindi in pendenza del termine per la stipula del definitivo) sono scattate le norme di salvaguardia che hanno impedito qualsiasi sviluppo urbanistico dell’area interessata dal nuovo tracciato stradale, venute meno solo dopo la D.G. R. n. 236 del 03/03/2015, con cui la G.R. ha approvato il suddetto P.T.C.P.
Le norme di salvaguardia, tuttavia, sono venute meno perché il vincolo urbanistico sulle aree interessate dalla variante alla SS 12 è stato definitivamente imposto per il periodo di legge.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: il motivo di ricorso in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Al contrario di quanto ritenuto in sentenza, il primo atto di imposizione del vincolo preordinato all’esproprio si ha con l’inserimento in uno strumento urbanistico generale del tracciato dell’opera pubblica e già in questo momento la proprietà viene concretamente limitata.
La conferenza di servizi del 28/06/2018 (convocata in forma sincrona ai sensi del l’art. 14-bis, L. n. 24 111990) in senso favorevole e senza alcuna prescrizione ostativa all”approvazione, i suoi effetti sono quelli previsti dall’art. 14 quater, L. n. 241/1990.
La conferenza di servizi, dunque: a) ha sostituito ad ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle altre amministrazioni; b) ha acquisito efficacia immediata; c) ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera; d) ha costituito, ai sensi degli artt. 9 e 10 del D.P.R. n. 327/2001, variante urbanistica al P. I. del Comune di Verona P.R.G. imponendo il vincolo urbanistico preordinato all’esproprio alle aree interessate dal tracciato stradale e dalle fasce di rispetto. Infatti, tra gli allegati al progetto preliminare approvato con la predetta conferenza, vi è anche il piano particellare di esproprio, contenente l’indicazione delle aree soggette ad esproprio ed in parte coincidenti con i mappali di causa (doc. 2 1 – fase. ex art. 369 c.p.c.).
Il piano particellare di esproprio, contenente nel dettaglio le aree interessate dalla variante alla SS12, ivi incluse le aree di causa, è stato approvato con la conferenza di servizi del 28/06/2018 e dunque prima che fosse pronunciata la sentenza di primo grado. Si può dire, dunque, che al momento della sentenza di primo grado le considerazioni del C.T.U. dovevano considerarsi obsolete e superate e comunque dovevano essere aggiornate alle nuove determinazioni delle autorità amministrative.
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La richiesta di integrazione/rinnovo della C.T.U., dunque, è stata fatta sulla base di questi documenti in particolare del documento 28 già depositato in primo grado.
La Corte d’Appello ha dunque rigettato la richiesta di integrazione/rinnovo della C.T.U. giustificandola con l’inammissibilità della “produzione documentale” contenuta nella comparsa conclusionale in appello (in realtà, dei semplici stralci dei provvedimenti copia-incollati nel testo dell’atto).
Ma la richiesta alla Corte di Appello di integrazione/rinnovo della C.T.U. espletata in primo grado era stata svolta da Marseghina sulla base di un documento già regolarmente prodotto ma ignorato dal Tribunale (doc. 28 – fase. I grado e doc. 21 – fase. ex art. 369 c.p.c.) e sulla base dei documenti 3 e 4 regolarmente depositati con l’atto di appello, in quanto successivi alla chiusura dell’istruttoria di primo grado.
Vi sarebbe pertanto una vera e propria omissione integrante vizio di omesso esame ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. con riguardo agli artt. 2 e 5 del preliminare.
Una corretta interpretazione avrebbe dovuto portare la Corte d’Appello non ad affermare che era necessario dare la prova della vittoria di un eventuale ricorso al G.A., bensì, più semplicemente, che i promittenti venditori dovevano intraprendere tutte le azioni possibili per rispettare gli obblighi assunti all’art. 5 del preliminare, da leggersi alla luce degli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono i c.d. obblighi accessori di protezione, ulteriori e non confondibili con l’obbligo già in capo ai promittenti venditori che è proprio del contratto preliminare di compravendita e che è costituito dal dovere di fare acquistare la proprietà del bene al promissario acquirente.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1256, 1463, 1467 c 2033 c.c.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la presenza del vincolo espropriativo (dalla delibera n. 292/2013 o quantomeno dal suo recepimento nel P.T.C.P. avvenuto in pendenza del termine a contrarre) e della dichiarazione di pubblica utilità (dal 2018) non configurino un impedimento assoluto all’esecuzione della prestazione promessa da M. e M., che hanno promesso in vendita un’area senza alcun vincolo. Vero è che l’impedimento assoluto è ancora temporaneo, ma ciò non cambia la natura dell’impedimento che ha reso impossibile, per i resistenti e sin dal 2013, di cedere l’area libera da vincoli.
