Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 6 aprile 2016, n. 13706
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico – Presidente
Dott. TADDEI Margheri – Consigliere
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere
Dott. FILIPPINI S. – rel. Consigliere
Dott. CARRELLI P.D.M. Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 841/2015 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA, del 21/09/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SJEFANO FILIPPINI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Giulio Romano che richiesto il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 17-21 settembre 2015 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria respingeva l’istanza di riesame proposta nell’interesse di (OMISSIS) avverso l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale in data 13.7.2015 che disponeva la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del predetto in relazione ai seguenti reati: – al capo A (OMISSIS) e’ accusato, insieme a molte altre persone, del reato p.e.p. dall’articolo 416 c.p., e L. n. 203 del 1991, articolo 7, quale appartenente ad una associazione finalizzata alla gestione illecita di imprese perche’ dedite all’acquisizione di licenze e concessioni governative che servivano ad occultare lo sviluppo di attivita’ di giochi e scommesse a distanza operanti in violazione della normativa di settore, di quella fiscale e di quella anti-riciclaggio (in particolare quale “master”, responsabile della diffusione dei siti e dei brand dell’associazione, con il compito di affiliare nuove sale giochi); fatti aggravati dall’essere commessi per agevolare sinallagmaticamente le attivita’ dell’associazione di cui al capo C); in Reggio Calabria e altri luoghi, accertati dal 2010 e con condotta attuale. – Al capo C si contesta al (OMISSIS), insieme ad altre persone, il reato p. e p. dall’articolo 416 bis, per aver fatto parte dell’associazione denominata ‘ndrangherta che aveva acquisito il controllo e la gestione delle imprese reggine nel citato settore (in particolare, il nucleo di dirigenti e organizzatori della rete commerciale di cui al capo A, guidata da (OMISSIS), gia’ partecipe della cosca (OMISSIS), operava in maniera funzionale agli interessi collettivi dell’intera organizzazione ‘ndranghetistica grazie alla sponsorizzazione dei brand dell’associazione di cui al capo A, garantita sul territorio provinciale dai rappresentanti, nel predetto settore, delle cosche ivi dominanti (il (OMISSIS), quale rappresentante della cosca (OMISSIS)” si occupava della concreta distribuzione dei brand dell’organizzazione nel locale mercato o presso i gestori delle sale gioco/scommesse a distanza). – Al capo D il (OMISSIS) e’ accusato in concorso nei reati di cui agli articoli 81 cpv., 110, 112 e 513 bis c.p., e L. n. 203 del 1991, articolo 7, per aver compiuto, nelle attivita’ di cui ai capi precedenti, plurimi atti di concorrenza, con violenza e minaccia, anche implicita, esercitando pressioni intimidatorie sui gestori dei locali di gioco e scommesse al fine di garantire gli interessi dell’organizzazione, con l’aggravante del metodo mafioso per agevolare gli interessi di cosche di ‘ndrangheta.
Al (OMISSIS) erano contestati anche ulteriori reati, non formanti pero’ oggetto della misura cautelare: – capo G il (OMISSIS) e’ accusato in concorso dei reati p.e p. dal Decreto Legge n. 306 del 1992, articoli 81 cpv., 110 e 12 quinquies, e L. n. 203 del 1991, articolo 7, perche’, al fine di eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniale, intestava fittiziamente a (OMISSIS) i proventi, profitti e le attivita’ economiche avviate tramite l’omonima ditta individuale dedita alla costruzione di infissi e altre attivita’ edilizie. Fatti aggravati dall’essere finalizzati a favorire l’infiltrazione occulta della cosca (OMISSIS) nel mercato edilizio di (OMISSIS); – capo I il (OMISSIS) e’ accusato in concorso dei reati di cui agli articoli 81 cpv. e 110 c.p., L. n. 401 del 1989, articolo 4, commi 1 e 4 bis, per aver esercitato abusivamente, anche a mezzo telematico, il gioco del poker e la raccolta di scommesse su siti stranieri non autorizzati o su siti italiani simulando la sola attivita’ di trasmissione dati mentre esercitava, invece, di fatto e abusivamente, l’organizzazione di gioco da banco; – capo M il (OMISSIS) e’ accusato in concorso dei reati p.e p. dagli articoli 81 cpv. e 110 c.p., e articolo 640 c.p., comma 2, n. 1, per aver ingannato l’Agenzia delle Entrate simulando la creazione di semplici CTD mentre in realta’ gestiva di fatto la raccolta di scommesse dall’Italia evadendo l’imposta unica sulle scommesse.
