La consunzione (o sussidiarietà) si ha quando per identità, se non del preciso bene giuridico tutelato, degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concorrenti, lo scopo della norma che prevede un reato minore sia chiaramente assorbito da quello relativo ad un reato più grave, il quale esaurisca il significato antigiuridico del fatto, sicché appaia con evidenza inammissibile la duplicità di tutela e di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena che ispira il nostro ordinamento.
Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 10 maggio 2016, n. 19447
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 24 aprile 2015 la Corte d’Appello di Torino, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, emessa dal Tribunale della stessa città nei confronti di A.R. , ha ridotto la pena inflitta per i delitti di tentate lesioni aggravate e danneggiamento aggravato, nonché per la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen., commessi in data (omissis) .
I fatti erano accaduti a (…) durante un incontro nazionale del (omissis) e mentre sul palco c’erano B.R. e L.E. . L’imputata aveva lanciato sul palco, da circa dodici metri, una torcia illuminante accesa, riuscendo a colpire il B. e danneggiandogli la giacca.
2. Con atto sottoscritto dall’imputato è stato proposto ricorso affidato a due motivi.
2.1. Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’elemento psicologico del reato di lesioni tentate.
La ricorrente, dando anche atto di una serie di risultanze processuali, sostiene che la Corte territoriale ha fatto mal governo dei principi e dei contenuti sottesi all’art. 43 cod. pen., oltre ad optare per una ricostruzione dell’elemento soggettivo contraddittoria rispetto alle univoche modalità di commissione del fatto.
Conclude quindi per una ricostruzione dell’elemento soggettivo in termini di dolo eventuale, con tutte le conseguenze che da ciò discendono in tema di compatibilità con il delitto tentato e, pertanto, di insussistenza del delitto di tentate lesioni aggravate di cui al capo A) dell’imputazione.
2.2. Vizio di motivazione e violazione di legge per la mancata applicazione del principio di consunzione, nonché per omessa motivazione riguardo al capo C) dell’imputazione.
Il ricorrente afferma l’insussistenza del reato di danneggiamento della giacca di B. , in quanto sarebbe assorbito nell’ambito di un reato eventualmente complesso.
Dopo aver rilevato che nel capo di imputazione sub B) si contesta il fatto del danneggiamento della giacca di B. , colpito al torace dalla torcia, mentre i giudici di merito hanno ritenuto la sussistenza del danneggiamento del palco, sostiene la ricorrente che non può ritenersi sussistente un concorso formale tra il reato di lesioni e quello di danneggiamento dell’indumento della vittima delle stesse lesioni.
Si duole, infine, la ricorrente della mancanza di motivazione sul motivo di appello con il quale era stata rappresentata la inconfigurabilità della contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen. contestata al capo C), per difetto di offensività della condotta rispetto al bene giuridico tutelato e per la mancata ricorrenza di uno degli elementi costitutivi della fattispecie.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei termini qui di seguito indicati.
1. I fatti ricostruiti dai giudici di merito sono accaduti durante un incontro nazionale del (omissis) ; mentre sul palco, allestito per un dibattito, c’erano il segretario nazionale della (…) B.R. e l’on. L.E. , l’imputata, che si trovava in un gruppo di spettatori che stavano contestando in particolare il sindacalista, aveva lanciato sul palco, da circa dodici metri, una torcia illuminante accesa, riuscendo a colpire il B. e danneggiandogli la giacca.
2. Nel capo A) è stato contestato il reato di tentate lesioni aggravate in danno di B. , colpito al torace dalla torcia lanciata dall’imputata, il quale non subiva danni alla persona perché protetto da una giacca, che pur bruciandosi impediva il contatto della fiamma con il corpo dell’uomo.
La ricorrente ha censurato la motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente il dolo del reato tentato di lesioni.
L’assunto è infondato.
La Corte territoriale ha ben spiegato per quali ragioni si debba escludere che il lancio della torcia abbia avuto una mera finalità dimostrativa, giacché è stato diretto verso il palco dove c’erano delle persone, che peraltro erano oggetto di contestazione.
