Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 maggio 2016, n. 9390.

Nel caso in cui il creditore procedente notifichi l’ordinanza di assegnazione al terzo in forma esecutiva contestualmente all’atto di precetto, senza però averlo preventivamente informato, può configurarsi un «abuso dello strumento esecutivo», e le spese sostenute per il precetto restano a suo carico. 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III
sentenza 10 maggio 2016, n. 9390

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15130/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) difensore di se’ medesimo;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 684/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 20/05/2013, R.G.N. 393/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/02/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La (OMISSIS) S.p.a. proponeva sedici cause di opposizione contro esecuzioni intraprese con pignoramento nei suoi confronti da sedici soggetti, gia’ creditori dell’INPDAP, sulla base delle ordinanze di assegnazione ottenute (nelle procedure esecutive proposte contro questo Istituto, in cui la (OMISSIS) era terza pignorata in qualita’ di tesoriere dell’INPDAP) da ciascun creditore, ai sensi dell’articolo 553 c.p.c., in data 20 aprile 1994, notificate alla (OMISSIS), unitamente all’atto di precetto, in data 14 febbraio 1995.

1.1.- Il Pretore di Catanzaro con le sentenze individuate col n. 180 e con i numeri da 182 a 196 dell’anno 1996, tutte depositate il 20 maggio 1996, accoglieva le opposizioni sul rilievo che l’avv. (OMISSIS), che aveva avviato i pignoramenti nei confronti della (OMISSIS) nell’interesse dei creditori opposti, era privo di uno specifico mandato da parte di questi ultimi e dichiarava l’inesistenza dell’atto di precetto e di tutti gli atti successivi. Il Pretore condannava l’avv. (OMISSIS), in proprio, in quanto sfornito di mandato, al pagamento delle spese processuali in favore dell’opponente (OMISSIS).

1.2.- Con altra sentenza, individuata col n. 181 dell’anno 1996, il Pretore di Catanzaro, decidendo sull’opposizione della (OMISSIS) nei confronti dell’avv. (OMISSIS) (che aveva agito esecutivamente in proprio per riscuotere il credito relativo alle spese giudiziali a lui spettante quale procuratore distrattario, mediante la notifica di sedici ordinanze di assegnazione in data 1 marzo 1995 unitamente all’atto di precetto), dichiarava inammissibile l’opposizione per la parte in cui i motivi erano qualificabili come di opposizione agli atti esecutivi; accoglieva, invece, il motivo col quale la (OMISSIS) aveva dedotto di non essere tenuta al pagamento di diritti, spese e competenze successivi alle ordinanze di assegnazione e intimati con i precetti notificati. Compensava tra le parti le spese di lite.

2.- L’avv. (OMISSIS) proponeva distinti appelli avverso le diciassette sentenze di cui sopra, chiedendo:

– quanto alle sentenze riguardanti i singoli creditori, che fosse dichiarata l’inammissibilita’ dell’opposizione, da qualificarsi come opposizione agli atti esecutivi, in quanto tardivamente proposta, nonche’ che fosse dichiarata l’incompetenza del Pretore e comunque che le opposizioni fossero rigettate nel merito;

– quanto alla sentenza n. 181/1996, l’appellante invocava la declaratoria di incompetenza funzionale del Pretore, giudice dell’esecuzione, nonche’ il rigetto dell’opposizione, da ritenersi infondata.

2.1.- Il Tribunale di Catanzaro, riuniti gli appelli, decideva con sentenza del 10 marzo 1999 n. 197, rigettando i gravami e compensando tra le parti le spese del grado.

3.- La sentenza era impugnata dall’avv. (OMISSIS) con quattro motivi di ricorso per cassazione: per omessa motivazione) in ordine ad un punto decisivo (primo motivo); per violazione dell’articolo 617 c.p.c. (secondo motivo); per violazione dell’articolo 618 bis c.p.c. (terzo motivo); per difetto di legittimazione della (OMISSIS) a proporre opposizione all’esecuzione, in quanto terzo assegnato, nonche’ per non corretta individuazione della notifica dell’ordinanza di assegnazione e dell’atto di precetto al terzo pignorato inadempiente quale atti di inizio di un procedimento esecutivo nuovo e diverso da quello avviato dal creditore nei confronti del terzo (quarto motivo).

3.1.- La Corte di Cassazione con sentenza del 5 aprile 2003 n. 5368, accoglieva il primo ed il secondo motivo di ricorso, rigettando gli altri; cassava la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviando per un nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Catanzaro, quale giudice che al momento della decisione risultava essere del grado di quello che aveva pronunciato la sentenza cassata; compensava tra le parti le spese relative alla fase di legittimita’.