1.2 Ad avviso del giudice del riesame il gravame non poteva accogliersi, apparendo del tutto condivisibile l’iter logico seguito dal GIP con la propria ordinanza coercitiva – alla quale si faceva integrale rimando per tutta l’esplicazione dell’iter delle indagini (si vedano le pagg. 7 e segg. del provvedimento impugnato)-, sussistendo i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai capi A e C (si vedano le pagg. 55 e segg. del provvedimento impugnato), in ordine al capo D (si vedano le pagg. 74 e segg. del provvedimento impugnato), nonche’ le esigenze cautelari (si vedano le pagg. 83 e segg. del provvedimento impugnato).
2. Contro la suddetta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, avvocato (OMISSIS), deducendo, con argomentazione non ripartita in relazione ai singoli vizi dedotti (violazione di legge, procedurale e sostanziale, nonche’ vizio motivazionale) ne’ del tutto specifica in relazione ai singoli profili attinti, i seguenti motivi:
1)violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B) ed E), con riferimento all’articolo 273 c.p.p., e articolo 416 bis c.p., in relazione al capo C) della rubrica. Invero, sia in sede di contestazione che da parte del Tribunale del riesame si sarebbe operata confusione tra il ruolo di partecipe all’associazione di cui al capo A e quello di partecipe all’associazione mafiosa di cui al capo C, che dovrebbe invece essere semmai ricondotta al (OMISSIS) e non al (OMISSIS). Si contesta che, se possono ritenersi indicate risultanze da cui poter desumere l’appartenenza all’associazione di cui al capo A, vi e’ invece assoluta mancanza di indizi a proposito della partecipazione all’associazione di cui al capo C; anzi, difetta ogni indizio anche in relazione alla sussistenza di quest’ultima, posto che il presunto vertice sarebbe costituito da soggetto incensurato ( (OMISSIS), accusato, ma non condannato, per il reato in parola), non vengono dimostrati comportamenti mafiosi, ne’ i dettagli organizzativi o i ruoli svolti dai vari appartenenti. Si solleva il problema della differenza tra concorso e associazione. Incomprensibile, inoltre, apparirebbe la contestazione della partecipazione a due associazioni (una ordinaria e l’altra di stampo mafioso) senza che operi il criterio di specialita’ o di assorbimento.
2) violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B) ed E), con riferimento all’articolo 273 c.p.p., e articolo 416 c.p., in relazione al capo A) della rubrica. Anche a tale riguardo si contesta la carenza delle risultanze indiziarie relative all’esistenza di un vero e proprio sodalizio e della partecipazione allo stesso del (OMISSIS).
3) violazione dell’articolo 606 c.p.p., 1 comma, lettera B) ed E), con riferimento all’articolo 273 c.p.p., e articolo 513 bis c.p., in relazione al capo D) della rubrica (atti di concorrenza minacciosa o violenta). Al riguardo si lamenta l’assenza di indizi di reato e di reita’, assenza di contestazione di condotte minatorie specificamente riconducibili al (OMISSIS).
4) violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B) ed E), con riferimento all’articolo 273 c.p.p., e L. n. 356 del 1992, articolo 12 quinquies, capo G) della rubrica (fittizia intestazione di attivita’ economiche). Al riguardo si lamenta l’illogica deduzione del ruolo nel reato dalle intercettazioni dalle quali emerge l’intromissione di (OMISSIS) nelle vicende economiche dell’attuale ricorrente, segnalando che la norma richiede, per la sua integrazione, il fatto che il dominus occulto sia effettivamente tale e che la dicotomia (tra titolare e intestatario) sia finalizzata precipuamente (dolo specifico) al fine di eludere un eventuale provvedimento di prevenzione patrimoniale; elementi assolutamente indimostrati.
5) violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera C) ed E), con riferimento agli articoli 125 e 309 c.p.p., con specifico riferimento ai capi L (L. n. 401 del 1989, articolo 4, commi 1 e 4 bis, esercizio abusivo del gioco del poker e delle scommesse sportive a distanza su siti stranieri non autorizzati) e M (articolo 640 c.p., comma 2, n. 1, truffa ai danni dell’erario mediante gestione diretta di gioco da banco simulando la sola creazione di centri di raccolta delle scommesse-CTD). A tale riguardo, difetterebbe ogni argomentazione a sostegno dell’integrazione dei detti reati.
6)) violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera C) ed E), con riferimento all’articolo 273 c.p.p., e L. n. 152 del 1991, articolo 7, contestata in relazione al capo A. Dal provvedimento gravato non emergerebbero elementi concreti o fatti che lascino trasparire l’utilizzo di metodi mafiosi nella commercializzazione dei prodotti riferibili all’associazione semplice. Per giunta, il (OMISSIS) e’ incensurato.
Sulla base di tali ragioni si insisteva per l’annullamento dell’impugnata ordinanza. All’udienza del 11 marzo 2016 le parti concludevano come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e deve, pertanto, essere respinto.
1.1 A ben vedere, come accennato, sussistono anche profili di inammissibilita’ in ordine alla specificita’ dei motivi; invero, al riguardo va ricordato che, come affermato dalla giurisprudenza di questa sezione, condivisa dal collegio, “in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, piu’ violazioni della legge processuale, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c, ha l’onere (a pena di aspecificita’ e quindi di inammissibilita’ del ricorso) di indicare per ciascuna norma che si assume violata in cosa si sia concretizzata la presunta violazione costituente oggetto di doglianza”. (cfr. sez. 2, Sentenza n. 25741 del 20/03/2015).
Inoltre, sempre ad avviso della giurisprudenza di questa sezione, condivisa dal collegio, “il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ha l’onere – sanzionato a pena di aspecificita’, e quindi di inammissibilita’, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica”. (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19712 del 06/02/2015).
Nel caso di specie il ricorso non solo formula contestualmente (cioe’ all’interno di ciascun singolo motivo) e in maniera contorta una mescolanza di censure attinenti a profili di violazione di legge sostanziale e profili di violazione di legge processuale, ma ingloba anche la complessiva contestazione dei tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimita’ ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), senza prendere specifica posizione sugli elementi indicativi dell’una o delle altre delle patologie indicate.
Va ricordato che la modifica normativa dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che puo’ essere solo di legittimita’ e non puo’ estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto e’ quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicita’ o contraddittorieta’ puo’ ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati. E’ percio’ possibile ora valutare il cosiddetto travisamento degli elementi indiziari o probatori, che si realizza allorche’ si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste agli atti oppure quando si omette la valutazione di un elemento decisivo ai fini della pronunzia. Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti gli aspetti travisati od omessi si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione. Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisivita’ non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.
Nel caso in esame difetta tale specifica indicazione di fonti di prova travisate od omesse, mentre i giudici di merito hanno dato ampio conto degli indizi e delle esigenze cautelari, con motivazione accurata e approfondita. Il ricorso pare dunque inammissibile.
2. Entrando comunque nel merito delle censure sollevate, va considerato, in relazione al complesso dei motivi da 1 a 6 relativi al vizio di cui all’articolo 606, comma 1 lettera E (vizio di motivazione), che, ad avviso del collegio, “il sindacato di legittimita’ sulla gravita’, precisione e concordanza della prova indiziaria e’ limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicita’ e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati (Cass. Sez. 4, sent. n. 48320 del 12/11/2009, dep. 17/12/2009, Rv. 245880).