Per questo ha correttamente ritenuto che l’azione dell’imputata sia stata animata da dolo diretto, sebbene nella forma del dolo cumulativo/alternativo, per la sicura prevedibilità di danni da arrecare a cose o persone dalla torcia.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che il dolo diretto, anche nella sua forma di dolo alternativo, che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, è compatibile con il tentativo (Sez. 1, n. 9663 del 03/10/2013, Nar delli, Rv. 259465; Sez. 1, n. 11521 del 25/02/2009, D’Alessandro, Rv. 243487).
Peraltro, così come è stato rilevato nel caso in esame, nell’ipotesi di delitto tentato la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente. (si veda in tal senso e in materia di tentato omicidio Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, Rv. 241339).
Nel delitto di tentate lesioni, pur avendo valenza concorrente i due profili dell’intenzione dell’agente e dell’idoneità degli atti, quest’ultimo prevale rispetto a un’intenzione del soggetto agente solo in parte denunciata, concorrendo alla configurabilità del tentativo soprattutto criteri di natura oggettiva, come la natura del mezzo usato e la parte del corpo attinta.
I giudici di merito, ricostruendo la vicenda, hanno più volte sottolineato che il lancio della torcia verso le persone che erano sul palco da parte dell’imputata avvenne in un clima di contestazioni rivolte soprattutto al B. , che infatti fu colpito al torace dalla torcia e – come si è detto – non subì lesioni solo perché protetto dalla giacca.
3. Ritenuta la sussistenza degli elementi costitutivi del reato tentato di lesioni personali, aggravato dall’uso di un oggetto atto ad offendere, non si può sostenere nel caso di specie la configurabilità anche del reato di danneggiamento della giacca della persona offesa, contestato al capo B), con l’aggravante di aver commesso il fatto con contestuale violenza o minaccia alla persona (art. 635, comma 1 e 2 n. 3).
3.1. In primo luogo va detto che sono fondate le censure della ricorrente alla motivazione della sentenza di secondo grado nella parte in cui equivocamente fa riferimento agli “eventi che inevitabilmente si sarebbero verificati in seguito alla caduta della torcia sul palco”, sebbene nel capo B) sia stato contestato il reato di danneggiamento dell’indumento di B. ed avendo la stessa Corte territoriale rimarcato che “l’azione dell’imputata venne posta con dolo diretto o intenzionale ossia con l’intenzione di colpire una delle persone presenti sul palco e verosimilmente proprio il B. , che, come si è detto, era il principale obiettivo delle contestazioni”.
3.2. Deriva da tale ricostruzione dei fatti che il danneggiamento della giacca del B. si pone nell’ambito della progressione degli atti idonei a provocare le lesioni alla persona offesa, che, come si è detto, è stato correttamente ritenuto l’evento voluto dall’imputata.
Insomma, è da escludersi che le lesioni siano configurabili come mera possibile conseguenza del danneggiamento dell’indumento indossato dalla persona offesa, giacché quest’ultimo costituisce un evento strettamente funzionale ad un altro e più grave reato, la cui previsione “consuma” ed assorbe in sé l’intero disvalore del fatto concreto.
3.3. Questa Corte non ignora la giurisprudenza secondo la quale il delitto di danneggiamento aggravato dall’essere il fatto commesso con violenza alla persona assorbe, quale reato complesso, il solo delitto di percosse e non anche quello di lesioni personali, che conserva la sua autonomia, in quanto determina il verificarsi dell’ulteriore evento costituito dallo stato morboso procurato alla persona offesa (Sez. 2, n. 6376 del 22/11/2007, Illmer, Rv. 239441).