4.- Riassunto il giudizio di rinvio da parte dell’avv. (OMISSIS), la Corte d’Appello di Catanzaro, con la decisione ora impugnata, pubblicata il 20 maggio 2013, ha cosi’ deciso:

– quanto alle sentenze contraddistinte con i numeri 180 e da 182 a 196 del 1996 del Pretore di Catanzaro, ha accolto gli appelli e, per l’effetto, in riforma delle impugnate sentenze, ha dichiarato inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla (OMISSIS) S.p.a. avverso gli atti di precetto notificati il 14 febbraio 1995 ed ha rigettato l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla (OMISSIS) S.p.a. avverso gli atti di pignoramento; ha compensato interamente tra la (OMISSIS) e l’avv. Antonino (OMISSIS), in proprio, quale procuratore sfornito di mandato, le spese e competenze di ciascuno dei giudizi di primo grado;

– quanto alla sentenza contraddistinta con il n. 181 dell’anno 1996 del Pretore di Catanzaro, ha rigettato l’appello e, per l’effetto, ha confermato la sentenza impugnata;

– ha compensato per intero tra le parti le spese e le competenze del giudizio di rinvio.

5.- Avverso la sentenza l’avv. (OMISSIS) propone ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

L’intimata (OMISSIS) S.P.A. non si difende.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo del ricorso si deduce violazione dell’articolo 384 c.p.c., in relazione agli articoli 474, 479 e 480 c.p.c., nonche’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio di appello, oggetto di contraddittorio tra le parti, “nella fattispecie non contestato” (articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Il motivo critica il rigetto dell’appello contro la sentenza n. 181/1996 del Pretore di Catanzaro, riguardante l’opposizione proposta dalla (OMISSIS) avverso il precetto relativo al credito per le spese processuali vantato dall’avv. (OMISSIS), in proprio, quale procuratore distrattario.

Il Pretore aveva reputato non dovuti dalla (OMISSIS) al creditore procedente le spese ed i diritti non previsti nelle ordinanze di assegnazione poste a fondamento degli atti di precetto opposti.

La Corte d’Appello di Catanzaro, in sede di rinvio, ha confermato questa statuizione.

1.2.- Il ricorrente assume la violazione di legge, con riferimento alle norme sopra indicate, perche’ la Corte d’Appello non si sarebbe attenuta ai seguenti due principi di diritto affermati dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 5368/2003, che ha disposto il rinvio:

– l’ordinanza di assegnazione costituisce verso il terzo titolo esecutivo;

– l’inadempimento del terzo deve poter essere superato dal creditore ed il modo non puo’ essere rappresentato che da una esecuzione forzata per espropriazione.

Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe disatteso questi principi per non avere considerato che il titolo esecutivo, quale e’ l’ordinanza di assegnazione, puo’ essere notificata unitamente al precetto, per mettere in mora il debitore, ai sensi dell’articolo 479 c.p.c. e che, una volta notificato quest’ultimo, l’esecuzione forzata non puo’ essere iniziata prima di dieci giorni ai sensi dell’articolo 480 c.p.c..

Quindi, la Corte d’Appello, quale giudice di rinvio, avrebbe dovuto riconoscere il diritto del creditore procedente di notificare al terzo, divenuto creditore principale, l’ordinanza di assegnazione unitamente all’intimazione ad adempiere contenuta nel rituale atto di precetto ed avrebbe percio’ dovuto riconoscere il diritto a richiedere le spese e i compensi dell’atto di precetto come da tariffe professionali.

1.3.- Il ricorrente censura la sentenza anche ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo risultante dalla modifica apportata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito nella L. n. 134 del 2012).

La Corte d’Appello, riportandosi all’accertamento dei fatti compiuto dal Pretore, non avrebbe constatato che, invece, nel caso di specie, l’inadempimento del terzo sarebbe stato “assolutamente certo, documentato e non contestato”, in quanto sarebbe stato provato che l’ordinanza di assegnazione, emessa il 20 aprile 1994, sarebbe stata “tempestivamente comunicata al terzo – (OMISSIS)”: si tratterebbe – a detta del ricorrente – di “circostanze allegate dal creditore-esecutante mai contestate dall’opponente” e che percio’ la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere provate. Aggiunge che vi e’ la prova documentale che il precetto e’ stato notificato il 14 febbraio 1995 e che a distanza di quasi due mesi ancora non era stato pagato, tanto da “costringere” il creditore ad inoltrare in data 5 aprile 1995 l’atto di pignoramento. Il giudice di rinvio non avrebbe quindi considerato che ad un anno dall’emissione dell’ordinanza il debitore era ancora inadempiente.

2.- Il motivo e’ infondato quanto alla prima censura; inammissibile quanto alla seconda.

In merito alla questione posta col motivo in esame la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5368/2003, contrariamente a quanto assume il ricorrente, non ha posto al giudice di rinvio alcun principio di diritto cui uniformarsi ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2.