Tanto premesso, rileva il collegio che il Tribunale di Reggio Calabria, chiamato a valutare i profili dedotti alla sua cognizione, anche mediante rinvio alle deduzioni formulate dal GIP in sede di emissione della misura, ha ampiamente esposto le ragioni su cui si fonda il provvedimento cautelare in questione. Infatti, dopo aver riprodotto le risultanze di indagine considerate rilevanti nelle prime 45 pagine del provvedimento gravato, ha poi analiticamente ricostruito gli indizi relativi a ciascuna delle fattispecie ascritte.
Ritiene il collegio che “In materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non puo’ estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, puo’ pero’ avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilita’”. (Cass. Sez. 1, Sent. n. 18118 del 11/02/2014).
Quanto poi alla convergenza degli indizi va ricordato che, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, “i due requisiti della precisione e della concordanza non possono coesistere in ciascun indizio da valutare in quanto, ove uno di essi sia fornito del requisito della precisione, intesa come necessarieta’ e’ possibile utilizzarlo singolarmente, risultando di per se’ e da solo idoneo e sufficiente a provare il fatto ignoto. Al contrario, in presenza di piu’ indizi nessuno dei quali munito del requisito della precisione, occorre che essi siano concordanti”. (Cass. Sez. 4, sent. n. 2967 del 25.1.1993, dep. 24.3.1993, rv 193409).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, gli indizi consistono in fatti ontologicamente certi, che, collegati tra loro, sono suscettibili di una ben determinata interpretazione, laddove i sospetti non sono altro che intuizioni, congetture od opinioni del tutto personali, che, per quanto ragionevoli, sono meramente ipotetiche e non si fondano su una concreta circostanza indiziante certa. (Cass. Sez. 1 sent. n. 2717 del 15.12.1982 dep. 26.1.1983 rv 157097; v. mass n.148425; n.146619; n. 142622; n.108153).
Sulla base di tali premesse deve dunque rilevarsi che il Tribunale del riesame ha prima ricostruito nel complesso il materiale istruttorio (pagg. 7 e segg.), indicando gli indizi di reita’ a carico del (OMISSIS) in ordine alla partecipazione alle associazioni di cui al capo A e C (per quest’ultima, in particolare, alla cosca (OMISSIS) – pag. 21 e segg. -), spiegando poi (pagg. 45 55) le modalita’ attraverso le quali l’associazione mafiosa di cui al capo C ha tratto giovamento dell’esistenza dell’associazione semplice di cui al capo A, il concorso tra le due ipotesi e la ricorrenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, (pagg. 46 e segg.) nella forma della agevolazione sinallagmatica tra le attivita’ delle due associazioni; poi, alle pagg. 53, 55 e segg., ha evidenziato specificamente gli indizi a carico del (OMISSIS) (tra i quali si menziona il coinvolgimento nella tentata estorsione ai danni di tal (OMISSIS), le pressioni operate nei confronti del (OMISSIS), la vicinanza alla cosca (OMISSIS) e le attivita’ di gestione dell’attivita’ espletate all’interno della ditta (OMISSIS)); alle pagg. 74 e segg. ha indicato la ricorrenza dei gravi indizi di concorso nei fatti di cui al capo D (si veda pag. 78 in particolare), motivando, in maniera che il collegio reputa adeguata alla fase cautelare, e non apparente, la sussistenza degli indizi di reita’ in ordine alle fattispecie ascritte. Quanto alla dedotta illogicita’ della valutazione indiziaria, va premesso che il controllo della logicita’ della motivazione va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilita’ di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicche’ nella verifica della fondatezza, o non, del motivo di ricorso ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il compito della Corte di cessazione non consiste nell’accertare la plausibilita’ e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e’ indispensabile dimostrare che il testo dei provvedimento e’ manifestamente carente di motivazione e/o di logica e che non e’, invece, producente opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214567).