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Il promissario acquirente (Marseghina) continua ad essere obbligato per una prestazione che al momento non è più possibile e che potrà diventare impossibile definitivamente. Ed è la stessa disposizione codicistica a prevedere che:
a) se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Quindi, Marseghina non può essere ritenuta responsabile della mancata sottoscrizione del contratto definitivo, come del resto aveva già stabilito il Tribunale di Verona;
b) l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
La sentenza sarebbe erronea anche nell’aver rigettato la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta perché appartiene alla normale alea del contratto la modifica del tracciato era prevedibile.
La Corte d’Appello, quindi, non avrebbe correttamente applicato l’art. 1468 c.c. La stessa Corte di Cassazione ha ritenuto operativo il rimedio nei casi di compravendita con efficacia meramente obbligatoria, qualora la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa prima del verificarsi dell”effetto traslativo (Cass, n. 137111999; Cass., n. 3575/1988).
Le medesime considerazioni varrebbero anche in relazione al factum principis, le legittime proroghe dovrebbero spostare su Marseghina il rischio dell’esecuzione della prestazione, rischio che, riguardando le caratteristiche dei beni oggetto di compravendita, non poteva che ricadere sul proprietario.
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4.1 Il primo e il quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono fondati e il loro accoglimento determina l’assorbimento del secondo e del terzo, così come dei successivi quinto e sesto che verranno succintamente esposti nel prosieguo.
4.2 Preliminarmente è utile richiamare le conclusioni del Procuratore Generale nel senso dell’accoglimento del ricorso con particolare riferimento al primo motivo. Secondo l’ufficio di Procura l’imposizione di: “un vincolo espropriativo (…) non incide medio tempore (in senso limitativo o restrittivo) sulle facoltà di godimento e di disposizione del proprietario, essendo ancora meramente potenziale la soggezione al futuro (ed eventuale) esercizio del potere ablatorio da parte della pubblica amministrazione. Infatti, la fase della sottoposizione del bene al vincolo preordinato all’esproprio costituisce il momento di natura tipicamente urbanistica nel quale si individuano le aree per la realizzazione dell’opera pubblica o di pubblica utilità. Per cui, il proprietario non ha diritto a ricevere alcun indennizzo quando viene posto sul bene un vincolo preordinato all’esproprio, giacché egli sarà ristorato per la perdita che seguirà in via definitiva soltanto con la successiva emanazione del decreto di esproprio. Ciò in quanto, fino a tale momento, l’utilizzabilità del bene pertinenziale a servizio od ornamento del bene principale non è compromessa dalle previsioni programmatiche della pianificazione urbanistica, stante l’incertezza dell’effettivo e tempestivo esercizio del potere ablatorio”.
4.3 Tuttavia, il P.G. evidenzia che secondo la giurisprudenza di legittimità in caso di esistenza nel P.R.G. di un vincolo preordinato all’espropriazione, trattandosi non di prescrizione espressione della potestà di governo del territorio assegnata ai Comuni – vincolo conformativo – avente carattere generalizzato, bensì un provvedimento puntuale afferente a specifico bene – Cass. sez. 1 n. 16084/18 – sorretto dallo scopo di esecuzione d’opera di pubblico interesse o necessità, deve esser apprezzata la garanzia di libertà, offerta in contratto dal venditore, ossia in concreto (Cass. 28 luglio 2020, n. 16068). D’altro canto, che il promissario acquirente possa far valere il mutamento di destinazione del bene promesso sopravvenuto alla stipula del preliminare è principio implicitamente ricevuto sempre da questa Corte: v. Cass. 20 marzo 2006, n. 6166 (Rv. 587469-01); Cass. 11 aprile 2017, n. 9314.
