Il contratto di compravendita

 

Il contratto di compravendita

Per una migliore lettura e comprensione del presente saggio

si consiglia di scaricare il documento in pdf

www.studiodisa.it

La compravendita in pdf – scarica il documento

Ultimo aggiornamento – 18 settembre 2022 – non riportato, però, all’interno del pdf

Sommario

1)        Disposizioni generali

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita  – Sez. I disposizioni generali – 1470 – 1509

A) STRUTTURA

 

art. 1470 c.c.  nozione

La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.

Con questa definizione, si è voluto sottolineare la funzione tipicamente traslativa del contratto, abbandonando l’equivoca nozione legislativa tradizionale, derivata dal codice francese e riportata nell’art. 1447 del c.c. del 1865, la quale sembrava riferirsi ad un presunto effetto meramente obbligatorio, in quanto affermava che: <la vendita è il contratto per cui uno si obbliga a dare una cosa e l’altro a pagarne il prezzo>.

Tale contratto, che fa parte della categoria dei contratti tipici, è contraddistinto, solitamente [1], da due parti: il venditore (o alienante) che trasferisce il diritto e il compratore (o acquirente), che si obbliga a pagare un prezzo, espresso in una somma di denaro, come corrispettivo.

L’attribuzione traslativa consiste in un arricchimento della sfera giuridica del compratore, che si concretizza nell’ingresso di una entità giuridica che prima si trovava nella sfera del venditore, a favore del quale, invece, si ha una attribuzione pecuniaria.

Nel suo patrimonio entrerà un diritto di credito rappresentato dal pagamento di una somma di denaro da parte del compratore.

L’attribuzione traslativa e l’attribuzione pecuniaria costituiscono gli effetti essenziali del contratto di compravendita, senza i quali lo stesso non potrebbe esistere.

La compravendita, pur affondando le sue radici in epoche ben più lontane[2], può riconoscere la emptio venditio[3] di derivazione romana come suo ascendente giuridico già notevolmente evoluto e di certo simile alla configurazione attualmente riservata a tale istituto dal nostro codice civile.

Si può tranquillamente, inoltre, affermare che è il principale e più diffuso contratto di scambio di beni (mobili, immobili, mobili registrati, immateriali, etc) nella realtà dei traffici commerciali, nazionali ed internazionali, sia

1)    per la rilevanza della sua funzione economica,

2)    per il valore paradigmatico che assume nell’ambito della teoria dei contratti

3)    per la ricchezza e la varietà di atteggiamenti, di sottospecie, di clausole che presenta.

NATURA GIURIDICA – del contratto

A)       Consensuale

La consegna del bene e il pagamento del prezzo costituiscono infatti obblighi meramente esecutivi dell’accordo già raggiunto sulla base del mero incontro delle volontà.

Il trasferimento del diritto, conseguente al mero accordo, costituisce l’effetto reale finale, in perfetta aderenza al principio del c.d. consenso traslativo, enunciato dall’art. 1376 c.c., tipico e costante della compravendita, sempre che, ovviamente, il contratto sia valido ed efficace.

B)        Ad effetti reali

Nel senso precisato dall’art. 1376 c.c.; esso produce, in ogni caso il trasferimento della proprietà, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di altro diritto.

Né siffatto carattere può dirsi escluso nel tipo di vendita impropriamente denominato vendita obbligatoria: è vero che qui l’effetto reale viene differito, ma questo effetto deve pur sempre ricondursi all’unico contratto di trasferimento.

È estranea al nostro diritto positivo l’idea della vendita come negozio obbligatorio a differenza del modello germanico ove il c.d. principio della separazione distingue il negozio obbligatorio dal successivo negozio traslativo.

C)        Con attribuzioni corrispettive – il c.d. sinallagma, il cui significato è quello della reciprocità.

D)       Commutativo – non aleatorio [4], perché al momento della conclusione, è possibile valutare l’entità del vantaggio e del sacrificio che si verificano per ciascuna delle parti.

E)        Istantaneo

F)        Bilaterale

G)       Normalmente di straordinaria amministrazione

Vendita reale

Si ha quando il trasferimento non richiede altro elemento oltre al consenso delle parti, in perfetta aderenza al principio del c.d. consenso traslativo, enunciato dall’art. 1376 c.c.

Se Tizio vende a Caio il fondo Tuscolano, per il trasferimento del diritto di proprietà, nient’altro occorre se non il loro accordo.

In questo caso sorge sempre l’obbligo di pagare il prezzo e non vi è spazio, come nel caso della vendita obbligatoria, per un’autentica obbligazione di trasferire il diritto, in poche parole nella vendita reale non occorre alcuna successiva attività da parte del venditore, perché il diritto  è stato acquistato nel momento in cui, per effetto del semplice consenso, è nato il contratto.

Vendita obbligatoria

Per autorevole dottrina [5] questa figura ricorre quando l’effetto traslativo non si produce con il semplice consenso, legittimamente manifestato, perché sono necessari ulteriori e successivi atto o fatti;

In altri termini, l’effetto reale della vendita può non prodursi immediatamente a causa:

1)della volontà delle parti (vendita a termine iniziale o sospensivamente condizionata);

2)della non determinatezza della cosa compravenduta (vendita di cosa generica [6]);

3)della cosa compravenduta che non è del venditore (vendita di cosa altrui [7]);

4)della non esistenza della cosa compravenduta (vendita di cosa futura[8]);

5)della non avvenuta scelta della cosa compravenduta (vendita alternativa [9]);

In altri termini, dal contratto nasce immediatamente non già l’effetto reale, ma un effetto obbligatorio e precisamente quello a carico del venditore.

L’effetto obbligatorio che nasce:

1)      acquistare la cosa dal terzo o comunque di procurarne l’acquisto all’acquirente per vendita diretta del terzo;

2)      di  farla venire ad esistenza;

3)      a carico di entrambi di procedere all’individuazione di cui all’art. 1378

 

art. 1378 c.c.    trasferimento di cosa determinata solo nel genere

Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, la proprietà si trasmette con l’individuazione fatta d’accordo tra le parti o nei modi da esse stabiliti (1465). Trattandosi di cose che devono essere trasportate da un luogo a un altro, l’individuazione avviene anche mediante la consegna al vettore (1678 e seguenti) o allo spedizioniere (1737 e seguenti).

FIGURE DIFFERENTI

  •  Vendita e preliminare [10]

In merito la Cassazione[11] ha affermato che l’elemento distintivo tra contratto definitivo e contratto preliminare di vendita è dato dalla volontà delle parti, che nel contratto definitivo è rivolta direttamente al trasferimento della proprietà o di altro diritto, mentre nel contratto preliminare fa dipendere tale trasferimento da una futura manifestazione di consenso che gli stessi contraenti si obbligano a prestare.

Ne consegue che, allorché le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, siano poi addivenute alla stipulazione di un contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, può anche non conformarsi a quella del preliminare, senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo. A tale stregua, in sede di interpretazione del contratto definitivo, non vi è alcun obbligo per il giudice del merito di valutare il comportamento delle parti ex art. 1362, secondo comma, c.c., e di prendere in considerazione il testo del contratto preliminare.

  • Vendita ed appalto

Le differenze saranno trattare successivamente al par.fo 1), lettera C), punto 2) lettera D) vendita di cosa futura e appalto – pag. 91

In generale è bene, però, sottolineare che per la S.C. [12] per stabilire l’esatta natura giuridica di un negozio giuridico complesso nel quale siano commisti e combinati elementi dello appalto ed elementi della vendita, occorre seguire il criterio della prevalenza fra le prestazioni pattuite, ed il negozio deve essere assoggettato alla disciplina unitaria dell’uno o dell’altro contratto, in base alla prevalenza degli elementi che concorrono a costituirla. Il fattore decisivo per stabilire tale prevalenza è dato dall’interesse che ha mosso le parti, avendosi una vendita se esse abbiano avuto fondamentalmente interesse a scambiarsi un bene in natura contro una somma di danaro, e solo per ragioni contingenti il venditore si sia adattato a ricevere una parte del corrispettivo sotto forma del compimento di un opus, mentre deve ravvisarsi un appalto se l’interesse originario e fondamentale delle parti sia stato quello di compiere e, rispettivamente, ricevere un’opera, anche se il corrispettivo sia stato integrato con un bene in natura, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto sottratto al sindacato di legittimità, se congruamente e correttamente motivato.

  • Vendita e permuta [13]

Per la Corte di Legittimità [14] al fine di stabilire se un contratto traslativo della proprietà di un bene, per il quale la controprestazione sia costituita, in parte, da una cosa in natura e, in parte, da una somma di denaro, costituisca una compravendita o una permuta, una volta che si escluda la duplicità di negozi ovvero l’ipotesi del contratto con causa mista, occorre avere riguardo non già alla prevalenza del valore economico del bene in natura ovvero della somma di denaro, bensì alla comune volontà delle parti, verificando se esse hanno voluto cedere un bene contro una somma di denaro, commutando una parte di essa, per ragioni di opportunità, con un altro bene, ovvero hanno concordato lo scambio di beni in natura, ricorrendo all’integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi.

Principio ripreso da ultima Cassazione [15] secondo la quale, appunto, un contratto traslativo della proprietà, nel quale la controprestazione abbia cumulativamente ad oggetto una cosa in natura ed una somma di denaro (ove venga superata la ravvisabilità di una duplicità di negozi, di cui uno di adempimento mediante datio in solutum, o, in virtù del criterio dell’assorbimento, l’ipotesi di un unico negozio a causa mista), può realizzare tanto la fattispecie di una compravendita con integrazione del prezzo in natura, quanto quella di permuta con supplemento in denaro e, in tale ultimo caso, la questione dell’individuazione del negozio in concreto voluto e posto in essere dalle parti non può essere risolta con il mero richiamo all’equivalenza (o anche prevalenza) economica del valore del bene in natura o della somma di denaro che unitamente costituiscono la controprestazione, dovendo invece essere determinata in ragione della prevalenza giuridica dell’una o dell’altra prestazione.

Agli effetti della qualificazione del contratto, è necessario ricostruire gli interessi comuni e personali, che le parti avevano inteso regolare con il negozio, ed accertare se i contraenti avessero voluto cedere un bene in natura contro una somma di denaro, che, per ragioni di opportunità, avevano parzialmente commutata in un altro bene, ovvero avessero concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e fossero ricorsi all’integrazione in denaro, soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi.

  • Vendita e mutuo

Per la Cassazione [16] nell’ipotesi di contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto di un veicolo, venuto meno il contratto per cui il mutuato è concesso in seguito alla intervenuta risoluzione consensuale della compravendita del veicolo, il mutuante è legittimato a richiedere la restituzione della somma mutuata non al mutuatario (acquirente), ma direttamente ed esclusivamente al venditore, che rispetto al mutuo appare terzo, ma che del mutuato in sostanza beneficia.

Infatti nell’ambito della funzione complessiva dei negozi collegati, essendo lo scopo del mutuo legato alla compravendita, in quanto la somma concessa in mutuo viene destinata al pagamento del prezzo, venuta meno la compravendita, il mutuo non ha più ragione d’essere. In tal caso il mutuatario, il quale impiega la somma secondo la destinazione prevista in contratto, sostanzialmente non ricava alcun vantaggio, perché non consegue la proprietà del bene, per il cui pagamento il mutuo gli viene risultante dal collegamento negoziale, il venditore, che riceve la somma mutuata, deve restituirla.

B)  I requisiti del contratto

 

1)          L’accordo 

Valgono le regole previste per i contratti in generale:

a)    dei requisiti del contratto (art. 1325 c.c.)

art. 1325 c.c.   indicazione dei requisiti

I requisiti del contratto sono:

1) l’accordo delle parti;

2) la causa;

3) l’oggetto;

4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità.

b)    conclusione del contratto (art. 1326 c.c.)

art. 1326 c.c.   conclusione del contratto

Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte.

L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi.

Il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte.

Qualora il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa.

Un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.

c)    esecuzione prima della risposta dell’accettante (art. 1327 c.c.)

art. 1327 c.c.   esecuzione prima della risposta dell’accettante

Qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione.

L’accettante deve dare prontamente avviso all’altra parte della iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno.

d)    revoca della proposta e dell’accettazione (art. 1328 c.c.)

art. 1328 c.c.   revoca della proposta e dell’accettazione

La proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l’accettante ne ha intrapreso in buona fede l’esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subìte per l’iniziata esecuzione del contratto.

L’accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell’accettazione.

e)    proposta irrevocabile [17] (art. 1329 c.c.)

art. 1329 c.c.  proposta irrevocabile

Se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo , la revoca è senza effetto.

Nell’ipotesi prevista dal comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta, salvo che la natura dell’affare o altre circostanze escludano tale efficacia.

f)     morte o incapacità dell’imprenditore (art. 1330 c.c.)

art. 1330 c.c.  morte o incapacità dell’imprenditore

La proposta o l’accettazione, quando è fatta dall’imprenditore nell’esercizio della sua impresa , non perde efficacia se l’imprenditore muore o diviene incapace prima della conclusione del contratto , salvo che si tratti di piccoli imprenditori o che diversamente risulti dalla natura dell’affare o da altre circostanze.

 

 

g)    opzione[18] (art. 1331 c.c.)

art. 1331 c.c.  opzione

Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall’articolo 1329.

Se per l’accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.

h)    presunzione di conoscenza (art. 1335 c.c.)

art. 1335 c.c.  presunzione di conoscenza

La proposta, l’accettazione , la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario , se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.

i)     offerta al pubblico (art. 1336 c.c.)

art. 1336 c.c.  offerta al pubblico

L’offerta al pubblico, quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, vale come proposta , salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi.

La revoca dell’offerta, se è fatta nella stessa forma dell’offerta o in forma equipollente , è efficace anche in confronto di chi non ne ha avuto notizia.

 

j)     trattative e responsabilità precontrattuale [19] (art.1337 c.c.)

art. 1337 c.c.   trattative e responsabilità precontrattuale.

Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.

k)    conoscenza delle cause d’invalidità (art. 1338 c.c.)

art. 1338 c.c.   conoscenza delle cause d’invalidità

La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto , non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.

l)     inserzione automatica di clausole (art. 1339 c.c.)

art. 1339 c.c. inserzione automatica di clausole.

Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti.

m)  clausole d’uso (art. 1340 c.c.)

art. 1340 c.c.  clausole d’uso c.c.

Le clausole d’uso s’intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti.

n)    condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.)

art. 1341 c.c.  condizioni generali di contratto

Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza.

In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità , facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze , limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi , tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.

o)       contratto concluso mediante moduli o formulari (art. 1342 c.c.)

art. 1342 c.c.  contratto concluso mediante moduli o formulari

Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari , predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le clausole aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate.

Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente.

2)          La causa

Valgono i principi del contratto in generale –

–       1343 c.c.

art. 1343 c.c.   causa illecita

La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

–       1344 c.c.

art. 1344 c.c.  contratto in frode alla legge

Si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.

–       1345 c.c.

art. 1345 c.c.  motivo illecito

Il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad entrambe.

 

3)          La forma

Valgono i principi generali: la libertà di forma è la regola e il formalismo è l’eccezione.

art. 1350 c.c.   atti che devono farsi per iscritto

Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità:

1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili;

2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie , il diritto del concedente e dell’enfiteuta;

3) i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti;

4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali, il diritto di uso su beni immobili e il diritto di abitazione;

5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti;

6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico;

7) i contratti di anticresi;

8) i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni;

9) i contratti di società o di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato;

10) gli atti che costituiscono rendite perpetue o vitalizie salve le disposizioni relative alle rendite dello Stato ;

11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari;

12) le transazioni che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti;

13) gli altri atti specialmente indicati dalla legge.

In merito alla vendita immobiliare, oltre ai requisiti formali dell’atto scritto ad substantiam, ulteriori necessari presupposti sono l’allegazione, come da ultima modifica legislativa, del certificato APE (ai fini della validità) e la trascrizione dell’atto d’acquisto (ma non ai fini della validità).

Il venditore, infine, ha l’obbligo per la stesura dell’atto notarile e della ricevibilità del medesimo:

1)     di indicare al notaio gli estremi della concessione edilizia del fabbricato venduto; come è noto, gli artt. 17 e 40 della L 28 febbraio 1985, n. 47 sanciscono la nullità dei trasferimenti immobiliari che non contengano la prevista dichiarazione (licenza – concessione  o permesso edilizio) concernente la regolarità dell’edificio in oggetto rispetto alla disciplina urbanistica vigente;

2)     di produrre tutta la documentazione amministrativa in caso di condono edilizio;

3)     di presentare il Certificato di Destinazione Urbanistica rilasciato dal Comune competente in caso di alienazione di terreni;

4)     di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa;

5)     di pagare tutte le spese condominiali, anche solo deliberate, sino alla data di vendita salvo patto contrario;

6)     di pagare l’I.C.I. sino a tutto il mese di vendita, nel caso in cui il trasferimento avvenga decorsi già 15 giorni del mese stesso, altrimenti sino al mese precedente a quello di conclusione del contratto nel caso ciò avvenga nei primi 15 giorni.

A) La Trascrizione [20] [21] [22] [23] [24] [25]

È lo strumento di pubblicità predisposto dall’ordinamento per rendere certi i fatti che riguadagno i beni immobili (artt. 2643 c.c.) e i beni mobili registrati (artt. 2683 e ss. c.c.)

Si attua attraverso degli appositi registri dove sono riportate le notizie essenziali del bene che interessa; per le automobili, ad esempio, è stato costituito il P.R.A. mentre per gli immobili presso i registri tenuti dalle conservatorie immobiliari (ora, però, la competenza è passata all’Agenzia del territorio ex l. 29.10.1991 e successive modifiche).

1)  La trascrizione dell’atto di acquisto di un bene immobile non ne condiziona la validità (come avviene nel sistema tavolare austriaco) ma solo l’opponibilità ai terzi nel senso già chiarito in precedenza;

2)  di conseguenza si conferma che nel nostro ordinamento vige il principio consensualistico, anche se la gravità delle conseguenze  relative alla mancata o ritardata trascrizione può far dubitare della semplice efficacia dichiarativa della stessa;

3)  le trascrizioni per avere effetto devono essere continue, cioè trovarsi di seguito e collegate con i precedenti atti di acquisto (art. 2650 c.c.).

L’art. 2643 c.c. stabilisce quali sono gli atti che devono essere trascritti si ricorda, tra i tanti, i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, o diritti reali di godimento sulla proprietà, o, ancora la comunione costituita per tali diritti.

Secondo l’art. 2645 c.c. devono poi essere trascritti tutti gli atti che producono gli effetti dei contratti previsti dall’art. 2643 c.c. come, ad esempio, la sentenza che costituisce una servitù coattiva ex art. 1032 c.c.

Gli effetti della trascrizione relativamente a tali atti sono disciplinati dall’art. 2644 c.c.

Gli atti enunciati nell’articolo precedente (2643 c.c.) non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.

Seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore.

In altre parole si sancisce l’opponibilità dell’atto nei confronti di altri che l’hanno trascritto  successivamente.

B)  Certificato APE

Con il DECRETO–LEGGE 4 giugno 2013, n. 63 [26], modificativo del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2013, n. 90 è stato previsto all’art. 6 (modificazioni al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, in materia di attestato di prestazione energetica, rilascio e affissione), per i contratti successivi all’entrata in vigore, l’allegazione del certificato APE ai fini della validità del contratto.

– 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l’attestato di prestazione energetica degli edifici è rilasciato, per gli edifici o le unità immobiliari costruiti, venduti o locati ad un nuovo locatario e per gli edifici indicati al comma 6. Gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, sono dotati di un attestato di prestazione energetica (prima del rilascio del certificato di agibilità).

Nel caso di nuovo edificio, l’attestato è prodotto a cura del costruttore, sia esso committente della costruzione o società di costruzione che opera direttamente.

Nel caso di attestazione della prestazione degli edifici esistenti, ove previsto dal presente decreto, l’attestato è prodotto a cura del proprietario dell’immobile.

2. Nel caso di vendita (di trasferimento di immobili a titolo gratuito) o di nuova locazione di edifici o unità immobiliari, ove l’edificio o l’unità non ne sia già dotato, il proprietario è tenuto a produrre l’attestato di prestazione energetica di cui al comma 1. In tutti i casi, il proprietario deve rendere disponibile l’attestato di prestazione energetica al potenziale acquirente o al nuovo locatario all’avvio delle rispettive trattative e consegnarlo alla fine delle medesime; in caso di vendita o locazione di un edificio prima della sua costruzione, il venditore o locatario fornisce evidenza della futura prestazione energetica dell’edificio e produce l’attestato di prestazione energetica (entro quindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilità).

3. Nei contratti di vendita (negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito) o nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari è inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici. (3–bis. L’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti).

4. L’attestazione della prestazione energetica può riferirsi a una o più unità immobiliari facenti parte di un medesimo edificio. L’attestazione di prestazione energetica riferita a più unità immobiliari può essere prodotta solo qualora esse abbiano la medesima destinazione d’uso, (la medesima situazione al contorno, il medesimo orientamento e la medesima geometria e) siano servite, qualora presente, dal medesimo impianto termico destinato alla climatizzazione invernale e, qualora presente, dal medesimo sistema di climatizzazione estiva.

5. L’attestato di prestazione energetica di cui al comma 1 ha una validità temporale massima di dieci anni a partire dal suo rilascio ed è aggiornato a ogni intervento di ristrutturazione o riqualificazione che modifichi la classe energetica dell’edificio o dell’unità immobiliare. La validità temporale massima è subordinata al rispetto delle prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica (dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici), comprese le eventuali necessità di adeguamento, previste (dai regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, e al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 75). Nel caso di mancato rispetto di dette disposizioni, l’attestato di prestazione energetica decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza energetica. A tali fini, i libretti di impianto previsti dai decreti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b), sono allegati, in originale o in copia, all’attestato di prestazione energetica.

6. Nel caso di edifici utilizzati da pubbliche amministrazioni e aperti al pubblico con superficie utile totale superiore a 500 m², ove l’edificio non ne sia già dotato, è fatto obbligo al proprietario o al soggetto responsabile della gestione, di produrre l’attestato di prestazione energetica entro (centottanta giorni) dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e di affiggere l’attestato di prestazione energetica con evidenza all’ingresso dell’edificio stesso o in altro luogo chiaramente visibile al pubblico. A partire dal 9 luglio 2015, la soglia di 500 m² di cui sopra, è abbassata a 250 m². Per gli edifici scolastici tali obblighi ricadono sugli enti proprietari di cui all’articolo 3 della legge 11 gennaio 1996, n. 23.

4)          L’oggetto

 

Anche per la vendita può distinguersi un oggetto immediato ed un oggetto mediato.

Per quanto riguarda l’oggetto mediato, può costituire oggetto della vendita ogni cosa mobile o immobile, purché abbia i requisiti tipici previsti dall’art. 1346 c.c.: possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità.

Possono essere oggetto di vendita:

A)           Vendita di beni futuri (ti do in vendita  il magazzino che costruirò sul fondo Tuscolano), in tal caso l’efficacia del contratto è posticipata e condizionata dal venire ad esistenza della cosa locata;

B)           Vendita di bene altrui, se poi le parti, nella conclusione del contratto, hanno fatto espresso riferimento al bene altrui, si avrà un’ipotesi di promessa di un’obbligazione del terzo, prevista e disciplinata dall’art. 1381.

art. 1381 c.c.   promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo

Colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto a indennizzare l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso.

 

Orbene, in generale, per la S.C. [27] l’esigenza della determinatezza o almeno determinabilità dell’oggetto del contratto, sanzionata da nullità dall’art. 1418, secondo comma, c.c. in relazione agli artt. 1346 e 1325 n. 3 c.c., è soddisfatta, con riferimento, nel caso di specie, ad un contratto preliminare di compravendita immobiliare ed alla prestazione di pagare il prezzo, dalla dichiarazione che nella scrittura abbia fatto il venditore che il prezzo è stato pagato, in tale riconoscimento essendo necessariamente implicito che (anche) l’oggetto della obbligazione assunta dal compratore è stato (consensualmente) determinato.

Mentre in realtà sempre per la Corte di Legittimità[28], per la validità di una compravendita immobiliare è necessario che l’oggetto di detto contratto sia determinato, ovvero determinabile in base ad elementi contenuti nel relativo atto scritto (e, perciò, documentati e non estrinseci all’atto stesso), e tale requisito deve essere ravvisato nella inequivocabile identificazione dell’immobile compravenduto per il tramite dell’indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente idonei allo scopo e ad impedire, perciò, che rimangano margini di dubbio sull’identità del suddetto immobile; il relativo accertamento — così come quello relativo alla valutazione circa la sufficienza delle indicazioni riportate nella nota di trascrizione per l’esatta individuazione del bene oggetto della vendita — integra la risultante di un apprezzamento di fatto, come tale rimesso al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione ed immune da vizi logici ed errori di diritto.

Precedentemente la Cassazione [29] precisava che il tipo di frazionamento o la piantina catastale, allegati all’atto e controfirmati dalle parti, costituiscono strumenti fondamentali per l’interpretazione del contratto di compravendita immobiliare, dal momento che a quei documenti le parti hanno fatto espresso riferimento.

Inoltre, sempre per la medesima Corte di Cassazione [30], nella compravendita dei beni immobili, l’indicazione del bene alienato deve essere effettuata in base alla descrizione obiettiva ed alle indicazioni topografico–catastali e non già secondo riferimenti soggettivi o situazioni di mero fatto che possono essere rilevanti per particolari fini (come l’usucapione, la determinazione del prezzo, l’evizione), ma non quando si controverta sulla estensione e sui limiti dell’effetto traslativo, in ordine al quale l’eventuale contrasto tra i dati descrittivi e catastali con elementi estrinseci alla descrizione obiettiva del bene deve essere risolto dando rilievo alla individuazione tecnico topografica dell’immobile, salvo che altre clausole negoziali, ancorché relative alla disciplina di rapporti ed effetti accessori, non siano coerenti con tale accertamento.

Ancora per la Corte di Piazza Cavour [31] il requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, non postula l’indicazione dei tre confini, richiesta dall’art. 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52 al solo fine della trascrizione dell’atto, ma soltanto la sicura individuabilità del bene, per la quale può essere sufficiente, nel contratto, l’indicazione dei suoi dati catastali ed il riferimento alle mappe censuarie.

È stato, però, specificato in altra pronuncia [32] che, ai fini dell’individuazione dell’immobile oggetto di una compravendita immobiliare, l’indicazione dei confini — i quali, concernendo punti oggettivi di riferimento esterni, consentono la massima precisione — assume valore decisivo e prevalente rispetto alle altre risultanze probatorie, ed in particolare ai dati catastali che, avendo tra l’altro finalità di natura tributaria, hanno carattere sussidiario.

Mentre, la planimetria allegata al contratto di vendita di un lotto di terreno, facente parte di una lottizzazione edificatoria, e sottoscritta dalle parti con l’espressa indicazione di far parte del contenuto del contratto, ha non solo funzione descrittiva dell’oggetto del contratto ma — ove nella rappresentazione grafica di questo contenga l’indicazione delle misure relative (nella specie, larghezza di una strada) — costituisce anche fonte di diritti ed obblighi per le parti, configurando una manifestazione di volontà contrattuale con riguardo alla sua concreta realizzazione, con la conseguenza che la violazione di alcuno dei limiti indicati nella detta planimetria rende inadempiente il contraente che l’ha commessa [33].

Da ultimo la Cassazione [34], ha condivisibilmente statuito che nell’interpretazione dei contratti di compravendita immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti circa l’estensione dell’immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di frazionamento approvato dai contraenti ed allegato all’atto notarile trascritto, e l’indicazione dei confini risultante dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari valore.

Pertanto, si è specificato [35] che le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la quaestio voluntatis della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto.

Da ciò consegue che il giudice del merito chiamato ad interpretare la volontà negoziale in un contratto di trasferimento di bene immobile è tenuto ad utilizzare il tipo di frazionamento e la planimetria catastale ai quali le parti abbiano posto univoco riferimento, onde, in caso di configurazione di dati contrattuali configgenti con tali documenti, egli deve risolvere la quaestio voluntatis in base all’esame complessivo del contratto stesso (e, quindi, valorizzando adeguatamente anche le risultanze planimetriche formanti parte integrante del rogito di provenienza), offrendo una motivazione che risponda ai requisiti di logicità e sufficienza (per potersi sottrarre al controllo in sede di legittimità).

LIMITI

 

a)          Oggettivi

1)  Diritti reali di garanzia – è preferibile la tesi negatrice nettamente dominante (contrariamente un autore [36],  ha ammesso tale figura soltanto in una ipotesi, cioè, nel caso in cui il creditore trasferisca, dietro corrispettivo, ad un altro cocreditore del medesimo debitore), la quale si basa soprattutto sulla natura accessoria dell’ipoteca che riguarda quel credito e quello soltanto. A questo decisivo argomento si aggiunge, poi, il silenzio del legislatore che parla solo di cessione del grado (art. 2843 c.c.) e non di cessione dell’ipoteca prevista, invece, nel progetto preliminare.

2)  Vi sono limiti in ragione della natura del bene – beni incommerciabili – Es. cadavere, sangue, fegato, o rene umano, che può essere donato ma non compravenduto. La categoria più importante è quella dei beni pubblici e più specificamente dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili finché perdura questa loro qualità (artt. 823 e 828 c.c.)

 

art. 823 c.c.    condizione giuridica del demanio pubblico

I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano (Cod. Nav. 30 e seguenti, 694 e seguenti).

Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà (948 e seguenti) e del possesso (1168 e seguenti) regolati dal presente codice.

 

 

art. 828 c.c.    condizione giuridica dei beni patrimoniali

I beni che costituiscono il patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni sono soggetti alle regole particolari che li concernono e, in quanto non è diversamente disposto, alle regole del presente codice.

I beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.

Diverse sono le cose c.d. ad uso controllato, le quali pur non essendo sottratte al commercio, sono sottoposte a limitazioni più o meno accentuate, tendenti ad impedire che la loro utilizzazione avvenga in contrasti con certi interessi generali.

Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico – non sono inalienabili, ma non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione;

Le cose di particolare valore artistico, storico archeologico – se appartengono allo Stato o ad altri Enti pubblici, sono inalienabili ex art. 54 d.lgs. 29 ottobre 1999, n.490 T.U. [37] – Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352 [38]  – abrogato dall’articolo 184, comma 1, decimo trattino, decreto legislativo n. 42 del 2004 [39];

Il ministero per i Beni e le Attività Culturali ne può autorizzare la vendita; se appartengono a persone giuridiche private possono essere alienate previa autorizzazione ministeriale; infine se appartengono a persone fisiche vi è la possibilità dell’alienazione del bene in oggetto purché sia preventivamente comunicata alla Segreteria del Ministero affinché possa essere esercitato il diritto di prelazione [40];

Immobili urbanisticamente irregolari – Prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 che all’art. 15 ha sancito la nullità degli atti di trasferimento di immobili costruiti senza concessione edilizia, ove dall’atto stesso non risulti che l’acquirente sia a conoscenza della mancanza della concessione, nessuna norma sanciva espressamente l’invalidità di quei rapporti o l’incommerciabilità di quelle costruzioni, né la nullità della compravendita poteva ritenersi sotto il profilo della illiceità dell’oggetto del contratto, in quanto oggetto della compravendita è il trasferimento della proprietà della cosa, la quale in sé non è suscettibile di valutazione in termine di liceità, questa qualificazione attinendo all’attività di produzione della cosa, estranea, come tale, al contenuto tipico delle prestazioni oggetto del rapporto di compravendita. L’abusività della costruzione poteva, invece venire in rilievo soltanto in termini di insufficienza della prestazione di trasferimento, per la possibilità di evizione totale o parziale o di impedimento dell’uso della costruzione per difetto di abitabilità o agibilità, e quindi trovare il suo rimedio e la sua sanzione nella generale disciplina dell’inadempimento contrattuale, a tutela e su iniziativa del soggetto che, ignaro dell’abusività al momento della stipulazione del contratto, ne avesse subito pregiudizio[41].

Energie lavorativeNon sono alienabili o vendibili come tali le energie lavorative, cioè il lavoro in sé e per sé considerato.

Il contratto di lavoro subordinato ha ad oggetto una prestazione la quale, a propria volta, è riferibile ad un’attività di carattere subordinato svolta alle dipendenze di un datore di lavoro, articolatamente regolata da una notevole mole di norme speciali.

Dubbi suscita il cd. “trasferimento di giocatori di calcio” potendo forse sostenersi, soprattutto in materia tributaria, la possibilità di applicare, sia pure per analogia, le norme sulla compravendita.

In senso contrario può osservarsi che il singolo giocatore non può mai essere considerato oggetto di diritto, poiché egli è un soggetto di un contratto di lavoro che intercorre con la società alla quale appartiene e, pertanto, quella che nel linguaggio comune viene denominata vendita dovrebbe invece essere più propriamente qualificata come un’ipotesi di cessione di contratto [42].

Possesso [43] –  limite previsto espressamente dal legislatore all’art. 1470 c.c. <la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo > il possesso è una situazione di mero fatto.

I nodi interpretativi dalla cui risoluzione dipende la configurabilità o meno dell’istituto risultano essere:

1)   la definizione della natura del possesso;

2)   la individuazione di norme che valgano a legittimare, se non espressamente, almeno da un punto di vista sistematico la compatibilità dell’istituto in esame con il nostro ordinamento e

3)   la portata dell’autonomia negoziale delle parti.

In merito proprio al primo punto alcuni autori criticano l’assunto della giurisprudenza e della dottrina prevalente che qualificano il possesso come un’attività o uno stato di fatto.

Esso consiste, invece secondo tali autori, in un diritto affievolito o in un vero e proprio ius possessionis, giacché il possessore è tutelato erga omnes.

Questa teoria sarebbe avvalorata anche dal riconoscimento del risarcimento del danno in caso di lesione del possesso.

La dottrina maggioritaria al contrario nega tale configurazione e sottolinea la natura di attività del possesso, di esercizio di un potere di fatto [44], interpretazione avallata, come già scritto, dalla dizione dell’1470 c.c.

Ciò preliminarmente posto, in senso favorevole alla configurabilità della vendita del possesso vengono citati gli artt. 1146, 1153, 1141 e 1159 c.c.

Questi disciplinerebbero ipotesi di trasferimento del possesso indipendentemente dalla proprietà sia con riferimento ad atti mortis causa (art. 1146 c.c.), sia inter vivos aventi a oggetto beni mobili (art. 1153 c.c.) e immobili (artt. 1141 e 1159 c.c.).

Ciò comporta che a livello sistematico, a parte il tenore letterale dell’art. 1470 c.c., non vi sarebbero ostacoli ad ammettere un contratto di alienazione del possesso.

Resta allora da verificare il ruolo dell’autonomia delle parti in questo contesto.

Se sono solo argomentazioni letterali che impediscono di ritenere compatibile con il nostro ordinamento la vendita del possesso, lo stesso non può dirsi secondo la dottrina minoritaria di un contratto atipico finalizzato al trasferimento del possesso disgiuntamente dalla proprietà, che trova il suo fondamento nell’art. 1322 c.c.

Come è noto, liceità e meritevolezza sono i limiti imposti dal legislatore all’autonomia privata.

Un negozio atipico di trasferimento del possesso non oltrepassa il primo perché in astratto non è contrario a norme imperative, né al buon costume o all’ordine pubblico.

A quella dottrina che, invece, ravvisa una violazione dell’ordine pubblico per mezzo di questo contratto – che andrebbe ad alterare il sistema di circolazione dei diritti reali ed ad infrangere, eventualmente, il principio di tipicità e numero chiuso degli stessi – è stato contestato [45] che la tutela del possesso da parte del legislatore mira al mantenimento della pacifica convivenza tra i consociati e che il principio di tipicità dei diritti reali è oggi sempre più contestato.

Con riferimento alla meritevolezza degli interessi perseguiti con la stipulazione di un contratto atipico di trasferimento della situazione possessoria si osserva, ulteriormente, in dottrina che quest’ultimo in astratto non lede la sfera patrimoniale né delle parti, né del proprietario.

Ma, in realtà, la dottrina assolutamente prevalente [46] respinge anche questi due ultimi ragionamenti

Già a livello sistematico che non si può ritenere ammissibile nell’ordinamento italiano il contratto atipico in commento.