Ancora in tema di difetto di motivazione, va ricordato che il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purche’ tale valutazione risulti logicamente coerente. Sotto tale profilo, dunque, la censura di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri. (Sez. 5, n. 2459 del 17/04/2000, Garasto L., Rv. 216367).
Inoltre, la doglianza relativa alla scelta delle massime di esperienza da parte del giudice di merito non puo’ essere dedotta quale vizio di motivazione quando la valutazione e l’interpretazione delle risultanze processuali siano state compiute secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza dei canoni logici che presiedono alle forme del ragionamento e sia stata data spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte operate con motivazione congrua (Sez. 2, n. 852 del 24/02/1998, Ermini O, Rv. 212556).
Sul piano indiziario, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso puo’ essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente ai fenomeno della criminalita’ di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purche’ si tratti di indizi gravi e precisi, come, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici e significativi “facta concludentia”, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, Addante e altri, Rv. 238839). In particolare, con riferimento ai fenomeno mafioso ‘ndraghetistico, sono stati ritenuti elementi fattuali sufficienti a far ritenere integrata la condotta di partecipazione alla associazione, l’essere a conoscenza dell’organigramma e della struttura organizzativa delle cosche della zona, dell’identita’ dei loro capi e gregari, dei luoghi di riunione, degli argomenti trattati e l’essere stato ammesso a partecipare a degli incontri in contesti deputati all’inserimento di nuovi sociali (Sez. 1, n. 4937 del 19/12/2012, Modafferi, Rv. 254915).
Ritiene dunque la Corte che l’ordinanza si sia posta nell’alveo di legittimita’ richiamato ed abbia espresso, pertanto, un giudizio incensurabile in questa sede circa la valenza gravemente indiziante della appartenenza mafiosa del ricorrente-dei colloqui riservati, captati e sopra richiamati.
In definitiva, alla luce di tali considerazioni, il vizio di carenza motivazionale, nei vari motivi sollevato, e’ evidentemente insussistente.
3. Quanto alle violazioni di legge sostanziale e processuale dedotte nei motivi da 1 a 6, va ribadita la inammissibilita’ dei motivi in quanto esulanti dal novero di quelli consentiti dall’articolo 606 c.p.p.. Infatti, le censure in questione, dietro l’apparente denuncia di violazione di legge, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentita in sede di legittimita’ – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.
Peraltro, come gia’ esposto in relazione al profilo del vizio motivazionale, con considerazioni da intendere per qui richiamate, il giudice del riesame ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad accreditare l’ipotesi accusatoria, spiegando adeguatamente la ragione, con argomentazioni che possono in questa sede richiamarsi, della integrazione e della sussistenza di indizi di reita’ in ordine ai reati previsti dall’articolo 416 bis c.p. (in merito al quale si osserva in aggiunta che, ai fini della configurabilita’ del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, il vincolo associativo tra il singolo e l’organizzazione si instaura nella prospettiva di una futura permanenza in essa a tempo indeterminato e si protrae sino allo scioglimento della consorteria, potendo essere significativo della cessazione del carattere permanente del reato soltanto l’avvenuto recesso volontario, che, come ogni altra ipotesi di dismissione della qualita’ di partecipe, deve essere accertato caso per caso in virtu’ di condotta esplicita, coerente e univoca e non in base a elementi indiziari di incerta valenza; nel senso indicato, si veda Cass. Sez. 6, Sentenza n. 3089 del 21.5.1998, rv 213570), dall’articolo 416 c.p. (cfr. pagg. 55 e segg.), dall’articolo 513 bis c..p. (cfr. pagg. 74 e segg.), dalla L. n. 356 del 1992, articolo 12 quinquies, (cfr. pagg. 78 e segg.), dalla L. n. 401 del 1989, articolo 4 commi 1 e 4 bis, all’articolo 640 c.p., comma 2, e dalla L. n. 213 del 1991, articolo 7, (motivo di ricorso dedotto solo in relazione alla contestazione di cui al capo A).