Dunque, se è vero che il vincolo preordinato all’esproprio non ha natura ablativa e non elide la disponibilità materiale del bene, è altresì vero che la sua apposizione non è relegata, nell’indifferente giuridico (tanto che costituisce un atto impugnabile innanzi al giudice amministrativo in quanto già produttivo di effetti giuridici nei confronti dei proprietari. D’altronde, è noto che, come chiarisce Cass. 14 giugno 2016, n. 12268 (rv. 640061), l’avvenuta decadenza del vincolo preordinato all’esproprio rende l’area (e non la zona) priva di regolamentazione urbanistica, sicché, in tale ipotesi, non è consentito farne rivivere la condizione preesistente ma opera la disciplina prevista per le cd. aree bianche di cui all’art. 4, ultimo comma, della L. n. 10 del 1977, la quale, peraltro, non comporta un automatico riconoscimento della natura edificabile dell’area occupata, dovendo essere apprezzata la ricorrenza di tale carattere in base al criterio dell’edificabilità di fatto, che impone un metodo di valutazione incentrato sulla verifica della funzionalità dell’area in termini di naturale ed armonico completamento di quelle, ad essa contigue, che siano destinate all’edificazione in base alle scelte legislative ed a quelle pianificatorie dei comuni.
4.4 Sulla base di tali considerazioni il P.G. osserva che, come veicolato nel primo e terzo motivo, i sig. Mi.Vi. e Me.El. si erano impegnati, giusta l’art. 5 del preliminare, il cui testo (in via palese non logicamente restringibile a un ambito prettamente privatistico) è riportato alla pg. 8 della sentenza, e rispetto al cui tenore non è neanche irrilevante il successivo art. 6 là dove dà atto della destinazione urbanistica risultante dal certificato rilasciato in data 28 marzo 2011 dal Comune di Verona, ad assicurare la piena disponibilità del cespite. Non è allora peregrina l’affermazione implicitamente ripetuta nel ricorso, e che ne costituisce il fondamento, per cui l’operazione economica sottesa alla stipula del preliminare trovava proprio in quest’ambito la sua ratio.
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare
In tale prospettiva, di valenza meritale, il P.G. ritiene opportuno che la Corte di Appello scandagli, tenendo conto della complessiva pregnanza del vincolo preordinato all’esproprio, se, alla luce della causa in concreto siccome obiettivata nel testo contrattuale, le parti potessero procedere alla stipula del definitivo nonostante che il bene promesso fosse comunque sottoposto a un vincolo, tanto più che, alla pg. 9 della sentenza impugnata, si evidenzia che i proprietari delegavano (…) per presentare al Comune un progetto di modifica del tracciato della SS n. 12 che diminuisse la compromissione del progetto urbanistico prospettato che non aveva seguito. E che il vincolo de quo potesse,
anche in prospettiva, incidere, già sulla mera commerciabilità del bene, è agevolmente arguibile dal rilievo per cui la parte sud dell’area sarebbe stata interessata da una rotatoria delivellata, che, con la correlativa fascia di rispetto stradale e gli svincoli necessari per collegare la rotatoria alla viabilità locale, avrebbe reso un terzo dell’area inutilizzabile, mentre la parte nord sarebbe rimasta col vincolo ferroviario. Chiara è appunto l’incidenza già sulla valutazione dell’immobile, nella fattispecie concreta, del diverso grado di commerciabilità e del diverso livello di apprezzabilità dello stesso in ragione della peculiare destinazione impressa alla zona in cui è compreso.