Infatti, la Corte di Cassazione ha riscontrato nella sentenza del Tribunale n. 197/99, portata alla sua attenzione, un’omessa pronuncia su un motivo di appello. Ed invero, dopo aver premesso che “Il ricorrente denuncia come vizio di difetto di motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 5), quello che nella successiva esposizione si presenta in realta’ come un vizio di mancato esame di un motivo di appello (articolo 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 112 c.p.c.)”, la Corte ha precisato, nello stesso passaggio della motivazione (punto 2, n. 3), che “Il motivo di appello che si sostiene non sia stato esaminato e’ quello che l’attuale ricorrente aveva rivolto contro la statuizione relativa al diritto di liquidare le spese di precetto nell’atto di notificare il precetto unitamente alla ordinanza di assegnazione. Su tale punto il tribunale non ha risposto. L’argomento era stato sviluppato alla lettera d) dell’appello proposto per l’impugnazione della sentenza 181/96 del pretore… “. Quindi, al paragrafo 7 della motivazione, nel disporre il rinvio riguardante la

2.1.- La Corte d’Appello si e’ attenuta a questo mandato, procedendo all’esame del motivo di appello che era stato trascurato dal Tribunale.

Ha reputato infondata la censura ed ha confermato la decisione del pretore, pur riconoscendo che l’ordinanza di assegnazione emessa ai sensi dell’articolo 553 c.p.c., ha natura di titolo esecutivo nei confronti del terzo assegnato e quindi potenzialmente idonea a fondare la pretesa verso quest’ultimo anche di somme ulteriori, per spese e competenze, rispetto a quelle liquidate nella stessa ordinanza. Ha tuttavia reputato che il terzo possa essere qualificato come soggetto esposto ad una procedura esecutiva sulla base dell’ordinanza di assegnazione “solo dopo che costui all’indomani della notifica del provvedimento abbia tenuto una condotta inadempiente all’ordine del giudice in essa contenuto”.

2.2.- Passando all’esame del caso concreto, la Corte d’Appello ha quindi accertato che gia’ il primo giudice aveva verificato che “il creditore procedente aveva notificato direttamente le ordinanze di assegnazione con gli atti di precetto, cosicche’ le somme ulteriori intimate in questi ultimi e non portate dalle predette assegnazioni non potevano ritenersi dovute dal terzo pignorato, in quanto non legittimate da inadempimento o ritardo alcuno da parte del medesimo”. Ha reputato che fossero infondate le censure mosse dall’appellante a questo accertamento in punto di fatto.

3.- La decisione e’ corretta.

Quanto alla questione di diritto, essa segue l’orientamento giurisprudenziale di legittimita’ – espresso anche dalla sentenza n. 5368/2003, che richiama, nello stesso senso, ben piu’ remoti precedenti (nel decidere tuttavia i motivi del ricorso dell’avv. (OMISSIS) riguardanti le sentenze n. 180 e dal n. 182 al 196 del 1996; non il motivo che ha dato luogo al rinvio per l’appello avverso la sentenza n. 181/96) e ribadito da pronunce successive (cfr. n. 19363/07 e, di recente, Cass. n. 11493/15) – per il quale l’ordinanza di assegnazione e’, a sua volta, titolo esecutivo che, munito della relativa formula, puo’ essere portato ad esecuzione dal creditore assegnatario (gia’ pignorante) contro il terzo pignorato. Con la precisazione che, nel caso in cui il creditore assegnatario agisca esecutivamente in danno del terzo pignorato inadempiente questi assume la qualita’ di debitore esecutato ed in siffatta qualita’, si puo’ avvalere dei rimedi riconosciuti dall’ordinamento in favore della generalita’ dei debitori (cosi’ anche la stessa sentenza Cass. n. 5368/03) che siano esecutati in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale (quale e’ l’ordinanza di assegnazione, anche se non idonea al giudicato: cfr. Cass. n. 11404/09).

3.1.- Ne’ la sentenza n. 5368/03, che ha disposto il rinvio, ne’ le altre pronunce successive, si sono occupate specificamente della questione ulteriore, risolta dalla sentenza qui impugnata ed oggetto di ricorso: se l’ordinanza di assegnazione sia equiparabile ai titoli di formazione giudiziale anche quanto agli adempimenti necessariamente prodromici all’esecuzione; piu’ in particolare, se sia applicabile all’ordinanza di assegnazione l’articolo 479 c.p.c., u.c., per il quale “il precetto puo’ essere redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purche’ la notificazione sia fatta alla parte personalmente”.