Non vi sono norme che in generale fondino e giustifichino il trasferimento del possesso.

L’art. 1146 comma 2, c.c. non regola il trasferimento del possesso, ma solo la possibilità di unire quello del de cuius a quello del successore a titolo particolare.

Inoltre con riferimento agli artt. 1153 e 1159 c.c. il possesso non rileva puramente e semplicemente, ma è accompagnato da determinati requisiti.

Le parti, perciò, non possono per il tramite dell’art. 1322 c.c. c.c. stipulare un contratto che è in contrasto con la lettera degli artt. 1470 e 1140 c.c. e che non trova riscontro in altre norme dell’ordinamento

La giurisprudenza della Corte di Cassazione [47] relativa a tale istituto, seppur non copiosa, si è sempre orientata in senso decisamente negativo. L’argomento cardine, condiviso anche dalla pronuncia in epigrafe, è dato dal tenore letterale dell’art. 1470 c.c. a norma del quale “la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo“. Poiché il possesso non è un diritto, ma, come recita l’art. 1140 c.c., “un’attività corrispondente all’esercizio di un diritto”, il contratto di compravendita che abbia a oggetto quest’ultimo è nullo per impossibilità dell’oggetto.

Da ultimo, anche la Corte Palermitana [48] si è espressa in tal senso: i negozi traslativi, quali il contratto di compravendita o la donazione, possono avere ad oggetto unicamente il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto, e non anche ciò che, pur avendo rilevanza giuridica, non costituisce tuttavia un diritto. In tale ultima fattispecie deve intendersi certamente annoverabile il possesso, quale potere di fatto sulla cosa che si manifesta come un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale e che, pertanto, non è un diritto. Nei contratti con effetti reali, invero, l’incontro della volontà dei contraenti comporta il trasferimento automatico del diritto di proprietà e dello ius possidenti, quale potere di esercitare la signoria sulla cosa, ma non anche quello del concreto esercizio del potere stesso, per il quale occorre una immissione materia o una ficta traditio. Stante quanto innanzi, ne consegue che il possesso ultraventennale di un immobile, in assenza del preventivo accertamento giudiziale dell’intervenuta usucapione, non può formare oggetto di donazione traslativa, in quanto ipotesi non contemplata dalla legge e non riconducibile alla fattispecie della vendita di cosa altrui per mancanza, a carico del donante, della obbligatorietà dell’acquisito della proprietà prevista dall’art. 1478 c.c. è, dunque, nullo per impossibilità dell’oggetto il contratto di donazione recante il trasferimento di un immobile da parte del donante che del medesimo si dichiari proprietario per usucapione a seguito di possesso ultraventennale.

Nonostante il ragionamento lineare della giurisprudenza il problema della configurabilità dell’istituto nel nostro ordinamento non è senza rilievo per due motivi:

1)    in primo luogo nella prassi vengono utilizzati, per soddisfare gli interessi dei privati, atti che hanno a oggetto la compravendita del possesso indipendentemente dalla proprietà o altro diritto reale, oppure atti di compravendita che hanno a oggetto la proprietà, acquistata dall’alienante per usucapione senza che via stata sentenza dichiarativa della stessa [49];

2)    in secondo luogo il panorama dottrinale si presenta meno compatto di quello giurisprudenziale nel negare l’ammissibilità della vendita del possesso, infatti, sebbene l’orientamento maggioritario aderisca al pensiero dei Giudici, non sono mancati contributi contrari.

b)          Soggettivi

 

l’art. 1471 pone divieti speciali di comprare privatamente o all’asta pubblica, né direttamente né per interposta persona a carico:

a)  degli amministratori dei beni dello stato, dei comuni, delle province o degli altri enti locali o enti pubblici, relativamente ai beni affidati alla loro cura

b) degli ufficiali pubblici rispetto ai beni che sono venduti per il loro ministero

c) di coloro che per legge o per provvedimento amministrativo amministrino beni altrui, rispetto ai beni medesimi

d) dei mandatari  [50] rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere, salvo espressa autorizzazione del mandante

 

Il divieto di comprare stabilito dall’art. 1471, n. 2, c.c. colpisce tutti coloro i quali, nell’esercizio di una pubblica funzione, prendono parte alla procedura relativa al trasferimento coattivo di un bene da un soggetto ad un altro soggetto e pertanto, nel caso di esecuzione forzata, detto divieto si applica anche al custode dei beni pignorati o sequestrati il quale, pur non essendo espressamente menzionato, è inquadrabile nella più generale categoria contemplata al n. 2 di detta norma poiché, essendo un soggetto al quale viene affidato l’esercizio di una funzione pubblica temporanea da svolgere quale longa manus degli organi giudiziari, proprio in tale veste partecipa alla procedura esecutiva, provvedendo alla conservazione dei beni sottoposti a vincolo ed alla relativa amministrazione, eventualmente necessaria [51].

art. 1471 2 co  c.c.  divieti speciali di comprare: ………….nei primi due casi il contratto è nullo, negli altri due è annullabile.

 

 

Inefficacia soggettiva

Tipico caso è il fallimento – a partire dalla sentenza dichiarativa di fallimento e fino alla chiusura del fallimento stesso, il fallito è privato dell’amministrazione e della disponibilità dei propri beni.

Tutti gli atti compiuti ed i pagamenti da lui eseguiti in questo periodo sono inefficaci rispetto ai creditori.

 

 

5)          PREZZO

[52] 

È necessario che il diritto sia trasferito contro il pagamento di un prezzo.

Esso caratterizza la causa (scambio di cosa contro prezzo) della compravendita distinguendola dalla permuta [53].

Per la validità del contratto di compravendita e, quindi, anche del contratto misto nel quale prevalgono gli elementi della vendita, non si richiede che il prezzo sia determinato, essendo sufficiente la sua determinabilità.

Conseguentemente, quando le parti abbiano indicato per la determinazione del prezzo un criterio inidoneo per la sua individuazione e quantificazione, il contratto è nullo per l’indeterminabilità di tale elemento essenziale, la cui indicazione, sia pure come prezzo determinabile e non determinato, quando si tratta di vendita di immobili, deve risultare dal documento, essendo in tal caso la forma scritta richiesta ad substantiam dalla legge [54].

Compravendita o donazione indiretta

La vendita nummo uno  (“per un soldo“, “a prezzo vile“) può anche essere microscopicamente inferiore al valore del bene, ma non sprovvisto di una sostanziale consistenza economica intrinseca, pena la nullità, ma se la ragione giustificatrice è lo spirito di liberalità del venditore, ricorrerà un’ipotesi di donazione indiretta [55].

Difatti per la Cassazione [56] il prezzo della compravendita deve ritenersi inesistente, con conseguente nullità del contratto per mancanza di un elemento essenziale (artt. 1418, 1470 c.c.), non nell’ipotesi di pattuizione di prezzo tenue, vile ed irrisorio, ma quando risulti concordato un prezzo obiettivamente non serio, o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato.

La pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa compravenduta, ma non privo del tutto di valore intrinseco, può rivelare sotto il profilo dell’individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione ed operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale. Del pari, non può incidere sulla validità del contratto la circostanza che il prezzo, pur in origine seriamente pattuito, non sia stato poi in concreto pagato.

Nel negotium mixtum cum donatione la liberalità è attuata, anziché attraverso il tipico negozio della donazione diretta, mediante un negozio oneroso, producente, in concomitanza con l’effetto diretto ad esso proprio, l’effetto indiretto dell’arricchimento senza corrispettivo — animo donandi — del destinatario della liberalità.

Pertanto, la vendita di un bene ad un prezzo inferiore al suo valore venale configura un negotium mixtum cum donatione ove, accanto alla duplice componente onerosa e di liberalità del negozio, sia accertata anche, in riferimento alla differenza tra il valore del bene ed il prezzo pattuito, la coscienza, nell’alienante, di dare una cosa di valore economicamente maggiore del corrispettivo convenuto a titolo di prezzo, e, quindi, l’intenzione di attribuire gratuitamente tale maggior valore (animus donandi) [57].

Da ultimo la cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 2 settembre 2014, n. 18541

è nuovamente intervenuta riaffermando che qualora un soggetto abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto

Tornando, ora, ad analizzare l’obbligazione di pagare il prezzo, quest’ultima è un’obbligazione  pecuniaria e ad essa si applica, perciò la normativa prevista per tali obbligazioni in particolare il principio nominalistico (art. 1277 c.c.) e la regola che consente di pagare in moneta legale il debito di somma determinata in moneta non avente corso legale (art. 1278 c.c.).

art. 1277 c.c.    debito di somma di danaro

I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.

Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima.

 

art. 1278 c.c.    debito di somma di monete non aventi corso legale

Se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale al corso del cambio nel giorno della scadenza e nel luogo stabilito per il pagamento (c.c.1182).

L’obbligazione del pagamento del prezzo della compravendita costituisce debito di valuta, con la conseguenza che, soltanto per effetto del ritardo colpevole e dalla data della costituzione in mora decorrono gli interessi (art. 1224, comma 2, c.c.) rendendo possibile al giudice di tenere conto della svalutazione monetaria, se dimostri di aver subito dal ritardo un danno maggiore [58].

 

Le clausole di garanzia monetaria

Clausola merce – clausola moneta estera – clausola oro – e la più diffusa clausola ISTAT, la quale fa riferimento ai numeri indici del costo della vita quali risultano dalle pubblicazioni ufficiali dell’Istituto Centrale di Statistica –  per mezzo delle quali, in caso di pagamento differito del prezzo, si tende ad assicurare con riferimento a determinati indici, la corrispondenza costante tra il valore della moneta pattuita e il valore corrente della cosa venduta.

Gli interessi compensativi

Questi interessi prescindono non solo dalla mora del debitore, ma anche dall’esigibilità del credito, perché il loro fondamento sta nell’esigenza equitativa di compensare il venditore che non ha più il possesso della cosa venduta e non ha ancora ricevuto il prezzo.

art. 1499 c.c.  interessi compensativi sul prezzo

Salvo diversa pattuizione, qualora la cosa venduta è consegnata al compratore produca frutti (ad es. un agrumeto) (820) o altri proventi  (ad es. titoli azionari) (1477), decorrono gli interessi (1284) sul prezzo, anche se questo non è ancora esigibile.

Determinazione convenzionale del prezzo

Normalmente e regolarmente il prezzo viene stabilito d’accordo dalle parti.

La pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto [59].

Secondo la giurisprudenza, la modifica del prezzo contrattuale della vendita, quando restino inalterate tutte le altre modalità dell’obbligazione originaria, non determina una novazione ma soltanto una modificazione accessoria del contratto.

Per l’esistenza del contratto di vendita è necessario l’accordo sulla cosa e sul prezzo, ma una volta intervenuto tale accordo, la modifica del prezzo di vendita non importa mutamento essenziale del contratto per cui si ha contratto di compravendita anche quando le parti sostituiscono al prezzo una cosa da dare in solutum, con il patto che — ove essa non sia corrisposta — l’acquirente resti debitore del prezzo originario. Qualora l’accordo sostitutivo preveda l’obbligo di consegnare una cosa di proprietà di un terzo, si hanno due distinti negozi, aventi ciascuno una propria causa, ma coordinati, onde — in caso di inadempienza del negozio solutorio — il venditore può domandare il residuo prezzo originario.

Ai fini della validità della compravendita si deve distinguere il momento formativo dell’accordo da quello diverso, del momento esecutivo dell’accordo già formato. Il pagamento del prezzo, che può essere anche non contestuale al contratto, attiene alla estinzione della obbligazione del compratore e, quindi, alla esecuzione del contratto.

Consegue che, in tema di compravendita di immobili [60], solo l’accordo sulla cosa e sul prezzo deve avvenire, ai sensi dell’art. 1350 c.c., in forma scritta, mentre il negozio solutorio — che può essere anche non contestuale alla vendita immobiliare — può non essere redatto per iscritto e, per la sua autonomia dal contratto di vendita al quale è collegato, è ammissibile, per esso, la prova per testimoni e per presunzioni [61].

Altra Cassazione [62] ha affermato specificamente che la novazione oggettiva di una precedente obbligazione presuppone un mutamento sostanziale di quest’ultima. Pertanto non può ritenersi intervenuta una novazione per l’intervenuta modifica del prezzo essendo rimasti invariati tutti gli altri elementi della vendita.

Tra le forme convenzionali di determinazione del prezzo il legislatore prevede espressamente:

L’Arbitraggio

art. 1473 c.c. determinazione del prezzo da parte di un terzo

Le parti possono affidare la determinazione del prezzo a un terzo, eletto nel contratto o da eleggere posteriormente.

Se il terzo non vuole o non può accettare l’incarico, ovvero le parti non si accordano per la sua nomina o per la sua sostituzione, la nomina su richiesta di una delle parti, è fatta dal presidente del tribunale del luogo in cui è stato concluso il contratto.

Questo arbitratore non potrà determinare il prezzo liberamente ma dovrà, secondo la concorde opinione della dottrina [63] e della giurisprudenza, procedere con equo apprezzamento; in mancanza di una norma contraria, infatti, va applicato l’istituto generale e precisamente il 1 co dell’art. 1349 c.c.

art. 1349 c.c.  determinazione dell’oggetto

Se la determinazione della prestazione dedotta in contratto è deferita a un terzo e non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio [64] , il terzo deve procedere con equo apprezzamento [631, 632, 664]. Se manca la determinazione del terzo o se questa è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice [778, 1286, 1287, 1473, 2264, 2603]. La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede. Se manca la determinazione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo, il contratto è nullo [1421, 1423][65]. Nel determinare la prestazione il terzo deve tener conto anche delle condizioni generali della produzione a cui il contratto eventualmente abbia riferimento.

Difatti, per la S.C.[66] anche all’arbitraggio relativo alla determinazione del prezzo della compravendita, previsto espressamente dall’art. 1473 c.c., è applicabile la regolamentazione stabilita dalla norma generale di cui all’art. 1349 c.c. quanto all’estensione che l’incarico al terzo può avere, ai correlativi poteri dell’arbitratore, all’impugnabilità della sua determinazione ed alle conseguenze della mancata determinazione.

La nomina

Ove sorga tra le parti una controversia circa la validità e l’efficacia d’un contratto di compravendita, per cui sia stato dalle parti convenuto di affidare ad un terzo la determinazione del prezzo, secondo la previsione dell’art. 1473 c.c., è onere della parte che v’abbia interesse provocare la nomina del terzo ovvero formulare la domanda di determinazione del prezzo prima che la causa sia rimessa all’udienza di discussione [67].

L’applicabilità dell’art. 1473 c.c. presuppone l’esistenza di un accordo già valido, nel quale va ad inserirsi l’attività dell’arbitratore sostitutiva di quella delle parti, ai fini del perfezionamento del contratto. Pertanto non deve ritenersi consentito di chiedere la nomina di un arbitratore in base ad un accordo verbale relativo a vendita immobiliare, radicalmente nullo per la mancanza della forma scritta ad substantiam [68].

In tema di nomina del terzo arbitratore nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 1473 c.c., contro il provvedimento del presidente della corte d’appello, reso su reclamo avverso il decreto di nomina del presidente del tribunale ai sensi dell’art. 82 disp. att. c.c., non è esperibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione avente carattere non decisorio, bensì sostitutivo della volontà negoziale delle parti; né tale carattere viene meno allorché il giudice si pronunci anche sulla contestata sussistenza dei presupposti della nomina, atteso che tale verifica non costituisce accertamento idoneo al giudicato, ma ha valenza meramente incidentale in funzione della nomina stessa, e lascia dunque impregiudicata la definizione di ogni questione in sede di giudizio contenzioso, il cui esito può anche porre nel nulla gli effetti della pronuncia presidenziale [69].

Determinazione ad opera di una parte

È possibile nel silenzio della legge, purché sia escluso ogni arbitrio e si debba, perciò, avere riguardo a parametri obiettivi prefissati.

Si è perciò ammesso:

Vendita con prezzo a scalare: variabile a seconda del variare di dati costi preventivamente indicati.

Vendita con prezzo circa: suscettibile di piccoli ritocchi ad opera del venditore, anche in tal caso con riferimento a dati eventi concordati con l’acquirente.

Vendita con prezzo a chiamata: stabilito sulla base dei prezzi praticati in una data piazza d’affari, scelta ad arbitrio del venditore.

 

Un autore [70], poi, in particolaresegnala la frequente pattuizione di determinate clausole

Vendita cif o caf: prezzo comprensivo anche delle spese per il trasporto e l’assicurazione

Vendita fas: prezzo comprensivo anche delle spese per trasportare le merci fino alla banchina.

Questo tipo di clausola solitamente è formulata comprensivamente con l’espressione franco magazzino – franco vagone partenza – franco domicilio per indicare il luogo fino a dove il costo del trasporto è sopportato dal venditore.

Vendita fob: Prezzo comprensivo anche delle spese per il caricamento della merce sulla nave

 

Determinazione legale

In omaggio al principio della conservazione del contratto – vi sono alcune ipotesi in cui interviene la stessa legge quando le parti non abbiano determinato convenzionalmente il prezzo.

art. 1474 c.c. mancanza di determinazione espressa del prezzo Se il contratto ha per oggetto cose che il venditore vende abitualmente e le parti  non hanno determinato il prezzo, né hanno convenuto il modo di determinarlo, né esso è stabilito per atto della pubblica autorità, si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore.

Se si tratta di cose aventi un prezzo di borsa o di mercato, il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui deve essere eseguita la consegna, o da quelli della piazza più vicina.

Qualora le parti abbiano inteso riferirsi al giusto prezzo, si applicano le disposizioni dei commi precedenti; e quando non ricorrono i casi da essi previsti, il prezzo in mancanza di accordo, è determinato da un terzo nominato a norma del 2°co dell’art. precedente.

1 – A –  prezzo del venditore – art. 1474 1 co

In tale ipotesi, per la S.C.[71] la determinazione, nel contratto di compravendita, del prezzo con riferimento a quello normalmente praticato dal venditore, postula merci di larga produzione e molteplicità di contrattazioni. Ove si tratti di vendita di immobili, tale forma di determinazione del prezzo va escluso quando si tratti di beni appartenenti ad un genus limitatum di ristrettissima consistenza per i quali è inconcepibile una molteplicità e continuità di contrattazioni omogenee.

Infine [72], la determinazione del prezzo con riferimento a quello normalmente praticato dal venditore deve avere riferimento a merci di largo consumo e molteplicità di contrattazione, sicché in tal caso, non può farsi riferimento al criterio del prezzo corrente o di mercato risultante da listini, di cui al secondo comma dell’art. 1474 c.c., né a quello del «giusto prezzo».

2 – A –  prezzo corrente – art. 1474 2 co

3 – A –  giusto prezzo – art. 1474 3 co

Nonostante autorevole opinione contraria [73], è preferibile la tesi seguita dalla dottrina prevalente [74], la quale osserva che il 3 co dell’art 1474 non ha garantito in ogni caso la determinabilità del prezzo (in questo caso il negozio sarà nullo ai sensi dell’art. 1418 perché l’oggetto non è né determinato né determinabile), ma solo qualora le parti si siano riferite, esplicitamente o implicitamente, al giusto prezzo.

Orbene, la Cassazione con una recente pronuncia [75], ha voluto, nuovamente, specificare che  in tema di compravendita, per l’ipotesi di mancata determinazione espressa del prezzo, si presume, alla stregua dell’art. 1474, comma 1, c.c. che le parti abbiano inteso fare riferimento al prezzo normalmente praticato dal venditore, a condizione che il contratto abbia per oggetto cose che questi vende abitualmente.

Il secondo comma dello stesso articolo dispone che, se si tratti di cose aventi un prezzo di borsa o di mercato, il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali del luogo in cui deve essere eseguita la consegna o da quelli della piazza più vicina.

Ove non ricorrano tali ipotesi, a norma del terzo comma dello stesso art. 1474 c.c. il prezzo è determinato da un terzo.

Con altra recente pronuncia

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 maggio 2014, n. 11529

la Cassazione ha specificato anche: perché si possa configurare la fattispecie del terzo comma dell’art. 1474 c.c., allorquando l’oggetto della vendita non è riconducibile alle ipotesi di cui al primo e secondo comma della stessa norma, è necessario che le parti si siano riferite al giusto prezzo, cioè abbiano evocato nella pattuizione tale nozione, restando escluso – a differenza di quanto può accadere se l’oggetto della vendita sia riconducibile alle dette ipotesi – che possano assumere rilievo espressioni diverse anche se sostanzialmente equivalenti (come prezzo congruo, adeguato, e simili).

La legge accorda, dunque, la preferenza, in caso di mancata indicazione espressa del prezzo della cosa venduta, al criterio di determinazione riferentesi al prezzo correntemente praticato dal venditore: ma l’applicazione di tale criterio postula merci di larga produzione e molteplicità di contrattazioni. Se ne deve concludere che l’esistenza di un prezzo generalmente praticato è concepibile solo in riferimento alle cose generiche, e non anche a quelle specifiche, che, per la loro peculiare individualità, non sono suscettibili di prezzi uniformi, tali da poter fornire un sicuro parametro di riferimento.

Mentre, qualora in un contratto di compravendita i contraenti abbiano pattuito con precisione i prezzi della merce, specificandone l’importo in relazione alla qualità di essa ed in rapporto alla quantità di essa, non può farvi ricorso ai criteri succedanei ed integrativi previsti dagli artt. 1474 e 1561 c.c. relativi rispettivamente ai criteri da adottare per stabilire il prezzo delle cose, quando sia mancata la sua determinazione espressa mediante accordo fra le parti, nonché alla modalità di applicazione di tali criteri nel caso particolare di somministrazione a carattere periodico [76].

Ancora, per altra pronuncia di merito [77], la disciplina ex art. 1474 c.c. non è applicabile nei contratti a formazione progressiva, ove le parti abbiano dichiarato nel contratto preliminare o definitivo di rinviare la determinazione del corrispettivo al futuro, il prezzo non può considerarsi determinato né determinabile ai sensi dell’art. 1474 c.c.

Ne consegue che nel caso in cui le stesse non riescano ad accordarsi in ordine alla determinazione del corrispettivo, il contratto deve ritenersi nullo o comunque definitivamente non perfezionato ed insuscettibile di acquistare rilevanza giuridica. Qualora le parti non abbiano affrontato la questione del prezzo, in caso di controversia è onere del venditore che agisca per ottenere il pagamento, provare il prezzo pattuito e quindi che un prezzo, a prescindere dalla sua entità, sia stato effettivamente pattuito.

In base ai principi fissati negli artt. 1346 e 1474 c.c., ai fini della determinabilità del prezzo della compravendita, è necessario che i parametri prefissati dalle parti abbiano tale carattere di precisazione e di concretezza da permetterne la futura determinazione ad esse stesse, ovvero al giudice in caso di loro dissenso, senza che intervenga un’ulteriore determinazione di volontà delle parti stesse; tale requisito va riconosciuto sussistente ove la determinazione del prezzo venga dalle parti collegata al criterio del prezzo ricavabile da una libera contrattazione ovvero di quello che la parte acquirente pagherà in sede di futuri acquisti nella zona adiacente l’immobile compravenduto: in ambo i casi, infatti, la determinazione del prezzo resta ancorata a criteri obiettivi, per cui l’eventuale disaccordo sul punto tra le parti in sede di determinazione concreta del prezzo ben può essere risolto dal giudice, che quindi sovrapporrà in via autoritaria la propria determinazione a quella non raggiunta dalle parti sulla base dei criteri obbiettivi pur da esse stabiliti in contratto[78].

Per altra sentenza della Cassazione[79] qualora le parti, nel concludere un contratto di compravendita, abbiano fatto riferimento per la determinazione del prezzo al contenuto di una norma di legge regolatrice di tale prezzo (nella specie, l’art. 5, comma ottavo, d.l. 29 ottobre 1986, n. 708, conv., con modif., nella l. 23 dicembre 1986, n. 899[80]), occorre stabilire quale tipo di rinvio – “fisso” o “mobile” – esse abbiano inteso effettuare (e il relativo giudizio, trattandosi di interpretazione del contratto, è riservato al giudice di merito, salvo il sindacato di legittimità nei limiti in cui è esercitabile in materia di ermeneutica negoziale); con la conseguenza che, solo se si tratta di rinvio mobile, il contenuto negoziale resta esposto alle vicende modificative ed estintive della norma richiamata; in mancanza, dovendo il rinvio ritenersi fisso, il contenuto della norma viene definitivamente recepito nella dichiarazione negoziale, divenendone elemento stabile e immutabile, insensibile alle vicende della norma stessa sopravvenute dopo la conclusione del contratto (nella specie, l’art. 5 d.l. cit. era stato abrogato, dopo la conclusione del contratto ma prima della decisione di merito, dall’art. 13 l. 30 aprile 1999, n. 136).

6)          SPESE

art. 1475 c.c.   spese della vendita

Le spese del contratto di vendita e le altre accessorie sono a carico del compratore, se non è stato pattuito diversamente.

Le parti possono anche pattuire che esse siano ricompresse nel prezzo, quindi, a carico del venditore.

L’art. 1475 c.c.,  detta una norma che è al tempo stesso suppletiva, perché la sua operatività è subordinata alla mancanza di esplicita diversa pattuizione, e in bianco, poiché la dizione «spese accessorie» può estendersi ad una pluralità di contenuti determinati prima dai contraenti in sede di conclusione del contratto e, poi, dall’interprete che, nella fase contenziosa, è il giudice di merito [81].

Per spese del contratto di compravendita, che l’art. 1475 c.c. pone in via generale a carico del compratore, devono intendersi tutte quelle che siano necessarie per la conclusione del contratto e siano, perciò, con questo in stretto rapporto di causalità, efficienza e strumentalità, con la conseguenza che vanno escluse soltanto quelle spese per cui risulti mancante un rapporto causale — anche sotto il profilo della inutilità evidente e della esorbitanza delle stesse — ovvero l’eventuale contrario accordo delle parti.

Costituiscono, pertanto, ad esempio, spese della compravendita, a carico anche del compratore, ai sensi dell’art. 1475 citato — in quanto strumentalmente compiute per rendere possibile il negozio — gli onorari spettanti ad un professionista per la redazione di una relazione tecnica per il frazionamento e di una planimetria che, costituenti parte integrante dell’atto pubblico di vendita di un immobile, siano state effettuate su incarico del solo venditore [82].

Con una lontana pronuncia la Corte [83] ebbe modo di specificare che l’art. 1475 c.c., disponendo che le spese del contratto di vendita e le altre accessorie sono a carico del compratore, se non è stato pattuito diversamente, e comprendendo implicitamente, tra tali spese, quelle per l’imposta di registro gravante sull’atto di trasferimento, non aggiunge, alle obbligazioni scaturenti reciprocamente a carico delle parti dalla loro volontà consacrata nell’atto, un’obbligazione ex lege del compratore verso il venditore.

Tutte quelle spese, infatti, non sono dovute dal compratore al venditore, ma costituiscono un suo debito verso terzi (notaio, ufficio del registro ecc.). E, se, nei rapporti esterni, e cioè, con particolare riferimento alle spese per l’imposta di registro, nei rapporti verso il fisco  le anzidette spese gravano solidalmente sul compratore e sul venditore, nei rapporti interni, invece, quelle spese costituiscono per il compratore soltanto un onere, nel senso che lo stesso, ha, verso il venditore, l’onere di pagarle alle persone o agli organi cui sono dovute e verso i quali sussiste un vero e proprio obbligo di pagamento, salvo che, data anche la indicata solidarietà, il venditore le abbia anticipate, nel qual caso il compratore ha l’obbligo di rimborsargliele, in via di regresso. Onere del pagamento ed obbligo del rimborso sono, quindi, al di fuori dello schema del sinallagma, non costituiscono cioè obbligazioni principali, né accessorie, né esplicite, né implicite, derivanti direttamente dalla volontà delle parti o dalla volontà integrativa della legge, non costituiscono perciò, né l’uno né l’altro, obbligazioni corrispettive e contrapposte della compravendita.

Mentre, la provvigione dovuta al mediatore [84] non rientra tra le spese del contratto di compravendita e le altre accessorie che, salvo diverso accordo delle parti, l’art. 1475 c.c. pone a carico del compratore perché la relativa spesa non è accessoria al contratto di compravendita, scaturendo da un diverso rapporto, quello di mediazione, e del diritto che, nell’ambito di questo rapporto, è attribuito al mediatore nei confronti di ciascuna delle parti che ha concluso l’affare e per la quota ad esso spettante (art. 1755 c.c.) [85].

Anche le spese in favore del commercialista per la redazione del preliminare successivamente divenuto definitivo, come da ultima pronuncia[86], non rientrano nelle spese accessorie, difatti per spese accessorie della compravendita devono intendersi solo quelle necessarie alla conclusione del contratto e non anche quelle relative ad attività prodromiche che non hanno alcun rapporto di strumentante e causalità per la conclusione del contratto stesso (come, per l’appunto, quelle inerenti alla predisposizione – da parte di un terzo – del preventivo testo del relativo contratto preliminare, il cui incarico, nel caso di specie, era stato conferito dal promittente venditore, che, perciò, rivestiva la qualità di effettivo committente dell’opera professionale compiuta dal professionista, per l’appunto, incaricato).

Ai fini prettamente procedurali, poi, secondo altra massima[87] la disposizione di diritto sostanziale contenuta nell’art. 1475 c.c. non comporta la pronuncia di ufficio della condanna a dette spese, e di conseguenza, qualora il giudice di primo grado, in mancanza di una specifica richiesta, non abbia condannato il compratore a detto pagamento, la relativa domanda non può essere proposta per la prima volta in appello.

 

 

 

C)  OBBLIGHI PER IL VENDITORE

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti –  Capo I Della vendita –  sez. I disposizioni generali  – § 1 delle obbligazioni del venditore –  1476 – 1497

 

 

art. 1476 c.c.  obbligazioni principali per il venditore

Le obbligazioni principali per il venditore sono:

 

1) <quella di consegnare la cosa al compratore che ne è divenuto titolare>

In termini generali la consegna — costituente una delle obbligazioni del venditore — è l’atto con cui il compratore è posto nella condizione non solo di disporre materialmente della cosa trasferita nella sua proprietà, ma anche di goderla secondo la funzione e destinazione in considerazione della quale l’ha comprata [88].

Inoltre [89], è opportuno già precisare che qualora il venditore abbia assunto nei confronti del compratore l’obbligo di consegnare l’immobile ceduto libero da cose e persone, l’inadempimento del venditore all’obbligo predetto non è escluso dalla circostanza che l’acquirente fosse a conoscenza della occupazione in atto al momento della vendita.

art. 1477 c.c.  consegna (o traditio) della cosa

La cosa deve essere  consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita.

Salvo diversa volontà delle parti, la cosa deve essere consegnata insieme con   gli accessori, le pertinenze e i frutti dal giorno della vendita.

Il venditore deve pure consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà  e all’uso della cosa venduta.

La consegna nel nostro sistema contrattuale non è un presupposto necessario per il verificarsi dell’effetto traslativo (il contratto reale, del quale esempio tipico è il mutuo, rappresenta un’eccezione), ma costituisce soltanto un obbligo del venditore che deriva dall’avvenuto trasferimento.

La compravendita non produce un effetto immediatamente traslativo del possesso o della detenzione del bene, che il venditore, ai sensi dell’art. 1476 c.c., ha l’obbligo di consegnare, e, conseguentemente, il relativo atto, ove non contenga una specifica indicazione in tal senso, non fornisce, di per sé prova del contestuale acquisto del possesso di tale bene da parte del compratore [90].

Connesso all’obbligo di consegna sussiste quello della custodia, difatti, per la S.C. [91] in tema di compravendita, grava sul venditore, in quanto tenuto a consegnare la cosa al compratore, ai sensi dell’art. 1476, n. 1), cod., civ., altresì l’obbligo strumentale di custodire la stessa fino al momento del suo effettivo trasferimento all’acquirente, conservandola nella consistenza materiale e giuridica sussistente all’epoca del contratto; ne consegue che il medesimo venditore è passivamente legittimato con riguardo all’azione proposta dal compratore per il risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del bene compravenduto, quale effetto dell’alienazione della cosa a terzi operata prima della sua consegna all’originario acquirente.

Presupposto dell’obbligo che l’art. 1477, ultimo comma, c.c. pone a carico del venditore di consegnare i documenti relativi all’uso della cosa venduta è che tali documenti siano necessari per l’uso della medesima e si trovino in possesso del venditore, il quale dovrà, in caso negativo, curarne la formazione al momento della conclusione del contratto, cosicché in caso di preventiva conclusione di contratto preliminare, è necessario che tali documenti siano acquisiti e consegnati al promissario acquirente all’atto della stipula del contratto definitivo di vendita[92].

Sul punto è stato specificato, come da recente intervento della Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 febbraio 2016, n. 2438

l’obbligo di consegnare il certificato di agibilita’ grava ex lege sul venditore, in base all’articolo 1477 c.c., comma 3, e a cio’ consegue che il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilita’ o di agibilita’ e di conformita’ alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune – nei cui confronti peraltro e’ obbligato ad attivarsi il promittente venditore – e’ giustificato, poiche’ l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprieta’ di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioe’ la fruibilita’ e la commerciabilita’ del bene (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 15969 del 2000; sentenza n. 16216 del 2008).

Inoltre, la consegna del certificato di abitabilita’ dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per se’ condizione di validita’ della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’articolo 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incide sulla possibilita’ di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto. Il venditore-costruttore ha dunque l’obbligo di consegnare all’acquirente dell’immobile il certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio, e l’inadempimento di questa obbligazione e’ ex se foriero di danno emergente, perche’ costringe l’acquirente a provvedere in proprio, ovvero a ritenere l’immobile tal quale, cioe’ con un valore di scambio inferiore a quello che esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il bene sia alienato o comunque destinato all’alienazione a terzi (ex piurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 23157 del 2013).

Natura

atto giuridico in senso stretto e precisamente di un atto reale.

Modi di consegna

La consegna può essere eseguita materialmente, come avviene di solito per le cose mobili o simbolicamente, per gli immobili, ad esempio con la consegna delle chiavi.

La consegna può anche essere virtuale in caso di traditio brevi manu  (il proprietario possessore aliena l’immobile locato al locatario senza consegnarglielo, perché costui già lo detiene in virtù del contratto di locazione) o di costituto possessorio (il proprietario – possessore vende, stipulando nel contento con l’acquirente una locazione in proprio favore dello stesso immobile, con ciò divenendo da possessore detentore, senza consegna dell’immobile all’acquirente che avrebbe dovuto riconsegnarglielo in virtù del contratto di locazione).

Luogo della  consegna

Per i beni mobili –

art. 1510 c.c.  luogo della consegna

In mancanza di patto o di uso contrario, la consegna della cosa deve avvenire nel luogo dove questa si trova al tempo della vendita, se le parti non erano a conoscenza, ovvero nel luogo ove il venditore aveva il suo domicilio o la sede dell’impresa.

Per i beni immobili

La consegna materiale non può avvenire che nel luogo in cui essi si trovano – se poi si tratta di consegna simbolica (chiavi o documenti) deve avvenire nel luogo stabilito dal contratto, in mancanza si applicherà il principio generale stabilito dall’art. 1182 c.c.

Per ultima Cassazione [93] la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto

Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la licenza di abitabilità è un elemento che caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di assolvere la determinata funzione economico–sociale negoziata, e, quindi, di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore ad effettuare l’acquisto. Pertanto, la mancata consegna del certificato di abitabilità implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari.

art. 1182 c.c.   luogo dell’adempimento

Se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non è determinato dalla convenzione o dagli usi e non può desumersi dalla natura della prestazione (1774) o da altre circostanze, si osservano le norme che seguono (att. 159).

L’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta nel luogo in cui si trovava la cosa quando l’obbligazione è sorta (1510).

L’obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio (43) che il creditore ha al tempo della scadenza (1209, 1219, 1498). Se tale domicilio è diverso da quello che il creditore aveva quando è sorta l’obbligazione è ciò rende più gravoso l’adempimento, il debitore, previa dichiarazione al creditore, ha diritto di eseguire il pagamento al proprio domicilio.

Negli altri casi l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza (att. 159).