Se è condivisibile l’affermazione di entrambi i giudici di merito per cui non è prospettabile un inadempimento a opera di ciascuna delle parti in lite, in considerazione della natura pubblica e indisponibile da parte delle stesse del vincolo apposto, nondimeno è opportuno che il giudice del merito scrutini, alla luce della divisata rilevanza del vincolo, la concreta fattibilità del programma contrattuale così come obiettivato nel testo dalle parti sottoscritto. Invero, la sentenza della Consulta n. 270 del 2020 ricorda che “una volta apposto il vincolo espropriativo, il proprietario del bene resta titolare del suo diritto sulla cosa e nel possesso di essa, ma non può utilizzarla in contrasto con la destinazione dell’opera, fino a che l’amministrazione non proceda all’espropriazione”. Proprio sul punto la dottrina spiega che la zonizzazione sta ai vincoli conformativi come la localizzazione sta ai vincoli espropriativi, di modo che attraverso l’individuazione delle aree su cui realizzare opere e servizi si imprime un vincolo di destinazione che prosciuga del tutto lo ius aedificandi relativo a quel bene e che sospinge quel bene verso il procedimento ablatorio. Ne segue che in tal caso il bene rimane sì nella disponibilità del proprietario, ma i vincoli implicano pur sempre l’obbligo di osservare la destinazione impressagli, ossia di non realizzare interventi edilizi o qualsiasi alterazione in contrasto con la localizzazione effettuata dal piano di zona.
4.5 In conclusione, per la Procura Generale il ricorso va accolto, rimanendo condivisibile l’affermazione di cui al primo motivo per cui l’effettiva limitazione dello status di proprietario, con la compressione di tutti i diritti connessi, interviene sin da quando, con lo strumento urbanistico, è individuata l’opera pubblica ed è apposto il vincolo urbanistico (pg. 14 del ricorso), con le conseguenze esposte al par. 1.7 del ricorso.
4.6 Il collegio condivide le conclusioni del P.G.
Preliminarmente è utile richiamare gli approdi giurisprudenziali in ordine alle conseguenze sul contratto – preliminare o definitivo – di vendita immobiliare, allorché successivamente alla stipula le competenti autorità amministrative abbiano modificato la destinazione urbanistica del bene oggetto del contratto sì da determinare una imprevedibile diminuzione o esclusione delle sue potenzialità edificatorie. In proposito, è stato costantemente affermato che le eventuali diverse determinazioni dell’amministrazione in materia urbanistica possono determinare, in applicazione dell’istituto della cd. presupposizione, la risoluzione del contratto.
A tale consolidato orientamento giurisprudenziale non si è uniformata la sentenza in questa sede impugnata.
In particolare il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: Con riguardo a preliminare di compravendita di terreno, la circostanza che il terreno medesimo, contrariamente alle aspettative del promissario acquirente, risulti inedificabile, può abilitare quest’ultimo a chiedere la risoluzione ex tunc del rapporto, in applicazione dell’istituto della cosiddetta presupposizione, solo se si tratti di inedificabilità sopravvenuta alla conclusione del contratto e se inoltre l’edificabilità del fondo sia stata tenuta presente da entrambi i contraenti quale presupposto oggettivo per la formazione del consenso (alla stregua di una globale ricostruzione della loro volontà e senza che si richieda un espresso riferimento a detto presupposto nelle clausole negoziali) (Sez. 2, Sentenza n. 13578 del 17/12/1991, Rv. 475078-01).
Il principio di diritto sopra citato è in continuità con il seguente: “La presupposizione (o condizione non svolta) è configurabile quando dal contenuto del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo soltanto subordinatamente all’esistenza di una data situazione di fatto che assurge a presupposto della volontà negoziale, la mancanza del quale comporta la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione, comune ad entrambi i contraenti, non sia fatto espresso riferimento (nella specie, trattavasi di vendita immobiliare stipulata sul presupposto comune di entrambi i contraenti della edificabilità del terreno compravenduto e destinato invece dal programma di fabbricazione comunale in parte a zona agricola ed in parte a zona di rispetto stradale e di servizi pubblici) Sez. 2, Sentenza n. 8200 del 11/08/1990 (conf 4487/87, mass n 453196; (conf 20/86, mass n 443656; (conf 1064/85, mass n 439200; (conf 1738/76, mass n 380506).