Tale giurisprudenza tuttavia non si pone in contrasto con quanto si sta affermando nel caso di specie, giacché essa fa riferimento in primo luogo a condotte di lesioni e danneggiamento entrambe consumate; inoltre, i casi analizzati da tale giurisprudenza non riguardano indumenti della persona offesa, bensì cose che nello stesso contesto dell’azione delittuosa hanno subito danneggiamento (nella sentenza sopra indicata la condotta aggressiva dell’imputato aveva provocato contestualmente lesioni personali e danneggiamento della moto condotta dalla persona offesa).
Sotto altro profilo, questa stessa Sezione ha avuto modo di precisare anche di recente che, in tema di danneggiamento, la circostanza aggravante del fatto commesso con violenza alla persona è configurabile solo se vi sia un nesso strumentale che ricolleghi l’azione di danneggiamento e la condotta violenta, tanto che si è ritenuto non sufficiente ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 635, comma secondo, n. 1, cod. pen. la mera contestazione del reato di lesioni personali come commesso nelle medesime circostanze (Sez. 5, n. 29578 del 09/05/2014, P.G. in proc. Latuga, Rv. 262597; conforme Sez. 5, n. 5534 del 13/01/2009, Rv. 242632; Sez. 5, n. 40449 del 21/09/2004, Rv. 229934; contra Sez. 2, n. 7980 del 30/11/2010, Rv. 249811).
In tal caso, infatti, il reato aggravato si connota come “complesso” ed è possibile ritenere che esso assorba la condotta violenta, dal momento che questa rappresenta una precisa modalità di esecuzione della condotta di danneggiamento, nel senso che la violenza alla persona costituisce il mezzo per la realizzazione del danneggiamento ovvero il danneggiamento è la modalità esecutiva attraverso la quale si realizza anche il fine di ledere la altrui incolumità. Evenienza che non si verifica, essendo invece sussistente il concorso fra i reati, quando manchi il detto rapporto (non solo di contestualità, ma anche) di strumentalità.
Nella medesima prospettiva, e cioè nel senso della rilevanza che assume l’analisi della finalità della azione violenta sulla persona, è infatti stato rilevato anche che, affinché sussista l’aggravante prevista dall’art. 635 cpv. n. 1 cod. pen., occorre che la violenza o la minaccia si accompagnino al danneggiamento o comunque siano direttamente finalizzati ad esso.
Orbene, è del tutto evidente che se, come nel caso in esame e alla luce di quanto ricostruito dai giudici di merito, l’attività violenta sia esercitata non già al diretto e immediato fine di danneggiare ma a quello di ledere la persona, non si può configurare il concorso formale tra reato (tentato) di lesioni e danneggiamento aggravato.
3.4. Condivisibili, peraltro, appaiono le argomentazioni della difesa della ricorrente sulla configurabilità nel caso di specie di un “reato eventualmente complesso” ovvero di quel reato configurabile nelle situazioni nelle quali, pur in assenza di una figura “astratta” di reato complesso, come disciplinata dall’art. 84 cod. pen., la realizzazione di reato risulti in concreto strettamente funzionale alla realizzazione di un altro e più grave reato, avente un bene giuridico tutelato più significativo.
Autorevole dottrina sostiene che, se non si vuole ridurre la previsione di cui all’art. 84 ad una inutile ripetizione dell’art. 15 cod.pen., la si deve interpretare in modo tale da far ricomprendere nella stessa non solo il reato “necessariamente” complesso (quello cioè che necessita per essere integrato della realizzazione almeno di due reati e che ricomprende tutte le ipotesi di specialità unilaterale, come ad esempio il furto rispetto alla rapina), ma anche il reato “eventualmente” complesso, ovvero quello che può essere integrato anche con la realizzazione di un solo reato e che ricomprende tutte le ipotesi di specialità reciproca.
Si sostiene, peraltro, che l’argomentazione della presenza nel nostro ordinamento del reato “eventualmente” complesso come delle numerose clausole di riserva previste dal codice penale risale ad un principio più generale cui si è ispirato il legislatore nel predisporre la disciplina del concorso di norme penali, vale a dire il “ne bis in idem sostanziale”: non è dunque possibile addebitare all’imputato due volte lo stesso fatto, una volta in maniera autonoma ed una seconda come mezzo per realizzarne un altro, e ciò sia che la realizzazione del reato fine passi necessariamente attraverso quella del reato mezzo, sia che un tale passaggio sia solo eventuale.