Al quesito ha dato risposta positiva la piu’ risalente sentenza di questa Corte n. 3976/2003, che ha ricostruito il sistema nei seguenti termini:

Il Collegio, conformandosi ad un principio piu’ volte enunciato in sede di legittimita’, ritiene che l’ordinanza di assegnazione costituisca titolo esecutivo nei confronti del terzo (Cass. 30 maggio 1963, n. 394; Cass. 5 febbraio 1968, n. 394; Cass. 14 febbraio 1996, n. 453; Cass. 24 novembre 1980, n. 6245). L’ordinanza di assegnazione produce una modificazione soggettiva del rapporto creditorio, in virtu’ del quale il terzo, debitor debitoris, e’ tenuto ad eseguire la prestazione di chi si e’ dichiarato debitore, non piu’ al proprio creditore, ma al creditore di questi.

Cio’ postula, in un’ottica di tutela del creditore procedente, che il provvedimento, quale che sia la forma che la legge ad esso impone, debba avere in se’ efficacia tale da assicurare la soddisfazione del diritto attribuito all’assegnatario nei confronti dell’assegnato, che non puo’ essere costretto ad intraprendere un separato giudizio di cognizione per ottenere il titolo esecutivo. Il fondamento di questa efficacia esecutiva – di individuazione problematica in quanto l’articolo 474 c.p.c., non ricomprende il provvedimento di assegnazione tra i titoli esecutivi e l’articolo 533. c.p.c., non fa cenno dell’efficacia esecutiva dell’assegnazione – puo’ ricavarsi da una lettura sistematica delle norme disciplinanti l’espropriazione presso terzi. L’assegnazione in pagamento, a noma dell’articolo 552 c.p.c., consegue alla dichiarazione del terzo di essere debitore di somme (articolo 547 c.p.c.) ovvero, in mancanza, alla sentenza che definisce il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (articolo 548 c.p.c.). Se il procedimento si conclude con una sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo, non vi sono ovviamente problemi, essendo la sentenza – pur se definita di accertamento dall’articolo 549 c.p.c. – titolo esecutivo. Ma a conclusioni analoghe deve pervenirsi nel caso in cui l’assegnazione consegue alla dichiarazione confessoria del terzo. Al fini dell’assegnazione, infatti, l’articolo 553 c.p.c., pone sullo stesso piano la dichiarazione del terzo e la sentenza di accertamento. E sullo stesso piano devono porsi, per le esigenze della procedura esecutiva, l’efficacia della dichiarazione o della sentenza. Cio’ per l’ovvia considerazione che, come rilevato in dottrina, il terzo che ha usato della facolta’ di rendere la dichiarazione positiva si sottrae all’accertamento giudiziale a norma degli articoli 548 e 549 c.p.c., cosicche’ nulla puo’ poi lamentare se dopo l’ordinanza di assegnazione nessun accertamento sara’ necessario per conseguire quanto egli ha messo a disposizione della procedura esecutiva. In altri termini, l’alternativita’ tra la dichiarazione resa spontaneamente dal terzo e la sentenza che accerta l’obbligo del terzo induce a ritenere che in entrambi i casi il provvedimento di assegnazione abbia efficacia esecutiva. In tal modo si evita l’incoerenza che la procedura esecutiva possa concludersi con un provvedimento meramente dichiarativo, tale da imporre nuovamente al creditore il ricorso al giudizio di cognizione nei confronti del debitore ceduto. E non puo’ ritenersi, come invece lamenta la Banca ricorrente, che il terzo in tal modo vedrebbe deteriorare la propria posizione, in quanto la dichiarazione resa spontaneamente dal terzo, in luogo dell’accertamento giudiziale”.

Da questa ricostruzione si e’ tratta la conclusione per la quale “versandosi in materia di titolo esecutivo per un diritto esigibile non ha senso parlare di adempimento o inadempimento, essendo stata intrapresa l’esecuzione, con la notificazione del titolo esecutivo e del precetto, come previsto dall’articolo 479 c.p.c.. Quanto alla doglianza circa le ulteriori spese che sarebbero contenute nel precetto, si rileva che… il titolo esecutivo si estende anche alle spese necessarie alla sua concreta attuazione (Cass. 5 febbraio 1968, n. 394)”.

Il Collegio condivide la ricostruzione sistematica di cui sopra, ritenendo tuttavia che la stessa necessiti delle precisazioni di cui appresso, che comportano anche la modifica delle conclusioni da trarre sulla questione oggetto di ricorso.

E’ vero che l’equiparazione posta dall’articolo 553 c.p.c., tra la dichiarazione resa spontaneamente dal terzo e la sentenza (oggi, ordinanza, a seguito delle modifiche normative dell’articolo 549 c.p.c., su cui infra) che accerta l’obbligo del terzo induce a ritenere che in entrambi i casi il provvedimento di assegnazione adottato dal giudice dell’esecuzione abbia efficacia esecutiva, senza che sia necessario che il creditore ricorra nuovamente al giudizio di cognizione nei confronti del terzo assegnato.

Tuttavia, la posizione del terzo non e’ identica nell’una e nell’altra fattispecie.

