Principio di correlazione tra accusa e sentenza

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 14 giugno 2019, n. 26329.

La massima estrapolata:

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui, a fronte della condanna in primo grado per il delitto di cui all’art. 570 cod. pen., nel giudizio di appello il fatto sia qualificato ai sensi degli artt. 12-sexies legge 1 dicembre 1970, n. 898 e 3 legge 8 febbraio 2006, n. 54 , attualmente art. 570-bis cod. pen., essendo tale riqualificazione prevedibile per l’imputato e non determinando la stessa una lesione dei diritti della difesa.

Sentenza 14 giugno 2019, n. 26329

Data udienza 14 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 07/02/2018 dalla Corte di appello di Lecce;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Aniello Roberto, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza limitatamente alla determinazione della pena ed il rigetto del ricorso per il resto;
udito il difensore dell’imputato, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, ricondotti i fatti alla fattispecie di reato prevista dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12 sexies, ha confermato la sentenza con cui (OMISSIS) e’ stato condannato per essersi sottratto all’obbligo di assistenza nei confronti della ex moglie e del figlio maggiorenne, omettendo di corrispondere le somme indicate dal Tribunale civile in sede di divorzio.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato articolando cinque motivi.
2.1.Con il primo si deduce violazione di legge processuale in relazione agli articoli 521 e 522 c.p.p..
Il ricorrente, rinviato a giudizio per il reato previsto dall’articolo 570 c.p., sarebbe stato condannato per un reato diverso da quello contestato, senza avere avuto la possibilita’ di interloquire, tenuto conto della eterogeneita’ delle due fattispecie criminose.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge penale; la Corte avrebbe condannato l’imputato anche per l’omesso pagamento delle somme indicate dal Tribunale in favore del figlio maggiorenne che, tuttavia, all’epoca era economicamente indipendente e svolgeva attivita’ lavorativa.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge in ordine all’articolo 120 c.p..
Il reato di cui all’articolo 570 c.p., se commesso nei riguardi di figlio maggiorenne, sarebbe a procedibilita’ condizionata e nella specie mancherebbe la querela.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge penale in relazione all’articolo 45 c.p..
L’imputato risiederebbe in Venezuela dal 2005 e, secondo la legge del luogo, non sarebbe possibile ottenere valuta da esportare, nemmeno per adempiere gli obblighi derivanti da una sentenza di uno Stato estero; il ricorrente, dunque, non sarebbe punibile, atteso che non avrebbe adempiuto alla sua obbligazione per una causa di forza maggiore non imputabile.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla pena irrogata; la sentenza sarebbe illegittima per avere inflitto cumulativamente la pena detentiva e pecuniaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso e’ fondato, limitatamente al quinto motivo di ricorso.
2. E’ inammissibile il primo motivo di ricorso.
2.1. La Corte di appello ha ritenuto di dover ricondurre i fatti oggetto della imputazione al reato previsto dalla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies.
In via pregiudiziale e’ utile evidenziare che l’articolo 570 bis c.p., inserito dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 2, comma 1, lettera c), rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”, sanziona, con le pene previste dall’articolo 570 c.p., la condotta del coniuge che “si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullita’ del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economia in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.
La norma ripropone le previgenti disposizioni penali contenute alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12-sexies ed alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, articolo 3, norme che, conseguentemente, sono state espressamente abrogate dalla Decreto Legislativo n. 21 del 2018, articolo 7, lettera b) e d), e la Corte di cassazione ha gia’ affermato la piena continuita’ normativa fra la “nuova” fattispecie prevista dall’articolo 570 bis c.p. rispetto a quelle abrogate (Sez. 6, n. 55744 del 24/10/2018, G. Rv. 274943; Sez. 6, n. 56080 del 17/01/2018, G. Rv. 274732).
2.2. Cio’ detto, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’articolo 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’articolo 111 Cost., comma 2, e dell’articolo 6 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita’ che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438).
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, pur nella estrema varieta’ degli accenti dovuta all’intervento casistico tipico di quella Corte, ha in piu’ occasioni escluso la violazione dei parametri convenzionali in tutti i casi in cui la prospettiva della nuova definizione giuridica fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato, censurando, in concreto, le ipotesi in cui la riqualificazione dell’addebito avesse assunto le caratteristiche di atto a sorpresa.
Si e’ aggiunto che il diritto di difesa e quello al contraddittorio non sono vulnerati nei casi in cui i fatti costitutivi del nuovo reato siano gia’ presenti nella originaria imputazione e cio’ anche nei casi in cui la nuova definizione giuridica non fosse stata di per se’ prevedibile per l’imputato (v. fra le tante, sentenze 1 marzo 2001, Dallos c. Ungheria; 3 luglio 2006, Vesque c. Francia; 7 gennaio 2010, Penev c. Bulgaria; 12 aprile 2011, Adrian Constantin c. Romania; 3 maggio 2011; Giosakis c. Grecia; 15 gennaio 2015, Mihei c. Slovenia, nella quale ultima si e’ in particolare rilevato come l’imputato fosse pienamente a conoscenza degli elementi fattuali posti alla base della contestazione originaria, dai quali era possibile desumere l’oggetto della contestazione cosi’ come modificata nel corso del dibattimento).
La violazione del principio di correlazione, derivante dalla diversa qualificazione del fatto, deve comportare una concreta, effettiva limitazione dei diritti difensivi, una modifica strutturale della cornice d’accusa derivante da profili di novita’ che si pongono in termini novativi rispetto alla precedente ipotesi accusatoria.