Il tempo della consegna

Mancano al riguardo disposizioni particolari in tema di vendita e trova perciò applicazione la normativa prevista dall’art. 1183 c.c.

art. 1183 c.c.  tempo dell’adempimento

Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente (1219–2). Qualora tuttavia, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione, sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice (1331, 1817).

Se il termine per l’adempimento è rimesso alla volontà del debitore, spetta ugualmente al giudice di stabilirlo secondo le circostanze; se è rimesso alla volontà del creditore, il termine può essere fissato su istanza del debitore che intenda liberarsi.

Se le parti pattuiscono che la consegna avvenga in un momento successivoalla conclusione, il venditore, come già scritto in precedenza, ha l’obbligo di custodire la cosa ex art. 1177, c.c.

Obbligo non principale ma strumentale rispetto a quello della consegna.

 

art. 1177 c.c.  obbligazione di custodire

L’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna.

 

Immissione nel possesso

La consegna consiste nell’immissione del compratore nel possesso  della cosa e per questo non è possibile nel caso della vendita della sola nuda proprietà.

Nel negozio traslativo della proprietà o di altro diritto reale non è ravvisabile un costituto possessorio implicito [94], nel senso che al trasferimento del diritto segua automaticamente il possesso della cosa, ciò perché il trasferimento stesso costituisce, ai sensi dell’art. 1476 c.c. l’oggetto di una specifica obbligazione del venditore, per il cui adempimento non sono previste forme tipiche. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’alienante trattenga la cosa presso di sé, occorre accertare caso per caso, in base al comportamento delle parti ed alle clausole contrattuali (che non siano di mero stile) se la continuazione, da parte dell’alienante stesso, dell’esercizio del potere di fatto sulla cosa sia accompagnata dall’animus rem sibi habendi ovvero configuri una detenzione nomine alieno [95].

 

Consegne ripartite

La consegna può avvenire anche mediante più atti reali nel tempo, se le parti hanno previsto il frazionamento di una prestazione divisibile.

L’istituto ha una certa affinità con la somministrazione [96], ma la differenza è evidente: nella vendita a consegne ripartite, il frazionamento della consegna costituisce soltanto una modalità di esecuzione dell’unica prestazione; nella somministrazione, invece, le consegne corrispondono ad una pluralità di prestazioni che sono autonome, anche se tra loro esiste una connessione in quanto dirette ad un unico fine.

 

2) < quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto >

 

Ricorre in questa ipotesi la figura della vendita obbligatoria, ossia quando il trasferimento del diritto non si verifica nel momento in cui si perfeziona il contratto con la manifestazione del consenso, ma viene differito in un momento successivo.

L’ipotesi di una vendita con effetti soltanto obbligatori si verifica sia quando il negozio stipulato non consente l’attuazione degli effetti reali (perché, ad esempio, la cosa non è determinata o non è di proprietà del venditore), sia quando tra le parti vi è accordo per differire il trasferimento ad un momento successivo in previsione di un fatto o di un adempimento ulteriore. Tale accordo, in sé, non richiede una dichiarazione espressa né una forma particolare e l’accertamento della sua esistenza costituisce indagine di fatto [97].

Pur essendo la vendita normalmente un contratto con effetti reali, che cioè trasferisce il diritto venduto per effetto del semplice consenso ed al momento stesso della formazione di questo, tuttavia in dipendenza di circostanze e clausole varie o di ulteriori adempimenti il trasferimento del diritto può essere differito ad un momento successivo alla conclusione del contratto.

In questo caso si ha una vendita obbligatoria, cioè, in  altri termini, un contratto non meramente preliminare, ma con effetto traslativo differito ad un momento posteriore alla conclusione del contratto in quanto per il trapasso del diritto, che è pur sempre effetto dell’unico contratto di vendita, non basta il semplice consenso ma occorre il successivo verificarsi di un ulteriore fatto, che in ipotesi può consistere nella determinazione concreta del prezzo a seguito della misurazione del fondo– oggetto della vendita — ovvero anche nella traduzione della scrittura nello strumento pubblico [98].

Quest’obbligo può consistere in un’attività

  • sia positiva

vendita di cosa altrui –

vendita di cosa futura –

  • che negativa  del venditore, in quest’ultimo caso il venditore deve limitarsi a non ostacolare l’acquisto che avviene  a seguito di un fatto ulteriore al quale egli non partecipa

vendita con riserva di proprietà – il pagamento dell’ultima rata da parte del compratore

vendita alternativa – la scelta effettuata da compratore.

La natura giuridica – la dottrina ha proposto varie teorie –

1 – A  –  teoria del doppio negozio [99]  – uno meramente obbligatorio  e l’altro, ancorché collegato al primo (c.d. atto dispositivo) ad effetti reali, determinante per il trasferimento del diritto.

Una tale opinione, già contestata nella precedente legislazione può ancora meno sostenersi nel codice vigente, il quale, ex art. 1376 c.c., imputa ogni trasferimento soltanto al consenso delle parti, e non a fatti ulteriori.

2 – A  –  teoria del negozio tipico [100]  – poiché vi è una scissione temporale tra l’effetto obbligatorio e quello reale.

Ma in realtà il differimento di cui parla l’autore in questione non riguarda la perfezione del contratto ma soltanto l’efficacia del trasferimento

3 – A  –  teoria della fattispecie traslativa complessa [101]  – a formazione successiva, i cui elementi sono costituiti non solo da quelli essenziali per ogni contratto, ma anche da fatti ulteriori estranei allo scema causale del contratto stesso.

In contrario è stato osservato che anche questa tesi finisce, in concreto, col negare alla vendita obbligatoria la natura di autentica vendita, la quale è l’unica fonte del trasferimento, per declassarla ad un fatto giuridico che concorre, con altri fatti o presupposti, alla formazione della fattispecie traslativa.

4 – A  –  teoria del negozio condizionato [102]  – la quale riconduce al meccanismo della condizione i fatti  dai quali, nelle varie ipotesi di vendita obbligatoria, deriva l’effetto (differito) del trasferimento del diritto.

In contrario si ritiene che la condizione sospende l’efficacia di ogni effetto del negozio sia reale che obbligatorio; nella vendita obbligatoria, invece, ciò che non si verifica subito è solo il trasferimento del diritto, mentre sorgono immediatamente determinati effetti sia pure solo obbligatori che sono effetti definitivi e non preliminari

5 – A  –  teoria del negozio con effetti differiti [103]  – l’immediata efficacia del trasferimento è un carattere normale, non essenziale del contratto, come d’altronde è confermato dal citato art. 1476 n. 2 c.c.

Ricapitolando:

2 fasi caratterizzate da effetti diversi

 

1A    Effetti obbligatori

Nasce al momento stesso della conclusione del contratto e consiste nell’irrevocabilità del consenso e nell’impegno del venditore di far acquistare la proprietà della cosa, o il diritto al compratore e nel contemporaneo obbligo del compratore di pagare il prezzo.

2A    Effetti reali

Vale a dire il trasferimento del diritto, si ha, invece, quando si verifica il fatto  o l’atto ulteriore; da quel momento il compratore diventa proprietario della cosa venduta e ne assume i rischi.

Nella vendita con effetti reali, in cui l’acquirente, una volta concluso il contratto, consegue, immediatamente e senza bisogno di materiale consegna, non solo la proprietà ma anche il possesso (in senso giuridico) della cosa, l’obbligo del venditore di trasferirne il possesso materiale può essere derogato allorché il venditore d’accordo con l’acquirente mantiene la relazione immediata con la cosa venduta, possedendola non animo domini bensì ad altro titolo. Tale risultato è raggiungibile sia attraverso la costituzione di usufrutto per riserva del venditore — che, trattandosi di immobili, esige la forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art. 1350, n. 2, c.c. — sia attraverso qualsiasi negozio (tipico o atipico, a titolo oneroso o gratuito) che sia idoneo ad attribuire al venditore un diritto di ritenzione della cosa a scopo di godimento, di uso o di garanzia e che, dando luogo ad un rapporto di natura personale, richiede la stessa forma solo se si concreti in uno degli atti compresi nell’art. 1350 citato, con le correlative conseguenze in ordine alla prova[104].

 

La disciplina nelle 2 fasi

A)  in via analogica e nei limiti della compatibilità, viene applicata la normativa sul negozio condizionato, e in particolare, quella relativa agli atti conservativi.

B) È ammissibile la risoluzione per inadempimento [105] (artt. 1453 ss.) perché già esistono anche prima del trasferimento, specifici obblighi sia a carico del compratore che del venditore.

C) È applicabile la risoluzione per impossibilità sopravvenuta.

D) Anche prima dell’ effetto reale possono verificarsi i presupposti dell’azione di risoluzione per eccessiva onerosità (si pensi a chi vende la cosa altrui, il cui acquisto dal terzo è divenuto eccessivamente oneroso per imprevedibile e straordinario avvenimento.

E) È consentita anche la rescissione [106] del contratto (artt. 1447 ss) –

Maggiori dubbi circa la loro applicabilità riservano:

F) la garanzia per evizione – sembra preferibile la tesi negatrice[107]:

1)     innanzitutto perché il compratore può esercitare tale azione qualora abbia subito effettivamente la privazione (totale o parziale) della cosa alienata;

2)     in secondo luogo perché è ben possibile che, anteriormente al trasferimento, sia evitato il pericolo dell’evizione;

G) le azioni del compratore per vizi della cosa e per mancanza di qualità promesse – poiché esse possono essere proposte solo quando la cosa, anche se non ancora trasferita, sia definitivamente individuata.

H)La trascrizione – quando la vendita abbia ad oggetto beni immobili – È preferibile la tesi positiva [108] sostenuta dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti, poiché nell’ampia e comprensiva espressione dell’art. 2643, n. 1, devono ritenersi inclusi non solo i contratti ad effetti reali immediati, ma altresì quelli ad effetti reali differiti, i quali hanno pur sempre ad oggetto il trasferimento della proprietà di un bene anche se l’effetto traslativo sia differito nel tempo. In analogia con la condizione sospensiva  (artt. 2659, u.c. e 2668, 3 co) comporta un procedimento di pubblicità distinto in 2 tempi –

A)     viene trascritto il contratto di vendita con la menzione, nella nota, della ragione per cui non vi è trasferimento immediato;

B)     viene cancellata la menzione per l’avveramento del c.d. fatto ulteriore

 

 

 

A)  Vendita di cosa generica

[109]

 

Nella vendita di cose generiche la proprietà si trasmette con l’individuazione o specificazione fatta d’accordo tra le parti o nei modi da esse stabiliti.

 

Cosa generica e cosa fungibile

La fungibilità individua, all’interno di un determinato genus, le cose che possono essere indifferentemente sostituite l’una con l’altra. L’alienazione di cosa fungibile può, quindi, essere alienazione di cose specifiche e produrre l’immediato effetto traslativo del diritto

La cosa generica non ha una propria specificità se non con riferimento al genus e pretende pertanto la concreta individuazione al fine di circolare mediante trasferimento del relativo diritto.

Il riferimento può essere

A)        numerico (100 automobili FIAT)

B)        al peso (500 quintali di grano)

C)        alla misura (100 metri cotone)

D)        alla qualità (50 quintali di pasta di semola)

E)        illimitato (100 quintali di grano)

F)         limitato (100 quintali del mio grano) e la distinzione non è senza importanza, perché rileva soprattutto relativamente al perimento della cosa: ad es. se un fulmine distruggesse il mio granaio il contratto sarà risolto per impossibilità sopravvenuta.

art. 1378 c.c.    trasferimento di cosa determinata solo nel genere

Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, la proprietà si trasmette con l’individuazione fatta d’accordo tra le parti o nei modi da esse stabiliti (1465).(L’individuazione nella c.d. vendita da piazza a piazza [110]) Trattandosi di cose che devono essere trasportate da un luogo a un altro, l’individuazione avviene anche mediante la consegna(produce un duplice contemporaneo effetto: individua la cosa generica e libera il venditore dall’obbligo della consegna)  al vettore (1678 e seguenti) o allo spedizioniere (1737 e seguenti).

Sul punto di recente la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|26 maggio 2021| n. 14585.

ha avuto modo di chiarire che la vendita di cose generiche, appartenenti ad un “genus limitandum”, è ammissibile, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico, anche rispetto agli immobili, relativamente al “genus limitatum” costituito dal complesso di un determinato fondo. Sicché, laddove un terreno debba essere distaccato da una maggiore estensione e sia indicato soltanto quantitativamente, nella misura della sua superficie, sussiste il requisito della determinabilità dell’oggetto, quando sia accertato che le parti avevano considerato la maggior estensione di proprietà del venditore come “genus”, essendo stata la stessa perfettamente individuata nel contratto, nonché stabilito la misura della estensione da distaccare e sempre che per la determinazione del terreno non debba richiedersi una nuova manifestazione di volontà delle parti, null’altro occorrendo, ai fini della sussistenza del suddetto requisito, se non l’adempimento del venditore che deve prestare la cosa determinata solo nel genere ex art. 1178 c.c.. Ne deriva che il requisito di determinabilità dell’oggetto sussiste quando nel contratto siano contenuti elementi prestabiliti dalle parti, che possono consistere anche nel riferimento a dati di fatto esistenti e sicuramente accertabili, i quali siano idonei alla identificazione del terreno da trasferire mediante un procedimento tecnico di mera attuazione, che ne individui la dislocazione nell’ambito del fondo maggiore, per cui la consegna di una parte piuttosto che di un’altra risulti di per sé irrilevante, essendo i diversi tratti di terreno del tutto equivalenti, escluso ogni margine di dubbio sulla identità del terreno oggetto del contratto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva dichiarato la nullità del contratto preliminare di permuta di cosa presente contro cosa futura – avente per oggetto il 75% del terreno di proprietà delle promettenti venditrici contro il 25% delle costruzioni che il promettente permutante avrebbe realizzato sui suddetti fondi – per la indeterminabilità dell’esatta collocazione della parte di terreno e dell’esatta collocazione delle costruzioni risultando, in concreto, omesse sia la dimensione, sia l’esatta ubicazione dei fabbricati edificandi).

L’individuazione

E’ un negozio giuridico [111] (contra[112], si tratta di un atto giuridico in senso stretto) bilaterale ovvero unilaterale (alienante o acquirente), che deve attuarsi secondo le modalità stabilite e con mezzi idonei a realizzare la separazione, nel senso di assicurare l’indisponibilità e quindi la non sostituibilità del bene da parte del debitore; in tal modo si determina il trasferimento del bene e, conseguentemente, il passaggio dei rischi dall’alienante all’acquirente.

Trascrizione [113] – trascrivibilità dell’immediata vendita obbligatoria

Annotazione: il notaio procede all’annotazione a margine della trascrizione originaria, l’atto d’individuazione con cui si restringe l’efficacia del trasferimento alla sola, ad esempio, porzione dell’immobile trasferito.

La vendita di massa

art. 1377 c.c.    trasferimento di una massa di cose

Quando oggetto del trasferimento è una determinata massa di cose, anche se omogenee, si applica la disposizione dell’articolo precedente, ancorché,  per determinati effetti, le cose debbano essere numerate, pesate o misurate.

In questa vendita, a differenza della vendita di genere, la massa di cose, anche se trattasi di cose omogenee, viene individuata e, quindi, considerata come cosa specifica e trasferita per un unico prezzo (Ti vendo tutto il grano esistente attualmente nel mio granaio).

Poiché l’oggetto è già individuato, non ha natura di vendita obbligatoria, ma di vendita con effetto reale immediato e la proprietà della massa passa al compratore per effetto del semplice consenso.

 

B)  Vendita di cosa altrui

[114] [115] [116]

 

art. 1478 c.c. vendita di cose altrui

Se al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà del venditore, questi è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore.

Il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa.

Attività diretta del venditore, affinché il compratore diventi titolare.

Il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista (a titolo oneroso a titolo gratuito, inter vivos, mortis causa, a meno che in quest’ultimo caso, la vendita di cosa altrui non dia luogo ad un patto successorio) la proprietà dal titolare di essa

Attività indiretta – ad es. contratto a favore del terzo [117]: il venditore di cosa altrui (stipulante/designatore) fa con il titolare del bene (promittente/titolare del bene) un contratto a favore dell’acquirente (terzo/beneficiario).

Nella vendita o nella promessa di vendita di cosa altrui in cui il venditore o il promittente venditore assume in proprio l’obbligazione del trasferimento del bene, il diritto alla risoluzione del contrattoe all’eventuale risarcimento del danno spetta sia al compratore che ignori l’altruità della cosasecondo la previsione dell’art. 1479 c.c., sia al compratore che sia consapevoledi tale altruità (art. 1478 c.c.). Peraltro, mentre in quest’ultima ipotesi il compratore o il promissario acquirente deve attendere la scadenza del termine convenzionalmente stabilito o fissato dal giudice per l’adempimento del venditore o del promissario venditore, nell’ipotesi considerata dall’art. 1479 c.c. il compratore o il promissario acquirente può agire illico et immediate per la risoluzione, salvo che, prima della domanda di risoluzione, la situazione sia stata sanata con l’acquisto del diritto da parte del venditore o promittente venditore o con la vendita direttamente effettuata dal terzo titolare a favore del compratore o del promissario acquirente[118].

Per una recente pronuncia di una Corte di merito[119] riguardo  all’appello formulato ai fini della riforma della sentenza di prime cure con la quale il Tribunale abbia disatteso la domanda giudiziale volta a far dichiarare la nullità o l’inefficacia della vendita per difetto di titolo in capo al venditore, mero usufruttuario dell’immobile compravenduto, è destituita di fondamento la tesi dell’appellante secondo cui la vendita di cosa altrui sarebbe nulla per impossibilità dell’oggetto o della causa. Ebbene una tale tesi non merita alcuna condivisione in quanto l’illiceità della causa o dei motivi determinano nullità del contratto solo in caso di contrarietà a norme imperative o a principi dell’ordine pubblico e del buon costume, ovvero quando la stipulazione del negozio è volta ad eludere una norma imperativa. Il negozio, pertanto, deve ritenersi pienamente valido ed efficace potendo, il terzo che rivendichi la proprietà della cosa venduta, solamente opporre ad compratore che lo possieda, l’inesistenza dell’effetto traslativo derivante dalla mancanza di titolarità del bene in capo al venditore.

Ancora per altra sentenza di merito[120]la vendita di un bene da parte di chi non è proprietario dello stesso non costituisce negozio nullo, né annullabile, ma configura unicamente una ipotesi di carenza della legittimazione al negozio e, dunque, di un contratto concluso a non domino, secondo la disciplina della vendita di cosa altrui, la quale produce effetti obbligatori tra le parti, a norma dell’art. 1478 c.c., e dunque l’obbligo del venditore di far acquistare la proprietà della res all’acquirente, risultando in tal caso l’alienazione inopponibile al proprietario effettivo che non abbia preso parte alla stipula dell’atto. Il compratore ignaro dell’altruità del bene, in ogni caso, ha il diritto di chiedere la risoluzione del contratto, la restituzione del prezzo pagato ed il risarcimento del danno ex art. 1223 c.c., previa dimostrazione della buona fede del medesimo, ex art. 1479 c.c., la quale non può essere esclusa per la semplice possibilità di verificare l’altruità della cosa qualora l’acquirente si sia fidato della contraria dichiarazione formulata dal venditore al momento dell’atto. (Fattispecie avente ad oggetto la vendita di un veicolo di proprietà altrui, ove, provato l’inadempimento del venditore e la buona fede dell’acquirente, deve farsi luogo all’accoglimento della domanda, da questi formulata, di risoluzione del contratto e restituzione delle somme versate in esecuzione del contratto risolto).

A tale validità, inoltre, non può essere opposto l’articolo 28 della Legge Notarile, vietando al notaio di ricevere atti “espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume”, intende riferirsi a tutti e soli gli atti affetti da vizi che diano luogo a nullità assoluta (senza che rilevi sul punto la distinzione tra norme proibitive e precettive e la differenza tra nullità espressa e non espressa o tra nullità formale e sostanziale), non ricadendo nel divieto tutte le ulteriori ipotesi di difformità del negozio/documento dal paradigma teorico previsto dall’ordinamento, cioè le violazioni connesse ad un vizio di portata diversa ed inferiore (semplice annullabilità, inefficacia o inesistenza)[121].

 

La produzione dell’effetto reale

L’obbligo di far acquistare la proprietà al compratore si adempie nello stesso istante in cui il venditore acquista, solitamente entro un determinato termine, dal terzo proprietario il bene.  A quel momento si produce automaticamente l’effetto reale in favore dell’acquirente, senza che sia necessario un successivo atto tra venditore ed acquirente medesimo.

In caso di vendita di cosa altrui, l’obbligo del venditore può essere adempiuto

1)    sia mediante l’acquisto della proprietà della cosa da parte sua, con l’automatico ed immediato trapasso della proprietà al compratore,

2)    sia mediante la vendita diretta della cosa stessa operata dal terzo suo proprietario in favore del compratore.

In tale ultimo caso, tuttavia, ai fini della valutazione dell’avvenuto adempimento dell’obbligo, è pur sempre necessario che la vendita diretta abbia avuto luogo in conseguenza di un’attività svolta dallo stesso venditore nell’ambito dei suoi rapporti con il proprietario, e che quest’ultimo manifesti, in forma chiara ed inequivoca, la propria volontà di vendere il bene di sua proprietà al compratore.

Solo in tal modo, infatti, si realizza, con l’effetto traslativo, quel risultato che il compratore intendeva conseguire e che il venditore s’era obbligato a procurargli[122].

Disciplina giuridica

è applicabile anche all’istituto in esame la disciplina dettata dagli artt. 1470 ss. c.c., purché non si tratti di norme eccezionali incompatibili.

Non si ritengono ad es. applicabili, in linea di massima, le norme in materia di negozio condizionato.

Troveranno applicazione l’art. 1357 e l’art. 1358 c.c., mentre non sarà applicabile l’art. 1356 c.c., perché il particolare carattere di alienità dell’oggetto esclude l’attribuzione del potere di compiere atti diritti a far salvi i futuri diritti.

La consapevolezza dell’altruità o meno

La consapevolezza da parte di entrambi i contraenti della non appartenenza della cosa al venditore, ai fini dell’applicazione dell’art. 1478 c.c., in tema di vendita di cosa altrui, sussiste ove il venditore con sufficienti e significative espressioni, manifesti al compratore l’alienità del bene oggetto della compravendita[123].

Perché si abbia vendita di cosa altrui è rilevante non il convincimento che l’alienante abbia o meno dell’altruità della cosa, ma l’effettiva appartenenza ad altri della stessa[124].

Ma, per la Cassazione[125], la disciplina positiva distingue i rimedi esperibili a seconda che l’acquirente sia o meno consapevole che il bene sia di proprietà aliena.

Nel primo caso, previsto dall’art. 1478 c.c., non è data l’azione di risoluzione, ma solo quella di adempimento, mentre nella seconda ipotesi, disciplinata dall’art. 1479 c.c., la risoluzione può essere domandata dall’acquirente che al momento della conclusione del contratto abbia ignorato che il venditore non era titolare del bene, salvo, nel frattempo, questi non gliene abbia procurato la proprietà. Alla prima delle due fattispecie va ricondotta anche l’ipotesi in cui le parti abbiano dedotto nel contratto che la proprietà del bene è controversa, essendovi lite pendente tra il venditore e terzi. La comune previsione (espressa o implicita) che il bene non possa essere (efficacemente) trasferito ove l’esito della lite pendente sia sfavorevole al venditore, come non fa venire meno la responsabilità dell’alienante nell’assumersi titolare della res vendita, così non dimostra che l’acquirente abbia avuto altra consapevolezza se non del particolare rischio contrattuale assunto. Quest’ultimo, a sua volta, non rende automaticamente aleatorio l’accordo negoziale, sia perché è aleatorio soltanto il contratto in cui il fattore di pura sorte, da cui dipende il risultato economico sperato rispettivamente dalle parti, svolge un’efficienza di tipo causale, sia in quanto, in difetto di apposita clausola di segno opposto, il venditore resta tenuto all’obbligazione di trasferimento della proprietà e soggiace, in caso di inadempimento, alla responsabilità relativa.

art. 1479 c.c.  buona fede del compratore

Il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, se, quando l’ha concluso, ignorava che la cosa  non era di proprietà del venditore, e se frattanto il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà.

Salvo il disposto dell’art 1223 il  venditore è tenuto a restituire all’acquirente il prezzo pagato, anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata; deve inoltre rimborsagli le spese e i pagamenti legittimamente fatti per il contratto. Se la diminuzione di valore o il deterioramento derivano da un fatto del compratore, dall’ammontare suddetto si deve detrarre l’utile che il compratore ha ricavato.

Vendita di cosa altrui venduta come propria

È questa un’ipotesi c.d. patologica, ed è previsto, oltre al risarcimento del danno (art. 1223), la risoluzione immediata ex  art. 1479 1 co, a meno che frattanto il debitore non gli abbia fatto acquistare la proprietà e salva l’ipotesi in cui non sussista la colpa del venditore, la quale mancherà soltanto in casi eccezionali (si pensi al caso in cui il venditore ignori in buona fede che il suo rappresentante, nonostante la revoca delle procura, abbia già alienato il bene ad altri).

Il compratore di cosa mobile acquistata ignorando che la cosa stessa non era di proprietà del venditore, può chiedere la risoluzione del contratto, benché il venditore gliene abbia trasmesso il possesso, sussistendo l’inadempimento per l’omesso trasferimento del diritto come effetto immediato del puro e semplice consenso, e non essendo venuto meno tale inadempimento per il fatto che il compratore abbia acquistato il diritto per effetto del trasferimento del possesso nella sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 1153 c.c., poiché il trasferimento del possesso a non domino, essendo privo di valore negoziale, non può equivalere a trasferimento del diritto come effetto immediato del puro e semplice consenso[126].

In caso di vendita o di promessa di vendita di cosa altrui, il compratore o il promissario, in buona fede, hanno non solo la facoltà di chiedere, a norma dell’art. 1479 c.c., la risoluzione del contratto non appena vengano a conoscenza dell’alienità della cosa, salvo che nel frattempo la situazione non sia stata sanata con l’acquisto del diritto da parte del venditore, ma anche quella di sospendere il pagamento delle ulteriori rate fin quando il venditore o il promittente non si sia procurato la proprietà della cosa o abbia dato, almeno, valide garanzie a tale riguardo, senza che sia necessaria la fissazione di un termine per l’adempimento, a norma dell’art. 1183 c.c., dal momento che in caso di vendita o promessa di vendita di cosa altrui, nell’ipotesi di cui all’art. 1479 c.c., l’inadempimento si verifica nel momento in cui è compiuto l’atto dispositivo della cosa altrui facendola passare come cosa propria[127].

La differenza sostanziale nella consapevolezza o meno dell’altruità si ha ai fini prescrizionali dell’azione.

La prescrizione dell’azione di risoluzione o di riduzione del prezzo e di risarcimento dei danni, di cui agli artt. 1479 e 1480 c.c. rimane sospesa, a norma dell’art. 2941, n 8, c.c., quando il venditore abbia dolosamente occultato al compratore la parziale alienità della cosa, precludendogli, con il suo comportamento doloso, la possibilità di far valere il proprio diritto, ed il termine per l’esercizio di tale azione, quindi, non può decorrere se non dalla data in cui l’acquirente abbia scoperto che la cosa vendutagli appartiene in tutto o in parte a persona diversa dal venditore [128].

Il termine di prescrizione dell’azione di risoluzione del contratto di compravendita di cosa altrui proposta dal compratore in buona fede, che, al momento della conclusione del contratto, ignorava che la cosa non era di proprietà del venditore (art. 1479, c.c.) non può essere interrotto con un atto stragiudiziale di costituzione in mora ai sensi dell’art. 2943, quarto comma, c.c., in quanto quest’ultima norma è applicabile di diritti di credito, non anche ai diritti potestativi, qual é quello esercitato con la succitata azione, rispetto al quale sussiste una situazione di mera soggezione, non già un obbligo, del contro interessato [129].

Rifiuto del terzo

In questo caso secondo la tesi [130] preferibile, anche in caso di rifiuto, ci si adegua ai principi generali (a differenza di chi [131] ha previsto una responsabilità oggettiva del venditore), nel senso che per richiedere la risoluzione del contratto e il conseguente risarcimento del danno, c’è bisogno della colpa del venditore di cosa altrui, il quale non si assicurò, al momento in cui assunse l’obbligo di trasferire, che avrebbe avuto il consenso del terzo o, comunque, non si attivò sufficientemente per procurarsi la disponibilità della cosa da lui imprudentemente alienata.

Qui si coglie la differenza dalla promessa dell’obbligazione del terzo, nella quale il promettente accetta, sin dal momento della conclusione del contratto, il rischio del rifiuto del terzo.

Affinità con la figura giuridica della promessa del fatto del terzo

L’affinità sussiste nel fatto che, nella maggior parte dei casi, lo stesso risultato può essere raggiunto con l’uno o con l’altro mezzo giuridico:

Tizio potrà vendere a Caio il bene di Sempronio (vendita di cosa altrui) ovvero potrà promettere, dietro corrispettivo, di far trasferire il bene dal proprietario Sempronio al promissorio Caio (promessa del fatto  del terzo).

Ma la distinzione tra i due istituti è evidente, perché nella promessa il promettente assume l’obbligo non di acquistare la cosa dal terzo, ma di farla vendere direttamente da costui al promissorio. Si è, perciò, completamente fuori dalla compravendita e il contratto che si conclude non avrà effetti reali, ancorché differiti, ma meramente obbligatori.

In effetti per la S.C.[132] la vendita di cosa altrui e promessa del fatto del terzo, di cui, rispettivamente, agli artt 1478 e 1381 c.c., si differenziano perché, nella prima, il venditore assume in proprio l’obbligo del trasferimento del bene e, nella seconda, tale trasferimento è demandato al facere del terzo, venendo dedotto in obbligazione solo per questa via, secondaria ed eventuale, sicché, mentre nella vendita di cosa altrui l’obbligazione del venditore di procurare al compratore l’acquisto della cosa altrui nasce come obbligazione primaria, sin dal momento della conclusione del contratto, nella promessa del fatto del terzo contenuto del negozio e l’obbligo assunto dal promittente verso il promissario di adoperarsi affinché il terzo si obblighi a fare o faccia ciò che il promittente medesimo ha promesso.

Riassumendo per altra autorevole dottrina[133]

a) prima ipotesi: vendita di cosa dichiaratamente altrui:

Secondo altro autore[134]: in tal caso se il venditore non consegue la proprietà della cosa entro un certo termine (fissato convenzionalmente o dal giudice ex art. 1183 2 co) può ritenersi applicabile:

art 1381  c.c.  promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo  colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso.

 

Secondo altra impostazione [135], l’acquirente potrebbe agire con l’azione di risoluzione e conseguente risarcimento del danno ex art. 1479, pur senza dimostrare la colpa del venditore:

 

1)     conoscenza dell’altruità da parte dell’acquirente : quando il venditore aliena la cosa altrui in nome proprio, ma l’altruità del bene è nota all’acquirente, in questo caso, se il venditore ignorava l’altruità potrebbe ipotizzarsi, da parte sua un’impugnativa per errore sulla qualità giuridica del bene.

2)     ignoranza dell’altruità: se invece l’acquirente ignorava l’altruità del bene e nel frattempo il venditore non gliene ha fatto acquistare la proprietà, può chiedere la risoluzione ex  art. 1479 1 coc.c..

b)        seconda ipotesi:vendita di cosa parzialmente altrui: il compratore che ignorava la circostanza può chiedere:

1)     la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno a norma dell’art.1479 c.c., quando deve ritenersi che egli non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario.

2)     riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno ex art. 1480 c.c.

C)    Vendita di cosa parzialmente altrui

art. 1480 c.c. vendita di cose parzialmente di altri

Se cosa che il compratore riteneva di proprietà del venditore era solo in parte di proprietà altrui (fattispecie patologica), il compratore può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno a norma dell’art. precedente, quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno .

 

E’ discusso se nella fattispecie della vendita di cosa parzialmente altrui (fisiologica o patologica – es.Tizio vende a Caio 10.000 metri quadrati del suolo edificatorio, mentre è proprietario soltanto di 8.000 metri quadrati) rientri anche l’ipotesi di alienazione per intero di un bene di cui il venditore sia proprietario soltanto pro quota e Tizio vende l’intero fondo Tuscolano del quale è proprietario soltanto per la metà.

A)           alcuni autori [136] sostengono la tesi negativa, affermando che, fino a quando perdura lo stato di comunione [137], non esiste ancora una parte del venditore, né può esistere una parte concreta idonea a costituire oggetto di attuale trasferimento; assimilano, cioè, la vendita dell’intero bene del quale si è soltanto comproprietari alla vendita di cosa totalmente altrui.

B) Ma la tesi positiva [138],la quale ritiene che le due ipotesi sono giuridicamente equivalenti, perché, per configurare la vendita di cosa parzialmente altrui, è sufficiente la parziale alienità della cosa, poco importa se si tratti di parte materiale o di parte giuridica (quota): in entrambe le ipotesi troveranno applicazione l’art. 1478 c.c., se ricorre la fattispecie fisiologica, e l’art. 1480 c.c., se ricorre la fattispecie patologica.

In questo caso è importante notare che il venditore potrà diventare proprietario della cosa parzialmente altrui, oltre al modo previsto dall’art. 1478 (acquistare – inter vivos o mortis causa), anche attraverso una successiva divisione [139], con la quale gli venga assegnato l’intero bene.

Per la Cassazione [140] la disciplina di cui all’art. 1480 c.c. comprende sia la vendita per intero di una parte materiale della cosa di cui l’alienante assuma di essere proprietario (communio pro diviso), sia l’ipotesi di vendita da parte di un comproprietario, di una cosa di proprietà comune pro indiviso; per contro, la vendita di un bene interamente (e non parzialmente) di proprietà altrui, è regolata dall’art. 1479 c.c.

La disciplina dell’art. 1480 c.c. per la vendita di cosa parzialmente altrui trova applicazione anche nel caso del patto di prelazione [141] che abbia ad oggetto la vendita di un immobile per l’intero, ove sia stato stipulato da alcuni soltanto dei suoi comproprietari a favore di persona ignara della parziale alienità del bene, con la conseguenza che il patto di prelazione conserva efficacia limitatamente alle quote dei comproprietari che lo hanno stipulato e l’avente diritto alla prelazione, che ne abbia interesse, può valersi di questa per l’acquisto di tali quote dell’immobile, allorquando i predetti comproprietari procedano alla loro vendita [142].

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 novembre 2015, n. 24144

l’ipotesi di vendita di cosa solo parzialmente altrui si configura esclusivamente sulla base della situazione oggettiva della res alienata al momento della stipula del relativo negozio, indipendentemente dagli elementi soggettivi (come la scienza o l’ignoranza della parti al riguardo), che possono riflettersi unicamente sulle conseguenze: Per essa, ancorché la cosa venduta appartenga per quote indivise al venditore e ad un terzo, trova applicazione l’art. 1478 c.c., alla cui stregua il venditore è obbligato a far conseguire al compratore la proprietà del bene, acquistandolo egli stesso dal dominus o procurando, nelle forme previste, direttamente la ratifica del suo operato da parte del dominus stesso. Gli elementi soggettivi, al contrario, possono riflettersi unicamente sulle conseguenze di tale situazione, che sono diverse, a seconda che il compratore sia in buona o mala fede. Nel primo caso, infatti, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto nella sua interezza, oltre a rimborsi e risarcimento, quando le circostanze del caso concreto facciano ritenere che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; nel secondo caso, invece, nell’ipotesi cioè che il compratore fosse a conoscenza del fatto che il venditore era soltanto comproprietario, il compratore può ottenere soltanto una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento dei danni.

D)  Vendita di cosa futura: emptio rei speratae

 

Per autorevole autore [143] la cosa si configura come futura ogniqualvolta essa non è, per qualsivoglia motivo, deducibile immediatamente in contratto in quanto ancora non suscettibile di appropriazione in termini giuridici.

  • Beni inesistenti in rerum natura (un raccolto che deve essere seminato; un appartamento che deve essere costruito).
  • Beni esistenti ma ancora res nullius (vendita di pesce non pescato).
  • Beni esistenti non ancora distaccati dallo cosa madre (i frutti)

Sono configurabili come diritti futuri, quando essi dipendono dall’avveramento di una condizione ovvero costituiscono la controprestazione di un adempimento non ancora eseguito, come nel caso di cessione onerosa di un credito.

art. 1472 c.c.   vendita di cose future

Nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati.

Qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio la vendita è nulla se la cosa non viene ad esistenza.

         

  • prima ipotesi: beni prodotti dalla natura[144]: la cui venuta ad esistenza è considerata dai contraenti come incerta e non dipendente esclusivamente dalla volontà dell’uomo:

frutti di un fondo, i parti degli animali o altre cose la cui esistenza non dipende dalla volontà esclusiva dell’uomo.

Conseguenza: applicabilità dell’art. 1472 2 co  e il contratto non produrrebbe effetto non tanto perché nullo, quanto perché incompleto o inutile.

Natura giuridica

In merito la Cassazione [145], ha affermato che la vendita di alberi da tagliare (o di frutti del fondo da raccogliere) non può mai avere effetto reale immediato, poiché un prodotto naturale, fino a quando non sia staccato dalla cosa madre, è insuscettibile di proprietà separata. Pertanto, come testualmente dispone l’art. 1472 c.c., per il quale la proprietà si acquista quando gli alberi siano tagliati ed i frutti separati, detta vendita ha natura meramente obbligatoria.

  • seconda ipotesi: beni prodotti dall’uomo [146]: come nel caso di edificio da costruire [147].

Conseguenza: inapplicabilità dell’art.1472 2 co   ma validità dei principi generali in materia di contratto. E  nel caso in esempio vi potrebbe  essere inadempimento dell’obbligo di fare (costruire l’immobile) e il contratto potrebbe essere risoluto ex art 1453.

Secondo quest’ultimo autore [148] si applicano i principi generali in materia di contratto anche ai beni prodotti dalla natura se si considera che la coltivazione del fondo o l’allevamento del bestiame sono strumentali al prodursi dei frutti o ai parti degli animali (mentre la prima ipotesi [149] parte dall’errato presupposto che la loro venuta ad esistenza dipenda essenzialmente dalle favorevoli condizioni naturali e solo in via secondaria dall’attività dell’uomo) si dovrà concludere che anche in questo caso è ipotizzabile un inadempimento relativo all’obbligo, con conseguente risoluzione.

Pertanto l’art. 1472 2 co trova applicazione solo quando la cosa viene ad esistenza per fatto comunque non imputabile al venditore.

Per una pronuncia della Cassazione [150] nell’ipotesi in cui il proprietario di un terreno, nel procedere alla sua vendita, si riservi il diritto — esclusivo, perpetuo e trasmissibile a terzi sia per atti tra vivi che mortis causa — di escavare ed estrarre materiali esistenti nel sottosuolo, non si è in presenza di una vendita mobiliare di massa di cose future, né alla costituzione di un diritto personale a favore dell’alienante, bensì dell’alienazione di un diritto reale avente ad oggetto la proprietà della parte di sottosuolo interessata dal giacimento, distinto dal diritto di proprietà trasferito all’acquirente e condizionante l’estensione del diritto di quest’ultimo, il quale acquista la proprietà del suolo in superficie e della parte di sottosuolo sottostante al giacimento. In tal caso, la possibilità di separata alienazione del suolo dal sottosuolo come entità reali giuridicamente autonome — nonché della costituzione di diritti di servitù, a carico della superficie, strumentali allo sfruttamento del sottosuolo — non trova ostacolo nella eliminazione della superficie a seguito dell’utilizzazione del sottosuolo, in quanto il diritto dell’acquirente, su un più basso livello della superficie, resta comunque suscettibile, una volta cessato lo sfruttamento della cava ed estinto il diritto dell’alienante, delle più diverse e pertinenti utilizzazioni.

 

Natura giuridica

 

1A) Ipotesi dottrinaria – Contratto perfetto [151]

La compravendita di cosa futura (c.d. res sperata), si perfeziona con l’accordo secondo la regola generale, essendo solo spostato nel tempo l’effetto reale. Di qui l’idea che il contratto sia suscettibile d’immediata trascrizione, tesi, questa, più che discutibile, perché prima che la cosa venga ad esistenza il contratto non produce effetti reali non già per volontà delle parti (come nel caso di condizione sospensiva o di termine dilatorio, per cui  si giustifica la trascrivibilità con la menzione prevista dall’art. 2659 2 co) ma per intrinseca carenza funzionale, cosicché esso non rientra nella prev.ne dell’art.2643 n.1.

2A)  Ipotesi dottrinaria – Contratto in via di formazione [152] che si perfeziona solo nel momento in cui la cosa viene ad esistenza.

In questa prospettiva l’eventuale inadempienza del venditore dell’obbligo di favorire tale venire ad esistenza non rileva sul piano contrattuale ma su quello precontrattuale, determinando così una culpa in contraendo.

 

Per la Cassazione [153], invece, la vendita di cosa futura, pur non comportando il passaggio della proprietà della cosa al compratore simultaneamente e per effetto della semplice manifestazione del consenso, non costituisce un negozio a formazione progressiva, di carattere e con effetti meramente preliminari (aventi per contenuto quello di porre in essere un successivo negozio), ma configura un’ipotesi di vendita obbligatoria di per sé sufficiente a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui la cosa verrà ad esistenza.

Con altra successiva pronuncia[154] è stato ribadito che la vendita di cosa futura non consiste in un contratto a formazione progressiva non ancora completo di tutti i suoi elementi, i cui effetti siano destinati a prodursi in un momento successivo a quello in cui la cosa venga ad esistenza, bensì costituisce un negozio perfetto ab origine, con contenuto ed effetti obbligatori, di cui il principale per il venditore è quello di osservare un comportamento necessario perché la cosa venga ad esistenza. Ne consegue che la mancata consegna della cosa stessa (nella specie, bene immobile) nel termine contrattualmente stabilito determina a carico del venditore l’insorgere del rischio per il ritardo nell’adempimento (c.d. perpetuatio obligationis, ex art. 1721 c.c.).

 

La trascrizione [155]

 

In tema di trascrizione, anche la vendita di cosa futura, ove abbia per oggetto beni immobili, è soggetta, per opporne gli effetti ai terzi, a trascrizione, che grava inizialmente sul terreno e, in virtù del principio dell’elasticità del dominio, potenzialmente sulla costruzione, non rilevando in contrario che la proprietà del bene oggetto del contratto si trasferisca all’acquirente non alla data dell’accordo, bensì nel momento in cui il bene medesimo sia venuto ad esistenza [156].

Inoltre [157], la compravendita d’immobile futuro — e quindi la domanda relativa al suo accertamento — è soggetta a trascrizione, perché, pur non determinando il trasferimento della proprietà del bene al compratore per effetto del solo consenso delle parti, non costituisce un negozio a formazione successiva, ma configura un’ipotesi di vendita obbligatoria, idonea a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui l’immobile venga ad esistenza e rientra, quindi, nell’ampia dizione dell’art. 2643, n. 1, c.c., cioè tra i contratti che trasferiscono la proprietà degli immobili.

 

Vendita di cosa futura e appalto

In generale la vendita e l’appalto sono due contratti diversi tra loro sotto molti punti di vista.

Fondamentalmente, non dovrebbe porsi un problema di qualificazione poiché la vendita ha un’efficacia essenzialmente traslativa e dà origine ad un’obbligazione di dare mentre l’appalto determina il sorgere di un’obbligazione di fare.

Tuttavia, in alcuni casi particolari, il contratto non si limita ad imporre ad una delle parti una precisa obbligazione di dare o di fare ed assume contorni più sfumati imponendo una prestazione consistente sia in un dare che in un fare. Ciò accade, ad esempio, nel caso della vendita di cosa futura espressamente contemplata dal legislatore nell’ art. 1472 c.c.

Come già ampiamente argomentato l’art. 1476 c.c. stabilisce quali sono le obbligazioni principali del venditore e prevede che quest’ultimo, oltre a dover consegnare al compratore la cosa venduta, deve anche fargliene acquistare la proprietà se l’acquisto non è effetto immediato del contratto.

Nel caso specifico della vendita di cosa futura, poiché il bene ancora non esiste in rerum natura , sorge per il venditore l’obbligo di fare tutto ciò che è necessario affinché la cosa venduta venga ad esistenza. Ciò potrà quindi determinare in capo al venditore l’obbligo di provvedere, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, alla realizzazione del bene.

Anche nell’appalto ci si può trovare di fronte ad un’ipotesi particolare, come quella dell’appalto dotato di effetto traslativo, in cui alla normale obbligazione di fare dell’appaltatore si affianca un’obbligazione di dare. Basti pensare all’ipotesi in cui debba essere realizzata un’opera con materiali forniti dallo stesso appaltatore.

In questo caso, una delle parti assume l’impegno non soltanto di compiere l’opera commissionatagli con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, ma anche quello di trasferire al committente i materiali impiegati per la realizzazione.

Peraltro, l’ipotesi dell’appalto con effetto traslativo è tutt’altro che infrequente, posto che l’art. 1658 c.c. espressamente prevede che, se le parti non hanno stabilito diversamente, i materiali necessari per il compimento dell’opera devono essere forniti dall’appaltatore; dunque, nella maggior parte dei casi, accanto all’obbligazione di fare sussisterà in capo all’appaltatore un’obbligazione di dare.

Appare subito chiaro che le due figure contrattuali della vendita di cosa futura e dell’appalto con effetto traslativo si somigliano molto non solo perché in entrambi i casi abbiamo un contratto che impone ad una delle parti sia un’obbligazione di fare sia un’obbligazione di dare, ma soprattutto perché la prestazione dovuta dalla parte finisce sostanzialmente per essere identica. Infatti, tanto il venditore quanto l’appaltatore dovranno provvedere a realizzare un’opera, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, facendone acquistare la proprietà alla controparte.

La differenza tra vendita di cosa futura e appalto è, in teoria, di estrema chiarezza, in quanto l’appalto ha un’efficacia essenzialmente obbligatoria, mentre la compravendita ha un’efficacia essenzialmente traslativa.

Nella pratica, invece, i confini tra i due istituti non sono sempre marcati e precisi nelle ipotesi, non infrequenti, di contratti in cui un soggetto si obbliga verso un altro soggetto ad eseguire una determinata opera che egli realizzerà non solo con la propria organizzazione e a proprio rischio, ma anche con proprio materiale; lo stesso risultato economico, infatti, può essere raggiunto sia con la vendita di cosa futura che con l’appalto.

Appalto

a)     Beni mobili qualora i materiali non siano forniti dal costruttore, ma dal committente

b)     Costruzione di beni immobili, qualora il suolo non sia del costruttore

In questi due casi il negozio non produce alcun effetto  traslativo, ma soltanto l’obbligo di compiere l’opera dietro corrispettivo.

 

Vendita di cosa futura

Qualora il suolo sia del costruttore, nella maggior parte dei casi, le parti avranno concluso una vendita di cosa futura.

In tale ipotesi la natura traslativa dell’appalto richiederà sia la forma scritta che la trascrizione, secondo l’ampia formula degli artt. 1350 n.1  e 2643 n.1 c.c., comprensiva di  tutti i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili.

Me nella pratica, molto spesso le parti pongono in essere più contratti, attraverso la figura giuridica del collegamento negoziale [158], e precisamente: una vendita di cosa presente (con effetti reali immediati) del suolo, un appalto (che ha per oggetto la costruzione) ed eventualmente anche una divisione di cosa futura (nel caso in cui sei debba costruire un edificio composto da più appartamenti).

 

Per quanto riguarda la disciplina di tale contratto essa varia rispetto a quella della vendita di cosa futura, poiché la forma scritta sarà prevista soltanto per la divisione e la vendita immediata del suolo mentre per l’appalto sarà libera e per quanto riguarda il momento dell’acquisto dell’immobile, nell’ipotesi dei negozi collegati l’acquisto si avrà per accessione [159] (art. 934 c.c.), mentre nel caso di vendita di cosa futura si avrà soltanto quando l’opera sarà terminata.

La differenza tra le due figure (Appalto e vendita di cosa futura) è sottile, evidentemente, nel caso in cui i materiali (per i beni mobili) ovvero il suolo (per gli immobili) appartengono all’appaltatore ovvero a colui che esegue i lavori.

L’individuazione delle due figure può essere fatta,

1)          innanzitutto attraverso la volontà delle parti – che può essere diretta, esclusivamente o prevalentemente, al trasferimento (nella vendita di cosa futura) ovvero alla produzione dell’opera (nell’appalto) –

2)          indi qualora dalla volontà delle parti non possa emergere alcuna interpretazione, si fa ricorso al criterio dell’accessorietà; secondo il quale il negozio deve qualificarsi vendita di cosa futura quando il carattere principale ed essenziale del contratto è nel trasferimento, mentre l’opera dell’uomo costituisce un elemento strumentale ed accessorio; deve, invece, considerarsi appalto qualora abbia carattere accessorio il trasferimento e sia in primo piano l’opera dell’uomo.

In effetti per la cassazione [160] quando oggetto prevalente del contratto non è un dare, ma un facere, la convenzione tra le parti dove qualificarsi come appalto, e non vendita di cosa futura, con la conseguenza che non possono trovare applicazione nella specie le regole della compravendita

3)          Altro criterio è quello della normale produzione, nel senso che si ha vendita e non appalto quando l’oggetto costituisce la normale attività del fornitore. In virtù del criterio della normale produzione, il contratto deve essere qualificato come vendita di cosa futura nel caso in cui la cosa che forma oggetto del contratto, pur ancora non realizzata, costituisca un bene, con caratteristiche predeterminate e costanti, che viene prodotto periodicamente e professionalmente dalla parte. Il contratto deve essere invece qualificato come appalto nel caso in cui l’opera che deve essere fornita dalla parte non abbia le normali caratteristiche dei prodotti da questa periodicamente e professionalmente realizzati, ma se ne discosti in modo significativo, presentando caratteristiche particolari convenute tra i contraenti.

4)          Un ulteriore criterio, è quello dato dall’interferenza, che si ha  quando viene attribuito un potere di partecipazione e di controllo a colui che ha conferito l’incarico.

5)          La ricostruzione come contratto misto o complesso

Alcune sentenze, infine, hanno qualificato la fattispecie contrattuale in esame come un’ipotesi atipica di contratto, riconducibile alle figure del contratto misto o del contratto complesso, caratterizzata dalla presenza di elementi riconducibili ai contratti tipici della vendita e dell’appalto. Lasciando da parte i dubbi sorti in dottrina e in giurisprudenza sulla possibilità di operare una distinzione tra contratto misto e contratto complesso, è sufficiente qui sottolineare che la disciplina legislativa applicabile sarà comunque quella del tipo contrattuale prevalente. Per determinare quale sia il tipo contrattuale prevalente sarà ancora una volta necessario indagare quale sia stato l’intento che ha spinto le parti a porre in essere il contratto: se esse hanno avuto come interesse principale quello di scambiare un bene contro una somma di denaro e l’attività diretta a far venire ad esistenza la cosa aveva una funzione solo strumentale, ci si trova di fronte ad una vendita; se invece le parti hanno avuto come interesse principale quello di realizzare una determinata opera dietro pagamento di una somma di denaro e solo per ragioni di opportunità l’esecuzione dell’opera è stata accompagnata dal trasferimento dei materiali, ci si trova di fronte ad un appalto.

6)          Il criterio della prevalenza in senso oggettivo

In un primo tempo, è stato affermato un criterio oggettivo di distinzione detto della prevalenza in forza del quale il contratto dovrebbe essere considerato vendita di cosa futura nel caso di una oggettiva prevalenza dell’elemento fornitura e trasferimento dei materiali da una parte del contratto all’altra, mentre dovrebbe essere qualificato come appalto nel caso di una oggettiva prevalenza dell’opera di lavorazione del materiale fornito. Si tratta di un criterio distintivo che è stato fatto proprio anche dal legislatore in una disposizione tributaria, l’articolo 1 comma 1, della legge 19 luglio 1941, n. 771, secondo cui ai fini dell’imposta di registro devono essere considerati contratti di vendita e non di appalto quelli in cui prevalga il prezzo o il valore delle materie, merci e prodotti, rispetto al prezzo o al valore della prestazione d’opera. Un simile criterio aveva il pregio di non allontanarsi, anche nel caso delle fattispecie contrattuali più ambigue e incerte, dalla distinzione dogmatica classica che vede fondamentalmente nell’appalto un contratto dal quale nasce un’obbligazione di fare e nella vendita un contratto dal quale nasce un’obbligazione di dare. Nel caso in esame, l’obbligazione nascente dal contratto sarebbe da considerarsi come di dare nel caso di prevalenza nella prestazione dell’elemento traslativo della materia, mentre dovrebbe considerarsi come di fare nel caso in cui nella prestazione fosse prevalente l’elemento lavoro.

Però, la Cassazione [161], in merito, ha affermato che la distinzione tra vendita e appalto, nei casi in cui la prestazione di una parte consista sia in un dare, sia in un facere, non si esaurisce nel dato meramente oggettivo del raffronto fra il valore della materia e il valore della prestazione d’opera, essendo, all’uopo, necessario avere riguardo alla volontà dei contraenti, per cui si ha appalto quando la prestazione della materia costituisce un mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, in modo che le modifiche da apportare alle cose, pur rientranti nella normale attività produttiva del soggetto che si obblighi a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma sono tali da dare luogo ad un opus perfectum, inteso come effettivo e voluto risultato della prestazione.

7)          Il criterio della prevalenza in senso soggettivo

Per rispondere ad interrogativi come questo, la giurisprudenza, come già evidenziato, ha elaborato un altro criterio, definibile della prevalenza in senso soggettivo, in cui il punto di riferimento per operare una distinzione continua ad essere la prevalenza dell’uno o dell’altro elemento della prestazione contrattuale; tuttavia, tale prevalenza deve essere valutata non più oggettivamente in base ad una valutazione astratta, fondata esclusivamente sul contenuto del contratto e sulla concreta attività che deve essere svolta da una delle parti, ma deve essere determinata dall’interprete sulla base di quella che è stata l’effettiva comune intenzione delle parti. L’elemento distintivo per determinare la corretta qualificazione del contratto diventa dunque la reale volontà dei contraenti: se nella comune intenzione delle parti l’attività lavorativa di trasformazione della materia è stata considerata a servizio del trasferimento del bene e quindi come attività meramente strumentale, ci si troverà di fronte ad una vendita di cosa futura; se invece è stato il trasferimento della proprietà dei materiali ad essere considerato come elemento accessorio diretto a consentire lo svolgimento dell’attività di trasformazione, allora ci si troverà di fronte ad un contratto di appalto.

In realtà per la S.C.[162] la circostanza che il venditore sia anche il costruttore del bene compravenduto, non vale ad attribuirgli la veste di appaltatore nei confronti dell’acquirente e a quest’ultimo la qualità di committente nei confronti del primo. L’acquirente non può pertanto esercitare l’azione per ottenere l’adempimento del contratto d’appalto e l’eliminazione dei difetti dell’opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spettando tale azione esclusivamente al committente del contratto d’appalto di natura contrattuale, diversamente da quella prevista dall’art. 1669 c.c. di natura extracontrattuale operante non solo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell’acquirente.

Vendita di speranza – c.d. emptio spei ex art. 1472 2 co

Natura giuridica

A) alcuni autori [163] sostengono che si tratta di autentica vendita, affermando che oggetto dello scambio è la speranza o l’alea [164], ovvero sostenendo che la funzione pratica dell’operazione giuridica è ugualmente uno scambio tra bene e corrispettivo in denaro.

B)  È preferibile la tesi [165] che nega all’emptio spei  la natura di vendita, ma lo considera un tipo contrattuale a sé stante (non atipico perché espressamente previsto dal legislatore), in quanto la natura commutativa costituisce un carattere essenziale della vendita e rientra nel suo schema causale.

 

Disciplina giuridica

è applicabile anche all’istituto in esame la disciplina dettata dagli artt. 1470 ss. c.c., purché non si tratti di norme eccezionali incompatibili.

Non si ritengono ad es. applicabili, a meno che  non siano imputabili a colpa del venditore:

1)     la garanzia per vizi

2)     e le garanzia per evizione perché se il compratore rischia l’inesistenza della cosa, implicitamente rischia anche il vizio della cosa ovvero l’eventuale privazione della proprietà.

3)     La rescissione per lesione, trattandosi di contratto aleatorio.

Nell’ipotesi di emptio spei speratae, a norma dell’art. 1472, secondo comma, c.c., la vendita è soggetta alla condicio iuris della venuta ad esistenza della cosa alienata, la cui mancata realizzazione comporta non già la risoluzione del contratto per inadempimento, bensì la sua nullità per mancanza dell’oggetto. E poiché, ove si tratti dei frutti naturali della cosa, il passaggio di proprietà avviene, a mente dell’art. 821 c.c., con la separazione dei primi dalla seconda, ne consegue che il rischio del verificarsi di eventi che impediscano la venuta ad esistenza dei frutti naturali della cosa, al pari del rischio della mancata venuta ad esistenza di quest’ultima, è a carico del venditore, giacché grava su di esso, salvo patto contrario, l’obbligazione di separazione dei frutti dalla cosa principale che si trovi nel suo dominio e possesso e, dunque, nella sua disponibilità giuridica e materiale [166].

Con una lontana pronuncia la Cassazione [167] ha stabilito che la vendita di cosa sperata è, invece, una vera e propria vendita di cosa futura, come tale a carattere meramente obbligatorio ed a consenso anticipato che diviene completa e produce i suoi effetti definitivi, tra i quali il trasferimento del diritto venduto, solo quando sia nato il diritto o sia venuta ad esistenza la cosa venduta, con la conseguenza che se il diritto non nasce più o la cosa venduta non viene ad esistenza, il contratto manca di oggetto e la vendita diviene nulla. La vendita di frutti naturali futuri, siano essi già pendenti o germoglianti, è vendita di cosa futura, così che la proprietà degli alberi o dei frutti del fondo è acquistata dal compratore solo quando gli alberi sono tagliati ed i frutti sono separati. Tale vendita si trasforma in emptio spei se il compratore si sia accollato per patto espresso l’ulteriore e distinto rischio dell’esistenza della cosa venduta, impegnandosi a pagare il prezzo in ogni evento. Stabilire se si abbia emptio spei o emptio rei speratae o in genere vendita di cosa futura è questione di fatto che attiene all’interpretazione della volontà, perché incensurabile in cassazione. Peraltro, nel dubbio se una determinata vendita integri una emptio spei o una emptio rei speratae si deve presumere piuttosto la vendita di cosa futura perché l’emptio spei, contratto aleatorio, non può essere mai presunta, attesa la sua eccezionalità, ma deve risultare da una espressa volizione delle parti e da clausole appositamente stabilite o accettate.

 

E)   Vendita con riserva di proprietà

Cfr. par.fo 2) lettera B) punto 4) Vendita con riserva di proprietà, pag. 283

 

F)    Vendita alternativa

Nozione – è quella vendita attraverso la quale, in corrispettivo di un determinato prezzo, un soggetto si obbliga a trasferire, alternativamente, due o più cose specifiche.

Ad es. per 100.000 euro ti trasferisco o la mia Bmw o la mia Mercedes.

È opportuno precisare che per la S.C.[168] la vendita alternativa (o di genere limitato) è configurabile anche per gli immobili allorché le parti concordino di trasferire una determinata estensione immobiliare da distaccarsi da un’entità di maggiori dimensioni (nella specie un lotto di terreno da staccarsi da una più vasta proprietà, senza determinarne la forma e l’esatta correttezza, ma stabilendone l’estensione ed il prezzo in un contratto preliminare). Il contratto in tal modo concluso, di natura obbligatoria, acquista effetti reali allorquando si procederà alla concreta individuazione del bene venduto sulla base della scelta che dovrà operare il soggetto indicato nel contratto stesso e, ove si tratti di preliminare, questo viene a porsi come preparatorio di un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori, in relazione al quale soltanto si pone poi il problema della scelta, essendo questione di interpretazione della comune intenzione dei contraenti l’identificazione della parte a cui spetta tale diritto (in applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza di merito per l’omesso esame della determinabilità dell’oggetto alla luce della comune intenzione della parti in ordine alle operazioni di frazionamento del terreno e al loro affidamento ad una delle medesime parti).

art. 1285 c.c.   obbligazione alternativa

Il debitore di un’obbligazione alternativa si libera eseguendo una delle due prestazioni dedotte in obbligazione, ma non può costringere il creditore a ricevere parte dell’una e parte dell’altra (c.c.1181).

Natura giuridica – struttura

1 – A teoria – pluralità di rapporti obbligatori

A questa teoria si è obiettato soprattutto il dettato normativo che parla di un’obbligazione.

2 – A teoria – obbligazione condizionale

Si è giustamente opposto

1)  sia che la condizione si riferisce la contratto e non all’obbligazione da esso derivata

2)  sia che, quando  il negozio è condizionato, resta incerta la stessa esistenza del vincolo ed è solo incerta quale sarà la prestazione da eseguire.

3 – A teoria – obbligazione unica e contenuto parzialmente determinato.

Seguita dalla dottrina prevalente, è preferibile poiché ritiene che l’obbligazione alternativa sia un’obbligazione unica è perfetta, ma a contenuto parzialmente determinato, nel senso che la prestazione è determinabile tra due o più prestazioni già indicate nella fonte negoziale.

La concentrazione

art. 1286 c.c.   facoltà di scelta

La scelta spetta al debitore (venditore), se non è stata attribuita al creditore (compratore) o ad un terzo (c.c.665).

La scelta diviene irrevocabile con l’esecuzione di una delle due prestazioni, ovvero con la dichiarazione di scelta, comunicata all’altra parte, o ad entrambe se la scelta è fatta da un terzo (c.c.666).

Se la scelta deve essere fatta da più persone, il giudice può fissare loro un termine. Se la scelta non è fatta nel termine stabilito, essa è fatta dal giudice (disp. di att.al c.c. 81).

 

Essendo, dunque, l’effetto traslativo differito al momento della concentrazione, anche la vendita alternativa rientra nell’ipotesi di vendita obbligatoria.

 

Disciplina

la vendita alternativa è disciplinata innanzitutto dalla normativa sulla vendita e, soltanto per ciò che riguarda l’obbligazione del venditore, dalle norme sulle obbligazioni alternative.

 

art. 1287 c.c.    decadenza dalla facoltà di scelta:

Quando il debitore, condannato alternativamente a due prestazioni, non ne esegue alcuna nel termine assegnatogli dal giudice, la scelta spetta al creditore.

Se la facoltà di scelta spetta al creditore e questi non l’esercita nel termine stabilito o in quello fissatogli dal debitore, la scelta passa a quest’ultimo.

Se la scelta è rimessa a un terzo e questi non la fa nel termine assegnatogli, essa è fatta dal giudice (c.c.631, 664; disp. di att.al c.c 81).

 

art. 1288 c.c.   impossibilità di una delle prestazioni

L’obbligazione alternativa si considera semplice, se una delle due prestazioni non poteva formare oggetto di obbligazione (c.c.1346 e seguenti) o se è divenuta impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti (c.c.1256 e seguenti).

 

art. 1289 c.c.    impossibilità colposa di una delle prestazioni Quando la scelta spetta al debitore, l’’obbligazione alternativa diviene semplice, se una delle due prestazioni diventa impossibile anche per causa a lui imputabile. Se una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, il debitore è liberato dall’, qualora non preferisca eseguire l’altra prestazione e chiedere il risarcimento dei danni.

Quando la scelta spetta al creditore, il debitore è liberato dall’obbligazione, se una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, salvo che questi preferisca esigere l’altra prestazione e risarcire il danno. Se dell’impossibilità deve rispondere il debitore, il creditore può scegliere l’altra prestazione o esigere il risarcimento del danno (c.c.1223).

 

art. 1290 c.c.  impossibilità sopravvenuta di entrambe le prestazioni

Qualora entrambe le prestazioni siano divenute impossibili (c.c.1257) e il debitore debba rispondere riguardo a una di esse, egli deve pagare l’equivalente di quella che è divenuta impossibile per l’ultima, se la scelta spettava a lui. Se la scelta spettava al creditore, questi può domandare l’equivalente dell’una o dell’altra.

Trascrizione [169]

trascrivibilità dell’immediata vendita obbligatoria.

Annotazione: il notaio procede all’annotazione a margine della trascrizione originaria, l’atto di concentrazione con cui si restringe l’efficacia del trasferimento al solo bene scelto tra i vari beni immobili trascritti originariamente. L’annotazione varrà anche come cancellazione della trascrizione della vendita per la parte relativa ai beni non scelti.

 

La vendita con facoltà alternativa

Nozione – Ricorre questa figura quando l’oggetto della compravendita è uno soltanto, ma è consentito al venditore di liberarsi dall’obbligo della consegna, eseguendo una prestazione diversa o per sua scelta o (eccezionalmente) per scelta del compratore.

Esempio: Tizio, proprietario di 2 automobili di pari valore, ne vende 1 a Caio, ma le parti stabiliscono nel contratto che il venditore potrà, all’atto della consegna, dare l’altra automobile.

La differenza concettuale
La vendita alternativa La vendita con facoltà alternativa
Ha originariamente 2 o + oggetti Ha fin dall’inizio 1 oggetto soltanto
La differenza pratica
La vendita alternativa La vendita con facoltà alternativa
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione determina la concentrazione L’impossibilità sopravvenuta della prestazione determina l’estinzione del contratto

Poiché l’oggetto è già individuato ed essendo 1 soltanto, non ha natura di vendita obbligatoria, ma di vendita con effetto reale immediato e la proprietà dell’oggetto passa al compratore per effetto del semplice consenso.

 

Trascrizione

La trascrizione deve essere effettuata al momento della conclusione del contratto nel quale il bene viene trasferito al compratore; se poi viene esercitata la facoltà alternativa, l’originaria trascrizione non ha più titolo quanto all’oggetto e va cancellata, mentre bisognerà procedere alla trascrizione autonoma dell’atto di scelta che determinerà il mutamento dell’oggetto contrattuale, la cui fonte traslativa è pur sempre l’originario contratto.

3) < quella di garantire il compratore dall’evizione e dei vizi della cosa>

 

Il venditore e il compratore hanno a loro disposizione una tutela generale e una speciale: la prima deriva dalle norme generali sui contratti, la seconda dalle norme speciali sul contratto di compravendita.

Non si può parlare di contrasto fra norma generali e norma speciali, ma di una pluralità di mezzi di tutela concessi sia al venditore che al compratore.

A)          La tutela contrattuale generale

Nullità –

Annullamento–

Rescissione [170]

Risoluzione [171]–

Azione di risoluzione per eccessiva onerosità  – è, però, ammissibile solo nelle ipotesi di vendita ad effetti reali differiti.

La costante giurisprudenza della Cassazione e parte della dottrina [172] estendono la responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c. <quando si tratta  di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di 10 anni dal compimento, l’opera per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore, il progettista e il direttore dei lavori, sono responsabili nei confronti del committente e dei suoi avente causa, purché sia fatta senza particolare forma denunzia entro 1 anno dalla scoperta > in materia d’appalto, quindi come figura generale, anche a favore del compratore in quanto, qualificandola responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, ritengono che l’appaltatore (quindi anche il venditore) ne risponderà non come contraente, ma come autore del danno.

B)                Tutela particolare a favore del compratore

 

Il Codice civile prevede tre specifici rimedi a tutela della posizione dell’acquirente nel contratto di compravendita:

1)    la garanzia per evizione,

2)    la garanzia per vizi della cosa venduta e

 3)    la garanzia per mancanza delle qualità promesse o essenziali.

 

L’art. 1476 n. 3 definisce espressamente < garanzie > solo i primi due rimedi 1) e 2) mentre, per la mancanza delle qualità promesse 3), rinvia alle norme generali sulla risoluzione dei contratti.

Nonostante questo diverso inquadramento, secondo autorevole dottrina [173], tutti e tre i rimedi, invece, abbiano il medesimo fondamento.

A)        teoria dell’invalidità [174]– inquadrano la garanzia per mancanza delle qualità promesse nell’ambito dell’azione di risoluzione e riportano gli altri due rimedi nell’ambito dell’invalidità (precisamente riguardo al primo rimedio 1) si riscontra un’ipotesi d’impossibilità originaria, mentre nella seconda ipotesi 2) un caso di errore sui motivi).

B)        teoria dell’assicurazione [175]  – tali rimedi costituirebbero una vera e propria assicurazione contrattuale.

C)        teoria dei tipici rimedi per l’inadempimento [176] – tipici rimedi che si ritrovano nelle disposizioni generali sui contratti. Le azioni previste non sono, infatti, se non i comuni mezzi contro l’inosservanza degli impegni contrattuali: risoluzione del contratto – riduzione del prezzo – o risarcimento del danno.

Quanto alla natura della responsabilità, bisogna distinguere le prime due 1) e 2)che hanno carattere oggettivo (indipendentemente dal dolo o dalla colpa del venditore), dalla terza 3), che ha carattere soggettivo.

È necessario precisare, che nell’ambito dell’autonomia delle parti, come confermato dalla Cassazione [177], anche per i contratti cosiddetti commutativi le parti possono prefigurarsi la possibilità di sopravvenienze, che incidono o possono incidere sull’equilibrio delle prestazioni, ed assumere, reciprocamente o unilateralmente, il rischio, modificando in tal modo lo schema tipico del contratto commutativo e rendendolo per tale aspetto aleatorio, con l’effetto di escludere, nel caso di verificazione di tali sopravvenienze, l’applicabilità dei meccanismi riequilibratori previsti nell’ordinaria disciplina del contratto (art. 1467 e 1664 c.c.). L’assunzione del detto rischio supplementare può formare oggetto di una espressa pattuizione, ma può anche risultare per implicito dal regolamento convenzionale che le parti hanno dato al rapporto e dal modo in cui hanno strutturato le loro obbligazioni.

1)   La Garanzia per l’evizione

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita –   sez. I disposizioni generali  – § 1 delle obbligazioni del venditore –  1483 – 1489

Si ha tecnicamente evizione quando il compratore è privato, in tutto o in parte, del diritto sul bene acquistato, in conseguenza dell’accertato diritto di un terzo.

A prima vista l’istituto in esame può sembrare un doppione rispetto alla vendita di cosa altrui acquistata in buona fede, prevista dall’art. 1479 c.c., ma la differenza è netta: nella ipotesi dell’art. 1479 c.c. rileva soltanto l’alienità della cosa, mentre ai fini della garanzia per evizione, deve anche aversi l’effettiva privazione del bene acquistato.

È importante, poi, sottolineare che la garanzia per evizione opera indipendentemente dalla sussistenza della colpa del venditore o dalla buona fede dell’acquirente e, quindi, non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa di futura evizione, ove la stessa effettivamente si verifichi [178].

Come confermato da ultima pronuncia

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 marzo 2015, n. 5561

Infatti si legge nella senetza  che gli effetti della garanzia per evizione, che sanziona l’inadempimento da parte del venditore dell’obbligazione di cui all’art. 1476 c.c., conseguono, infatti, al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, in quanto detta perdita comporta l’alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto.

Ambito – vendita reale e vendita obbligatoria

I fatti evizionali

L’evizione consiste non tanto nello spossessamento dell’acquirente, quanto nella mancata attuazione dell’effetto traslativo conseguente ad un fatto c.d. evizionale che si manifesta dopo la conclusione del contratto, pur essendo ad essa preesistente.

Casistica

1)        Sentenza passata in cosa giudicata con cui è annullato il titolo di acquisto del venditore o, previo riconoscimento del diritto di proprietà del terzo (ad es. attraverso una semplice azione di rivendica [179]), il compratore è condannato a rilasciare la cosa.

Mentre ad esempio per la Cassazione [180] l’esperimento, da parte di un terzo, dell’azione di regolamento di confini [181], non comportando la risoluzione di un contrasto sui titoli di proprietà ma solo sulla sua estensione, non consente di far valere la garanzia per evizione.