Tra l’altro, come sostenuto dal ricorrente gli strumenti urbanistici “in itinere” incidono immediatamente sulla edificabilità dei terreni a causa della possibilità di applicazione delle misure di salvaguardia che impongono la sospensione di ogni determinazione sulle domande dirette ad ottenere l’edificabilità in potenziale contrasto appunto con gli strumenti urbanistici in corso di approvazione. Di conseguenza essi possono determinare, in applicazione dell’istituto della cosiddetta presupposizione, la risoluzione del contratto di compravendita di un terreno stipulato dalle parti nel comune presupposto della sua edificabilità, nel caso in cui sia, poi, accertato essere esso incluso in area che il nuovo strumento urbanistico sottrae alla edificabilità.
Anche di recente questa Corte ha ribadito che: In tema di vendita immobiliare, la falsa rappresentazione della realtà circa la potenzialità edificatoria di un terreno può integrare l’ipotesi normativa dell’errore di fatto su una qualità dell’oggetto ove le parti abbiano concluso il contratto ignorando la vera natura del bene; nel caso in cui, invece, sia stata garantita la destinazione edificatoria del suolo, la fattispecie può essere ricondotta nell’ambito della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c. in materia di cosa gravata da oneri non apparenti. Le eventuali diverse determinazioni delle competenti autorità in materia urbanistica possono poi determinare, in applicazione dell’istituto della presupposizione, la risoluzione del contratto di compravendita di un immobile che le parti abbiano concluso nel comune presupposto della sua edificabilità, sempreché tale fatto non abbia costituito oggetto di espressa regolamentazione. In nessun caso sono applicabili alla fattispecie gli artt. 1490 e 1492 c.c., relativi ai vizi redibitori, che attengono esclusivamente alla materialità del bene venduto (Sez. 2, Sentenza n. 27916 del 23/11/2017, Rv. 647027-01).
4.7 I precedenti richiamati sono per lo più attinenti al caso in cui vi sia un mutamento della destinazione urbanistica del terreno che ne determina l’inedificabilità, mentre nel caso di specie si discute dell’ipotesi, ancor più rilevante, dell’apposizione di un vincolo di esproprio su una parte del terreno promesso in vendita.
In relazione al vincolo preordinato all’esproprio per pubblica utilità devono condividersi le argomentazioni della Procura Generale. Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di distinguere tale tipo di vincolo da quello derivante dal Piano regolatore generale trattandosi, non già, di una prescrizione espressione della potestà di governo del territorio assegnata ai Comuni – vincolo conformativo – avente carattere generalizzato, bensì un provvedimento puntuale afferente a specifico bene sorretto dallo scopo di esecuzione d’opera di pubblico interesse o necessità. L’esistenza di un vincolo preordinato all’espropriazione è evenienza meramente accidentale – poiché vincolo correlato esclusivamente al futuro esproprio -, puntuale in quanto deve riguardare un ben definito bene o gruppo di beni ed anche transeunte – stante la sua validità limitata nel tempo – sicché altra incidenza psicologica assume nella fattispecie la data garanzia sull’affidamento dell’acquirente (Cass. sez. 1 n. 16084/18 -). In tale prospettiva, dunque deve esser apprezzata la garanzia di libertà, offerta in contratto dal venditore, ossia in concreto, e non già secondo un’astratta applicazione di regola iuris dettata per situazione fattuale, come visto sensibilmente differente ovvero quando il vincolo è proprio del piano regolatore che l’acquirente avrebbe dovuto conoscere.
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare
Peraltro, erra la Corte d’Appello nel ritenere che fino alla conclusione del procedimento e all’adozione del provvedimento di espropriazione il vincolo non ha natura ablativa e non elide la disponibilità materiale del bene; al contrario la sua apposizione ha effetti rilevanti sulla sua utilizzazione. A tal proposito è corretto il richiamo operato dal P.G. alla sentenza della Corte Costituzionale n. 270 del 2020 secondo cui una volta apposto il vincolo espropriativo, il proprietario del bene resta titolare del suo diritto sulla cosa e nel possesso di essa, ma non può utilizzarla in contrasto con la destinazione dell’opera, fino a che l’amministrazione non proceda all’espropriazione”. A riprova di ciò vi è la possibilità di impugnare l’atto “in itinere” innanzi al giudice amministrativo in quanto già produttivo di effetti giuridici nei confronti dei proprietari. In tal senso, nel caso di specie, assume rilievo il fatto che i proprietari, promittenti venditori, hanno delegato la ricorrente, promissaria acquirente, a presentare al Comune un progetto di modifica del tracciato della SS n. 12 al fine di diminuire la compromissione del progetto urbanistico prospettato.