3.1 Oltre a quanto gia’ indicato nell’ordinanza impugnata, a proposito della pretesa violazione di legge in ordine alle previsioni di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 4, commi 1 e 4 bis, e’ opportuno rilevare che Costituisce ius receptum che l’attivita’ legata alle scommesse lecite e’ soggetta a concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.) e, una volta ottenuta tale autorizzazione, deve essere rilasciata la licenza di pubblica Sicurezza di cui all’articolo 88 del TULPS con la conseguenza che il reato di cui alla L. 13 dicembre 1989, n. 401, articolo 4, comma 4 bis (svolgimento di attivita’ organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte) risulta integrato da qualsiasi attivita’, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi del Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, articolo 88, (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando l’esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso (Sez. U, sent. n. 23271 del 26/04/2004, Corsi, Rv. 227726).
3.1.1. A seguito di diversi interventi dei Giudici Europei (in particolare sentenza Placanica e sentenza Costa – Cifone), che hanno esaminato funditus la normativa interna per verificarne la compatibilita’ con quella comunitaria, la giurisprudenza di questa Corte si e’ attestata nel senso di ritenere che integra il reato previsto dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, articolo 4, la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attivita’ di intermediazione per conto di un allibratore straniero privo di concessione.
Qualora il bookmaker estero sia provvisto di concessione, la precedente condotta e’ ugualmente sussumibile nel modello legale descritto dalla L. n. 401 del 1989, articolo 4, in mancanza del preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza richiesta ai sensi dell’articolo 88 T.U.L.P.S..
3.1.2. Tuttavia, poiche’ le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, irregolarita’ commesse nell’ambito della procedura di concessione di queste ultime vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia, la cui mancanza non potra’ percio’ essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto che il rilascio di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell’Unione (sentenza Placanica, punto 67).
3.1.3. Ne consegue che, in mancanza della concessione e della licenza, per escludere la configurabilita’ della fattispecie incriminatrice, occorre la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3, sent. n. 40865 del 20/09/2012, Maiorana, Rv. 253367) o per effetto di un comportamento comunque discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei confronti dell’operatore comunitario. In siffatti casi, il giudice nazionale, anche a seguito della vincolante interpretazione data alle norme del trattato dalla Corte di giustizia CE, dovra’ disapplicare la normativa interna per contrasto con quella comunitaria.
Ed infatti, non integra il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, articolo 4, la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformita’, nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli articoli 43 e 49 del Trattato CE (Sez. 3, sent. n. 28413 del 10/07/2012, Cifone, Rv. 253241).
3.1.4. I giudici Europei, dopo aver delineato il contesto normativo italiano e riassunto le questioni riguardanti i procedimenti principali da scrutinare e le questioni pregiudiziali sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia, hanno affermato, per quanto qui interessa, che gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che imponga alle societa’ interessate a esercitare attivita’ collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attivita’, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che gia’ sono in possesso di una simile concessione e, con cio’, legittimando il contesto normativo interno fondato sul criterio doppio binario.
