Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 14 giugno 2019, n. 26272.
La massima estrapolata:
La concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche costituiscono l’esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale non è tenuto in particolare a motivare il diniego ove, in sede di conclusioni, non sia stata formulata specifica istanza con l’indicazione delle ragioni atte a giustificarne il riconoscimento.
Sentenza 14 giugno 2019, n. 26272
Data udienza 7 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. SOCCI Angelo M. – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/05/2018 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MOLINO PIETRO, che conclude per l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. In accoglimento dell’appello del pubblico ministero, con la sentenza del 23 maggio 2018 la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza di assoluzione del Tribunale di Como del 13 febbraio 2014, ha condannato, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) alla pena di 7 anni di reclusione per il reato ex articolo 609-octies c.p. perche’ costrinsero (OMISSIS) ad avere rapporti sessuali completi con violenza, imponendo la loro presenza alla persona offesa in una cantina, spazio ristretto ed isolato dall’esterno, in una situazione in cui la donna era affetta da ritardo cognitivo e disturbo epilettico con deficit delle performance di autonomia e del comportamento.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano il difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione.
2.1 Con il primo motivo si deducono, ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), i vizi di violazione degli articoli 530 e 533 c.p.p. e della motivazione quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, motivazione tale da non superare il ragionevole dubbio.
La Corte di appello di Milano avrebbe omesso la motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato (cfr. pag. 8), sulla percezione del dissenso ai rapporti, con un minimo riferimento a pagina 5 sul fatto che e’ inverosimile che gli imputati non si siano accorti che la donna stava piangendo.
Mancherebbe la motivazione rafforzata sull’elemento soggettivo escluso dal Tribunale.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, ex articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio della motivazione per avere la Corte di appello fatto discendere la responsabilita’ dei ricorrenti in base alle sole dichiarazioni della vittima.
La Corte di appello ha rilevato che la persona offesa ha un deficit cognitivo ed un discontrollo del comportamento per cui e’ incapace di dire di no, di non farsi sopraffare, e rivelare i propri sentimenti, salvo poi reagire violentemente ai torti subiti.
Tali elementi di fatto indussero il Tribunale a ritenere che i ricorrenti non fossero stati in grado di percepire il dissenso; in appello, dall’esame della persona offesa sono emersi elementi ulteriori.
Mediante i richiami della giurisprudenza, si sostiene che sarebbe mancata la verifica della credibilita’ soggettiva e dell’attendibilita’ intrinseca del racconto, nonche’ gli elementi di supporto esterni necessari ove la dichiarante sia affetta da deficit psichico.
Si rileva che la persona offesa segui’ nella cantina spontaneamente (OMISSIS), con il quale aveva gia’ avuto una relazione e ne era rimasta incinta; nello stesso luogo in precedenza aveva avuto rapporti sessuali con (OMISSIS).
Solo dinanzi alla Corte di appello la persona offesa ha dichiarato di aver espresso il dissenso piangendo vistosamente e cercando di spingere via con una mano uno dei tre aggressori.
La Corte di appello avrebbe motivato in modo illogico sulle incongruenze rispetto a quanto dichiarato in querela ed in fase di indagine preliminare mediante giudizio di verosimiglianza (cfr. pagina 6 della sentenza impugnata), anche quanto all’aver omesso di riferire sui pregressi rapporti sessuali con (OMISSIS), ed avrebbe espresso delle opinioni piu’ che una certezza processuale.
Quanto alla conoscenza con (OMISSIS), si rileva che la persona offesa ha dato diverse versioni nella querela e nell’istruttoria dibattimentale, qui ammettendo di aver avuto rapporti con quest’ultimo nella stessa cantina in cui sono avvenuti i fatti.
Rilevano i ricorrenti che il riferimento al pianto durante i rapporti e’ avvenuto solo nell’istruttoria dinanzi alla Corte di appello e non e’ stato confermato dagli altri testimoni.
Per le contraddizioni nel racconto, per aver ritenuto che gli imputati avessero pensato che la donna fosse consenziente per aver seguito (OMISSIS), la Corte di appello avrebbe dovuto giungere a conclusioni differenti.
La motivazione sarebbe illogica laddove la persona offesa e’ stata ritenuta credibile, pur avendo riferito del dissenso esplicito solo nel giudizio di appello; ne’ la Corte di appello avrebbe tenuto conto che la persona offesa era convinta che i tre imputati non fossero consapevoli del suo dissenso.
2.3. Con il terzo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e) in relazione alla quantificazione della pena.
Dopo aver riportato la motivazione della sentenza di appello, si afferma che la Corte di appello non avrebbe preso in considerazione tutti i criteri ex articolo 133 c.p., limitandosi al giudizio sulla gravita’ del reato, senza tener conto della capacita’ a delinquere dei ricorrenti che sono incensurati.