La giurisprudenza di questa Corte ha anche in tempi non recenti assunto una posizione analoga a quella dei principi sopra enunciati, affermando che “la consunzione (o sussidiarietà) si ha quando per identità, se non del preciso bene giuridico tutelato, degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concorrenti, lo scopo della norma che prevede un reato minore sia chiaramente assorbito da quello relativo ad un reato più grave, il quale esaurisca il significato antigiuridico del fatto, sicché appaia con evidenza inammissibile la duplicità di tutela e di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena che ispira il nostro ordinamento” (Sez. 5, n. 4093 del 09/03/1981, Fontana, Rv. 148693).
Tale orientamento si pone solo in contrasto con quello che ammette il concorso apparente solo laddove le norme sono poste a protezione dello stesso bene giuridico e sono in rapporto di specialità unilaterale; va detto tuttavia che la giurisprudenza che sostiene tale orientamento ha escluso l’applicabilità del criterio di consunzione quando il reato più grave non comprenda in sé le condotte di quello meno grave come necessario antefatto (tra le tante, argomentato da Sez. 1, n. 31735 del 01/07/2010, Samuele, Rv. 248094).
Nel caso in esame il danneggiamento dell’indumento della persona offesa del reato di tentate lesioni con la torcia si pone come antefatto e non può che applicarsi il principio del ne bis in idem sostanziale; è condivisibile, pertanto, l’assunto della difesa dell’imputata per cui, pur in presenza di oggettività giuridiche diverse, non si può ritenere operante il concorso formale tra omicidio o lesioni e danneggiamento allorquando taluno provochi la morte o la malattia del corpo o nella mente ad un soggetto usando mezzi tali da lacerargli nel contempo l’abito indossato.
4. Fondata è anche la doglianza sulla omessa motivazione in ordine alla inconfigurabilità della contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen..
Va detto, però, in via assorbente che tale reato non sussiste nel caso di specie e quindi non è necessario rilevare il vizio di motivazione con rinvio alla Corte territoriale per nuovo esame.
La contravvenzione di getto pericoloso di cose è reato di pericolo concreto (cfr. sez. 1 n.12428, Montini, rv 199888; sez. 3 n. 3531, Terrile, rv 210466; sez. 3 n. 46846, Toscano, rv 232652) e l’idoneità potenziale della cosa gettata alla produzione degli effetti previsti dalla norma (l’offesa della incolumità pubblica) deve evincersi dall’insieme delle circostanze di fatto.
Nel caso in esame, alla stregua dei fatti come ricostruiti dai giudici di merito, l’oggetto lanciato dalla imputata, per le sue specifiche caratteristiche e tenuto conto del contesto in cui si è realizzata la condotta, avrebbe potuto avere una offensività del tutto limitata, potendo attingere una sola persona o cosa, come in concreto poi è accaduto.
Quindi la condotta dell’imputata non poteva mettere in concreto pericolo la pubblica incolumità, avendo una potenzialità offensiva circoscritta e concretamente individuabile.
5. Alla stregua di quanto sopra affermato la sentenza impugnata va annullata limitatamente ai reati di cui ai capi B) e C) perché il fatto non sussiste.
Non è necessario rinviare gli atti alla Corte territoriale, giacché la pena può essere rideterminata ex art. 619 cod. proc. pen., facendo specifico riferimento a quella già inflitta dal giudice di merito per il reato tentato di lesioni (mesi tre e giorni quindici di reclusione) ed applicata la diminuente processuale del rito abbreviato (mesi due e giorni dieci di reclusione).
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi B) e C) perché il fatto non sussiste; rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena in mesi due e giorni dieci di reclusione.
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