In altri termini, e’ stata ritenuta compatibile con le norme del Trattato CE la disciplina prevista dall’articolo 88 T.U.L.P.S., alla stregua della quale “la licenza per l’esercizio delle scommesse puo’ essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facolta’ di organizzazione e gestione delle scommesse, nonche’ a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione” e dal Decreto Legge 25 marzo 2010, n. 40, articolo 2, comma 1 ter, convertito con L. n. 73/2010, in base al quale “l’articolo 88, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l’esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, e’ da intendersi efficace solo a seguito dei rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l’esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato”. La Corte di Giustizia e’ pervenuta a tale conclusione (punti 21 e 23) sul rilievo che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalita’ collegata ai giochi d’azzardo e’ idoneo a giustificare le restrizioni alle liberta’ fondamentali derivanti da una normativa nazionale contenente il divieto, penalmente sanzionato, di esercitare attivita’ in tale settore, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciata dallo Stato, purche’ tali restrizioni, siccome comportano limitazioni alla liberta’ di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Placanica, punto 42), soddisfino il principio di proporzionalita’ e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (v., in tal senso, sentenze Placanica e a., punti da 52 a 55, nonche’ Costa e Cifone, punti da 61 a 63). “Pertanto, il fatto che un operatore debba disporre sia di una concessione sia di un’autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi non e’, in se’, sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, ossia quello della lotta alla criminalita’ collegata ai giochi d’azzardo” (punto 27 della sentenza Biasci).
3.1.5. Sulla stessa linea, la Corte Europea ha anche affermato, risolvendo altra questione pregiudiziale, che negli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui e’ stabilito, di un’autorizzazione che gli consente di offrire giochi d’azzardo non osta a che un altro Stato membro, nel rispetto degli obblighi posti dal diritto dell’Unione, subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorita’ la possibilita’, per un tale operatore, di offrire siffatti servizi a consumatori che si trovino nel suo territorio” (punto 43 sentenza Biasci).
Va ricordato come, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 12 febbraio 2012, Costa e Cifone, cause riunite C-72/10 e C-77/10, questa Corte abbia riaffermato (Sez. 3, sent. n. 19462 del 27/03/2014) che non vi e’ incompatibilita’ assoluta tra fattispecie incriminatrice ed i principi di liberta’ di stabilimento e di libera circolazione dei servizi in ambito comunitario (articoli 43 e 49 Trattato CE). In particolare, non sussiste incompatibilita’, ed e’ quindi passibile di rilevanza penale, l’attivita’ del soggetto che non abbia richiesto la concessione e la licenza in Italia o di chi, gia’ abilitato all’estero alla raccolta di scommesse, agisca in Italia tramite collaboratori o rappresentanti che non hanno chiesto alle autorita’ nazionali le necessarie autorizzazioni (Sez. 2, sent. n. 24656 del 09/03/2012, P.M. in proc. De Simone, Rv. 252828).
3.1.6. La Suprema Corte (Sez. 3, sent. n. 28413 del 10/07/2012, cit.) ha ribadito che, sulla base dei principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia, e’ possibile formulare un quadro interpretativo della disciplina contenuta nel Trattato (e qui riassunto per quanto di interesse) che contribuisce a definire l’applicazione della disciplina domestica in materia di scommesse su eventi sportivi, presupposto della fattispecie penale, nel senso che:
1) le liberta’ di insediamento e di prestazione dei servizi costituiscono per il diritto dell’Unione principi fondamentali di cui gli operatori economici devono poter usufruire indipendentemente dal Paese membro in cui sono insediati;
2) tali principi possono conoscere restrizioni nel campo delle attivita’ commerciali connesse ai giochi telematici e alle scommesse su eventi sportivi esclusivamente quando si tratta di limiti, anche consistenti nella previsione di un regime concessorio e di controlli di pubblica sicurezza, che sono fondati su “motivi imperativi di interesse generale” e che rispondono a principi di proporzionalita’, non discriminazione, trasparenza e chiarezza;
3) qualora le restrizioni non rispondano ai requisiti ora ricordati, le liberta’ previste dagli articoli 43 e 49 del Trattato conservano piena espansione e la disciplina nazionale in contrasto con esse deve essere disapplicata.
Per procedere alla disapplicazione della normativa interna anche nei confronti degli operatori comunitari, sarebbe stato necessario allora dimostrare rispetto a quali gare si fosse dispiegato il comportamento discriminatorio nei confronti delle predette societa’ sotto il profilo o di un’arbitraria esclusione oppure di un impedimento a partecipare (nonostante la manifestata volonta’) in condizione di parita’ con gli altri concorrenti oppure individuare un comportamento comunque discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei loro confronti.