Da tempo e’ stato superato l’orientamento giurisprudenziale, sostenuto anche da una parte della dottrina, secondo cui il terzo pignorato sarebbe parte del processo esecutivo (cfr., in tal senso, la risalente Cass. n. 1425/77), mediante l’affermazione – sostenuta da altra parte della dottrina – della estraneita’ del terzo al processo di espropriazione. Questo, infatti, si svolge tra creditori (procedente ed intervenuti) e debitore e, non essendo rivolta domanda alcuna nei confronti del terzo pignorato, questi ha la veste di terzo estraneo al processo in corso inter alios (cfr. gia’ Cass. n. 6242/87 e la giurisprudenza successiva, tra cui Cass. n. 6432/03, n. 18352/05, n. 25567/11; cui adde Cass. S.U. n. 9407/87 e Cass. n. 13247/14 e n. 6843/15, in tema di inapplicabilita’ al terzo dell’articolo 96 c.p.c.).

Incidentalmente si osserva che la riforma del processo per espropriazione presso terzi attuata con la L. 24 dicembre 2012, n. 228 e proseguita con il Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162 e, da ultimo, col Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132 (di cui non e’ dato occuparsi espressamente perche’ non applicabili ratione temporis), non comporta una diversa posizione del debitor debitoris, che continua ad essere terzo estraneo al processo esecutivo. Anzi, questa estraneita’ e’ fisicamente riscontrata dalla, oramai normale, assenza del terzo all’udienza fissata ex articolo 543 c.p.c., n. 4, dovendo il terzo rendere la dichiarazione per iscritto al creditore (cfr., sulla ribadita estraneita’ del terzo al processo esecutivo, nel vigore delle norme introdotte con la riforma del 2012, Cass. n. 11642/14).

Diversa e’ invece la posizione che il terzo assume nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, sia quando condotto nelle forme dell’ordinario giudizio di cognizione ai sensi dell’articolo 549 c.p.c., nel testo originario del codice di rito, sia quando condotto nelle forme dell’incidente dinanzi al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 549 c.p.c., come sostituito dalla L. n. 228 del 2012, e modificato dal Decreto Legge n. 83 del 2015, conv. nella L. n. 132 del 2015.

In entrambe siffatte situazioni processuali il terzo “diventa” parte del processo (o sub procedimento) di accertamento del suo obbligo che si conclude con sentenza (ovvero, a seguito della riforma predetta, con ordinanza).

Allora, l’equiparazione delle due situazioni che si trae dal disposto dell’articolo 553 c.p.c., non puo’ essere portata fino alle conseguenze tratte dal precedente di cui a Cass. n. 3976/03.

Quando l’ordinanza di assegnazione e’ pronunciata a seguito di dichiarazione positiva del terzo (oggi, dopo la modifica degli articoli 547 e 548 c.p.c., di cui alle leggi citate, anche a seguito di dichiarazione mancata o rifiutata), senza che sia stato necessario procedere all’accertamento dell’obbligo del terzo (con giudizio ordinario ovvero, dopo le modifiche anzidette, con accertamento incidentale dinanzi al giudice dell’esecuzione) essa costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo assegnato; tuttavia, e’ un titolo esecutivo che si e’ formato in un giudizio del quale il terzo non e’ stato mai parte.

Questa situazione processuale vale a distinguere l’ordinanza di assegnazione ex articolo 553 c.p.c., da ogni altro titolo giudiziale che venga azionato esecutivamente nei confronti della parte che e’ stata tale nel giudizio in cui il titolo si e’ formato. Solo in tale ultima eventualita’ si giustifica sistematicamente la previsione dell’articolo 479 c.p.c., u.c., che consente al creditore di notificare il titolo in forma esecutiva contestualmente al precetto: il legislatore del codice ha dato per scontato che il debitore esecutato, essendo stato parte, appunto, nel processo in cui il titolo esecutivo si e’ formato, lo conosca e, malgrado cio’, non vi abbia prestato spontanea esecuzione.

Vi e’ un’altra norma che corrobora, a contrario, la conclusione appena raggiunta. L’articolo 477 c.p.c., comma 1, prevede, infatti, che il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi “ma si puo’ loro notificare il precetto soltanto dopo dieci giorni dalla notificazione del titolo”. La ratio del divieto di notificazione contestuale di titolo esecutivo e di precetto e’ la medesima: poiche’ i destinatari erano estranei al processo in cui il titolo esecutivo si e’ formato (pur se subentrati nella posizione debitoria in qualita’ di successori del defunto), se ne presume l’incolpevole mancata spontanea esecuzione per la presunzione di non conoscenza di un titolo non formatosi nei loro confronti.