La Corte di appello avrebbe poi omesso di motivare sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, richieste dalla difesa, e non ha valutato il contributo di ciascun imputato nello svolgimento dei fatti. Non sono stati considerati i pregressi rapporti che legavano i ricorrenti alla vittima, posto che due imputati avevano gia’ avuto rapporti con la ragazza e con il terzo aveva avuto una conoscenza su di un social network, strumento con il quale la persona offesa iniziava ad avere i rapporti con gli extra comunitari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo e’ inammissibile sotto diversi profili.
1.1. E’ inammissibile il primo motivo con cui si deduce il vizio di violazione di legge con riferimento agli articoli 530 e 533 c.p.p..
Oltre a rilevarsi che nel ricorso si richiama dell’articolo 606 c.p.p., la lettera b) con riferimento alla violazione di norme processuali, va ricordato che il vizio di violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., lettera c), consegue solo all’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza. Le norme indicate, gli articoli 530 e 533 c.p.p., non prevedono tali sanzioni.
Va ribadito che (cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, Zonfrilli, Rv. 264174) la violazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio deve essere dedotta mediante censure specifiche rivolte alla motivazione della sentenza impugnata.
1.2. Il primo motivo, relativo al vizio della motivazione, e’ manifestamente infondato. La consumazione dei rapporti sessuali tra gli imputati e la vittima, con modalita’ tali da realizzare condotta “di gruppo”, non e’ contestata dagli imputati; l’assoluzione e’ avvenuta infatti in primo grado con riferimento all’elemento soggettivo del reato.
La motivazione della Corte di appello, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, e’ tutta volta a dimostrare, anche mediante l’esame avvenuto nel giudizio di appello, che vi fu una manifestazione esplicita di dissenso al rapporto di gruppo a cui fu costretta la persona offesa. La motivazione sull’elemento soggettivo del reato non si sostanzia nelle poche righe a cui fa riferimento la difesa ma si rinviene nelle pagine da 4 ad 8.
La Corte di appello di Milano ha poi esplicitamente preso in esame la motivazione della sentenza del Tribunale; ne ha effettuato il vaglio critico ed ha superato le argomentazioni del giudice di primo grado pervenendo alla condanna.
2. Il secondo motivo e’ infondato.
2.1. Va ribadito il costante orientamento della giurisprudenza, confermato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Cass. Sez. Unite, con la sentenza n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214, per il quale la valutazione della credibilita’ della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo’ essere rivalutata in sede di legittimita’, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni.
2.2. Nel ragionamento seguito dalla Corte di appello di Milano non esistono tali manifeste contraddizioni.
2.2.1. Va rilevato che l’aver pianto durante i rapporti fu riferito anche in primo grado, come emerge dalla stessa sentenza impugnata. Sul punto il motivo e’ pertanto manifestamente infondato.
2.2.2. La Corte di appello di Milano ha fondato la sua decisione, oltre che sulle dichiarazioni della persona offesa, anche sulla testimonianza di due testi, (OMISSIS) e (OMISSIS), le cui deposizioni non furono valutate dal Tribunale.
Tali due testi riferirono che la persona offesa giunse in ritardo a scuola, era turbata, come se avesse appena smesso di piangere, aveva gli occhi rossi.
La Corte di appello ha quindi ritenuto che le dichiarazioni della persona offesa, rinnovate nel giudizio di appello, siano attendibili, perche’ confermate da altre due testimonianze; ha ritenuto che il pianto, ribadito in appello, rappresentasse una chiara manifestazione di dissenso al rapporto sessuale di gruppo.
Con tale parte della motivazione, il ricorso non si confronta ed e’ pertanto anche privo del requisito della specificita’ estrinseca.
2.2.3. Va poi rilevato che la Corte di appello ha anche preso in esame le dichiarazioni della vittima laddove all’inizio ella segui’ spontaneamente (OMISSIS), con il quale gia’ aveva avuto una relazione. La Corte di appello ha pero’ chiarito che una cosa e’ stato seguire (OMISSIS) e non opporsi ad un rapporto con costui, un’altra e’ trovarsi in una situazione diversa, con i tre uomini insieme. Fu proprio tale nuova condizione di fatto che genero’ il cambiamento della volonta’ della ragazza, la sua situazione interiore, non manifestando alcun consenso ai tre rapporti, e manifestando il dissenso con il pianto, con la paura e con lo spingere via, invano, uno dei tre imputati.
2.2.4. Va poi rilevato che la Corte di appello non ha fondato la decisione su giudizi di verosimiglianza: al contrario, ha analizzato le dichiarazioni rese in appello anche alla luce della prova logica, ritenendo la reazione della vittima coerente con l’assenza di un intento calunniatorio e con le patologie di cui soffre, con l’incapacita’ di manifestare il dissenso in forme piu’ reattive.