3.1.7. E cosi’, la mancanza di concessione rilasciata dall’A.A.M.S. comporta l’impossibilita’ per l’operatore italiano o straniero di ottenere la licenza di pubblica sicurezza di cui all’articolo 88 T.U.L.P.S. ed ha, quale conseguenza, l’esercizio abusivo del gioco di scommesse, derivando da cio’ che il soggetto, che riceve le scommesse e versa le vincite, pone in essere un’attivita’ commerciale in forma organizzata soggetta ad imposizione fiscale.
3.1.8. Infine, va ricordato che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la semplice esistenza di una situazione di incertezza interpretativa o applicativa di una norma “non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale; al contrario, il dubbio sulla liceita’ o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento piu’ attento, fino cioe’, secondo quanto emerge dalla sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceita’ o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, e’ inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceita’” (cfr., Sez. 2, sent. n. 46669 del 23/11/2011, dep. 19/12/2011, P.G. in proc. De Masi e altri, Rv. 252197).
4. Infondata e’ anche la deduzione in merito alla pretesa violazione di legge in relazione all’aggravante di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203. A quest’ultimo proposito, giova ricordare che la circostanza aggravante in parola e’ configurabile rispetto ad ogni tipo di delitto, punibile con pena diversa dall’ergastolo, che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attivita’ di associazioni di tipo mafioso: la prima ipotesi ricorre allorquando gli agenti, pur senza essere partecipi o concorrere in reati associativi, delinquono con metodo mafioso ponendo in essere una condotta idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale, mentre la seconda ipotesi, quella cioe’ dell’agevolazione, postula, invece, che il reato sia commesso al fine specifico di favorire l’attivita’ dell’associazione di tipo mafioso. (v. Cass. Sez. 1, sent. n. 2667 del 30.1.1997, rv 207178).
5. Nel sesto motivo di ricorso la questione e’ posta solo con riferimento alla contestazione operata nel capo A ed al riguardo giova rilevare che l’aggravante e’ contestata nella forma della agevolazione funzionale sinallagmatica da parte dell’associazione a delinquere semplice rispetto a quella mafiosa. A tale proposito pare corretto ritenere aggravato (cfr. pag. 49 dell’ordinanza impugnata) il comportamento del partecipe all’associazione di cui al capo A) nel momento in cui la condotta commessa (ovvero l’aver svolto compiti di diffusione dei siti e dei brand dell’associazione e l’aver gestito centri di scommesse on line), che si nutre anche della forza intimidatrice scaturente dal sodalizio mafioso collegato, consente, in modo chiaro ed evidente, la preservazione della ricchezza illecita accumulata dal gruppo mafioso, il reimpiego e riciclaggio della stessa, la schermatura del vertice del sodalizio… cosi’ andando indirettamente, con la sua operativita’, a favorire l’intera associazione criminosa di cui al capo C); azione di “favoreggiamento” del tutto consapevole in capo ai sodali o, comunque, nello specifico con riferimento al (OMISSIS), di ignoranza colpevole, e percio’ rimproverabile ex articolo 59 c.p., comma 2.
5.1. Peraltro, quand’anche si volesse ritenere che l’associazione di cui al capo A) abbia perseguito anche un proprio autonomo interesse, nondimeno non puo’ ritenersi – per cio’ solo – venuta meno la configurabilita’ dell’aggravante de qua, atteso che la medesima si realizza anche nel caso in cui l’agente persegua l’ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso, purche’ ad esso si accompagni, come indiscutibile nella fattispecie, la consapevolezza di favorire l’interesse della cosca beneficiata (cfr., Sez. 5, sent. n. 11101 del 04/02/2015, Platania e altri, Rv. 262713).
6. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, per carenza di specificita’ delle censure genericamente prospettate e comunque infondata per le ragioni sopra esposte; al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p..
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