Invece [182], quando l’immobile venduto risulti costruito in violazione delle limitazioni legali della proprietà [183], la pretesa del proprietario del fondo confinante diretta a ottenere il rispetto di tali limitazioni, può concretare un’ipotesi riconducibile, alternativamente, nel paradigma dell’evizione (artt. 1483, 1484 c.c.), ovvero in quello della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., secondo che dall’accoglimento della domanda derivi in tutto o in parte la perdita della cosa venduta (totale o parziale demolizione dello edificio costruito a distanza illegale), ovvero consegua soltanto una restrizione del godimento della cosa medesima la quale resti, però, integra nella sua identità strutturale. Con la conseguenza che il corrispondente diritto del compratore resta soggetto ai correlativi termini di prescrizione con decorso non dalla conclusione del contratto bensì dal passaggio in giudicato della sentenza definitiva sull’evizione o sulla sussistenza della minore garanzia del bene venduto.

2)        Decreto di aggiudicazione in sede di esecuzione forzata.

3)        Decreto di espropriazione per pubblica utilità [184]. Nel caso di vincolo espropriativo gravante su un terreno, e sempre che tale vincolo non si esaurisca in una previsione astratta e generica (quale quella derivante dalla inclusione del bene in un programma di fabbricazione), ma assuma consistenza specifica per effetto della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera programmata, una responsabilità per evizione è ravvisabile, in ipotesi di compravendita successiva al vincolo stesso, a carico del venditore, non anche, in ipotesi di preliminare di vendita, a carico del promittente venditore, atteso che detta responsabilità postula il trasferimento della proprietà, e, quindi, non può discendere da un contratto con effetti soltanto obbligatori, ferma restando la deducibilità dell’indicata situazione da parte del promissario acquirente, come ragione d’inadempimento dell’altro contraente [185].

4)        Provvedimento amministrativo che ordina la distruzione del bene, es. edifici abusivi. Ricorre la garanzia per evizione nel caso che l’immobile venduto venga espropriato in esecuzione di un vincolo urbanistico (di un piano di zona) particolareggiato preesistente al contratto ed avente incidenza specifica e reale sulla cosa, poiché siffatto vincolo incide sulla radice stessa del rapporto negoziale, limitando od escludendo il diritto trasmesso. Né ad impedire l’applicabilità di detta garanzia rileva il fatto che il vincolo sia assistito da presunzione di conoscenza generale, essendo la garanzia stessa indipendente dall’ignoranza del compratore circa l’esistenza della causa di evizione [186].

Principio confermato da ultima sentenza già richiamata in precedenza

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 marzo 2015, n. 5561

La garanzia per evizione ricorre anche nel caso in cui l’immobile venduto venga espropriato in esecuzione di un vincolo di piano regolatore particolareggiato preesistente al contratto ed avente incidenza specifica e reale sulla cosa venduta, perché tale vincolo incide sulla radice stessa del rapporto negoziale, limitando od escludendo il diritto trasmesso. Può costituire evizione anche l’espropriazione per causa di pubblica utilità, costituendo la garanzia per evizione una particolare tutela che l’ordinamento attribuisce al compratore, per il caso in cui sia disturbato o menomato nel godimento del bene acquistato per effetto delle pretese fatte valere da terzi nei suoi confronti

Quando, in conseguenza dell’accertata difformità della costruzione rispetto al progetto edilizio sopraggiunga l’ordine amministrativo di demolizione dell’opera illegittima, si producono gli effetti sostanziali dell’evizione totale o parziale (artt. 1483, 1484 c.c.), a seconda che sia disposta la eliminazione integrale o soltanto per una parte della costruzione, e, quindi, il venditore, anche se non tenuto alla garanzia per essere l’acquirente a conoscenza della difformità dell’immobile rispetto al progetto approvato, dovrà pur sempre restituire a quest’ultimo il prezzo e rimborsargli le spese, salvo il caso in cui la compravendita sia stata conclusa a rischio e pericolo del compratore [187].

Inoltre [188], con riguardo ad una compravendita di area edificabile, nella quale il venditore abbia garantito la realizzabilità di una determinata volumetria, l’acquirente, che, a seguito di sopravvenuta modificazione delle norme urbanistiche, sia in grado di attuare un programma edificatorio solo di minore entità, non può invocare né la garanzia del venditore per evizione, riguardante il diverso caso in cui un terzo faccia valere diritti reali sulla cosa venduta, né quella per oneri gravanti sulla cosa medesima, estensibile alle limitazioni legali della proprietà esclusivamente se preesistenti al contratto, ma può far valere soltanto la mancanza di una qualità promessa, ai sensi ed agli effetti dell’art. 1497 c.c., sempreché il contenuto del suddetto patto risulti includere anche eventuali riduzioni di edificabilità derivanti da un sopravvenuto limite normativo.

5)        Transazione, ma solo quando l’acquirente evitto dimostri che il diritto del terzo rivendicante era obiettivamente certo;

6)        Sequestro conservativo, secondo la S.C. [189] per l’ipotizzabilità della evizione è necessario che l’evento che l’ha determinata, anche se verificatosi in concreto successivamente, debba attribuirsi ad una causa preesistente alla conclusione del contratto. Si è, pertanto, in tema di evizione nel caso in cui questa, anche se verificatasi in concreto dopo la vendita, sia stata determinata dalla preesistente situazione debitoria del venditore, il quale con la sua insolvenza abbia determinato il sequestro conservativo dell’immobile oggetto della vendita, trascritto prima della trascrizione del contratto della vendita medesima.

7)        Sequestro penale, in merito la S.C. [190] ha statuito che le norme che disciplinano l’evizione totale sono applicabili soltanto nel caso in cui la cosa compravenduta sia oggetto di confisca in sede penale, come misura comportante l’acquisto della proprietà della cosa stessa da parte dello Stato e lo spossessamento del compratore, e non anche nel caso in cui essa sia oggetto di sequestro, costituendo tale provvedimento semplice minaccia di evizione, destinata a concretizzarsi soltanto quando sopravvenga il definitivo provvedimento di confisca. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 360–bis, comma primo, n. 1, c.p.c.).

8)        Confisca, per la Corte di Legittimità [191] le norme che regolano l’evizione totale (art. 1483 c.c.) sono applicabili nel caso di confisca in sede penale della cosa compravenduta, a norma dell’art. 240 c.p., giacché l’anzidetta misura comporta l’acquisto della proprietà della cosa stessa da parte dello stato e lo spossessamento del compratore. Conseguentemente: a) il venditore è tenuto al risarcimento del danno nei limiti, di regola, dell’interesse contrattuale negativo (rimborso del prezzo versato e delle spese sostenute dal compratore), tenendo conto ai fini della diminuzione del danno, dell’usura frattanto subita dalla cosa; b) i rimborsi e le restituzioni, di cui agli artt. 1479 e 1483 c.c., spettanti al compratore, costituiscono debiti di valore, come tali produttivi di rivalutazione e di interessi; c) ove in riferimento alla causa che ha determinato l’evizione sussista il dolo o la colpa del venditore, questi è tenuto all’integrale risarcimento.

9)        Retratto agrario: l’acquirente del fondo agrario che subisce il riscatto può agire nei confronti del proprietario alienante per il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1483 c.c.,  In tal caso, il risarcimento è normalmente dovuto, in virtù dell’art. 1479 c.c., nei limiti del c.d. interesse negativo, costituito principalmente dalla restituzione del prezzo e dal rimborso delle spese della vendita; solo se ricorra il dolo o la colpa del venditore in riferimento alla particolare causa che ha determinato l’evizione, come nell’ipotesi di violazione della garanzia espressamente prestata circa l’inesistenza di diritti di prelazione spettanti a terzi, il venditore è obbligato al risarcimento totale del danno, comprensivo anche del lucro cessante che può consistere nella differenza tra valore del fondo al momento dell’acquisto ed al momento della sentenza passata in giudicato [192].

10)     Retratto successorio, stesso discorso vale in caso di retratto successorio [193].

11)     Il diritto di riscatto in favore del conduttore [194] nel caso di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile da lui condotto in locazione disciplinato dall’art. 38 della legge n. 392/1978.Il conduttore che esercita un’attività commerciale a diretto contatto con il pubblico ha diritto di prelazione se il locatore, alla seconda scadenza, intende nuovamente locare o, quando nel vigore del contratto intenda vendere. In questo secondo caso la prelazione da esercitarsi entro 60 giorni, ha carattere reale, con possibile riscatto, mentre nel primo caso l’esercizio deve avvenire entro 30 giorni, ma senza riscatto.

Difatti in senso più generale, per la S.C. [195], la domanda con la quale l’acquirente di immobile locato chieda all’alienante di garantirlo dalle conseguenze della pronuncia di riscatto va ricondotta alla fattispecie della garanzia per evizione, i cui effetti conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, che, facendo venire meno la ragione giustificatrice della controprestazione, altera l’equilibrio del sinallagma funzionale e fa sorgere la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica dell’acquirente anteriore all’acquisto. Ne consegue che, ai fini della responsabilità dell’alienante, è irrilevante che l’acquirente abbia avuto conoscenza della possibile causa dell’evizione.

 

I momenti evizionali

1 – pericolo di evizione

Si ha quando non vi è ancora alcuna azione giudiziaria da parte del terzo, ma solo la possibilità che quest’ultimo rivendichi la cosa acquistata ovvero la cosa risulti gravata da garanzie reali o da altri vincoli (sequestro – pignoramento) e tali circostanze erano ignorate dall’acquirente. In tali ipotesi il compratore può sospendere il pagamento del prezzo ancora dovuto (artt. 1481 e 1482 c.c.)

2 – evizione minacciata

Si ha quando il terzo ha chiamato in causa l’acquirente. In tal caso il compratore deve chiamare in causa il venditore (art. 1485 c.c.)

3 – evizione compiuta

Per uno dei fatti evizionali precedentemente esposti; solo allora potranno essere proposte le relative azioni.

Prescrizione della relativa azione

La prescrizione dell’azione di evizione decorre non dalla data di conclusione del contratto, ma dal momento in cui il diritto del terzo sul bene è incontestabilmente accertato.

Tale incontestabilità può coincidere con il passaggio in giudicato della sentenza ovvero con il perfezionamento della transazione che pone fine alla lite tra colui che agisce in garanzia ed il terzo rivendicante. Peraltro, il compratore ha facoltà di proporre nei confronti del venditore l’azione di garanzia per l’evizione minacciata dal terzo, ma in tal caso l’accoglimento di tale domanda è subordinato all’accertamento del diritto del terzo, tant’é che il giudice, per ragioni di economia processuale, potrebbe disporre la separazione dei giudizi, decidendo solo la causa principale [196].

A) le singole azioni a tutela del compratore evitto

Le azioni speciali a favore del compratore evitto sono previste dall’ art. 1483 c.c., che rinvia all’art. 1479, il quale, a sua volta rinvia all’art. 1223 c.c. (inadempimento delle obbligazioni) e questa normativa comprende un doppio sistema di rimedi che si distinguono per l’incidenza dell’elemento soggettivo.

1)   il primo sistema assicura la tutela del c.d. interesse negativo, vale a dire l’interesse che il compratore avrebbe avuto a non stipulare quel contratto di compravendita.

Esso prescinde dalla colpa del venditore e comprende:

la risoluzione del contratto – poiché il contratto non ha più ragione di esistere quando è venuto meno il suo sinallagma funzionale;

la riduzione del prezzo – si ha nelle due ipotesi di evizione parziale (1484 c.c.) e di evizione minore (1489 c.c.);

la restituzione del prezzo – ex art. 1483 c.c. che richiama il 2 co dell’art. 1479 c.c. < Salvo il disposto dell’art 1223 il  venditore è tenuto a restituire all’acquirente il prezzo pagato, anche se la cosa è diminuita di valore o è deteriorata >;

i rimborsi –

I.        il rimborso del valore dei frutti restituiti all’evincente – ex art. 1483 2 co, c.c. – non preesistendo tra compratore e terzo evincente alcun rapporto specifico troverà applicazione la regola generale sull’acquisto  dei frutti da parte del possessore e, di conseguenza, il compratore, se era in mala fede, dovrà restituire tutti i frutti percepiti, mentre se era in buona fede, farà suoi, ai sensi dell’art. 1148 c.c., i frutti naturali separati fino al giorno della domanda giudiziale.

II.        Il rimborso delle spese giudiziali – ex art. 1483 2 co., c.c. Per far sorgere l’obbligo del venditore di corrispondere le spese di giudizio al compratore evitto, che le abbia rimborsate al terzo evincente, basta il fatto della evizione, come esito della lite favorevole al terzo titolare del diritto, mentre rimane indifferente la posizione assunta dal compratore nella lite di evizione. Questi di solito ha la posizione di convenuto in giudizio ad opera del terzo, ma può anche essere promotore della lite diretta a fargli conseguire dal terzo il possesso della cosa acquistata. L’evizione, infatti, si configura come responsabilità del venditore per la mancata attribuzione della proprietà della cosa venduta al compratore, indipendentemente dalla situazione di possesso [197].

III.        Il rimborso delle spese fatte per la cosa – se il venditore  era in mala fede ex art. 1483  c.c. che richiama il 1 co dell’art.1479 c.c.

IV.        Il rimborso delle spese e dei pagamenti legittimamente fatti per il contratto (eventuali) – ex art. 1475 c.c.

Per la S.C. [198] in tema di conseguenze restitutorie connesse all’evizione totale subita sulla cosa dal compratore, questi ha diritto, per il rinvio operato dall’art. 1483 c.c. all’art.1479, secondo comma, c.c., al rimborso, da parte del venditore, delle spese sostenute per la trascrizione del trasferimento di proprietà del bene nel pubblico registro, trattandosi di spese sostenute per il contratto; parimenti il compratore ha anche diritto, ai sensi dell’art. 1479, terzo comma, c.c., al rimborso di tutte le spese necessarie fatte per la cosa, come quelle per la revisione periodica obbligatoria dell’autoveicolo e per il controllo dei gas di scarico, trattandosi di adempimenti imposti dalla legge e a prescindere dall’uso del bene; sono, invece, escluse le sole spese di manutenzione ordinaria, strettamente connesse all’utilizzo del bene, ove difetti, come nella specie, ed alla stregua di un principio generale evincibile dall’art. 1150, quarto comma, c.c., qualunque obbligo di restituzione dei frutti del bene maturati nel periodo.

2)   il secondo sistema assicura la tutela del c.d. interesse positivo, vale a dire il risarcimento di ogni danno subito dal compratore per il mancato acquisto della cosa. Esso fa riferimento all’art. 1223 c.c.

– Il Risarcimento del danno: il diritto al risarcimento del danno è subordinato alla prova  della colpa o del dolo del venditore, secondo le regole generali. In ogni caso il compratore può risolvere il contratto ex art. 1479.

Per la S.C. [199] in tema di vendita, poiché la garanzia — sia quella per evizione che quella per vizi della cosa – ha la funzione di eliminare lo squilibrio delle prestazioni determinato dall’inadempimento del venditore, tale rimedio, essendo rafforzativo e non sostitutivo di quello generale previsto per i contratti, opera nei limiti del ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto anche in mancanza di colpa del venditore. Quest’ultimo requisito è, invece, necessario allorché il compratore chieda il risarcimento integrale dei danni (cioè comprensivo anche dell’interesse positivo), in relazione al quale opera la presunzione di carattere generale prevista dall’art. 1218 c.c. in tema di inadempimento contrattuale.

In altri termine per la S.C. [200] il compratore evitto ha diritto ad essere risarcito dal venditore dal danno subito sia per la lesione dell’interesse negativo che per la lesione dell’interesse positivo.

Nella prima ipotesi, poiché il diritto al risarcimento sorge in conseguenza del mero fatto della perdita del bene acquistato, che, facendo venir meno la ragione giustificatrice della controprestazione, altera l’equilibrio del sinallagma funzionale, occorre porvi rimedio mediante il ripristino della situazione economica dell’acquirente quale era prima dell’acquisto, in tal caso è irrilevante l’eventuale buona fede dell’alienante; nella seconda ipotesi, invece, in caso di lucro cessante, l’acquirente, per ottenere il risarcimento, deve provare non solo il danno subito ma anche la colpa di parte venditrice.

Qualora l’appartenenza al venditore della cosa venduta sia oggetto di contesa giudiziaria, a seguito di azione di rivendicazione promossa da un terzo in base ad un precedente trasferimento disposto in suo favore dallo stesso venditore, la circostanza che l’acquirente sia stato informato, all’atto del contratto, della pendenza di tale controversia comporta la correlativa esclusione di un comportamento doloso o colposo del venditore medesimo per l’evizione che si verifichi in esito alla sua soccombenza nel suddetto giudizio, con la conseguenza che quest’ultimo, in base alla garanzia per evizione, non è soggetto all’obbligo di risarcire il compratore per il cosiddetto lucro cessante, il quale postula la ricorrenza di quel dolo o colpa, ma resta tenuto al risarcimento del danno nei limiti del cosiddetto interesse negativo e quindi alla restituzione del prezzo, al rimborso delle spese utili e necessarie fatte sulla cosa, ed al rimborso delle spese del contratto, nonché pure al rimborso del valore dei frutti e delle spese giudiziarie che il compratore abbia corrisposto al terzo vittorioso in rivendicazione, atteso che il ristoro di tale danno emergente prescinde dal dolo o colpa del venditore, nonché dalla conoscenza o meno da parte dell’acquirente del pericolo d’evizione[201].

B) Evizione Totale

art. 1483 c.c.  evizione totale della cosa

Se il compratore subisce l’evizione totale della cosa per effetto di diritti che un terzo ha fatti valere su di essa, il venditore è tenuto a risarcirlo del danno (1223 e seguenti) a norma dell’art. 1479.

Egli deve inoltre corrispondere al compratore il valore dei frutti che questi sia tenuto a restituire a colui dal quale è evitto, le spese che egli abbia fatte per la denunzia della lite e quelle che abbia dovuto rimborsare all’attore.

 

art. 1223 c.c.   risarcimento del danno

Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (1382, 1479, 2056 e seguenti).

 

Per autorevole dottrina[202]l’importanza dell’art. 1483 c.c. può peraltro ravvisarsi in ciò:

1)            che la garanzia per evizione può essere fatta valere anche da un acquirente a conoscenza dell’esistenza dei diritti di terzi sulla cosa venduta.

2)           che l’acquirente non potrebbe avere sufficienti prove dell’esistenza  di diritti di terzi e quindi potrebbe non essere in grado d’invocare la tutela di cui agli art. 1478 ss. Mentre l’evizione si configura come un fatto incontestabile.

 

Per la Corte di piazza Cavour [203]  l’evizione nel contratto di compravendita si verifica allorché l’acquisto del diritto sul bene ad opera dell’acquirente è impedito e reso inefficace dal diritto che il terzo vanti sullo stesso bene, senza che occorra anche, quale elemento necessario, che il compratore sia privato dell’effettivo possesso che si trovi eventualmente ad esercitare sulla cosa, tenuto conto che la causa del contratto sta nel trasferimento del diritto sul bene, mentre la consegna dello stesso è solo una sua conseguenza logica e giuridica.

In merito al momento evizionale per la Cassazione [204] precedentemente si ipotizzava che ai fini dell’evizione fosse necessario che l’evento che la determinasse, anche se verificatosi in concreto successivamente, doveva attribuirsi ad una causa preesistente alla conclusione del contratto. Non costituiva, pertanto, ipotesi di evizione il caso in cui l’appartenenza a terzi del bene in contestazione derivasse da titolo (nella specie, usucapione [205]) perfezionatosi in tempo successivo al contratto di compravendita del bene stesso.

Mentre, successivamente la medesima Cassazione[206] ha contrariamente statuito che in tema di vendita, poiché la garanzia per evizione ha la funzione di eliminare lo squilibrio delle prestazioni determinato dall’inadempimento del venditore, tale rimedio opera nei limiti del ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto, anche in mancanza di colpa del venditore; non è peraltro necessario che il vittorioso intervento rivendicativo del terzo abbia la propria causa in un fatto preesistente alla vendita, ben potendo consistere tale responsabilità del venditore — tenuto per fatto suo proprio, ex art. 1487, secondo comma, c.c. — anche in una condotta inadempiente successiva al contratto, purché sussista il nesso tra la perdita del diritto subita dal compratore e l’oggettivo inadempimento del venditore.

 

C) Esclusione della garanzia

1)  se il compratore con il proprio comportamento ha dato causa alla perdita del bene acquistato.

Per la Cassazione[207], ad esempio, la garanzia per evizione (art. 1483 c.c.) — che comporta, con la risoluzione del contratto, l’obbligo di restituzione del prezzo, il rimborso delle spese e il pagamento dei frutti che il compratore evitto ha dovuto restituire al terzo evincente — opera non solo nel caso in cui il compratore, per una causa preesistente alla conclusione della vendita, perda successivamente il diritto legittimamente acquistato, ma anche nel caso in cui il compratore medesimo sia costretto a subire la pretesa del terzo sul bene compravenduto per la condizione di minore tutela giuridica in cui versa in conseguenza della mancata trascrizione nei registri immobiliari dell’acquisto del bene precedentemente compiuto dal suo dante causa.

2)  inoltre perde la garanzia se:

art. 1485 c.c.  chiamata in causa del venditore

Il compratore  convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore. Qualora non lo faccia e sia condannato con sentenza passata in giudicato, perde il diritto alla garanzia se il venditore prova che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda.

Il compratore che ha spontaneamente riconosciuto il diritto del terzo perde il diritto alla garanzia, se non prova che non esistevano ragioni sufficienti per impedire l’evizione.

 

 

Per una lontana sentenza della Cassazione [208]il compratore, il quale non abbia chiamato nel giudizio di evizione il venditore, perde il diritto di garanzia se il venditore dimostri, nel successivo giudizio, che sussistevano ragioni oggettivamente sufficienti per far respingere la domanda dell’evincente, siano state o meno tali ragioni opposte dal compratore al terzo.

Inoltre [209], l’onere del compratore, convenuto in giudizio da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, di chiamare in causa il venditore, a norma dell’art. 1485 c.c., al fine di consentirgli di provvedere alla difesa, non implica che il compratore stesso non possa avvalersi, nel medesimo giudizio, dell’azione di garanzia per evizione contro il venditore; in tal caso, l’accoglimento o meno della domanda relativa a detta azione rimane subordinato all’esito del contemporaneo accertamento del diritto del terzo.

Sempre ai fini processuali, poi, per la stessa cassazione [210]l’acquirente di un bene immobile posseduto illegittimamente da un terzo il quale ne rifiuti il rilascio, nel promuovere l’azione di rivendica [211] ben può chiamare in giudizio il venditore suo dante causa per eventuale garanzia nel caso in cui le pretese del possessore si rivelino fondate. Ne consegue che, pur in mancanza di un rapporto processuale e sostanziale diretto tra il convenuto ed il chiamato in causa, onde tra loro non è ipotizzabile la soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., legittimamente, in caso di accoglimento della domanda di rivendica, il giudice pone a carico del convenuto anche l’onere di rivalere delle spese giudiziali il terzo chiamato in causa, trovando tale provvedimento giustificazione nel comportamento processuale del convenuto che con le proprie infondate pretese sul bene controverso ha determinato non solo l’azione dell’attore in rivendica, ma anche la chiamata in causa del terzo.

Tra le due cause si instaura un rapporto di dipendenza.

Difatti per la S.C.[212] quando il compratore oltre a chiamare in causa il venditore per la denuncia della lite ex art. 1485 c.c., propone contro di questi nel medesimo processo anche l’azione di garanzia, fra la causa principale e quella di garanzia (propria) si instaura un vincolo non di inscindibilità ma di dipendenza, perché l’accoglimento della domanda di garanzia è subordinato all’accertamento del diritto del terzo, ciò che non impedisce che il giudice separi le due cause, decidendo solo quella principale, facendo cessare la relazione di dipendenza.

 

 

D) Evizione parziale

 

art. 1484 c.c.  evizione parziale

In caso di evizione parziale della cosa, si osservano le disposizioni dell’art. 1480 e quella del secondo comma dell’articolo precedente (2921).

 

In caso di evizione parziale, il compratore, cui compete l’azione di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo, oltre a quella di risarcimento del danno, può rinunciare ad avvalersi dei primi due rimedi, e limitarsi ad esperire l’azione di risarcimento del danno [213].

 

 

E) Evizione limitativa

[214]

art. 1489 c.c.   cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi

Se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo secondo la disp. dell’art..

 

La garanzia prevista dall’art. 1489 c.c. tutela l’acquirente di buona fede per il caso che il diritto acquistato non sia esercitabile interamente per il concorso, a favore di terzi, di un ius in re aliena, ma non incide sulla efficacia dell’acquisto essa, sotto tale aspetto, differisce sia dalla garanzia dovuta per l’evizione totale, sia da quella dovuta per l’evizione parziale, le quali incidono sull’efficacia dell’acquisto, che viene negata in radice nel caso dell’evizione totale, mentre nel secondo caso l’acquisto viene ritenuto valido solo parzialmente [215].

L’esistenza di uno ius in re sulla cosa venduta legittima ex art. 1489 c.c. il compratore, che non ne abbia avuto conoscenza al momento della conclusione del contratto, a far valere la risoluzione di quest’ultimo o una riduzione del prezzo anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell’onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sul bene.

In tale ipotesi, peraltro, la risoluzione non può essere automaticamente pronunziata dovendosi stabilire, ai sensi dell’art. 1480 c.c., secondo le circostanze, che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall’onere, e comunque non può essere pronunziata ove al momento della decisione lo ius in re più non sussista ed il diritto di proprietà abbia riacquistato il suo normale contenuto, ed il ritardo nel ripristino della consistenza del bene abbia inciso in modo scarsamente rilevante — ai sensi dell’art. 1455 c.c. — sull’interesse del compratore, salvo il diritto dello stesso al risarcimento di eventuali danni (e la incidenza sulla regolamentazione delle spese giudiziali) [216].

Ai fini endo–processuali, poi, l’azione di risoluzione del contratto e l’azione di riduzione del prezzo, spettanti, a norma dell’art. 1489 c.c., al compratore di una cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, sono nettamente distinte tra di loro, perché l’una è diretta all’eliminazione del negozio, l’altra alla conservazione dello stesso, pur se in parte modificato; ne consegue che, se il compratore, abbandonata in giudizio la domanda di risoluzione, intenda far valere nei confronti del venditore una pretesa al rimborso ai sensi dell’art. 1486 c.c., introduce un nuovo fatto costitutivo del diritto azionato e dà luogo, ai sensi dell’art. 184 c.p.c., nel testo antecedente la riforma di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353 — ad una mutatio libelli, non consentita ove la controparte non abbia sul punto accettato il contraddittorio [217].

Ai fini dell’applicabilità dell’art. 1489 c.c. non è sufficiente rilevare che la cosa compravenduta sia, in conseguenza di oneri o diritti non apparenti, insuscettibile di tutte le possibili forme di utilizzazione che la sua consistenza materiale astrattamente consentirebbe, ma occorre accertare che le limitazioni al libero godimento concernano quelle utilità che corrispondono alla funzione economico–sociale della cosa stessa secondo l’individuazione fattane, esplicitamente od implicitamente, dalle parti contraenti nel determinare l’oggetto, in senso giuridico ed economico (non già come dato meramente fisico), del contratto [218].

La medesima garanzia, poi sempre per la Cassazione [219], non sorge se il diminuito godimento della cosa acquistata scaturisce da un diritto personale a favore di terzi non validamente costituito nei confronti dell’acquirente (nella specie, in quanto derivante da un contratto a lui inopponibile), nel qual caso non rileva di per sé la concreta impossibilità per l’acquirente stesso (conseguente a tal diritto) di utilizzare parte del bene acquistato, trattandosi di situazione di fatto che non rientra nell’indicata garanzia.

Ancora per la S.C. [220] la domanda di risarcimento del danno, proposta dal compratore che lamenti la presenza sul bene acquistato di un diritto di servitù [221] in favore di un fondo vicino, deve essere inquadrata nell’ambito della fattispecie prevista dall’art. 1489 c.c., la quale disciplina il caso in cui la cosa venduta risulti gravata da diritti, reali o personali, altrui, non essendo, invece, applicabile l’art. 1494 c.c., che ammette il medesimo compratore a chiedere il risarcimento per i vizi della cosa, diversamente consistenti in un difetto materiale o funzionale del bene.

Precedentemente la stessa Corte [222] stabiliva che in tema di vendita di cosa gravata da oneri o diritti reali o personali di godimento a favore di terzi l’apparenza degli oneri e dei diritti è equiparata ai fini dell’esclusione della responsabilità del venditore alla loro conoscenza effettiva da parte dell’acquirente. Ne consegue che ove il peso gravante sul fondo acquistato sia una servitù è sufficiente ad escludere la garanzia ex art. 1489 c.c. che la servitù sia apparente, nel senso in cui l’apparenza è richiesta come requisito per l’acquisto della servitù per usucapione e per destinazione del padre di famiglia.

Da ultimo la Corte [223] ha affermato che in tema di vendita di cosa gravata da oneri o diritti reali o personali di godimento a favore di terzi, l’apparenza degli oneri e dei diritti è equiparata, ai fini dell’esclusione della responsabilità del venditore, alla loro conoscenza effettiva da parte dell’acquirente, con la conseguenza che, ove il peso gravante sul fondo acquistato sia una servitù, è sufficiente ad escludere la garanzia ex art. 1489 c.c. che la servitù sia apparente.

Nella vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di godimento di terzi, la responsabilità del venditore ai sensi dell’art. 1489 c.c. è esclusa tanto nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa, presumendosi che egli l’abbia accettata con tale peso, quanto nel caso in cui si tratti di oneri e diritti apparenti, che risultino cioè da opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, perché il compratore, avendo la possibilità di esaminare la cosa prima dell’acquisto, ove abbia ignorato ciò che poteva ben conoscere in quanto esteriormente visibile, deve subire le conseguenze della propria negligenza, secondo il criterio di autoresponsabilità.

Mentre la sentenza pronunciata in sede possessoria [224], con cui un terzo venga reintegrato nell’esercizio del passaggio su un immobile venduto o promesso in vendita, non abilita l’acquirente o il promissario acquirente a promuovere nei confronti del venditore o del promittente venditore una delle azioni previste dall’art. 1489 c.c., atteso che la sentenza medesima è inerente ad una situazione di fatto, mentre la citata norma regola l’eventualità in cui la cosa sia gravata da diritti altrui [225].

Come del resto anche il diritto reale d’uso [226] di aree destinate a parcheggio, quale limite legale della proprietà del bene, deriva da norme imperative assistite, come tali, da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, non può legittimamente qualificarsi come onere non apparente gravante sull’immobile secondo la previsione dell’art. 1489 c.c. e non è, conseguentemente, invocabile dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non li abbia dichiarati nel contratto [227].

Per altra pronuncia [228] anche la mancanza della facoltà d’uso della corte condominiale comune, come area destinata a posto macchina scoperto per i condomini, prevista espressamente nel trasferimento immobiliare, non integrare l’azione di garanzia per evizione parziale.

L’evizione totale o parziale si verifica solo quando l’acquirente sia privato in tutto o in parte del bene alienato ovvero il diritto trasferito perda le sue caratteristiche qualitative o quantitative, mentre se la privazione riguardi esclusivamente limitazioni inerenti il godimento del bene o imposizioni di oneri che lascino integra l’acquisizione patrimoniale trova applicazione l’art. 1489 c.c. riguardante i vizi della cosa venduta.

Altro discorso vale per il vincolo di (temporanea) inalienabilità di immobile di edilizia convenzionata.

Essendo di carattere apparente, in quanto connaturato al bene, in caso di vendita esso è conoscibile dall’acquirente anche se non dichiarato dal venditore, non trova in tal caso applicazione l’art. 1489 c.c., che ha riguardo alla diversa ipotesi di cosa venduta gravata da oneri reali o personali non apparenti, e non è invocabile quando ad essere taciuto è un vincolo derivante da norma imperativa [229].

Anche i programmi di fabbricazione, che configurano strumenti urbanistici sostanzialmente equiparabili ai piani regolatori generali, dettano, anche con riguardo all’imposizione di vincoli di destinazione sulla proprietà privata, prescrizioni di ordine generale, di contenuto normativo e di piena conoscibilità da parte dei destinatari, non sono qualificabili come «oneri non apparenti» gravanti sull’immobile, secondo la previsione dell’art. 1489 c.c., e non sono conseguentemente invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non li abbia dichiarati nel contratto [230].

Parimenti le deliberazioni dei consigli comunali di individuazione delle aree da utilizzare per gli interventi di edilizia popolare (art. 51 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 in relazione alla legge 18 aprile 1962, n. 167) – che acquistano efficacia normativa all’esito dell’approvazione dell’organo di controllo, con conseguente presunzione ex lege di conoscenza da parte di tutti i cittadini, non possono essere invocati ai fini dell’applicabilità dell’art. 1489 c.c., salva l’eventuale responsabilità assunta dal venditore con l’espressa dichiarazione di garanzia circa la libertà dell’immobile alienato ove sia riferibile anche ai vincoli derivanti da strumenti urbanistici [231].

Lo stesso vale per le prescrizioni del piano regolatore generale, una volta approvate e pubblicate nelle forme previste, hanno valore di prescrizioni di ordine generale di contenuto normativo, come tali assistite da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, sicché i vincoli da essi imposti non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile secondo la previsione dell’art. 1489 c.c., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto; ne consegue che in un contratto di compravendita di un immobile gravato da un vincolo imposto dal piano regolatore generale, l’azione di riduzione del prezzo si prescrive in un anno dalla consegna ex art. 1495 c.c. [232]

Con ultima pronuncia, poi, la Corte [233] ha avuto modo di stabilire che l’art. 1489 c.c., non trova applicazione con riferimento al pagamento di oneri derivanti da procedimenti di regolarizzazione urbanistico–edilizia, dei quali il venditore abbia fatto menzione nell’atto di compravendita, trattandosi di pesi che non limitano il libero godimento del bene venduto.

Infine, i vincoli paesaggistici, inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale, una volta approvati e pubblicati nelle forme previste hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia erga omnes, come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari, sicché i vincoli in tal modo imposti, a differenza di quelli inseriti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile, secondo l’art. 1489 c.c., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore, che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto[234].

Principio ripreso da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 aprile 2014, n. 9278

secondo la quale appunto in tema di preliminare è infondata la dedotta violazione dell’art. 1497 c.c. con riferimento all’esistenza del vincolo paesaggistico; il vincolo doveva essere conosciuto dal promissario acquirente perché i vincoli paesaggistici, inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale, una volta approvati e pubblicati nelle forme previste hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia “erga omnes”, come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari, sicché i vincoli in tal modo imposti, a differenza di quelli inseriti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile, secondo l’art. 1489 cod. civ., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore, che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto

La fattispecie, infine trova applicazione nel caso

1)         di vendita di immobile le cui potenzialità edificatorie risultino ridotte per effetto di cosiddetto trasferimento di cubatura [235].

2)         di limitazione derivante da provvedimento amministrativo di carattere particolare e concreto, di cui non risulti la conoscenza da parte del compratore [236].

3)         in cui l’immobile compravenduto risulti, in forza di specifico provvedimento amministrativo, sottoposto a vincolo paesistico, comportante limitazioni anche allo ius aedificandi, va affermato a carico del venditore l’obbligo di garanzia di cui all’art. 1489 c.c. (cosa gravata da oneri reali), a prescindere da ogni indagine sull’eventuale ulteriore predisposizione di un piano territoriale paesistico e concreta incidenza del vincolo stesso sui progetti del compratore. In tale ipotesi, infatti, stante il carattere amministrativo dell’atto impositivo, non può legalmente presumersi la conoscenza del vincolo da parte del compratore, come nel diverso caso di limitazioni derivanti da atto di portata normativa, quale il piano regolatore, la cui conoscenza legale non può però estendersi a vincoli paesistici che non siano stati formalmente recepiti e trasfusi nel piano medesimo. Peraltro, ogni indagine probatoria sulla ricorrenza, nella fattispecie, della predetta conoscenza del compratore, diviene irrilevante qualora il venditore abbia espressamente garantito l’inesistenza di vincoli diversi da quelli del piano regolatore [237];

4)         in cui sul bene alienato siano stati imposti vincoli idrogeologici e forestali non dichiarati nell’atto di compravendita dal venditore, il quale è pertanto tenuto alla prevista garanzia se non provi la reale conoscenza del vincolo stesso da parte del compratore. Ai fini della predetta conoscenza è irrilevante che apposite leggi in materia prevedano in via astratta l’imposizione dei vincoli, giacché l’onere relativo a carico di un determinato bene sorge soltanto a seguito di specifici provvedimenti amministrativi, la cui cognizione non può presumersi [238].