La Corte di appello, di fronte alle dichiarazioni rinnovate ed alle prove non valutate dal Tribunale, ha ritenuto non credibile che gli imputati non si fossero accorti del pianto della vittima, del suo mutato atteggiamento rispetto all’aver seguito il solo (OMISSIS).
2.2.5. Per altro, la Corte di appello ha tratto dalle modalita’ del fatto gli elementi per ritenere sussistente il dolo del reato contestato: la contemporanea presenza dei tre uomini, in uno spazio angusto, l’assenza di richiesta di avere un rapporto sessuale di gruppo, la prosecuzione dell’azione nonostante il pianto della vittima, l’aver continuato a parlare tra loro in ghanese rendendo la ragazza il mero oggetto della loro condotta, l’imposizione del corpo degli aggressori su quello della vittima.
2.2.6. Anche la motivazione sul rapporto gia’ avuto con (OMISSIS) non e’ manifestamente illogica o contraddittoria: e’ invece del tutto coerente con la motivazione laddove rileva che il dissenso e’ stato manifestato al rapporto di gruppo.
3. Il terzo motivo sulla determinazione della pena e’ inammissibile.
3.1. Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza della Corte di Cassazione, assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione il giudice di merito che enunci, anche sinteticamente, la valutazione di uno (o piu’) dei criteri indicati nell’articolo 133 c.p.; non e’ necessaria un’analitica esposizione dei criteri adottati, pur non potendosi far ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla entita’ del fatto e alla personalita’ dell’imputato (Cass., Sez. 6, 18/11/1999, dep. 2000, n. 2925).
Pero’, il dovere per il giudice di una specifica motivazione e’ stato ancorato allo scostamento dal minimo edittale.
E’ stato ritenuto che l’uso del potere discrezionale del giudice, nella graduazione della pena, e’ insindacabile nei casi in cui la pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, sia applicata in misura media e, ancor piu’, se prossima al minimo, essendo sufficiente in tali casi richiamare criteri di adeguatezza, congruita’, non eccessivita’, di equita’ e simili.
Cio’ dimostra che il giudice ha considerato, sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’articolo 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. Cfr. Cass. Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, rv. 265283 che ha affermato, in tema di determinazione della pena, che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p..
Si veda anche Cass. sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949, che ha affermato che nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non e’ necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, se il parametro valutativo e’ desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena.
3.2. La Corte di appello ha inflitto una pena che si discosta di un anno dal minimo edittale ed e’ al disotto del medio edittale, essendo punito il reato de quo con la pena della reclusione fino a 12 anni.
La Corte di appello di Milano ha in ogni caso fatto riferimento alla gravita’ del fatto ampiamente descritta nella motivazione.
Ne consegue che il motivo e’ inammissibile perche’ mira in sostanza ad una nuova valutazione della congruita’ della pena, non possibile nel giudizio di cassazione; ne’ la determinazione puo’ ritenersi frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sorretta da sufficiente motivazione.
4. E’ inammissibile il motivo sulle circostanze attenuanti generiche.
4.1. All’udienza del 23 maggio 2018, nelle conclusioni dinanzi alla Corte di appello, i difensori degli imputati chiesero in via subordinata, a verbale e senza deposito di memoria, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Nel verbale di udienza non sono riportate gli argomenti a sostegno della concessione delle circostanze attenuanti generiche: inoltre, anche con il ricorso per cassazione, cfr. pag. 8, non sono indicati specificamente gli elementi di fatto in base ai quali potrebbero essere concesse le circostanze attenuanti generiche. Gli elementi di fatto oggetto del motivo attengono infatti alla determinazione della pena.
4.2. Secondo il costante e risalente orientamento della giurisprudenza, la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche costituiscono l’esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale e’ obbligato a motivare al riguardo solo quando in relazione ad esse vi sia stata un’espressa istanza con l’indicazione delle ragioni atte a giustificare la particolare benevolenza del giudice. Cfr. Cass. Sez. 2, n. 4597 del 06/12/1972 – dep. 1973, Colombo, Rv. 124315; tale sentenza e’ richiamata da Cass. Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696 – 01 che ha affermato che il giudice di merito non e’ tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne’ e’ obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non potendo equivalere la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti. In applicazione del principio, e’ stata ritenuta corretta la decisione del giudice di merito, che non aveva espressamente motivato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, sebbene sollecitate nelle conclusioni dal P.M..
5. Pertanto, i ricorsi devono essere rigettati.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. si condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52in quanto imposto dalla legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.
Leave a Reply