In considerazione dei principi indicati, il motivo di ricorso rivela una evidente genericita’ strutturale, non avendo il ricorrente nemmeno prospettato quale sarebbe stata, nella specie, la concreta emergenza alla stregua della quale apprezzare che la censurata riqualificazione dei fatti abbia in qualche modo vulnerato la sua difesa e, soprattutto, l’esercizio del diritto alla prova.
Sotto altro profilo, dall’esame della imputazione originariamente contestata al ricorrente, emerge con chiarezza l’intero quadro di riferimento fattuale su cui si e’ articolato nell’intero corso del processo il contraddittorio e il diritto alla prova; dunque, una riqualificazione dei fatti che ha portato ad affermare la penale responsabilita’ dell’imputato per una fattispecie che era prevedibile, che ha una struttura omogenea rispetto a quella del reato originariamente contestato, rispetto alla quale alcune elemento concreto e’ stato portato alla cognizione della Corte per far ipotizzare una effettiva lesione dei diritti e delle prerogative difensive.
Ne deriva l’inammissibilita’ del motivo.
3. E’ inammissibile: perche’ aspecifico, il secondo motivo di ricorso.
3.1. Assume il ricorrente che al momento della commissione dei fatti oggetto del processo (dal 22/02/2012) uno dei figli dell’imputato fosse gia’ maggiorenne, essendo nato il 24/01/1992, ed economicamente autonomo e, dunque, rispetto ad esso, il reato, come ritenuto dalla Corte di appello, non sussisterebbe, atteso il principio secondo cui la L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12 sexies, punisce il mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice, in sede di divorzio, in favore dei figli senza limitazione di eta’, purche’ economicamente non autonomi (cfr., Sez. 6, n. 22831 del 29/03/2018, G., Rv. 273386).
La prova del fatto che il figlio maggiorenne dell’imputato fosse economicamente maggiorenne deriverebbe da uno stralcio di poche righe – riportate nel ricorso – delle dichiarazioni rese dalla ex moglie di (OMISSIS), tale (OMISSIS), che, all’udienza del 29/05/2015, avrebbe affermato che “prima” il figlio lavorava “al nero” e percepiva la somma di 400 Euro mensili, cioe’ proprio la stessa somma che l’imputato era obbligato a corrispondere.
3.2. Si tratta di una evidenza probatoria inesistente.
In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericita’, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicita’ o di contraddittorieta’ della motivazione, e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione, ma si limitino a riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (in tal senso, Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071).
Ai fini dell’osservanza del principio di specificita’, e’ necessario che il motivo di ricorso contenga la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un’evidenza – pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante – di per se’ dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l’intrinseca incompatibilita’ degli enunciati (Sez. 1, n. 54281 del 05/07/2017, Tallarico, Rv. 272492).
4. Infondato e’ il terzo motivo di ricorso, essendo stato il fatto reato correttamente qualificato e ricondotto ad una fattispecie, quella prevista dalla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies – attualmente confluita, come detto, in quella di cui all’articolo 570 bis c.p., procedibile d’ufficio (Sez. U, n. 23866 del 31/03/2013, S., Rv. 255270).
5. Inammissibile per manifesta infondatezza e’ il quarto motivo di ricorso relativo alla prospettata impossibilita’ per l’imputato di adempiere in conseguenza della sua decisione di vivere in Venezuela dal 2005 e, quindi, della impossibilita’ di procurarsi ed esportare, secondo le leggi del posto, moneta diversa da quella avente corso legale in quel paese.
Secondo il ricorrente, l’impossibilita’ di procurarsi in Venezuela ed inviare in Italia moneta realizzerebbe una causa di forza maggiore ai sensi dell’articolo 45 c.p..
La Corte di cassazione ha chiarito che la forza maggiore di cui all’articolo 45 c.p., sussiste in tutti i casi in cui l’agente abbia fatto quanto sia in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volonta’ non vi sia stata la possibilita’ di impedire l’evento o la condotta antigiuridica.
La forza maggiore si riferisce ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, impedendo di configurare un’azione penalmente rilevante per difetto del generale requisito della coscienza e volontarieta’ della condotta previsto dall’articolo 42 c.p., comma 1.
Tale interpretazione dell’istituto in esame e’ quella che meglio si coniuga non solo con il significato fatto proprio dall’espressione, la quale prefigura la situazione di un soggetto assolutamente privo della possibilita’ di sottrarsi a una forza per lui irresistibile (Cosi testualmente, Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145).
Nel caso di specie, al di la’ di generiche affermazioni, non e’ stato dedotto alcunche’ su cosa l’imputato abbia in concreto fatto per non eludere gli obblighi genitoriali, non potendo certo farsi discendere da un suo atto volontario, quale quello di risiedere in un’altra nazione, e non certo imponderabile, l’impossibilita’ di adempiere, ovvero di adoperarsi per contribuire al mantenimento di propri figli.
6. E’ invece fondato il quinto motivo di ricorso, atteso che nel reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12-sexies, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 21, il generico rinvio, “quoad poenam”, all’articolo 570 c.p. deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma 1 di quest’ultima disposizione (Sez. U, n. 23866 del 31/03/2013, S., Rv. 255270).
La sentenza, che ha condannato l’imputato alla pena congiunta detentiva e pecuniaria, deve dunque sul punto essere annullata senza rinvio e la valutazione di elevata gravita’ del fatto compiuta dalla Corte di appello, induce ad eleminare la pena pecuniaria ed a far residuare quella detentiva.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla inflitta pena pecuniaria di Euro ottocento congiunta alla pena detentiva, pena pecuniaria che elimina.
Rigetta nel resto il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.

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