5)         in cui un terreno venduto come edificatorio, il vincolo di inedificabilità, imposto dagli strumenti urbanistici su, configura un onere limitativo del godimento del bene, e, pertanto, nel concorso delle condizioni contemplate dall’art. 1489 c.c. (inclusa la non apparenza del vincolo stesso), abilita il compratore alle azioni da tale norma previste [239].

6)         di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia (nella specie, per la trasformazione di una soffitta in locali abitabili), non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l’art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o comunque non sia conosciuta dal compratore al tempo dell’acquisto ed altresì persista il potere repressivo della pubblica amministrazione (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilità dell’immobile. Nel concorso di tali condizioni, pertanto, deve riconoscersi all’acquirente la facoltà di chiedere la riduzione del prezzo, ancorché l’amministrazione non abbia ancora esercitato detto potere repressivo (salva restando, per il caso in cui venga impartito ed eseguito l’ordine di demolizione, l’operatività delle disposizioni degli artt. 1483 e 1484 c.c. circa l’evizione totale o parziale) [240].

 

Differenza con l’aliud pro alio[241]

Tenuto conto che si realizza l’ipotesi della vendita di aliud pro alio soltanto quando la cosa consegnata sia completamente diversa da quella contrattata perché appartiene a un genere del tutto diverso o sia priva delle capacità funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, concreta la diversa fattispecie della vendita di cosa gravata da oneri prevista dall’art. 1489 c.c. quella in cui il bene alienato si riveli inidoneo all’uso di abitazione per il quale era stato acquistato in presenza di una clausola del regolamento di condominio contrattuale, accettata dall’acquirente all’atto dell’acquisto, che vieta il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile da cantina ad abitazione [242].

 

 

F) Evizione invertita

Quando il compratore acquista il bene direttamente dal terzo che potrebbe agire in rivendica.

In tal caso il precedente contratto di compravendita resta inadempiuto e il prezzo pagato dal compratore può costituire il termine di riferimento per la misura del risarcimento dei danni.

Naturalmente il compratore avrà inoltre il diritto alla restituzione dell’intero prezzo a suo tempo versato, che può essere anche più alto di quello pagato per la seconda vendita.

Non è, invece, considerata evizione, secondo un principio che risale al diritto romano, l’ipotesi in cui l’acquisto anche se non avviene a mezzo del contratto di vendita, si realizza pur sempre con la cooperazione del venditore [243].

Esempio tipico è quello dell’acquisto per usucapione decennale di un bene in forza di un contratto idoneo a trasferire la proprietà e debitamente trascritto, qualora il venditore non sia proprietario.

 

 

G) Responsabilità limitata del venditore

Per un autore [244] la questione è controversa se il venditore compie una prestazione diversa.

 

art. 1486 c.c.    responsabilità limitata del venditore

Se il compratore  ha evitato l’evizione della cosa mediante il pagamento di una somma di denaro, il venditore può liberarsi di tutte le conseguenze della garanzia col rimborso della somma pagata, degli interessi e di tutte le spese.

H) Modificazione convenzionale della garanzia

 

art. 1487 c.c.   modificazione o esclusione convenzionale della garanzia

I contraenti possono aumentare o diminuire gli effetti della garanzia e possono altresì pattuire che il venditore non sia soggetto a garanzia alcuna.

Quantunque sia pattuita l’esclusione della garanzia, il venditore è sempre tenuto per l’evizione derivante da un fatto suo proprio. È nullo ogni patto contrario (1266).

 

 

 

3 sono le ipotesi che vi possono essere in concreto

1A Ipotesi – limiti

Il legislatore ha stabilito determinati limiti, oltre i quali il patto di esclusione non è valido –

1)           art. 1487 2 co evizione derivante da fatto proprio del venditore –

2)           art. 1229 c.c.

art. 1229 c.c.   clausole di esonero da responsabilità:

E’  nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave (1490, 1579, 1681, 1694, 1713, 1784, 1838, 1900).

È nullo (1421 e seguenti) altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari (1580) costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (prel. 31).

 

3)              un terzo limite, infine, riguarda la restituzione del prezzo, la quale non può essere esclusa in quanto non rappresenta un risarcimento del danno.

2A Ipotesi – aumento della garanzia

Il venditore dovrà restituire una somma maggiore del prezzo, fermi restando gli altri rimborsi (in tal caso il patto integra una vera e propria clausola penale[245])

3A Ipotesi – vendita a rischio e pericolo del compratore

Nonostante l’ampia formula usata dal legislatore (art. 1488 2 co) sussistono pur sempre 2 limiti invalicabili: la vendita in esame, infatti, non esclude la responsabilità

1)           per dolo o colpa grave (art. 1229)

2)           e per fatto proprio del venditore (art. 1487 2 co).

Per quanto riguarda la natura di tale contratto bisogna inquadrarla, secondo l’opinione della dottrina dominante, tra le figure di contratto a carattere aleatorio

 

art. 1488 c.c.   effetti dell’esclusione della garanzia

Quando è esclusa la garanzia, non si applicano le disposizioni degli artt. 1479 e 1480; se si verifica l’evizione, il compratore può pretendere dal venditore soltanto la restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese.

Il venditore è esente anche da quest’obbligo quando la vendita è stata convenuta a rischio e pericolo del compratore.

I) Pericolo di evizione

[246]

La sospensione è legittimata solo in presenza di un pericolo effettivo e non già putativo, come nel caso di un giudizio in corso, di una diffida.

art. 1481 c.c.  pericolo di rivendica

Il compratore può sospendere il pagamento del prezzo quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia.

 

La facoltà di sospendere il pagamento del residuo prezzo a norma degli artt. 1489 e 1481 c.c., presuppone che la cosa risulti gravata da oneri o diritti che ne diminuiscano il godimento risolvendosi in una violazione dell’impegno traslativo del diritto sulla cosa venduta.

Tale facoltà, costituendo applicazione alla compravendita del principio generale inadimplenti non est adimplendum [247], di cui all’art. 1460 c.c., postula che l’esercizio dell’autotutela sia conforme a buona fede, dovendo connotarsi il pericolo di perdere la proprietà per serietà e concretezza e risultare attuale, e non già soltanto ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo, senza che abbia rilievo distinguere, al riguardo, tra contratto di vendita, con immediato effetto traslativo, e contratto preliminare, atteso che la garanzia è prevista dall’art. 1481 c.c. in considerazione e per effetto del mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato dal compratore, tale da comportare l’alterazione del sinallagma contrattuale. Ne consegue che detta garanzia opera indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, sussistendo la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto[248].

Ad esempio per la S.C. [249] non ricorre tale presupposto (e quindi non può essere esercitata detta facoltà) nel caso in cui il compratore, acquistato un suolo per costruirvi un edificio secondo un progetto cedutogli dal venditore come realizzabile, veda ostacolata tale realizzabilità da azioni di terzi che denuncino la violazione di norme edilizie contenute in leggi, regolamenti o piani regolatori.

Anche nel caso [250] in cui il promissario acquirente di un fondo, in relazione alla pendenza di un procedimento di affrancazione che l’affittuario del fondo medesimo abbia promosso secondo la disciplina delle leggi 22 luglio 1966, n. 607 e 18 dicembre 1970, n. 1138, non può giustificare la sospensione del pagamento del prezzo, od il ritardo nella stipulazione del definitivo, sotto il profilo del pericolo di rivendica di cui all’art. 1481 c.c., il quale ricorre quando il terzo metta in discussione il diritto dominicale del promittente venditore, e non anche quindi nella diversa ipotesi in cui tenda a conseguire il trasferimento a proprio favore del diritto stesso, ma può solo invocare la garanzia del promittente per l’esistenza sul bene di diritti di godimento di terzi, ai sensi ed agli effetti dell’art. 1489 c.c., sempreché sussista il presupposto per l’applicabilità di tale ultima norma, costituito dal fatto che di quella situazione non sia stato reso edotto in sede di stipulazione del preliminare.

Mentre nel caso in cui la cosa venduta sia stata sottoposta a provvedimento cautelare e provvisorio, quale il sequestro conservativo, non ricorrono gli estremi dell’evizione, ma soltanto il pericolo di evizione. In tal caso, pertanto, il compratore può sospendere il pagamento del prezzo a norma dell’art. 1481 c.c., salva la facoltà di agire in via di normale risoluzione, ove ne ricorrano gli estremi [251].

In definitiva la cassazione[252] ha statuito anche nell’ipotesi di vendita forzata — in cui la legge pone una strettissima interdipendenza tra decadenza dell’aggiudicatario per mancato pagamento, fissazione della nuova vendita e confisca della cauzione — non può invocarsi la sussistenza di garanzie reali o altri vincoli gravanti sulla cosa oggetto di aggiudicazione ai fini dell’applicabilità degli artt. 1482 e 1489 c.c.; l’imputabilità dell’inadempimento può assumere peraltro rilievo ai fini della condanna di cui all’art. 177 disp.att. c.p.c. sotto il profilo della colpevolezza in relazione ad una situazione che legittima il ricorso all’autotutela; ciò implica, dato il richiamo alla buona fede di cui all’art. 1460, secondo comma c.c. e al timore di rivendica per un pericolo prima ignorato di cui all’art. 1481 c.c., la conoscenza da parte dell’aggiudicatario decaduto del pericolo di evizione e non può pertanto escludersi l’imputabilità dell’inadempimento allorquando la conoscenza del pericolo di evizione non sussista.

Poi, come da recente Cassazione [253] la previsione di cui all’art. 1481 c.c. è applicabile per analogia anche al contratto preliminare di compravendita – in effetti il compratore può sospendere il pagamento del prezzo quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possano essere rivendicate da terzi. Ne consegue che, quando, in relazione al bene promesso in vendita, sussista il pericolo attuale e concreto di evizione, è concessa al promittente acquirente la facoltà di rifiutarsi di concludere il contratto definitivo fino a quando non venga eliminato tale pericolo.

In merito, invece, agli interessi, la S.C. [254] con ultima pronuncia ha così statuito: la sospensione del pagamento del prezzo, quale eccezionale mezzo di autotutela consentito dall’art. 1481 c.c., esclude la mora debendi e, dunque, il pagamento degli interessi moratori sul prezzo, ma non elimina – nell’ipotesi di vendita di bene fruttifero già consegnato al compratore –  il dovere di pagare gli interessi compensativi di cui all’art. 1499 c.c., i quali hanno la funzione di rimediare ad uno squilibrio economico, che si determina anche nel periodo in cui si è manifestato il pericolo di evizione.

In caso di fallimento del dante causa del promissario venditore di un immobile, con l’astratta possibilità di conseguente revocatoria fallimentare, non giustifica, di per sé, l’esercizio, da parte del promissario acquirente, della facoltà di sospendere, ai sensi dell’art. 1481 c.c., l’esecuzione della propria prestazione, trattandosi di facoltà che, sebbene concessa anche in presenza di pretese del terzo sull’oggetto del contratto, presuppone non il mero timore delle medesime, bensì che risulti concretamente la volontà del terzo di promuovere azioni volta ad ottenere il riconoscimento dei suoi asseriti diritti sul bene e che la detta sospensione non sia contraria a buona fede, ricorrendo tale condizione allorché il pericolo di azioni siffatte si connoti per serietà e concretezza, sì da escludere la presenza di un pretesto dell’obbligato per rifiutare l’adempimento dovuto [255].

In realtà, però la medesima Cassazione [256] sul punto prevedeva contrariamente. Difatti si legge nella massima seguente che le norme degli artt. 1461 e 1481 c.c. sono applicabili anche al contratto preliminare, essendo dirette a garantire in tutti i contratti con prestazioni corrispettive il sinallagma funzionale tra le contrapposte prestazioni. Pertanto il promissario acquirente, quando sussiste il pericolo di rivendica del bene promesso in vendita o di revoca del futuro acquisto di esso per effetto del sopravvenuto manifestarsi dello stato di insolvenza del promittente alienante e del suo conseguente prevedibile fallimento, non solo ha la facoltà di rifiutarsi di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo, ma può anche pretendere la stipulazione di questo con la sospensione del pagamento del prezzo.

Con una pronuncia successiva, andando a modificare il tiro verso la soluzione negativa prevista nella sentenza del ’94, la Corte stabilì [257], che nel caso di compravendita definitiva di un immobile il timore dell’acquirente di essere pregiudicato dal possibile fallimento del venditore può giustificare la sospensione del pagamento del prezzo non già ai sensi dell’art. 1461 c.c. — dovendosi escludere, per gli immediati effetti reali del contratto suindicato, l’incertezza in ordine al conseguimento della controprestazione concernente il trasferimento della proprietà del bene — ma ai sensi dell’art. 1481, primo comma, c.c., che consente al compratore di sospendere il pagamento del prezzo in relazione al timore che la cosa venduta possa essere rivendicata da terzi. Peraltro, la possibilità del fallimento del venditore, se giustifica la sospensione anzidetta, non integra inadempimento, (rilevante ai fini della risoluzione del contratto), dell’obbligo ex art. 1476, n. 3, c.c. di garantire il compratore dall’evizione, essendo la violazione di tale obbligo configurabile soltanto quando si verifichi una molestia effettiva, in conseguenza di pretese sulla cosa fatte valere da terzi, e non anche quando sussista il semplice pericolo di molestie.

 

L) Garanzie reali e vincoli

art. 1482 c.c.  cosa gravata da garanzie reali o da altri vincoli

Il compratore può altresì sospendere il pagamento del prezzo se la cosa venduta risulta gravata da garanzie o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro, non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorati.

Egli può inoltre far fissare dal giudice un termine, alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata, il contratto è risoluto con l’obbligo del venditore di risarcire il danno ai sensi dell’art. 1479.

Se l’esistenza delle garanzie reali o dei vincoli sopra indicati era nota al compratore, questi non può chiedere la risoluzione del contratto, e il venditore è tenuto verso di lui solo per il caso di evizione.

 

L’esistenza di garanzie reali o di vincoli da pignoramento o sequestro sull’immobile promesso in vendita — non dichiarate dal promesso venditore e ignorate dal promesso compratore — comporta per quest’ultimo sia la facoltà di sottrarsi all’adempimento con la eccezione di inadempimento a norma dell’art. 1460 c.c., sia la facoltà di chiedere al giudice di stabilire un termine entro il quale la cosa promessa in vendita deve essere liberata dalle garanzie o dai vincoli che la gravano, scaduto inutilmente il quale il contratto è risolto, con obbligo del promesso venditore di risarcire il danno ai sensi dell’art. 1479 c.c.

Ai fini procedurali tale richiesta di fissazione del termine, oltre che in via autonoma, può essere anche formulata congiuntamente con la domanda di risoluzione del contratto, che potrà essere accolta solo condizionatamente alla mancata liberazione del bene nel termine stabilito nella stessa sentenza, con la conseguenza che a tal fine il termine può essere fissato dal giudice anche senza una formale e specifica richiesta della parte compratrice in relazione a quella sua domanda di risoluzione per cui sia accertata l’inadempienza del venditore [258].

La previsione normativa di cui all’art. 1482 c.c., nel facultare il compratore a sospendere il pagamento del prezzo nonché a chiedere al giudice di fissare un termine per la liberazione dell’immobile, non esaurisce i rimedi a disposizione dell’acquirente in quanto gli concede soltanto un rimedio alternativo ad ulteriore rafforzamento della sua posizione contrattuale, senza precludergli la possibilità di esperire l’azione di risoluzione ove ne ricorrano gli estremi, ivi compreso quello della non scarsa importanza dell’inadempimento [259].

La facoltà del compratore di sospendere il pagamentodel prezzo, costituendo un’applicazione alla compravendita del principio generale inadimplenti non est adimplendum di cui all’art. 1460 c.c. [260], postula non la sola esistenza del diritto reale di godimento in favore di terzi ma che la sospensione del pagamento non sia contraria alla buona fede e di conseguenza il compratore non può avvalersi di tale facoltà, per la carenza di tale estremo, quando l’inadempienza contestata al venditore non sia grave [261].

Inoltre, deve connotarsi il pericolo di perdere la proprietà per serietà e concretezza e risultare attuale, e non già soltanto ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo, senza che abbia rilievo distinguere, al riguardo, tra contratto di vendita, con immediato effetto traslativo, e contratto preliminare, atteso che la garanzia è prevista dall’art. 1481 c.c. in considerazione e per effetto del mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato dal compratore, tale da comportare l’alterazione del sinallagma contrattuale. Ne consegue che detta garanzia opera indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione, sussistendo la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto [262].

Presupposto necessario è che le garanzie e gli altri vincoli preesistano alla vendita, in quanto entrambi detti rimedi postulano la colpa del venditore, consistente nella violazione dell’obbligo di dichiarare la esistenza di tali garanzie e vincoli.

Pertanto, con riguardo a vendita immobiliare, detta norma non è applicabile quando il pignoramento dell’immobile è eseguito dopo la conclusione della vendita anche se la trascrizione di quest’ultima sia successiva a quella del pignoramento, rimanendo in potere dell’acquirente di invocare la garanzia prevista dall’art. 1483 c.c. ove la evizione si sia verificata a seguito dell’espropriazione immobiliare ad opera del creditore pignorante, nei cui confronti la vendita non ha efficacia a termini dell’art. 2914 c.c.[263]

Per una sentenza di merito [264], anche la trascrizione della domanda giudiziale, avente ad oggetto la cosa venduta, rappresenta per il compratore un serio pericolo di evizione, in relazione a tale caso è operante la tutela di cui all’art. 1482 c.c., che attiene nello specifico solo al pignoramento o sequestro, sempre relativi alla cosa venduta, e ciò attesa la sostanziale analogia di ratio intercorrente fra le due situazioni

Per ultima Cassazione [265] ai sensi dell’art. 1482 c.c. (la cui applicabilità analogica al contratto preliminare è costantemente affermata dalla giurisprudenza della medesima Corte [266]) il promissario acquirente, se la cosa promessa è gravata da garanzie reali (o da pignoramento: o sequestro) non dichiarate dal promittente venditore, può sia sospendere il pagamento del prezzo, sia domandare la risoluzione del contratto, avendo egli la facoltà e non già l’obbligo di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la cancellazione dei gravami [267].

In ogni caso, fin tanto che questi ultimi non siano cancellati è legittimo il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo [268] .

Mentre per le Sezioni unite [269], la domanda giudiziale volta ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un patto di prelazione [270] in caso di vendita di un bene immobile, in assenza di una specifica previsione normativa al riguardo, non è suscettibile di essere trascritta; il patto di prelazione, infatti, non può essere assimilato al contratto preliminare, in quanto in quest’ultimo è individuabile un’obbligazione già esistente, rispetto alla quale ha senso assicurare l’effetto di prenotazione della trascrizione, effetto che non è invece collegabile al patto di prelazione, che non prevede alcun obbligo di futuro trasferimento.

 

Risarcimento danni

 

L’acquirente che abbia proposto domanda di risarcimento dei danni per l’inadempimento da parte del venditore all’obbligo di garanzia, contrattualmente assunto, della piena libertà dell’immobile compravenduto, non può dolersi che la sua domanda non sia stata esaminata ed accolta dal giudice sotto il diverso profilo della garanzia dovuta ai sensi dell’art. 1482 c.c., perché il potere–onere del giudice di definire il rapporto sul quale la domanda è fondata non può estendersi, senza incorrere nel vizio di ultra–petizione, fino al punto di sostituire di ufficio all’azione proposta — che compete all’acquirente anche se non sia stata chiesta la risoluzione, presuppone la colpa del venditore e dà diritto al pieno risarcimento dei danni — la diversa azione di danni nascente dall’art. 1482 c.c. che è concessa previa risoluzione del contratto, prescinde completamente dalla colpa del venditore e dà diritto al risarcimento nei limiti dell’interesse negativo [271].

 

2) La Garanzia per i vizi

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – sez. I disposizioni generali  – § 1 delle obbligazioni del venditore –  1490 – 1495

 

art. 1490 c.c.  garanzia per i vizi della cosa venduta

Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che (1° requisito) la rendono inidonea all’uso a cui è destinata [272] o (2° requisito) ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore [273] .

(Esclusione o limitazione convenzionale)Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede (unico limite a tale fattispecie) taciuto al compratore i vizi della cosa.

Nell’ambito della disciplina sulla compravendita, la garanzia per vizi della cosa concerne la tutela accordata al compratore dinnanzi a quelle anomalie della res empta che siano tali da impedire il pieno ed effettivo godimento del bene.

A differenza della garanzia per evizione, la quale attiene alla condizione giuridica della cosa, la garanzia per vizi concerne le ipotesi di alterazione patologica e di anomalia della res, tali da arrecare un pregiudizio del diritto del compratore al pieno ed esatto godimento del bene oggetto del trasferimento.

A norma dell’art. 1490 c.c., grava sul venditore l’onere e l’obbligo di garantire il compratore dai vizi della cosa venduta, tali da renderla inidonea all’uso cui è destinata o da diminuirne in modo apprezzabile il valore. Il corretto esercizio di tale diritto presuppone, peraltro, una serie di adempimenti da parte del compratore, idonei a denotare l’effettiva volontà di far valere detta garanzia, con tutte le conseguenze che ne derivano, quali la risoluzione del contratto, la riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1492 c.c., ovvero l’automatico diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1494 c.c.

L’azione esercitata ai sensi dell’art. 1494 c.c., può essere promossa sia come corollario dell’azione di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo, sia a prescindere dall’esercizio delle stesse.

In entrambe le ipotesi l’azione risarcitoria del danni subiti in conseguenza della presenza dei vizi della cosa venduta, è soggetta al termine di prescrizione annuale decorrente dalla data di consegna della res.

Inoltre, è bene precisare, come ha avuto modo di fare la Cassazione, anche da ultimo,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 dicembre 2015, n. 25027

la garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dall’articolo 1490 c.c. e segg., differisce da quella di buon funzionamento prevista dall’articolo 1512 c.c., invocabile solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza nel contratto di compravendita di un tale patto che, con l’assicurazione di un determinato risultato (il buon funzionamento della cosa per il tempo convenuto) determina una piu’ forte garanzia del compratore, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilita’ per mancanza di qualita’. Anche sotto il profilo dell’onere probatorio dette garanzie si differenziano in quanto la garanzia di cui all’articolo 1512 c.c., impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, restando a carico del garante provare l’estraneita’ del cattivo funzionamento alla struttura della res, per essere esso dipendente da fatto del compratore o di terzi (Cass. n. 2328/72). La garanzia per vizi, invece, cui il venditore e’ tenuto per legge, impone all’acquirente l’onere di provare il vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui e’ destinata pur presumendosi la colpa del venditore in relazione alla sua conoscenza del vizio (Cass. n. 14665/2008; n. 4464/1997).

A) Imperfezione materiale

Incide sul valore o sulle possibilità di utilizzazione della cosa e dipende da anomalie del processo di fabbricazione, di produzione, di conservazione.

I vizi relativi alla condizione giuridica, rientrano nella disciplina dell’evizione.

Per la Cassazione [274] si ha vizio redibitorio quando la cosa acquistata risulti inidonea all’uso cui è destinata o risulti diminuita in modo apprezzabile nel valore, mentre si ha mancanza di qualità quando la cosa stessa, per la natura o per gli elementi che la caratterizzano, appartenga ad una specie o ad un tipo diverso da quello pattuito.

Inoltre è necessario, già, precisare che, il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità promesse oessenziali [275] (art. 1497 c.c.), pur presupponendo entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano in quanto il primo riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa medesima, mentre la seconda è inerente alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un’altra.

Vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono, a loro volta, dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio [276], la quale ricorre quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso, o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico–sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto [277].

L’obbligazione di garanzia gravante sul venditore discende dal fatto (oggettivo) del trasferimento di un bene affetto da vizi che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinato o ne diminuiscano in misura apprezzabile il valore, mentre eventuali profili di colpa dell’alienante rilevano, ex art. 1490 c.c., ai soli, eventuali (e diversi) fini risarcitori.

Ne consegue che, ad esempio [278] in caso di immissioni, eccedenti o meno la normale tollerabilità (nella specie, rumorosità delle tubazioni del bagno sito nell’appartamento immediatamente superiore a quello alienato), la preesistenza del vizio rispetto alla conclusione del contratto di compravendita rende responsabile il venditore per aver alienato un bene oggettivamente affetto da un determinato difetto, senza che rilevi, in contrario, né la astratta possibilità della coesistenza di tale profilo di responsabilità con quello, concorrente (ma a diverso titolo), del vicino, ai sensi dell’art. 844 c.c. [279], né il mancato superamento della soglia di normale tollerabilità delle immissioni, poiché il predetto limite è specificamente stabilito per la proponibilità della sola azione ex art. 844 c.c.

Mentre, per attuale Cassazione [280], in tema di cessione di azienda[281], l’avviamento non è un bene compreso nell’azienda – del quale quindi si possa ipotizzare un vizio ai sensi dell’art. 1490 c.c. in tema di vizi della cosa venduta – ma è una qualità immateriale dell’azienda stessa, che può essere promessa nel contratto di vendita e il cui difetto dà luogo alla fattispecie di inadempimento di cui all’art. 1497 c.c. in tema di mancanza di qualità promesse, con la conseguenza che la sua mancanza o il suo valore inferiore a quello pattuito non possono essere poste a fondamento dell’azione di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492, ma solo, eventualmente, di una di risoluzione ex art. 1453 c.c.

È opportuno, poi, precisare, come hanno avuto modo di stabilire alcune pronunce di merito [282], che la non conformità dell’immobile oggetto di compravendita al progetto approvato dall’Amministrazione non costituisce, nei rapporti tra i privati, vizio della cosa rilevante ex art. 1490 c.c., in quanto trattandosi non già di una anomalia strutturale, bensì di una irregolarità che assoggetta la cosa al potere sanzionatorio dell’Amministrazione e determina l’inquadramento della fattispecie nell’ambito dell’art. 1489 c.c.[283], avente ad oggetto la disciplina dell’ipotesi in cui la cosa compravenduta sia gravata da oneri o diritti reali o personali in favore di terzi, che diminuiscano non solo il libero godimento del bene, ma anche il valore del medesimo e la sua commerciabilità.

In tale contesto, invero, l’ordine di demolizione dell’immobile assume, in seguito all’avvenuta esecuzione dello stesso, gli effetti sostanziali di una evizione totale o parziale, a seconda che ne derivi l’abbattimento totale o parziale del bene. Il venditore, pertanto, seppure non tenuto alla garanzia per effetto della conoscenza della irregolarità da parte del compratore, è comunque tenuto a restituire il prezzo ed a rimborsare le spese, fatta eccezione per l’ipotesi (non ricorrente nella specie) in cui la vendita non sia stata convenuta a rischio e pericolo del compratore stesso ex art. 1483 c.c.

Ai fini dell’applicabilità della garanzia di cui all’art. 1490 c.c. il Tribunale Capitolino [284] da ultimo ha specificato che la normativa sulla tutela del consumatore, la quale, ricorrendone i presupposti, deve essere sempre applicata, a meno che non siano previste ulteriori norme a tutela del consumatore, non esaurisce tutte le possibili garanzie al medesimo soggetto riconosciute, con la conseguenza che possono applicarsi le disposizioni del codice civile in materia di contratto di vendita in generale, sebbene solo ad integrazione di eventuali lacune nella regolamentazione di specifiche ipotesi. In relazione, in particolare, al fenomeno dell’esistenza di vizi e difetti del bene acquistato, nella specie in rilievo, disciplinato, con modalità e conseguenze in parte differenti, sia dal codice del consumo e sia dagli artt. 1490 e ss. c.c., deve ritenersi che al di là dei quattro rimedi tipici previsti dall’art. 130 del Codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005), il diritto al risarcimento del danno, in caso di difetto di conformità del prodotto acquistato, trova cittadinanza nell’ambito della vendita consumeristica in forza del primo comma dell’art. 135 e trova attuazione attraverso il richiamo contenuto nel secondo comma della stessa norma con riferimento alle disposizioni contenute nel codice civile in tema di contratto di vendita. Dunque, deve ritenersi ammissibile la domanda risarcitoria per danni conseguenti alla non conformità del prodotto venduto secondo la previsione dell’art. 1494 c.c., soggetta allo stesso termine di decadenza e di prescrizione previsto dal citato art. 132 del Codice del Consumo e non a quello previsto dall’art. 1495 c.c. per la vendita in generale.

B) Nascosto

[285]

devono i vizi essere occulti poiché, infatti, non è dovuta la garanzia se  il vizio era facilmente riconoscibile

 

art. 1491 c.c.  esclusione della garanzia

Non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa: parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo che in questo caso il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi.

 

L’esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1491 c.c., è applicazione del principio di autoresponsabilità e consegue all’inosservanza di un onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione.

Pertanto, sebbene il grado della diligenza esigibile non possa essere predicato in astratto, ma debba essere apprezzato in relazione al caso concreto, avuto riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell’acquirente, è tuttavia da escludere che l’onere di diligenza del compratore debba spingersi sino al punto di postulare il ricorso all’opera di esperti o l’effettuazione di indagini penetranti ad opera di tecnici del settore, al fine di individuare il vizio [286].

La facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta che esclude la garanzia, presuppone che essi siano tali al momento della conclusione del contratto, per cui la citata norma non opera quando, trattandosi di contratto concluso per mezzo di rappresentante, la consegna della merce è successiva alla stipula del contratto [287].

Per altra pronuncia [288], in realtà qualora la consegna della merce sia successiva alla conclusione del contratto, ai fini dell’esclusione della garanzia di cui all’ultima parte dell’articolo 1491 c.c., la facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta deve essere verificata con riferimento non al momento della conclusione del contratto, bensì a quello in cui il compratore abbia ricevuto la merce, in questo momento soltanto potendo egli esaminare lo stato in cui essa si trova.

Principio ripreso anche da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 18 novembre 2016, n. 23521

ovvero: nel contratto di compravendita, l’articolo 1491 c.c. – in base al quale il venditore non e’ tenuto alla garanzia per i vizi della cosa venduta ove questi siano facilmente riconoscibili al momento della conclusione del contratto – non opera quando la consegna della merce sia successiva a tale conclusione Qualora, invero, la consegna della merce sia successiva alla conclusione del contratto, come nel caso in esame, ai fini dell’esclusione della garanzia di cui all’ultima parte dell’articolo 1491 c.c., la facile riconoscibilita’ dei vizi della cosa venduta deve essere, piuttosto, verificata con riferimento non al momento della conclusione del contratto, bensi’ a quello in cui il compratore abbia ricevuto la merce, in questo momento soltanto potendo egli esaminare lo stato in cui essa si trova.

L’accertamento dell’apparenza e riconoscibilità dei vizi della cosa compravenduta costituisce un apprezzamento di fatto, come tale sottratto a sindacato di legittimità, per tutto ciò che non attiene al procedimento logico seguito o ai principi di diritto eventualmente presupposti [289].

La dichiarazione del venditore

Con una lontana sentenza la S.C. [290] così stabiliva:il venditore il quale abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi è tenuto alla garanzia anche nel caso di vizi facilmente riconoscibili pur se preventivamente ignorava — senza sua colpa — l’esistenza dei vizi stessi.

Successivamente è stato poi specificato che la garanzia per vizi della cosa venduta, nell’ipotesi di vizi facilmente riconoscibili, opera solo in presenza di una affermazione diretta ed esplicita del venditore che la cosa è esente da vizi: tale garanzia, pertanto, non può farsi derivare dal comportamento tacito del venditore [291].

In maniera ancora più selettiva la Cassazione [292] ha stabilito che occorre una specifica assicurazione sull’assenza di vizi, con la quale il venditore determina un particolare affidamento del compratore, indotto a soprassedere all’esame della cosa e quindi a non scoprirne gli eventuali vizi.

Da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI civile, sentenza 19 ottobre 2016, n. 21204

ha avuto modo di precisare che  la garanzia per i vizi della cosa oggetto della compravendita e’ esclusa dalla clausola “vista e piaciuta” – la quale ha lo scopo di accertare consensualmente che il compratore ha preso visione della cosa venduta -, qualora si tratti di vizi riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede.

La clausola non puo’ riferirsi ai vizi occulti, che si manifestano cioe’, dopo i normali controlli eseguiti ante acquisto, soltanto dopo l’uso del bene compravenduto. Ne’ potrebbe essere diversamente, giacche la espressione “vista”, se priva di precisazioni rafforzative, inequivocabilmente allude solo ai vizi agevolmente riscontrabili dall’acquirente a primo esame.

Inoltre, anche considerati i principi fondamentali che governano l’istituto del contratto, la buona fede e l’equita’ del sinallagma contrattuale, sarebbe incongruo ritenere che quella clausola possa sollevare il venditore dalla garanzia per i vizi occulti. Piuttosto, quei principi inducono a ritenere che quella clausola vada limitata ad una accettazione del bene con tutti quegli eventuali vizi riconoscibili ictu oculi, nonche’, se vi sia stata concreta possibilita’ di farlo, con tutti i vizi che avrebbero potuto essere riconoscibili con una diligente disamina del bene.

Non ricomprende, anche, l’accettazione dei vizi occulti, perche’, ove cosi’ fosse, si determinerebbe uno squilibrio ingiustificato del sinallagma contrattuale.

Il venditore di vettura usata, pertanto, e’ tenuto alla garanzia per i vizi occulti, anche se la vendita sia avvenuta “nello stato come vista e piaciuta” e, cio’, a prescindere dal fatto che la presenza di essi non sia imputabile ad opera del venditore, ma, esclusivamente, a vizi di costruzione del bene venduto

 

C) Preesistenza

Il vizio deve già esistere al momento della conclusione del contratto anche se può manifestarsi successivamente come una conseguenza di una causa preesistente.

Se invece il vizio insorge dopo l’intervenuto accordo ma prima della consegna, esso inciderà sull’esattezza della prestazione, cosicché il compratore potrà bensì agire con l’azione di risoluzione, di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno, ma senza dover osservare i ristretti termini di cui all’art. 1495 c.c.

Per la S.C. [293]in materia di compravendita, la conoscenza e la scoperta del vizio redibitorio non vanno necessariamente collegate alla precisa cognizione della causa del vizio stesso, poiché, se è vero che si ha conoscenza del vizio quando il compratore abbia acquisito la certezza obiettiva della sua sussistenza, non essendo sufficiente il semplice sospetto, è altrettanto vero che, secondo la logica delle cose, tale certezza va riferita alla manifestazione esteriore del vizio e non già alla individuazione della causa che lo ha determinato.

 

La garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata dagli artt. 1490 e seguenti c.c. differisce da quella di buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c. [294] per il fatto che, mentre la seconda impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima — cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno — impone all’acquirente anche l’onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui essa è destinata; inoltre, la garanzia di cui all’art. 1512 c.c., che attua, con l’assicurazione di un determinato risultato — il buon funzionamento della cosa per il tempo convenuto — una più forte garanzia del compratore, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilità per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale e, pertanto, può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza di un tale patto nel contratto di compravendita [295].

D) Patto di esclusione o limitazione della garanzia

art. 1490 2 co  in applicazione della generale regola fissata dall’art 1229

art. 1229 c.c.   clausole di esonero da responsabilità

E’ nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave (1490, 1579, 1681, 1694, 1713, 1784, 1838, 1900).

È nullo (1421 e seguenti) altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari (1580) costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (prel. 31).

 

È riconosciuta alle parti in piena autonomia la possibilità di modificare la garanzia legale per i vizi della cosa venduta, con apposita clausola contrattuale, in modo da aumentare o diminuire la garanzia medesima, potendo essere estesa anche a vizi non redibitori ovvero prevedere l’azione di esatto adempimento a favore del compratore alternativamente con le azioni derivanti dalla garanzia legale, di cui all’art. 1492 c.c., di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo. In tal caso all’azione di esatto adempimento non sono applicabili i termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c. propri delle azioni derivanti dalla garanzia legale [296].