4.8 Sulla base delle considerazioni sin qui svolte risulta fondata la tesi sostenuta nel ricorso secondo cui la mera apposizione del vincolo de quo incide sulla utilizzabilità e commerciabilità del bene. L’incidenza sull’immobile è di tutta evidenza in ragione della peculiare destinazione impressa alla zona in cui è compreso che renderebbe un terzo dell’area inutilizzabile.
4.9 La fattispecie in esame presenta due peculiarità, da un lato si tratta di un contratto preliminare e, dunque, l’alea del contratto è ancora a carico della parte promittente venditrice non essendosi prodotto l’effetto traslativo e, dall’altro, vi è la piena consapevolezza in capo alle parti contrattuali che l’area venduta è a destinazione agricola.
Fatta questa precisazione, in applicazione dei principi sopra esposti, devono ritenersi fondati i due motivi di ricorso complessivamente considerati, dovendosi affermare che: una modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare abilita la parte acquirente a chiedere la risoluzione del contratto per il venir meno della causa in concreto ovvero dell’istituto della presupposizione qualora si accerti che l’acquisto del terreno si fondava sull’attuale assetto urbanistico del bene promesso in vendita che ne consentiva una potenziale modifica da destinazione agricola ad area edificabile in quanto, successivamente alla stipula del contratto si è determinato oggettivamente un ulteriore e imprevedibile limite alla potenziale sua edificabilità, con il rischio di una futura perdita dello stesso diritto di proprietà su parte del terreno promesso in vendita.
La soluzione indicata è coerente anche con altre pronunce di questa Corte laddove si è affermato che: “In tema di esecuzione specifica di un contratto preliminare, il mutamento della destinazione urbanistica del terreno promesso in vendita (nella specie, da agricola a edificatoria e residenziale) incidendo unicamente, senza mutarne la natura, sulla attitudine del bene ad una diversa utilizzazione o sfruttamento e, quindi, sulla utilità che da esso intende trarre il futuro proprietario, non costituisce ostacolo alla pronuncia ex art.2932 cod. civ., a meno che non sia il promissario acquirente a dolersi della modifica” (Sez. 2, Sentenza n. 6166 del 20/03/2006, Rv. 587469-01), e che “la pronuncia di cui all’art. 2932 c.c. non è evocabile ove il bene oggetto del contratto, per eventi sopravvenuti alla stipula dello stesso, venga modificato non essendo possibile, in sede giudiziale, costituire un rapporto giuridico diverso da quello voluto dalle parti” (Sez. 2, Sentenza n. 22011 del 12/07/2022, Rv. 665378-0).
La funzione del contratto preliminare, infatti, è quella di impegnare i contraenti alla futura stipula, alle condizioni e nei termini in esso convenuti, di un successivo contratto definitivo, e la prestazione essenziale che ne forma oggetto è costituita da quel particolare “facere”, consistente nella stipulazione anzidetta, che deve esattamente corrispondere agli elementi predeterminati in sede di compromesso. Il contratto preliminare deve essere inteso come struttura negoziale autonoma destinata (quantomeno in ipotesi di c.d. “preliminare impuro” ovvero “a prestazioni anticipate”) a realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il contratto definitivo, sicché il suo oggetto è rinvenibile non solo e non tanto nel “facere” consistente nel manifestare successivamente una volontà rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto in un (sia pur futuro) “dare”, insito nella trasmissione del diritto (dominicale o di altro genere), che costituisce, alfine, il risultato pratico avuto di mira dai contraenti (Sez. 3, Sentenza n. 16937 del 25/07/2006).
Nella specie, dunque, ricorrono i presupposti per farsi applicazione della cosiddetta “presupposizione” (o condizione non espressa) la quale è legittimamente configurabile tutte le volte in cui, dal contenuto del contratto, risulti che le parti abbiano inteso concluderlo subordinatamente all’esistenza di una data situazione di fatto considerata presupposto imprescindibile della volontà negoziale, la mancanza della quale comporta, per l’effetto, la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione, comune ad entrambi i contraenti (ed indipendente, nel suo verificarsi, dalla volontà dei medesimi), non si sia compiuto, nell’atto negoziale, alcun esplicito riferimento.