La medesima ratio ha indotto la giurisprudenza di legittimita’ ad estendere la disciplina processuale dell’articolo 477 c.p.c., comma 1, alle ipotesi di c.d. efficacia espansiva del titolo esecutivo (nelle quali questo e’ utilizzabile nei confronti di soggetti diversi sia da quello contemplato nel titolo sia dal suo successore in senso stretto), come per il socio rispetto alla societa’ di persone e per il singolo condomino rispetto al condominio. Al riguardo, si e’ espressamente affermato che il titolo esecutivo formatosi nei confronti dell’ente collettivo debba essere notificato, nei confronti del singolo, prima e separatamente dal precetto (cfr. Cass. n. 1289/12).

Nel caso in esame peraltro vi e’ la complicazione costituita dal fatto che l’ordinanza di assegnazione non e’ titolo esecutivo contro il debitore originario (cfr., da ultimo, Cass. ord. n. 30457/11) ma soltanto contro il terzo assegnato. Pertanto, non ci si trova in presenza ne’ di un fenomeno successorio ne’ di un fenomeno di espansione soggettiva del titolo esecutivo. Piuttosto, in linea di continuita’ con la sentenza n. 3297/03 (che ha fatto propria un’autorevole tesi dottrinale, per la quale non sarebbe coerente con le finalita’ della legge che un procedimento espropriativo si chiuda con un provvedimento avente efficacia soltanto dichiarativa), va affermato che si determina una cessione coattiva del credito, con una modificazione soggettiva dell’originario rapporto tra il debitore esecutato ed il suo debitore, terzo pignorato (cfr. Cass. n. 394/68). Di questa modificazione soggettiva, quest’ultimo non puo’ non essere informato in base al principio generale desumibile dall’articolo 1264 c.c., comma 1, dettato per la cessione del credito. In sintesi, se e’ vero che l’assegnazione determina la sostituzione del creditore pignorante al creditore-debitore pignorato sicche’ il terzo e’ tenuto ad adempiere nei confronti dell’assegnatario, questo effetto per il terzo assegnato si determina soltanto quando egli venga a conoscenza del provvedimento di assegnazione (arg. ex articolo 1264 c.c., comma 1).

Poiche’ il terzo non e’ parte del processo esecutivo, anche se sia comparso in udienza a rendere la dichiarazione ai sensi dell’articolo 547 c.p.c. (nel testo originario, ovvero ai sensi dell’articolo 548 c.p.c., nel testo risultante dalle modifiche di cui sopra), non e’ applicabile nei suoi confronti l’articolo 176 c.p.c., comma 2. Pertanto, la conoscenza dell’ordinanza di assegnazione da parte del terzo dovra’ essere assicurata altrimenti.

Soltanto dopo che il terzo, messo a conoscenza dell’ordinanza di assegnazione, sia percio’ messo in condizione di darvi spontanea esecuzione, potra’ configurarsi un inadempimento del terzo nei confronti del creditore assegnatario (restando cosi’ superate le contrarie affermazioni contenute nel precedente di cui a Cass. n. 9888/95); quindi, soltanto dopo questo momento potra’ essere avviata l’azione esecutiva nei confronti del terzo che non abbia spontaneamente adempiuto (atteso che, come si afferma nella sentenza n. 5368/03, che ha disposto il rinvio, “e’ generalmente ammesso che l’inadempimento del terzo debba potersi superare dal creditore ed il modo non possa esserne rappresentato che da una esecuzione forzata per espropriazione”). Tutto cio’ comporta che – ferma restando la valutazione caso per caso rimessa al giudice del merito – il terzo possa essere considerato inadempiente soltanto dopo il decorso di un termine ragionevole dalla presa d’atto dell’avvenuta assegnazione – tale dovendosi intendere un termine almeno non inferiore a dieci giorni (arg. ex articolo 477, comma 1, nonche’ ex articolo 480 c.p.c., comma 1).

Giova aggiungere che potrebbe essere opportuno che, emettendo l’ordinanza di assegnazione, il giudice dell’esecuzione ne differisca l’effetto esecutivo, fissando egli questo termine, decorrente dalla conoscenza del provvedimento da parte del terzo, prima del quale il credito in essa contemplato non sia esigibile. Va allora affermato il seguente principio di diritto: “In tema di esecuzione mobiliare presso terzi, l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 553 c.p.c., assegna in pagamento al creditore procedente la somma di cui il terzo pignorato si e’ dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo ed a favore dell’assegnatario ma acquista tale efficacia soltanto dal momento in cui sia portata a conoscenza del terzo assegnatario o dal momento successivo a tale conoscenza che sia specificamente indicato nell’ordinanza di assegnazione”.