Tali clausole che limitano la garanzia sono vessatorie e debbono pertanto essere specificamente approvate per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c.[297]

 

La mala fede [298]

In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta deve ritenersi che agli effetti previsti dall’art. 1490, cpv. c.c., la mala fede del venditore (la quale sussiste quando egli conosceva o avrebbe potuto conoscere usando l’ordinaria diligenza i vizi della cosa venduta) non rimane esclusa dalla circostanza che egli non abbia personalmente trattato con il compratore, ma abbia agito per mezzo di commessi o rappresentanti, dovendosi presumere che costoro abbiano attuate le sue istruzioni o direttive e potendosi, quindi, dal loro comportamento ricavare gli elementi di prova della mala fede del venditore stesso [299].

Inoltre, la garanzia per vizi della cosa compravenduta non può ritenersi esclusa dalla clausola «vista e piaciuta» qualora i vizi, siano essi riconoscibili od occulti, siano stati taciuti in mala fede [300].

E) Obbligo di denunzia dei vizi – termini e condizioni

[301]

 

art. 1495 c.c.  termini e condizioni per l’azione

Il compratore decade dal diritto di garanzia se non denunzia i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge.

La denunzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato.

L’azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna; ma il compratore, che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunziato entro 8 giorni dalla scoperta e prima e prima del decorso dell’anno della consegna.

 

Affinché l’acquirente possa ricorrere ai rimedi posti in sua tutela dall’ordinamento, senza incorrere nella decadenza dalla garanzia in esame, egli ha l’onere di denunciare i vizi della cosa al venditore, entro il termine di otto giorni dalla scoperta, salvo diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge (art. 1495 c.c.).

Tale denuncia é un atto giuridico in senso stretto di natura recettizia, attraverso il quale il compratore rende nota all’alienante la presenza dei vizi.

Non é richiesta la specificazione della causa o della natura del vizio, essendo sufficiente una denuncia generica che informi il venditore.

Tale dichiarazione non é, inoltre, soggetta a particolari formalità [302], pur essendo onere dell’acquirente precostituirsi la prova dell’effettuazione della denuncia in modo tempestivo. Siffatto onere di denuncia viene meno nel caso di riconoscimento ovvero di occultamento dei vizi da parte dell’alienante.

Per altra pronuncia [303], concordemente con la precedente, la denunzia dei vizi della cosa venduta ai sensi degli artt. 1492 e 1495 c.c. non deve consistere necessariamente in una esposizione dettagliata dei vizi che presenta la res vendita, poiché in considerazione della finalità della denunzia consistente nel mettere il venditore sull’avviso in ordine alle intenzioni del compratore e contemporaneamente in condizione di verificare tempestivamente la veridicità della doglianza, una denuncia generica può essere idonea allo scopo, sempreché con essa il venditore sia reso edotto che il compratore ha riscontrato, seppure in maniera non ancora chiara e completa, che la cosa è affetta da vizi che la rendono inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore.

Da ultimo la medesima Cassazione [304] ha affermato che  il termine di decadenza di cui all’articolo 1495 c.c. per la denunzia dei vizi della cosa venduta, pur dovendo essere riferito alla semplice manifestazione del vizio e non già all’individuazione della sua causa, decorre solo dal momento in cui il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva dell’esistenza del vizio, con la conseguenza che ove la scoperta avvenga per gradi ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sull’entità del vizio stesso, occorre fare riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta

Per il riconoscimento dei vizi della cosa venduta ben può aver luogo attraverso il compimento, da parte del venditore, di atti non compatibili con l’intenzione di respingere la pretesa del compratore o di far valere la decadenza dal diritto del medesimo alla garanzia. La circostanza di cui innanzi, in particolare, trova verificazione ogni qualvolta il venditore provveda ad effettuare le dovute riparazioni a mezzo di propri tecnici, ovvero si offra di far riparare o sostituire la cosa venduta, in quanto i descritti comportamenti devono interpretarsi quale accettazione della denuncia dei vizi del bene, come effettuata da parte dell’acquirente, in assenza di contestazioni in ordine alla tempestività della stessa. In tal modo, di fatto, il venditore, ritenendo proprio obbligo procedere alla loro eliminazione, altro non fa che riconoscere, seppure in maniera implicita ma certo inequivocabile, la fondatezza della denuncia dei vizi del bene [305].

Per una pronuncia di merito [306] il termine di decadenza per la denuncia dei vizi della cosa venduta ai sensi dell’articolo 1495 del c.c. decorre solo dal momento in cui il contraente acquisisce l’oggettiva conoscenza dei vizi e, nel caso in cui a tal fine si proceda ad accertamento tecnico preventivo, dal momento della comunicazione, da parte della cancelleria, del relativo esito.

In precedenza la Corte di Legittimità [307] prevedeva, specificamente che ai fini della decorrenza del termine breve di otto giorni per la denuncia andasse considerato:

1)    che solo per il «vizio apparente», quello rilevabile attraverso un rapido e sommario esame del bene utilizzando una diligenza inferiore a quella ordinaria, il dies a quo decorresse dal giorno del ricevimento della merce, mentre per gli altri vizi, il termine decorresse dal momento della «scoperta» (quando il compratore abbia acquistato «certezza» e non semplice sospetto che il vizio sussista);

2)    che nella compravendita di merce fra imprenditori, esperti del settore merceologico specifico, il dies a quo per la decorrenza del termine di decadenza della denuncia dei vizi (nella specie, acidità del vino), fosse quello in cui l’acquirente avesse potuto eseguire gli esami necessari, equiparandosi in tal caso la possibilità di accertamento della condizione del bene alla riconoscibilità dei vizi apparenti.

Successivamente per altra pronuncia [308], inoltre, l’individuazione della riconoscibilità dei vizi redibitori ex art. 1495 c.c. quale dies a quo del termine di decadenza dell’azione di garanzia va effettuata tenendo conto della qualità delle parti e della natura della cosa medesima.

Pertanto, con riguardo alla vendita di merci (tessuti) suscettibili di trasformazioni (capi di abbigliamento) nel rapporto tra imprenditori esperti del settore, va effettuata con riguardo alla data in cui l’acquirente è messo in condizione di verificare la merce stessa (che normalmente coincide con il giorno della consegna: art. 1511 c.c.) e non con riguardo alla diversa data di consegna della merce dopo la trasformazione della stessa.

Ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 ottobre 2015, n. 22107

sul punto ha avuto modo, nuovamente di ribadire che in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, ai fini della decorrenza del termine breve di otto giorni per la denuncia, solo per il “vizio apparente”, che è quello rilevabile attraverso un rapido e sommario esame del bene utilizzando una diligenza inferiore a quella ordinaria, il “dies a quo” decorre dal giorno del ricevimento della mercé, mentre per gli altri vizi il termine decorre dal momento della “scoperta”, la quale si ha allorquando il compratore abbia acquistato “certezza” (e non semplice sospetto) che il vizio sussista. In tema di vendita di cose mobili da trasportare da un luogo ad un altro, l’art. 1511 c.c., facendo decorrere il termine per la denuncia dei vizi dal ricevimento, impone un onere di diligenza a carico del compratore, consistente nel dovere di esaminare con tempestività la cosa, ponendosi così in grado di rilevarne i difetti eventuali anche, se del caso, con una indagine a campione. La disposizione in esame, tuttavia, si riferisce ai soli vizi apparenti, mentre per i vizi non apparenti il termine per la denuncia, in base alla regola generale posta dall’art. 1495 c.c., decorre dal momento della loro scoperta, e cioè dal giorno in cui l’acquirente abbia acquisito la certezza della loro esistenza

Ai fini prettamente processuali, per una recente sentenza del Tribunale Capitolino [309] (riprendendo una massima della S.C. [310]) l’intempestività della denuncia dei vizi della cosa venduta, poiché integra una causa di decadenza del compratore dal diritto alle garanzie contemplate per la vendita, va eccepita dalla parte interessata e non può essere rilevata d’ufficio.

A fronte della rituale e tempestiva eccezione di decadenza sollevata dal venditore, l’acquirente – anche ove faccia valere il diritto alla garanzia in via di mera eccezione, ed al solo fine di contrastare la pretesa di pagamento del corrispettivo, azionata dalla parte avversa – è tenuto ad allegare e provare tanto la data di scoperta dei vizi lamentati (ove la doglianza concerna vizi occulti, conosciuti dal compratore in epoca successiva alla consegna della merce) quanto la circostanza dell’avvenuta denuncia degli stessi nel termine di otto giorni dalla relativa scoperta. E ciò in considerazione del fatto che la denuncia dei vizi della cosa venduta e la tempestività della stessa costituiscono condizioni necessarie delle azioni di garanzia accordate al compratore.

Ancora, la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 luglio 2021| n. 21507.

ha nuovamente precisato che in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, eccepita dal venditore la tardività della denuncia rispetto alla data di consegna della merce, incombe sull’acquirente, trattandosi di condizione necessaria per l’esercizio dell’azione, l’onere della prova di aver denunziato i vizi nel termine di legge ex art. 1495 cod. civ.

Sempre per ultima Cassazione [311] in caso di inadempimento del venditore, oltre alla responsabilità contrattuale da inadempimento o da inesatto adempimento, è configurabile anche la responsabilità extracontrattuale del venditore stesso, qualora il pregiudizio arrecato al compratore abbia leso interessi di quest’ultimo che, essendo sorti al di fuori del contratto, hanno la consistenza di diritti assoluti; diversamente, quando il danno lamentato sia la conseguenza diretta del minor valore della cosa venduta o della sua distruzione o di un suo intrinseco difetto di qualità si resta nell’ambito della responsabilità contrattuale, le cui azioni sono soggette a prescrizione annuale.

Nella specie, il giudice del merito ha correttamente escluso l’esistenza della responsabilità extracontrattuale, sul rilievo della mancata doglianza della lesione di interessi sorti al di fuori del contratto ed aventi la consistenza di diritti assoluti, ed ha ricondotto il termine prescrizionale sotto la disciplina dell’art. 1495 c.c.

In merito, poi, all’occultamento dei vizi, per assumere rilevanza, deve consistere non nel semplice silenzio serbato dal venditore, ma in una particolare attività illecita, funzionale, con adeguati accorgimenti, a nascondere il vizio della cosa. L’accertamento dell’apparenza e riconoscibilità dei vizi costituisce, poi, un apprezzamento di fatto, come tale sottratto al sindacato di legittimità per tutto ciò che non attiene al procedimento logico–giuridico seguito dal giudice di merito[312].

Infine, come ha avuto modo di precisare, da ultimo, la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 23 giugno 2016, n. 13043

a norma dell’articolo 1495 c.c., comma 3, il termine di prescrizione di un anno per l’esercizio dell’azione redibitoria decorre dalla consegna della cosa indipendentemente dalla scoperta del vizio

La malafede

La malafede del venditore e la sua conoscenza dei vizi della cosa, mentre rilevano, ai sensi dell’art. 1490 c.c.[313], per rendere inoperante il patto di esclusione della responsabilità, non sono sufficienti a dispensare il compratore dell’onere della tempestiva denunzia, a tal fine occorrendo, a norma del secondo comma dell’art. 1495 citato, qualche cosa di più del semplice silenzio del venditore, e cioè che egli abbia attuato artifici o espedienti idonei a mascherare i vizi ed a renderne più difficile il riconoscimento[314].

Ad esempio per una pronuncia di merito [315], costituisce condotta idonea ad occultare i vizi del bene immobile, idonea a determinare la non operatività della previsione di cui all’art. 1495 c.c. e a determinare il venir meno dell’obbligo di denuncia in capo al compratore entro i ristretti termini di cui alla medesima previsione codicistica, quella che si sia concretizzata nell’occultamento di infiltrazioni di acqua nel vano sottotetto dell’immobile di difficile ispezione a causa della limitata altezza e del difficile punto di accesso. In circostanze siffatte ha, invero, innegabilmente luogo una ipotesi di occultamento della esistenza del vizio, il cui ricorso richiede non solo che il venditore abbia taciuto la esistenza degli stessi, ma anche che egli abbia compiuto interventi volti a renderne difficile la scoperta, rendendo all’uopo necessaria un’attività di ricerca diretta, con adeguati accorgimenti, a nascondere il vizio del bene venduto. Consegue nel caso concreto la evidente infondatezza della sollevata eccezione di prescrizione dell’azione per il trascorso del periodo annuale di denuncia decorrente dalla consegna del bene ex art. 1495, comma terzo, c.c.

 

Riconoscimento ed esatto adempimento[316]

Mentre per quanto riguarda il riconoscimento, ovvero,l’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) – come già scritto in precedenza –  di per sé non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva — sostitutiva (novazione oggettiva: art. 1230 c.c.) dell’originaria obbligazione di garanzia (art. 1490 c.c.), ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., ai fini dell’esercizio delle azioni (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo) previste in suo favore (art. 1492 c.c.), sostanziandosi tale impegno in un riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione (art. 2944 c.c.); infatti, solo in presenza di un accordo delle parti (espresso o per facta concludentia), il cui accertamento è riservato al giudice di merito, inteso ad estinguere l’originaria obbligazione di garanzia e a sostituirla con una nuova per oggetto o titolo, l’impegno del venditore di eliminare i vizi dà luogo ad una novazione oggettiva [317].

Infatti, come anche da ultimo adagio della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 ottobre 2015, n. 20159

in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di “facere”, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale.

Si legge nella sentenza in commento che la Corte locale concludeva come segue: “In conclusione, ravvisandosi l’esistenza di un accordo nuovo di riparare e/o sostituire gli elementi difettosi (Cass. 12.5.2000, n. 6089; 19.6.2000,n.8294), sia pure collegato al contratto originario non puo’ piu’ farsi riferimento ai termini di decadenza e di prescrizione previsti dal legislatore per al vendita restando soggetta tale nuova obbligazione alla ordinaria prescrizione decennale (Cass. 125.2000, n. 6089). La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che mentre il semplice riconoscimento dei vizi rende superflua la denuncia del compratore, il riconoscimento dei vizi che il venditore faccia, e l’impegno che egli assuma di eliminarli, da luogo ad una nuova obbligazione (Cass. 13.1.1995, n. 381; 5.9.1994, n. 761) che avendo ad oggetto un facere, non rientra nella previsione di cui all’articolo 1490 c.c.: ne consegue l’inapplicabilita’ della disciplina dettata in tema di decadenza e di prescrizione dall’articolo 1495 c.c. In ogni caso l’obbligazione del venditore di eliminare i difetti della cosa e’ svincolata, dai termini di cui all’articolo 1495 c.c. (Cass. 13.12. 2001, n. 15758)”.

La Corte locale, come si’ e’ detto, ha cosi’ motivato sul punto: “mentre il semplice riconoscimento dei vizi rende superflua la denuncia del compratore, il riconoscimento dei vizi che il venditore faccia, e l’impegno che egli assuma di eliminarli, da luogo ad una nuova obbligazione (Cass. 13.1.1995, n. 381; 5.9.1994, n. 761) che avendo ad oggetto un facere, non rientra nella previsione di cui all’ari. 1490 c.c.”, con conseguente “inapplicabilita’ della disciplina dettata in tema di decadenza e di prescrizione dall’articolo 1495 c.c.” (pag. 8). La Corte locale hai poi aggiunto che “in ogni caso l’obbligazione del venditore di eliminare i difetti della cosa e’ svincolata, dai termini di cui all’articolo 1495 c.c.” (pagg. 8 in fine e 9), facendo applicazione dei principi affermati da Cass. 13.12.2001, n. 15758.

Occorre osservare – continua la sentenza in commento –  che la massima da ultimo citata (n. 15758-Rv. 551110), di cui ha fatto applicazione la Corte locale, per esteso e’ la seguente, “il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata, che puo’ avvenire anche “per facta concludentia” quali l’esecuzione di riparazioni o la sostituzione di parti della cosa medesima ovvero la predisposizione di un’attivita’ diretta al conseguimento od al ripristino della piena funzionalita’ dell’oggetto della vendita, determina la costituzione di un’obbligazione che, essendo oggettivamente nuova ed autonoma rispetto a quella originaria di garanzia, e’ sempre svincolata, indipendentemente dalla volonta’ delle parti, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall’articolo 1495 c.c. ed e’, invece, soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale”.

Al riguardo, questa Corte (Cass. SU 2012 n. 19702, rv 624018) – conclude la Cassazione -, riesaminando la questione delle azioni a disposizione dell’acquirente sulla base dell’articolo 1490 c.c. e ss. ha affermato che “in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’articolo 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di “facere”, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerati) il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’articolo 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’articolo 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale”. (Sez. U, Sentenza n. 19702 del 13/11/2012, Rv.). In tal senso, quindi, l’azione di risoluzione del contratto resta soggetta alla prescrizione annuale.

Interruzione della prescrizione annuale

La facoltà di domandare la risoluzione del contratto di vendita, attribuita dall’art. 1492 c.c. al compratore di una cosa affetta da vizi, ha natura di diritto potestativo, a fronte della quale la posizione del venditore è di mera soggezione ; ne consegue che la prescrizione dell’azione — fissata in un anno dall’art. 1495, terzo comma, c.c. — può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione di domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora, che debbono consistere, per il disposto dell’art. 1219, primo comma, c.c., in una intimazione o richiesta di adempimento di un’obbligazione, previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non anche ai diritti potestativi[318].

Principio successivamente confermato da altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 aprile 2016, n. 8418

la quale ha affermato: la facoltà di domandare la risoluzione del contratto, attribuita dall’art. 1492 c.c. al compratore di una cosa affetta da vizi, consiste in un diritto potestativo, a fronte del quale la posizione del venditore è di mera soggezione: non è tenuto a una prestazione, ma deve soltanto subire gli effetti dell’eventuale sentenza di accoglimento, di natura costitutiva, che fa venire meno il rapporto (effetti tra i quali gli obblighi di restituzioni, rimborsi e risarcimenti sono puramente consequenziali alla pronuncia, dalla quale unicamente sorgono). Ne discende che la prescrizione dell’azione, fissata in un anno dall’art. 1495 c.c., comma 3, può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora, come la lettera che la ditta acquirente avrebbe inviato in data 23.3.2007 alla New Com.

Gli atti cui l’art. 2943 c.c., comma 4, connette l’effetto di interrompere la prescrizione sono infatti quelli che valgono a costituire in mora ‘il debitore’ e debbono consistere, per il disposto dell’art. 1219 c.c., comma 1, in una ‘intimazione o richiesta’ di adempimento di un’obbligazione: previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non ai potestativi, come è quello di cui si tratta.

In questo senso – si continua a leggere nella sentenza in commento –  si è ormai univocamente orientata la giurisprudenza di questa Corte, in tema sia di azioni costitutive in genere, sia di domande di risoluzione in specie, anche con particolare riferimento a quelle relative a contratti di vendita (Sez. 2, Sentenza n. 20332 del 27/09/2007 Rv. 600433; Sez. 2, Sentenza n. 3379 del 15/02/2007 Rv. 594734; Sez. 2, Sentenza n. 18477 del 03/12/2003 Rv. 568626; v. altresì più di recente, Sez. 2, Sentenza n. 25468 del 16/12/2010 Rv. 615386; Sez. L, Sentenza n. 25861 del 21/12/2010 Rv. 615408).

È conveniente già sottolineare, poiché l’argomento sarà ampiamente trattato successivamente che in tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualità – le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex art. 1495 c.c. – si distinguono dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio – che dà luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato art. 1495 c.c. – la quale ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione di quest’ultima sì da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziali dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico–sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto.

Lo stabilire poi se si versi in tema di consegna di aliud pro alio o di cosa mancante di qualità, di cosa affetta da vizi redibitori, involge un giudizio di fatto devoluto al giudice del merito: pertanto, in sede di legittimità, il controllo della Corte deve limitarsi a stabilire se il giudice di appello, nell’esprimere il proprio giudizio di fatto, si sia attenuto ad un corretto criterio di distinzione tra le accennate diverse ipotesi[319].

F) I rimedi a tutela dell’acquirente – le azioni edilizie

 

art. 1492 c.c.  effetti della garanzia

Nei casi indicati dall’art. 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.

La scelta è irrevocabile quando è fatta con domanda giudiziale.

Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se in vece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo.

 

In caso di vizi della res tradita, i rimedi previsti dalla disciplina codicistica sono rappresentati dall’azione di risoluzione del contratto, c.d. azione redibitoria, e dall’azione di riduzione del prezzo, c.d. azione estimatoria (art. 1492 c.c.). A tali azioni, qualificate anche azioni edilizie, si accompagna il risarcimento del danno, se il venditore non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa (art. 1494 c.c.).

Inoltre, è opportuno già precisare, come ha avuto modo di fare la Cassazione, anche da ultimo,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 dicembre 2015, n. 25027

la denuncia dei vizi della cosa venduta, sensi degli articoli 1492 e 1495 c.c., non richiede necessariamente una dettagliata esposizione dei vizi da cui sarebbe inficiata la “res vendita”, consistendo la finalita’ della denuncia nel mettere il venditore sull’avviso in ordine alle intenzioni del compratore e, contemporaneamente, nel consentirgli di verificare tempestivamente la veridicita’ della doglianza, sicche’ una denuncia, sia pure generica, puo’ esser idonea a detto fine, ove con essa il venditore sia reso edotto che il compratore ha riscontrato, benche’ in modo non ancora esauriente e completo, che la cosa da lui acquistata e’ affetta da vizi che la rendono inidonea all’uso cui e’ destinata e ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (Cfr. Cass. n. 6234/2000).

Le azioni edilizie – Redibitoria o Estimatoria

deriva dal diritto romano perché tali azioni erano esercitate dagli edili curuli:  le azioni sono alternative ed irrevocabili dopo la scelta

Difatti per la S.C. [320], in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l’azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492, terzo comma, c.c.), ma in via concorrente con l’azione di risoluzione (art. 1492, primo comma, cit.), è inammissibile la domanda di riduzione esperita in subordine rispetto alla proposizione a titolo principale dell’azione di risoluzione, in quanto entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490, c.c., il quale stabilisce una disciplina della materia completa, non integrabile con le regole dell’art. 1455, c.c., sull’importanza dell’inadempimento, restando esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le succitate domande.

Precedentemente, però, la stessa Cassazione [321] stabiliva che in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, l’art. 1492 c.c., ove prevede l’irrevocabilità della scelta del compratore, fra la richiesta di risoluzione del contratto e quella di riduzione del prezzo, non osta a che il compratore medesimo possa proporre in via principale la prima domanda, ed in via subordinata la seconda.

In realtà le sezioni unite [322] prima della pronuncia del 2004, stabilirono il medesimo principio già riportato.

Con ultimo adagio sono intervenute nuovamente le sezioni semplici

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 agosto 2015, n. 17138

andando nuovamente ad aderire (convintamente – si legge testualmente nella sentenza) con l’indirizzo maggioritario, ovvero: in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l’azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492 terzo comma cod. civ.), ma in via concorrente con fazione di risoluzione (art. 1492 citato, primo comma), deve negarsi l’ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell’azione di risoluzione, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490 cod. civ. (il quale detta una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell’art. 1455 cod. civ. sull’importanza dell’inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l’una o l’altra.

Per di più[323] l’inammissibilità della domanda di riduzione del prezzo, proposta in via subordinata rispetto a quella di risoluzione, é rilevabile d’ufficio dal giudice, in quanto la scelta della risoluzione, operata dal compratore con la domanda giudiziale, costituisce un fatto impeditivo dell’azione di riduzione produttivo di effetti immediatamente e direttamente, senza che a tal fine necessiti una manifestazione di volontà della controparte interessata.

Da ultimo, però, la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 luglio 2022| n. 22539

è intervenuta stabilendo che in tema di compravendita, la parte che abbia chiesto, con la domanda giudiziale, la riduzione del prezzo pattuito, può, in alternativa, chiedere, con la memoria ex art.183, comma 6, c.p.c., la risoluzione del contratto per grave inadempimento, senza per questo porsi in contrasto sia col principio della irrevocabilità della scelta operata inizialmente ex art. 1492 c.c., atteso che esso, trovando il suo limite nella identità del vizio fatto valere, è superato dall’emersione di ulteriori e diversi vizi, sia con quello del divieto di “mutatio libelli” nel processo, stanti l’identità delle parti, del contratto e della complessiva vicenda sostanziale dedotta in giudizio e la connessione per alternatività delle due domande.

1)        l’azione redibitoria:  domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ma si differenzia dall’azione generale [324]

–           sul piano della disciplina

–           per quanto riguarda l’irrilevanza della colpa del venditore

–           l’onere di preventiva rinunzia, la rilevanza degli usi

–           è sempre necessaria la non scarsa importanza dell’inadempimento

–           i brevi termini di decadenza e di prescrizione.

Si tratta di un rimedio ripristinatorio, volto a realizzare l’attuazione della garanzia, attraverso lo scioglimento con efficacia ex tunc del vincolo contrattuale.

La peculiare natura giuridica di tale azione ne spiega la diversità di disciplina rispetto all’azione generale di risoluzione, diversità consistente nell’irrilevanza dell’elemento soggettivo dell’alienante, nell’onere della preventiva denunzia dei vizi a opera del compratore, nei ristretti termini di decadenza e di prescrizione entro cui può essere esercitata.

In altri termini:

1)         Se la cosa è perita: il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto. In tal caso  l’azione restitutoria che consegue alla risoluzione sarà configurabile solo a carico del venditore

2)         Se la cosa non è perita: il compratore deve restituirla al venditore comprensiva dei frutti percepiti dopo la domanda di risoluzione.

L’importanza dell’inadempimento

Secondo una prima pronuncia della S.C. [325] in tema di azione redibitoria per i vizi della cosa venduta l’importanza dell’inadempimento doveva essere valutata non secondo la norma generale dell’art. 1455 c.c., bensì secondo la norma speciale dell’art. 1490 c.c., e pertanto, a tal fine, era necessario e sufficiente accertare se i vizi denunciati rendessero la cosa inidonea all’uso o ne diminuissero il valore in modo apprezzabile, senza, cioè, che potesse distinguersi tra vizi più gravi, che consentissero l’azione redibitoria, e vizi meno gravi, che consentissero soltanto l’azione di riduzione del prezzo.

Successivamente la medesima Corte [326], contrariamente a quanto affermato circa 10 anni prima, andò a stabilire che le disposizioni degli artt. 1490 e 1492 c.c. andassero interpretate con riferimento al principio generale sancito dall’art. 1455 c.c. in materia di risoluzione del contratto; pertanto, l’esercizio dell’azione redibitoria era legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all’uso cui era destinata o di diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito.

A porre fine, si spera, alla questione dibattuta dalle stesse sezioni, è intervenuta un’ulteriore pronuncia del 2000 [327], secondo la quale l’azione di inadempimento del contratto di compravendita è regolata non già dalla disciplina generale dettata dagli artt. 1453 e ss. c.c., ma dalle norme speciali di cui agli artt. 1492 e ss. c.c., che prevedono specifiche limitazioni rispetto alla disciplina generale ed in particolare l’onere di denuncia dei vizi nel termine di otto giorni dalla scoperta, che condiziona sia l’esercizio dell’azione di risoluzione e dell’azione di riduzione del prezzo previste dall’art. 1492 c.c., sia quella di risarcimento dei danni prevista dall’art. 1494 c.c.

 

La colpa

Inoltre [328], tale azione di risoluzione per i vizi della cosa venduta non presuppone l’esistenza della colpa dell’alienante, contrariamente alla diversa ipotesi dell’azione di risarcimento dei danni, nella quale l’art. 1494 c.c. presuppone la colpa del venditore ponendo a suo carico una presunzione di conoscenza dei vizi.

L’utilizzazione attraverso la trasformazione o l’alienazione

L’azione redibitoria deve ritenersi preclusa a norma dell’art. 1492 c.c. quando il compratore, utilizzando la res empta, e così determinandone la trasformazione, modificazione o consumazione, abbia in tal modo espresso la volontà di accettare il bene pur nella consapevolezza dei vizi da cui è affetto e di rinunciare alla maggior tutela derivante dall’esercizio dell’azione di risoluzione [329].

La preclusione dell’azione di risoluzione della vendita, posta dall’art. 1492, comma terzo, c.c., a carico del compratore che abbia alienato la cosa affetta da vizi, non consegue in ogni caso ed automaticamente all’avvenuta alienazione, ma si verifica solo quando questa costituisce univoca manifestazione della volontà dell’acquirente di accettare la cosa nonostante la presenza del vizio e di dare il suo benestare alle condizioni della cosa stessa, e deve, pertanto, escludersi quando l’alienazione sia compiuta al fine di evitare il danno [330].

La regola dettata dal secondo comma dell’art. 1492 c.c., che esclude la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di compravendita nei casi di alienazione o trasformazione della res vendita affetta da vizi redibitori, deve essere ricondotta non tanto alla impossibilità obiettiva di ripristinare la situazione delle parti anteriore al contratto quanto alla volontà dell’acquirente, manifestata attraverso l’uso della cosa, di accettarla nonostante i vizi in quanto l’utilizzazione di essa si presenti come inequivocabilmente indicativa della predetta volontà, con apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e che non può essere compiuto per la prima volta in sede di legittimità [331].

Per altra pronuncia [332], meno datata della precedente, la trasformazione, da parte del compratore, della cosa acquistata, con conseguente obiettiva impossibilità di restituirla, non è di per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell’art. 1492, terzo comma, c.c., occorrendo, a tal fine, che quel comportamento evidenzi univocamente che l’acquirente, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, così rinunciando alla maggiore tutela dell’azione risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo; tanto vale a maggior ragione con riguardo all’azione di risarcimento dei danni di cui all’art. 1494 c.c., che é azione distinta da quella di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c., non soggetta, quindi, alle preclusioni di cui al terzo comma di tale articolo, ma solo alla decadenza e alla prescrizione di cui all’art. 1495 c.c..

La sostituzione

 

La sostituzione della cosa venduta, che in via coattiva è ammissibile solo nel caso previsto dall’art. 1512 c.c. [333], cioè dell’azione di garanzia per buon funzionamento della cosa venduta, può trovare applicazione in via facoltativa in ipotesi di ordinaria azione redibitoria, con la condanna del venditore a sostituire l’oggetto difettoso con altro esente da vizi o, in mancanza, a restituire il prezzo e risarcire il danno, poiché l’ordine di sostituzione impartito in tale forma (non coercitiva) non è incompatibile con lo schema dell’azione redibitoria, nulla vietando che il venditore possa trovare conveniente la facoltativa sostituzione della cosa, anziché la restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno, coercibile in via esecutiva [334].

art. 1493 c.c.   effetti della risoluzione del contratto

In caso di risoluzione del contratto il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e pagamenti legittimamente fatti per la vendita.

Il compratore deve restituire la cosa, se questa non è perita in conseguenza dei vizi.

Restituzione del prezzo

In tema di risoluzione del contratto di compravendita per l’esistenza di vizi redibitori sono distinte e vanno considerate autonomamente l’obbligazione di restituzione del prezzo e quella di risarcimento del danno;

1)        la prima, infatti, rappresenta l’effetto restitutorio della cosiddetta azione redibitoria che prescinde totalmente dalla colpa del venditore e configura un debito di valuta, giacché fin dall’origine ha per oggetto una somma di danaro;

2)        l’azione di risarcimento del danno, invece, può essere esercitata anche da sola, sul presupposto che sussistano tutti i requisiti della garanzia per i vizi e che ricorra inoltre la colpa del venditore e configura un debito di valore.

Per le sezioni unite [335] con riguardo alla risoluzione del contratto per inadempimento, l’obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di anticipo del corrispettivo costituisce debito di valuta e non di valore, insensibile, come tale al fenomeno della svalutazione monetaria, salvo che il creditore non dimostri di avere risentito, per l’indisponibilità della somma anticipata la cui restituzione, peraltro, deve avvenire con le maggiorazioni imputabili a titolo degli interessi compensativi, i quali, tenuto conto della efficacia retroattiva della pronuncia di risoluzione, hanno la funzione di compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della somma stessa, eventuali ulteriori danni, e perciò anche di quello sofferto in conseguenza della svalutazione monetaria, e ne chieda il risarcimento.

L’obbligo di restituzione del prezzo conseguente alla risoluzione di un contratto grava esclusivamente sul contraente che tale prezzo abbia ricevuto, e che è tenuto a risponderne verso la controparte per l’intero, a nulla rilevando che parte di esso sia stata percepita da terzi, in ragione di rapporti intercorrenti tra i medesimi ed il contraente obbligato alla restituzione [336].

Restituzione della cosa

Esercitando il suo diritto di scelta col pretendere la riduzione in pristino prima ancora di intentare l’azione di risoluzione del contratto, il compratore ha però l’onere, ma non l’obbligo giuridico di attuare, da parte sua la riduzione in pristino con il restituire la merce acquistata, e tale onere deve ritenersi soddisfatto allorquando, a prescindere da ogni formalità, il compratore medesimo ponga effettivamente a disposizione del venditore, al quale abbia manifestata la propria volontà redibitoria, in termini concreti ed inequivocabili, l’intera partita di merce ricevuta, sì che il venditore possa senz’altro disporne a suo piacimento, ottenendone prontamente il materiale possesso, d’altra parte, al detto potere del compratore insoddisfatto (potere condizionato da qualificarsi come diritto soggettivo cum onere) corrisponde l’obbligo giuridico del venditore inadempiente di riaversi la merce in restituzione, prestandosi alla riduzione in pristino a parte emptoris prima ancora che intervenga la risoluzione del contratto e sorga il suo diritto alla restituzione [337].

L’accoglimento della relativa domanda introdotta dall’acquirente comporta, per quest’ultimo, l’obbligo ex lege (art. 1493 c.c.) di restituzione della cosa eventualmente ricevuta, senza che sia, all’uopo, necessaria alcuna specifica pronuncia da parte del giudice di merito adito [338].

È opportuno ricordare, nuovamente, che  il potere di agire in risoluzione, sia con l’ordinaria azione contrattuale, sia a mezzo dell’azione redibitoria è precluso dall’impossibilità di restituzione della cosa da parte del compratore. Il che si verifica non solo quando egli, avendola alienata, ne abbia perduto la disponibilità, ma anche quando la cosa stessa sia stata modificata, in tutto o in parte, nel suo primitivo stato materiale, sì da non potere più adempiere alla sua originaria funzione economica [339].

Ad esempio, l’acquirente di un immobile in caso di risoluzione del contratto di compravendita pronunciata per sua colpa, è tenuto al risarcimento del danno per la mancata disponibilità del bene fino alla restituzione, a nulla rilevando che il venditore abbia tardato a chiederne la riconsegna e che l’immobile restituito abbia medio tempore acquistato un maggior valore di mercato, giacché la compensatio lucri cum danno postula che il vantaggio patrimoniale conseguito dal soggetto danneggiato costituisca una conseguenza immediata dell’inadempimento o del comportamento illecito, mentre tale immediatezza manca quando l’incremento patrimoniale di cui si chieda la detrazione dal pregiudizio derivato al danneggiato sia riferibile ad una particolare condizione della cosa di cui ricorreva l’obbligo della riconsegna [340].

Invece, il compratore, comunque, è esonerato così dalla restituzione dei frutti eventualmente percepiti prima della domanda come dal pagamento di un corrispettivo per il godimento diretto della cosa, sia oppur no derivato deterioramento dalla marginale utilizzazione resasi in ipotesi possibile malgrado la sua inidoneità all’uso previsto [341].

2) L’azione estimatoria (o actio quanti minoris)

L’azione estimatoria (o actio quanti minoris) mira al riequilibrio delle prestazioni, per il caso in cui il compratore opti per il mantenimento in vita del contratto, e a riportare l’acquirente nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato immune da vizi [342].

Ne consegue, per una pronuncia della S.C. [343], che detta riduzione va apportata con una diminuzione del prezzo pattuito corrispondente alla percentuale di disvalore della cosa derivante dall’esistenza dei vizi, e che il danno va quantificato nella differenza fra gli utili rispettivamente ricavabili dalla concreta utilizzazione della medesima, nelle diverse situazioni, ottimale e deficitaria.

Successivamente la medesima Cassazione [344] specifica che in senso generale la legge non impone particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta per riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, ed il ricorso a criteri equitativi ed al prudente apprezzamento del giudice, ancorché non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, è consentito in questa materia sia in conformità all’origine e alla tradizione storica dell’actio quanti minoris, sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell’art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema di risarcimento del danno.

Partendo dalla premessa secondo cui la scelta tra le due azioni é irrevocabile con la proposizione della domanda giudiziale, ai sensi dell’art. 1492, comma 2, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, sotto il profilo processuale, é inammissibile la domanda di riduzione prospettata in subordine rispetto a quella principale di risoluzione, poiché entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, consistenti nella presenza dei vizi di cui all’art. 1490 c.c.