L’indagine volta a stabilire se una determinata situazione sia stata tenuta presente dai contraenti nella formulazione del consenso secondo il delineato schema della presupposizione si colloca, esaurendosi, sul piano propriamente interpretativo del contratto e costituisce una valutazione di fatto, riservata, come tale, al giudice del merito (Sez. 1, Sentenza n. 14629 del 21/11/2001).
Di conseguenza la Corte d’Appello dovrà valutare la compromissione o meno del programma negoziale alla luce delle singole clausole contrattuali, del prezzo pattuito e del comportamento tenuto dopo la stipula del preliminare al fine di stabilire se sia ravvisabile una presupposizione e cioè una obbiettiva situazione di fatto che i contraenti, pur non facendone menzione, abbiano sottinteso o tenuto presente come premessa implicita del consenso, indipendentemente dalla loro volontà, e che una volta venuta meno determini la risolvibilità del medesimo per fatto non imputabile alle parti (Sez. 3, Sentenza n. 8689 del 08/08/1995, Rv. 493610-01).
In particolare, dovranno valutarsi gli artt. 5 e 6 del preliminare, in cui la parte promittente venditrice ha dato garanzia della libertà del bene da pesi e vincoli (art. 5 il cui testo è riportato alla pg. 8 della sentenza), e l’art. 6 in cui si è dato atto della destinazione urbanistica risultante dal certificato rilasciato in data 28 marzo 2011 dal Comune di Verona.
La sentenza impugnata, dunque, va cassata con rimessione alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione per nuovo esame alla luce della regola iuris dianzi precisata.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza per violazione degli articoli 112 e 99 c.p.c. Vizio di extrapetizione e ultrapetizione e omessa pronuncia parziale sulla domanda avversa da “in via principale” di risoluzione per inadempimento.
Una volta ritenuto sussistente l’inadempimento di Marseghina la Corte d’Appello avrebbe dovuto accogliere la domanda riconvenzionale e di appello incidentale “in via principale” (i.e. di risoluzione e risarcimento del danno), non potendo, invece, in alcun caso trovare ingresso l’avversaria domanda “subordinata e alternativa” (i.d. recesso e ritenzione della caparra).
In altre parole, la Corte d’Appello di Venezia, in ipotesi di ritenuta sussistenza di inadempimento di Marseghina e nel rispetto dell’art. 112 c.p.c. c dell’art. 99 c.p.c., avrebbe dovuto fermare il proprio esame alla domanda principale avversaria, accogliendo la richiesta di accertamento e declaratoria di intervenuta risoluzione del contratto preliminare per l’inadempimento dell’odierna ricorrente e condannando la stessa al risarcimento del danno, laddove provato (con esclusione del diritto avversario di trattenere la caparra).
6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 1385 c.c.
La sentenza della Corte d’Appello di Venezia sarebbe da cassare anche per violazione dell’art. 1385 c.c. giacché in essa vi sarebbe un cumulo degli strumenti, alternativi e incompatibili, previsti dal precitato articolo.
In caso di inadempimento di un preliminare di vendita immobiliare, la scelta tra l’azione di risoluzione del contratto, con richiesta di risarcimento del danno, e il recesso, con ritenzione della caparra confirmatoria, non ammette ripensamenti di convenienza.
La Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 1385 c.c. cumulando (o quantomeno tentato di cumulare) i due rimedi, incompatibili ed inconciliabili, della risoluzione/risarcimento del danno e del recesso/ritenzione della caparra.
6.1 Il quinto e il sesto motivo di ricorso sono assorbiti dall’accoglimento del primo e quarto motivo di ricorso.
7. La Corte accoglie il primo e quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
La modifica urbanistica con la previsione di un vincolo preordinato all’esproprio intervenuta successivamente alla stipula del contratto preliminare
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2° Sezione civile in data 9 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 15 maggio 2024.
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