Corollari di questo principio di diritto sono i seguenti:

– il creditore procedente potra’ comunicare l’ordinanza di assegnazione al terzo ovvero potra’ notificargli lo stesso provvedimento in forma esecutiva; ma, in tale seconda eventualita’, non potra’ essere contestualmente intimato il precetto, risultando inapplicabile il disposto dell’articolo 479 c.p.c., comma 3;

– se tuttavia il precetto venga redatto di seguito all’ordinanza di assegnazione e notificato insieme con questa, senza che sia stato preceduto dalla comunicazione dell’ordinanza al terzo assegnato (e/o dalla concessione di un termine adeguato per adempiervi), si potra’ configurare un abuso dello strumento esecutivo nei confronti del terzo assegnato, non ancora inadempiente (o non colpevolmente inadempiente). In proposito, il principio di diritto di cui sopra si specifica nell’affermazione per la quale “se l’ordinanza di assegnazione pronunciata ai sensi dell’articolo 553 c.p.c., viene notificata al terzo in forma esecutiva contestualmente all’atto di precetto, senza che gli sia stata preventivamente comunicata ne’ altrimenti resa nota, e’ inapplicabile l’articolo 95 c.p.c. e le spese sostenute per il precetto restano a carico del creditore procedente”. Il corrispondente vizio del precetto, per la parte in cui sono pretese tali spese, puo’ essere fatto valere mediante opposizione all’esecuzione, in quanto si contesta il diritto del creditore di procedere esecutivamente per il rimborso delle somme auto-liquidate nel precetto.

Dal momento che la Corte d’Appello di Catanzaro, nel decidere un’opposizione di tale contenuto, ha presupposto che in tanto queste spese potessero essere rimborsate in quanto il terzo fosse inadempiente, la censura di violazione di legge mossa col primo motivo si rivela del tutto infondata, alla stregua dei principi appena enunciati.

3.2.- Resta da verificare se, come pure dedotto col primo motivo, nella specie fosse configurabile un inadempimento della (OMISSIS), rimasta colpevolmente inerte malgrado fosse stata resa edotta dell’emissione delle sedici ordinanze di assegnazione per cui processo.

Orbene, dagli atti risulta incontestabilmente che queste ultime, emesse in data 20 aprile 1994, vennero notificate in forma esecutiva unitamente all’atto di precetto, in data 14 febbraio 1995 (e, tutte insieme, per il credito dell’avv. (OMISSIS), quale distrattario, in data 1 marzo 1995). Non risulta affatto dalla sentenza che la notificazione del titolo esecutivo e del precetto sia stata preceduta dalla comunicazione delle ordinanze allo stesso istituto di credito ovvero dall’invio a quest’ultimo di solleciti di pagamento.

La contraria affermazione contenuta nel ricorso e’ del tutto sfornita di riscontri fattuali, anche soltanto affermati (non contenendo il ricorso nemmeno un cenno alla data e/o alle modalita’ con cui l’asserita comunicazione o gli asseriti solleciti sarebbero intervenuti), oltre che mancante di autosufficienza quanto al fatto che la pregressa comunicazione ed i precedenti solleciti siano stati documentati nelle fasi di merito e quanto all’indicazione degli atti con cui sarebbero stati documentati. Essendo in contestazione le spese auto-liquidate negli atti di precetto, sono del tutto irrilevanti le vicende accadute dopo la loro notificazione (su cui tanto insiste il ricorrente, nel sostenere il permanente inadempimento della (OMISSIS)).

Dato quanto sopra, il fatto della asserita comunicazione alla (OMISSIS) delle sedici ordinanze di assegnazione in epoca precedente la notificazione del precetto risulta essere emerso per la prima volta dinanzi a questa Corte di legittimita’, senza che si evinca dal ricorso che sia stato oggetto di discussione tra le parti nei gradi di merito (arg. ex articolo 360 c.p.c., n. 5). La corrispondente censura va percio’ reputata inammissibile.

4.- Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. – difetto assoluto di motivazione – illogicita’ e contraddittorieta’ manifeste (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Il ricorrente critica la compensazione delle spese pronunciata dal giudice di rinvio in riferimento a tutte le cause di opposizione agli atti esecutivi in parte dichiarate inammissibili ed in parte rigettate, per le quali la (OMISSIS) e’ risultata soccombente.

La Corte d’Appello ha ritenuto la sussistenza di giusti motivi di compensazione integrale tra quest’ultima e l’avv. (OMISSIS), in proprio, in quanto costituitosi per resistere all’opposizione nell’interesse dei singoli creditori senza tuttavia averne ricevuto mandato; il giudice di merito ha motivato la decisione di compensazione avuto riguardo alla estrema particolarita’ e controvertibilita’ delle questioni di diritto sottese alle decisioni assunte rivelatesi di tutt’altro che agevole soluzione”.

Il ricorrente critica inoltre la decisione di compensare le spese del giudizio di rinvio, che la Corte d’Appello ha ritenuto giustificata per “il tenore dell’assunta decisione e la soccombenza parziale dell’appellante in esito al giudizio di appello in sede di rinvio”.

4.1.- Secondo il ricorrente, la prima delle due motivazioni sarebbe generica, e contraddittoria con l’esito effettivo del giudizio (in quanto si e’ trattato della dichiarazione di inammissibilita’ di opposizioni agli atti esecutivi in applicazione dell’articolo 617 c.p.c.); parimenti “carente illogica e contraddittoria” sarebbe anche la seconda motivazione (in quanto vi sarebbe comunque la “sproporzione” tra l’accoglimento di sedici appelli – riguardanti “ben sedici parti in causa” – ed il rigetto del diciassettesimo appello).

5.- Il motivo e’ inammissibile sotto entrambi i profili.

E’ sufficiente rilevare che il presente giudizio e’ stato introdotto nella vigenza del testo originario dell’articolo 92 c.p.c., comma 2.

In proposito, va qui ribadito che, nel regime anteriore alla novella dell’articolo 92 c.p.c., recata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera a), rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporre la compensazione delle spese, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte. Tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all’esistenza di “giusti motivi”, non necessita di alcuna esplicita motivazione e non e’ censurabile in cassazione, salvo che lo stesso giudice abbia specificamente indicato le ragioni della sua pronuncia, dovendosi, in tal caso, il sindacato di legittimita’ estendere alla verifica dell’idoneita’ in astratto dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell’adeguatezza della relativa motivazione (cosi’, tra le altre, Cass. n. 7523/09, pronunciata con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 5, vigente prima delle modifiche di cui appresso).

La sentenza impugnata e’ stata pubblicata il 20 maggio 2013. Ad essa pertanto si applica l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. Questo deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cosi’ Cass. S.U. n. 8053/14).

Nella specie, le ragioni di compensazione sono indicate nei termini su riportati.

Esse danno luogo a motivazione non apparente ne’ contenente affermazioni inconciliabili tra loro ne’, infine, incomprensibile.

Il motivo in esame finisce per dedurre un vizio – quello della motivazione insufficiente – non piu’ deducibile, sicche’ va dichiarato inammissibile.

Per di piu’, con riferimento al secondo profilo di censura, va ribadito che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimita’, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalita’ fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cosi’ Cass. n. 2149/14).

6.- Col terzo motivo si deduce l’omessa pronuncia relativamente alle spese del giudizio di appello concluso con la sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 197/1999, nonche’ l’omessa motivazione.

Il motivo e’ fondato quanto alla prima censura, con assorbimento della seconda.

In effetti il giudice del rinvio avrebbe dovuto provvedere al regolamento delle spese di tutti i pregressi gradi di merito, compreso quindi il grado di appello concluso con la sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 197/1999, cassata dalla Corte di Cassazione.

Il motivo va percio’ accolto.

Il Collegio ritiene peraltro di applicare il principio di diritto per il quale “alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’articolo 111 Cost., comma 2, nonche’ di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale articolo 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione puo’ omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilita’ di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (cosi’ Cass. n. 2313/10, nonche’ Cass. n. 15112/13, ord. n. 21257/14, n. 21968/15).

6.1.- Passando, pertanto, all’esame del merito, si ritiene che, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, le spese del giudizio di appello debbano essere compensate, dal momento che in esso, per come esplicitato nella sentenza che ha disposto il rinvio, non vennero affatto in rilievo le posizioni di sedici parti, autonomamente considerate (poiche’ l’avv. (OMISSIS) era privo di mandato alle liti per agire nell’interesse dei creditori opposti), ma soltanto la posizione dello stesso avv. (OMISSIS) (che per detto motivo era stato condannato al pagamento delle spese in proprio). Conseguentemente, avendo egli ragione di lamentare l’erroneita’ di questa condanna, con l’impugnazione delle sentenze n. 180 e da n. 182 a 196 del 1996, ed avendo egli torto con l’impugnazione della sentenza n. 181 del 1996 (per come dimostrato dal fatto che il ricorso per cassazione venne accolto solo limitatamente al vizio di omessa pronuncia, superato col rigetto del gravame in esito al rinvio), si e’ venuta a determinare, rispetto all’unica posizione dell’appellante avv. (OMISSIS), una situazione equiparabile a quella della soccombenza reciproca ai fini della compensazione delle spese (cfr. Cass. ord. n. 22381/09 e n. 21684/13).

7.- In conclusione, vanno respinti i primi due motivi di ricorso e va accolto il terzo; la sentenza impugnata va cassata per quanto di ragione e, decidendo nel merito, vanno compensate le spese del giudizio di appello.

Il rigetto dei primi due motivi di ricorso e l’accoglimento soltanto del terzo comportano che, non essendosi difesa l’intimata, le spese del giudizio di legittimita’ possano essere lasciate a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis. Avuto riguardo all’accoglimento del terzo motivo di ricorso, non sussistono i presupposti per l’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso. Accoglie il terzo e cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione; decidendo nel merito, compensa le spese del giudizio di appello.

Spese del giudizio di legittimita’ a carico del ricorrente.

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