In tema di vendita, il diritto di chiedere, in presenza di vizi, la risoluzione del contratto spetta al compratore, a titolo di facoltà alternativa con quella di chiedere la riduzione del prezzo, quale che sia la misura dell’inidoneità dell’uso o il grado del deprezzamento, quando l’una e l’altra rientrano nei limiti della normale apprezzabilità prevista dall’art. 1490 c.c., mentre, ove si tratta di vizio non incidente sulla utilizzabilità della cosa o sul valore di questa in modo tale da rientrare nei limiti anzidetti, egli non ha diritto né alla risoluzione del contratto, né alla riduzione del prezzo, non essendovi in tale ipotesi luogo alla garanzia [345].

Ad esempio, per una pronuncia di merito [346], nella vendita di autoveicoli usati, il chilometraggio del mezzo compravenduto rientra, di norma, tra i presupposti sui quali avviene la contrattazione del prezzo. Qualora risulti che il mezzo compravenduto sia in realtà più usurato, per aver percorso più chilometri di quelli fatti apparire, l’acquirente ha perciò diritto, ex artt. 1490 e 1492 c.c., alla riduzione del prezzo. Infatti, la circostanza di avere fatto apparire un chilometraggio inferiore a quello effettivo, costituisce un vizio occulto del mezzo usato, che giustifica l’esercizio dell’azione di riduzione del prezzo nei confronti del venditore.

L’obbligazione del venditore di restituire una parte del prezzo ricevuto in pagamento ha natura di debito di valuta [347], con la conseguenza che la svalutazione monetaria sopraggiunta durante la mora del debitore non giustifica l’automatico risarcimento del maggior danno per quella svalutazione, potendo quest’ultimo essere eventualmente dovuto, a norma dell’art. 1224 c.c., nel solo caso in cui il creditore ne faccia richiesta e provi di avere subito un pregiudizio patrimoniale.

Rapporti con l’azione di risarcimento del danno

L’azione per la riduzione del prezzo e quella per il risarcimento del danno, non coperto dalla prima, spettanti al compratore a norma degli artt.1492 e 1494 c.c., sono entrambe finalizzate a ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione, nonché a porre il compratore medesimo nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato immune da vizi.

Esse tuttavia sono diverse perché

1)   la prima consente al compratore di ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione, solo con riguardo al minor valore della cosa venduta,

2)   mentre la seconda gli dà la possibilità di ristabilire tale rapporto con riguardo alla ridotta utilizzabilità di quest’ultima. Le due azioni differiscono anche per il diverso regime giuridico, in quanto la prima è esperibile sol che sussistano i requisiti per la garanzia, mentre la seconda richiede anche la colpa del venditore che invece esula dalla garanzia vera e propria[348].

3)  Azione di esatto adempimento (prevista pattiziamente)

[349]

Resta discusso, in dottrina e giurisprudenza, se l’acquirente possa esperire, per il caso di vizi della cosa venduta, la c.d. azione di esatto adempimento, chiedendo la condanna del venditore alla riparazione dei vizi o alla sostituzione della cosa con altra non viziata.

La tesi prevalente nega l’esperibilità di siffatto rimedio, affermando che la disciplina codicistica sui vizi della vendita, la quale non prevede l’azione di esatto adempimento, ha carattere speciale rispetto a quella generale dettata dagli artt. 1453 ss. c.c., norme che, invece, ammettono, con portata generale, l’esercizio di tale azione.

Con l’azione di esatto adempimento, infatti, il compratore, nel chiedere la sostituzione o la riparazione della res viziata, chiede una nuova attività, diversa da quella assunta con l’impegno contrattuale.

Per una non recente pronuncia [350] l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta e l’azione di adempimento o di esatto adempimento della vendita si distinguono per i presupposti e per gli effetti: la garanzia, invero, si riferisce solo ai vizi che esistevano già prima della conclusione del contratto e la relativa azione abilita normalmente il compratore a chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo; laddove ogni vizio posteriore alla conclusione del contratto può dar luogo solo all’esatto adempimento della obbligazione di consegnare e rendere esperibile l’ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, la quale prescinde dai termini di decadenza o di prescrizione cui è soggetta l’azione di garanzia.

Se, quindi, in applicazione della disciplina codicistica sulla vendita, é da escludere l’azione di esatto adempimento tra i rimedi legali predisposti dal Legislatore a tutela del compratore, la giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, ammesso pacificamente che il venditore possa assumere pattiziamente l’obbligo di eliminare i vizi della cosa, senza che tale azione resti soggetta ai termini di decadenza e di prescrizione previsti dall’art. 1495, propri delle azioni scaturenti dalla garanzia legale.

In ordine alla garanzia per i vizi assunta contrattualmente dal venditore, la giurisprudenza si é interrogata sulla portata dell’impegno preso dal venditore, chiedendosi se l’accettazione di tale obbligo determini o meno una novazione oggettiva dell’originaria obbligazione di garanzia legale prevista dall’art. 1490, con conseguente preclusione delle azioni edilizie previste dall’art. 1492.

Secondo un orientamento, qualora il venditore riconosca la sussistenza dei vizi della cosa venduta e si impegni a eliminarli, egli assume un’obbligazione nuova e autonoma rispetto a quella della garanzia legale, obbligazione sottratta ai rigidi termini di prescrizione e decadenza dell’art. 1495 e, invece, soggetta al termine dell’ordinaria prescrizione decennale.

Difatti, per ultima Cassazione [351] il principio di diritto secondo cui l’impegno del debitore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui è destinato (ovvero che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) di per sé non dà vita ad una nuova obbligazione estintiva – sostitutiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza ed alle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., in ipotesi di domanda di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo sia predicabile anche qualora il compratore agisca per l’esatto adempimento dell’obbligo di riparazione o sostituzione della res. In questo caso, l’assunzione spontanea da parte del debitore, sulla base del riconoscimento dell’esistenza dei vizi, non determina un effetto novativo dell’obbligazione originaria e la prescrizione – venuta meno la regola eccezionale dell’art. 1495 c.c. – decorre secondo l’ordinario termine decennale di cui all’art. 2946 c.c.

Secondo altra impostazione, invece, il verificarsi del fenomeno novativo richiederebbe non solo la concreta ed effettiva volontà delle parti di estinguere l’obbligazione originaria (animus novandi), ma anche che la nuova obbligazione sia diversa, per oggetto o per titolo, da quella precedente ed incompatibile con essa.

Il contrasto prospettato é stato, poi, risolto dalla Cassazione, a Sezioni Unite [352], la quale ha chiarito che, allorché il venditore si impegni contrattualmente a eliminare i vizi della cosa venduta, non nasce alcuna nuova obbligazione con effetto estintivo o sostitutivo di quella originaria. L’impegno preso, infatti, costituisce un riconoscimento del debito, idoneo a svincolare il compratore dalle rigide modalità di esercizio delle azioni edilizie, previste dall’art. 1492 c.c.

Non si realizza, pertanto, un effetto automatico di novazione, ma resta ferma la possibilità per le parti di stipulare un accordo, espresso o per facta concludentia, volto a estinguere l’originaria obbligazione di garanzia, costituendone una nuova.

Ne deriva che l’impegno assunto dal venditore non costituisce un quid novi, ma un quid pluris, destinato ad ampliare le modalità di realizzazione della garanzia per vizi: l’acquirente potrà, quindi, esperire l’actio redibitoria e l’actio quanti minoris, poste per la realizzazione della garanzia legale per vizi, accanto ai rimedi eventualmente previsti in contratto.

La novazione non é un effetto automatico dell’impegno dell’alienante, ma solo un effetto possibile, il cui accertamento é rimesso al vaglio del giudice. La giurisprudenza successiva a tale pronuncia sembra essersi posta sulla stessa linea interpretativa delineata dalle Sezioni Unite.

Per la S.C. [353] , all’indomani dell’intervento delle sezioni unite, in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale. Tali principi hanno valenza di carattere generale risultando così applicabili sia al contratto di appalto che al contratto d’opera nella parte in cui si ravvisa, nell’impegno ad eliminare i vizi (della cosa come dell’opera) la fonte di una autonoma obbligazione di facere che si affianca (senza estinguerla, a meno di accordo novativo) all’obbligazione di garanzia, soggetta all’ordinario termine decennale).

G) Questioni processuali

Nel giudizio diretto ad ottenere il risarcimento per i vizi della cosa venduta, grava sul compratore l’onere probatorio del danno e della connessione tra questo ed il difetto denunciato.

Pertanto, affinché sia possibile il riconoscimento e la liquidazione del pregiudizio pretesamente subito, è necessario che lo stesso fornisca la dimostrazione della riconducibilità dei vizi alla dedotta cattiva qualità dei materiali utilizzati, nonché l’inidoneità del prodotto allo scopo cui era destinato o la diminuzione del suo valore, non potendo ritenersi sufficienti mere enunciazioni non supportate da elementi di sicuro riferimento [354].

Ciò posto, nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere della prova in ordine ai dedotti vizi compete alla parte opponente, convenuta in senso sostanziale, con la conseguenza che lamentati, ma non provati, i vizi della merce il cui mancato pagamento è posto alla base del richiesto ed ottenuto provvedimento monitorio, l’opposizione deve essere rigettata [355].

Per di più la garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. può essere assunta con il contenuto, gli effetti e la disciplina sua propria quanto ai termini ed alle condizioni dell’azione (artt. 1492, 1494, 1495 c.c.) da un soggetto diverso dal venditore, in ragione dei suoi particolari rapporti con quest’ultimo (di commissione, di preposizione istitutoria ecc.). Tuttavia, per la riconducibilità della garanzia assunta dal terzo al paradigma normativo degli artt. 1490 e ss. c.c., ovvero ad altra forma di garanzia specifica assunta in modo autonomo ed indipendentemente da quella dovuta per legge dal venditore (ad esempio quella di buon funzionamento di cui all’art. 1512 c.c.), il giudice del merito deve procedere, alla stregua dei canoni ermeneutici legali all’interpretazione della dichiarazione del terzo, quale fonte primaria regolatrice del contenuto e delle condizioni di operatività della garanzia, salvo il ricorso per gli aspetti non regolati alla disciplina dell’istituto più affine per natura e funzione economico–sociale. Nel compimento di tale indagine il giudice non può limitarsi alla considerazione della natura del vizio oggetto della garanzia, ma deve estendere la sua indagine a tutti gli altri aspetti, limiti e condizioni di esercizio della medesima e soprattutto al suo specifico contenuto (alternativa fra l’actio redhibitoria e la quanti minoris; obbligazione assunta dal garante di sostituire o riparare le parti risultate difettose della cosa venduta ecc.) [356].

Inoltre, la domanda del compratore, diretta a far valere la garanzia per vizi della cosa, trova fondamento nell’inadempimento del venditore rispetto alla obbligazione contrattuale di consegna, con la conseguenza che, al fine della competenza per territorio, il luogo in cui tale consegna è avvenuta o doveva avvenire, ai sensi dell’art. 1510 c.c., determina il forum destinatae solutionis [357].

Per altra recente sentenza[358]per determinare, ai fini della competenza per territorio, quale sia l’obbligazione dedotta in giudizio, si deve aver riguardo a quella delle obbligazioni originarie, scaturenti dal contratto, sulla quale si contenda, sia che di essa si chieda l’adempimento, sia che la medesima funzioni da causa petendi rispetto al contenuto specifico della pretesa giudiziale. Pertanto, nel caso di garanzia per vizi della cosa, deve aversi riguardo all’obbligazione del venditore di consegnare una cosa non difettosa.

Infine, il principio dell’acquisizione processuale consente al giudice di fondare il proprio convincimento sugli elementi di prova raccolti, indipendentemente dalla loro provenienza dall’una o dall’altra parte e di utilizzare quindi i risultati di una consulenza tecnica per stabilire se la cosa venduta presenti o meno vizi redibitori, senza che tale utilizzazione contrasti con il principio secondo cui spetta al compratore che esercita l’azione di garanzia ai sensi dell’art. 1490 c.c. dimostrare l’esistenza dei vizi anzidetti e non al venditore dimostrarne l’inesistenza [359].

H) Azione risarcitoria

Può essere esperita anche autonomamente, a prescindere cioè dai rimedi edilizi ed è basata sui principi generali dell’inadempimento.

art. 1494 c.c.   risarcimento del danno

In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa.

Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa.

 

L’azione, secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, deve essere proposta nei brevi termini previsti dall’art. 1495 c.c. , non prevedendo nulla l’art. 1494 c.c.

Così la S.C.[360]: i termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c. riguardano tutte le azioni spettanti al compratore per i vizi o la mancanza di qualità della cosa pattuita, e, pertanto, anche quella di risarcimento dei danni relativi.

L’azione risarcitoria é, quindi, esercitabile sia in cumulo con le azioni edilizie sia da sola, essendo essa autonoma rispetto alle azioni di cui all’art. 1492, poiché risponde a finalità e presupposti diversi da quelli posti a fondamento di tali azioni [361].

In merito, nuovamente, con ultima pronuncia[362] è stato riaffermato che l’azione di risarcimento dei danni proposta, ai sensi dell’art. 1494 c.c., dall’acquirente non si identifica né con le azioni di garanzia di cui all’art. 1492 c.c., né con l’azione di esatto adempimento.

Infatti, mentre la garanzia per evizione opera anche in mancanza della colpa del venditore, onde eliminare, nel contratto, lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore, l’azione di risarcimento danni che presuppone di per sé la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi nella cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente, non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene.

Da ciò consegue, fra l’altro, che tale azione si rende ammissibile in alternativa ovvero cumulativamente con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo.

Esce dal coro una pronuncia del Tribunale Partenopeo[363] secondo la quale l’azione di risarcimento dei danni proposta dall’acquirente ai sensi dell’art. 1494, c.c., è inammissibile se proposta alternativamente o cumulativamente all’azione di adempimento in via specifica del contratto, o a quella di riduzione del prezzo, o, infine, a quella di risoluzione del contratto medesimo. A differenza dalle altre, l’azione risarcitoria di cui all’art. 1494, c.c. postula, infatti, sebbene in via presuntiva, la colpa dell’alienante.

In realtà, poi, per la Cassazione la scelta dell’azione esperibile deve essere fatta chiaramente poiché sussiste violazione del principio tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., quando il giudice sostituisce d’ufficio e si pronuncia su di un’azione diversa da quella formalmente proposta, limite, questo, cui è condizionato l’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda da parte del giudice del merito.

Nella specie, la S.C.[364], enunciando il succitato principio, ha cassato la decisione del giudice del merito con la quale aveva attribuito al compratore il risarcimento del danno per vizi della cosa venduta ex art. 1494 c.c., mentre questi aveva proposto l’autonoma azione di garanzia ex art. 1492 c.c.

L’azione risarcitoria ha natura soggettiva e presuppone, oltre alla sussistenza del vizio, anche la condotta colpevole del venditore, consistente nell’aver conosciuto i vizi o nell’averli ignorati per negligenza.

La legge pone una presunzione sull’esistenza dell’elemento soggettivo colposo, con la conseguenza che é onere dell’alienante fornire la prova liberatoria, consistente nell’aver ignorato i vizi nonostante l’uso dell’ordinaria diligenza.

Difatti per la S.C.[365] in tema di risarcimento dei danni per i vizi della cosa venduta, l’art. 1494 c.c. — norma di carattere speciale della disciplina della compravendita rispetto alla disposizione di carattere generale dell’art. 1218 c.c. — pone a carico del venditore, una presunzione di colpa, la quale viene meno solo se lo stesso provi di avere ignorato incolpevolmente l’esistenza dei vizi.

Con altro ultimo arresto la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 febbraio 2015, n. 3042

ha riaffermato che ai fini del risarcimento del danno spettante ai compratore per i vizi della cosa venduta, l’art. 1494 c.c. pone una presunzione a carico del venditore di conoscenza di detti vizi, anche se occulti, per cui l’obbligo della garanzia è escluso soltanto se il venditore fornisca la prova liberatoria di avere ignorato senza sua colpa i vizi medesimi (Cass. n. 13593 del 21/07/2004; Sez. 2, n. 18125 del 26/07/2013).
Ne deriva quindi che mentre sull’acquirente incombe l’onere della prova, oltreché della tempestività della denuncia, anche dell’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, il venditore deve offrire la prova liberatoria (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13695 del 12/06/2007)

Nella valutazione degli elementi di prova contrari alla presunzione anzidetta il giudice del merito deve avere riguardo alla diligenza impiegata dal venditore nella verifica dei vizi, con riguardo alla specifica attività esercitata (art. 1176, secondo comma, c.c.) e quindi alla stregua di un criterio di commisurazione più qualificata ed intensa rispetto a quello comune richiesto in riferimento alla figura media del buon padre di famiglia (art. 1176, primo comma, c.c.) tenendo conto in particolare degli usi invalsi nello specifico settore commerciale, da intendersi non come usi giuridici e normativi, ma come semplici usi di fatto consistenti in pratiche abitualmente eseguite nella produzione e nel commercio di un determinato prodotto, oltre che dei risultati ottenuti in precedenza dallo stesso procedimento nella prestazione del prodotto messo in vendita [366].

Sul punto è intervenuta  la medesima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 luglio 2014, n. 15824

con altra recente pronuncia, affermando che, in tema di vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1494 c.c., il rivenditore è responsabile nei confronti del compratore del danno a lui cagionato dal prodotto difettoso se non fornisce la prova di aver attuato un idoneo comportamento positivo tendente a verificare la qualità della merce ed a controllare in modo adeguato l’assenza di vizi, anche alla stregua della destinazione della merce stessa, giacché i doveri professionali del rivenditore impongono senz’altro, secondo l’uso della normale diligenza, controlli periodici o su campione, al fine di evitare che notevoli quantitativi di merce presentino gravi vizi di composizione (Cass., Sez. 2, 30 agosto 1991, n. 9277; Cass., Sez. 2, 26 novembre 1997, n. 11845; Cass., Sez. 2, 5 marzo 2008, n. 6007).

Infine, da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 11 giugno 2014, n. 13195

in un caso di specie ha stabilito che nell’ambito del rapporto contrattuale tra il venditore di mangime e l’acquirente allevatore, la morte degli animali alimentati con il prodotto acquistato costituisce per il compratore un danno diretto, immediato e insito nell’inadempimento contrattuale, di guisa che esso è risarcibile a norma del primo e non già del secondo comma dell’art. 1494 c.c., che si riferisce ai soli danni “derivati” e ulteriori, vale a dire che pur dipendendo eziologicamente dall’inadempimento abbiano carattere aggiuntivo rispetto ai danni diretti, come dimostra l’uso nella norma dall’avverbio “altresì”.

 

3) La garanzia per mancanza delle qualità promesse

 [367] [368]

 

A)   Mancanza di qualità promesse o essenziali

La garanzia per mancanza delle qualità promesse o essenziali concerne, invece, la tutela concessa all’acquirente nel caso in cui la res tradita sia priva di tutti quegli attributi che esprimono la funzionalità, l’utilità o il pregio del bene, requisiti che influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un’altra, pur senza pregiudicarne l’individualità e l’appartenenza al suo originario genere merceologico.

Qualità del bene sono gli attributi che ne esprimono la funzionalità, l’utilità o il pregio e che, nell’ambito dello stesso genere, influiscono sulla classificazione     della cosa in una specie piuttosto che in un’altra.

In altre parole per qualità essenziali si intendono quelle indispensabili per l’uso cui la cosa é normalmente destinata, dovendo il venditore rispondere per la loro mancanza anche in assenza di espressa pattuizione, sulla base di un criterio di ragionevolezza e buona fede.

Le qualità promesse, invece, sono quelle caratteristiche qualitative inerenti a un uso atipico, diverso da quello proprio della res empta, ovvero a un uso tipico, ma da effettuarsi in particolari condizioni; sono quei requisiti del bene, oggetto di contrattazione esplicita o implicita, alla cui sussistenza il venditore si sia specificamente impegnato.

 

art. 1497 c.c.   mancanza di qualità

Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l’uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.

Tuttavia il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall’art. 1495.

 

Come chiarito dalla giurisprudenza [369] il vizio redibitorio, come già analizzato in precedenza, é cosa diversa dalla mancanza di qualità promesse o essenziali, poiché il primo attiene a difetti strutturali inerenti al processo di produzione, fabbricazione o conservazione della cosa, la seconda attiene alla natura stessa della res, consistendo nella mancanza di tutti quegli attributi che esprimono la funzionalità, l’utilità o il pregio del bene, requisiti che influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un’altra, pur senza pregiudicarne l’individualità e l’appartenenza al suo originario genere merceologico.

In precedenza la stessa Cassazione [370] stabiliva che a differenza delle qualità essenziali della cosa venduta che, essendo indispensabili per l’uso cui la cosa di un determinato tipo è normalmente destinata, obbligano il venditore, ancorché non siano state in modo specifico dedotte in contratto, le qualità «promesse» che possono essere «atipiche» se inerenti ad un uso diverso, da quello che è proprio della cosa venduta, oppure «particolari» se inerenti ad un uso della cosa conforme alla sua destinazione, da farsi in determinate condizioni o che richieda una determinata graduazione, obbligano il venditore soltanto se siano state dedotte in contratto, espressamente o anche per implicito.

È stato, poi, precisato [371] che ai fini della risoluzione di un contratto di compravendita per mancanza di qualità promesse, non è necessario accertare se esse fossero o meno essenziali per l’uso tipico o normale a cui la cosa è destinata, perché la volontà delle parti, nel prevederle, ha già attribuito loro tale carattere, per un uso o finalità particolari, e pertanto, se è dimostrato, nel caso di specie, che le dimensioni di un veicolo sono state pattuite per consentirne il passaggio nell’autorimessa dell’acquirente, è superfluo accertarne l’idoneità alla circolazione.

Mentre sempre per la Cassazione, come da ultima decisione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 luglio 2014, n. 16963

in tema di cessione delle partecipazioni sociali, le clausole (BUSINESS WARRANTJES) con le quali il venditore assuma l’impegno di tenere indenne l’acquirente dal rischio connesso al verificarsi, successivamente alla conclusione del contratto, di perdite o di sopravvenienze passive della societa’ hanno a oggetto obbligazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del contratto, che sono volte a garantire l’esito economico dell’operazione; pertanto, non rientrando tali pattuizioni nella garanzia legale relativa alla mancanza delle qualita’ promesse ai sensi dell’articolo 1497 c.c, trova applicazione la prescrizione ordinaria decennale e non quella di cui all’articolo 1495 c.c., richiamato dall’articolo articoli 1497 c.c.

 

B)   Disciplina

Ai sensi dell’art. 1497 c.c., nel caso di mancanza delle qualità promesse o essenziali, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dall’art. 1495 c.c.

Per la S.C.[372] la garanzia per difetto di qualità costituisce un rimedio che la legge appresta a difesa del compratore per consentire allo stesso una efficace tutela contro la mancanza, nella cosa acquistata, delle qualità promesse o di quelle essenziali per l’uso cui è destinata. Il rimedio consiste nella facoltà data all’acquirente di domandare la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento oppure di far valere il diritto al risarcimento del danno per inadempimento colpevole del venditore, sulla base delle norme generali degli artt. 1218 e seguenti c.c.

Può essere applicata secondo la dottrina, in linea di massima, la disciplina sui vizi, tenuto conto dell’evidente analogia tra i due istituti, entrambi compresi nelle c.d. garanzie a favore del compratore.

Qualche dubbio è sorto relativamente

a)         al rimedio della riduzione del prezzo (prevista dall’art. 1492 c.c., in alternativa alla azione di riduzione)

–           la teoria negatrice[373] – si basa sul silenzio del legislatore, il quale ha espressamente previsto l’azione soltanto nel caso di vizi della cosa venduta;

–           la teoria positiva[374] – preferibile – in contrario sottolinea l’analogia tra le due forme di garanzia e aggiunge che, comunque, la riduzione del prezzo può essere concessa al compratore se non altro sotto il profilo del risarcimento del danno.

Difatti per la Cassazione[375]  per effetto del rinvio operato dall’art. 1497 c.c. alle disposizioni generali sulla risoluzione del contratto per inadempimento, il compratore può ottenere la risoluzione del contratto soltanto se il difetto di qualità della cosa venduta non sia di scarsa importanza; tuttavia, quando l’inadempienza non sia di tale gravità da giustificare la risoluzione del contratto, l’acquirente può sempre agire per il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al maggior valore che la cosa avrebbe avuto, purché il difetto di questa non sia di trascurabile entità;

b)        all’esclusione della garanzia[376] per essere la mancanza di qualità riconosciuta o facilmente riconoscibile (art. 1491 c.c.) – nonostante una diffusa opinione contraria[377]  – è preferibile ritenerla applicabile tale normativa, poiché anche se è vero che l’art. 1491 c.c. non contiene un esplicito richiamo in tal senso è stato giustamente osservato da autorevole dottrina[378] che la cosa venduta viene offerta come si presenta e, se essa è palesemente priva di certe qualità, non occorre una particolare riserva del venditore per significare che il suo impegno non si estende alle qualità assenti.

Tuttavia, mentre la dottrina ha espresso una certa tendenza a parificare la tutela del compratore nelle due fattispecie, la giurisprudenza ha sempre evidenziato la diversità tra l’azione di risoluzione ex art. 1497 e il rimedio redibitorio dell’art. 1492 c.c.

Al di là, infatti, dell’espresso richiamo che l’art. 1497 c.c. fa ai termini di prescrizione e decadenza previsti dall’art. 1495 c.c. per le azioni edilizie, la Cassazione[379] ha evidenziato come l’esercizio dell’azione di risoluzione per vizi della cosa non presuppone l’esistenza della colpa del venditore; tale requisito é, invece, richiesto per l’azione di risoluzione per difetto delle qualità promesse ex art. 1497 c.c., norma che richiama, a differenza dell’art. 1492 c.c., le disposizioni generali dell’istituto della risoluzione per inadempimento, fondato sul principio della colpa dell’inadempiente.

 

C)   Errore essenziale

Il rimedio, posto a tutela dell’acquirente ai sensi dell’art. 1497 c.c., si distingue dall’azione di annullamento per errore, alla quale ha diritto di ricorrere il compratore che lamenti la falsa rappresentazione delle qualità essenziali della cosa, nella fase genetica del contratto.

a)           L’azione per mancanza di qualità promesse o essenziali attiene all’esecuzione del contratto, suppone cioè che il venditore abbia assunto l’impegno di fornire una cosa con quelle determinate qualità;

b)           L’errore sulle qualità riguarda, invece, la fase di conclusione del contratto e, precisamente, la formazione dei consensi.

Per una prima pronuncia della Cassazione [380] l’azione di annullamento del contratto per errore e quella di risoluzione per difetto di qualità promesse o essenziali per l’uso cui la cosa venduta è destinata sono istituti del tutto autonomi, rispetto ai quali non sussiste alcun rapporto di incompatibilità o di reciproca esclusione, concernendo la prima azione il momento formativo del contratto e la validità di esso fin dal suo sorgere, mentre la seconda riguarda il profilo funzionale della causa ed attiene all’inadempimento del venditore all’obbligo di trasferire al compratore la cosa alienata con le qualità promesse ed essenziali all’uso cui è destinata. Pertanto, promossa l’azione di risoluzione per mancanza di una qualità essenziale, nulla impedisce di proporre, in via subordinata, anche l’azione di annullamento per errore, sotto il profilo che la falsa rappresentazione della realtà possa esser caduta sull’esistenza, semplicemente supposta o anche espressamente promessa, delle qualità anzidette, incidendo in modo determinante sulla prestazione del consenso.

Ad esempio [381] se oggetto della vendita sia stata una cosa individuata, ben determinata (nella specie, gruppo motore–cambio di autoveicolo sinistrato), e ne sia avvenuta la relativa consegna, la mancanza di qualità (nella specie, inadattabilità tecnica a veicolo di tipo diverso) non comporta consegna di aliud pro alio e quindi non dà luogo all’azione di adempimento, né all’azione di risoluzione per mancanza di qualità promesse, ma a quella di annullamento per errore, quando la falsa rappresentazione della realtà sia caduta sulla esistenza — semplicemente supposta od anche espressamente promessa — delle qualità anzidette, incidendo in modo determinante sulla prestazione del consenso.

 

 

C)  Aliud pro alio

[382] [383] [384]

 

I vizi redibitori e la mancanza di qualità della cosa venduta vanno tenuti distinti dalla consegna di aliud pro alio, fattispecie che ricorre quando la res tradita appartiene a un genus diverso da quello convenuto oppure presenta difetti che le impediscono di assolvere alla sua naturale funzione economico–sociale, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto.

In altri termini si ha aliud pro alio quando viene consegnato un bene completamente  diverso (nel genere secondo la Cassazione [385]) da quello pattuito, ma anche quando la cosa difetti delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economica – sociale o a quella che le parti abbiano assunto come essenziale, al fine di realizzare il programma essenziale.

In tal caso il compratore non è tutelato con le azioni edilizie ma in base all’ordinaria azione di risoluzione [386] ovvero, in alternativa mediante l’azione di esatto adempimento.

In particolare l’azione non sarà soggetta ai brevi termini di prescrizione e di decadenza previsti dall’art. 1495 c.c., ma nella prescrizione decennale, in base al principio generale stabilito dall’art. 2946 c.c.

Per la S.C.[387] si ha vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziali della cosa consegnata al compratore qualora questa presenti imperfezioni concernenti il processo di produzione o di fabbricazione che la rendano inidonea all’uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, ovvero appartenga ad un tipo diverso o ad una specie diversa da quella pattuita; si ha, invece, consegna di aliud pro alio che dà luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c., qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, in quanto appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico–sociale della res venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta.

Ancora per altra pronuncia [388], è configurabile la consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa consegnata è completamente difforme da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso, ma anche quando è assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, o abbia difetti che la rendano inservibile; in tale ultimo caso, è necessario che la particolare utilizzazione della cosa sia stata espressamente contemplata, da entrambe le parti, nella negoziazione.

Con ultima sentenza la Cassazione [389] ha nuovamente confermato che è configurabile la consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa consegnata è completamente difforme da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso, ma anche quando è assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, o abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto.

Ancora per la medesima Cassazione [390] la vendita di aliud pro alio configura una ipotesi di inadempimento contrattuale, diversamente dalle ipotesi di vendita di cosa affetta da vizi o mancante delle qualità promesse, che integrano la fattispecie dell’inesatto adempimento; nel primo caso al compratore spetta l’azione generale di risoluzione contrattuale per inadempimento, svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.. Pertanto, la qualificazione dell’una o dell’altra ipotesi è compito precipuo del giudice di merito, in base al generale principio iura novit curia, di talché non è configuratale la pretesa violazione di legge (art. 112 c.p.c.). L’ipotesi di cui all’art. 1497 c.c. è pur sempre compresa nella più ampia fattispecie di cui all’art. 1453 c.c. della risoluzione per inadempimento, soggiacendo solo al regine di decadenza e prescrizione stabilito dall’art. 1495 c.c.

Da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 15 ottobre 2015, n. 20809

ha riaffermato che il criterio di distinzione tra cosa viziata o priva di qualità promesse, può essere colto nella considerazione che si ha diversità radicale della cosa data rispetto a quella dovuta quando tale diversità è di importanza fondamentale e determinante nell’economia del contratto, sia perché la cosa appartiene ad un genere del tutto diverso, sia in quanto essa si presenta priva della caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente.

Ancora con recente arresto la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 ottobre 2015, n. 22301

ha riaffermato che in tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualita’ (le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex articolo 1495 c.c.) si distinguono dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio – che da luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato articolo 1495 c.c. -, la quale ricorre quando la diversita’ tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualita’, consistenza e destinazione di quest’ultima, si’ da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziali dalle parti (c.d. inidoneita’ ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie dei tutto diversa da quella dedotta in contratto (Cass. 19-12-2013 n. 28419; Cass. n. 10916 del 2011; Cass. n. 26953 del 2008; Cass. n. 9227 del 2005, Cass. n. 13925 del 2002; Cass. n. 2712 del 1999).

Lo stabilire se si versi in tema di consegna di aliud pro alio o di cosa mancante di qualita’, di cosa affetta da vizi redibitori, involge un giudizio di fatto devoluto al giudice del merito: pertanto, in sede di legittimita’, il controllo della Corte deve limitarsi a stabilire se il giudice di appello, nell’esprimere il proprio giudizio di fatto, si sia attenuto ad un corretto criterio di distinzione tra le accennate diverse ipotesi (Cass. 19-12-2013 n. 28419).

Nella specie, la Corte di Appello, nel ritenere che non si era in presenza di un vizio della cosa venduta, ma di un’ipotesi di vendita di aliud pro alio, non si e’ discostata dagli enunciati principi, avendo accertato, con motivazione immune da vizi logici, basata sulle risultanze delle indagini tecniche esperite, la radicale ed assoluta inidoneita’ dei tessuti forniti dalla ditta (OMISSIS), per la loro intrinseca struttura, ad essere utilizzati per l’uso contrattuale convenuto, cioe’ la fabbricazione delle tomaie; tant’e’ che, come evidenziato in sentenza, le tomaie stesse, per la intrinseca incompatibilita’ con le sollecitazioni flessive caratteristiche dell’uso delle calzature, si laceravano in pochi giorni.

 

Invece [391], quando la compravendita abbia ad oggetto una cosa mobile infungibile o già determinata in contratto, la stessa deve essere consegnata nuova e non usata, in conformità a quella presentata a campione al momento della conclusione del contratto, rispondendo ciò all’intento dell’acquirente, ancorché non manifestato in apposita clausola del contratto, trattandosi di una qualità promessa quantunque solo implicitamente, con la conseguenza che, ove venga consegnata una cosa usata, il venditore ne risponde non con la garanzia per vizi o per la consegna di aliud pro alio, ma a norma dell’art. 1497 c.c. per la mancanza di detta essenziale qualità, senza che rilevi che la cosa usata possa servire per l’uso al quale era destinata non presentando difetti funzionali in relazione all’impiego prefissosi dal compratore, che, pertanto, è facultato a proporre l’azione di risoluzione del contratto.

Parte della dottrina [392] consapevole della difficoltà ha così affermato come la distanza tra la qualità ed il genere è certo maggiore di quella fra la qualità ed il vizio. Essa tuttavia sfuma alquanto allorché dal genere si passi al sottogenere, tanto più data l’elasticità del concetto. Dal genere illimitato a quello limitato è possibile infatti una notevole ramificazione in classi via via più ristrette: classi che si contraddistinguono per loro caratteristiche, connotati, composizione, destinazione economica, che sono nel contempo elementi comuni alle cose che lo compongono: per le quali l’appartenervi o meno influisce anche di regola sui pregi, sulle attitudini e sul valore della cosa. Qui è però l’appartenenza al genere, od al sottogenere, che conferisce, o meglio può conferire, determinate qualità, e non viceversa: qualità che si possono d’altronde avere in maggiore o minor misura, o non avere affatto, pur rientrando nella stessa classe di cose. Tutto ciò ribadisce il carattere essenzialmente empirico, e non certo logico dogmatico, dell’indagine (e delle stesse classificazioni).

La giurisprudenza ha invece posto, come già letto, l’accento sulla necessità che la diversità della cosa consegnata rispetto a quella promessa vada invece esaminata in base a due elementi: quello del genus di appartenenza e quello della destinazione economico–sociale del bene.

Infine, ai fini prettamente processuali la contestazione dell’acquirente circa la totale difformità tra quanto pattuito e quanto consegnato concreta un’eccezione diversa rispetto alla deduzione con cui egli lamenti che la merce consegnata è affetta da vizi, la quale si fonda sul presupposto dell’identità sostanziale di genere del bene ricevuto con quello previsto dal contratto.

Ne consegue che l’eccezione di aliud pro alio, proposta per la prima volta in appello, è inammissibile per il divieto posto dall’art. 345 c.p.c.[393]

Casi specifici affrontati dalla giurisprudenza di merito ed altri confermati in sede di legittimità

  1. Vendita immobile

Un caso di specie che ha suscitato particolare interesse è quello della vendita di un immobile di nuova costruzione privo del certificato di abitabilità.

È prevalsa soprattutto in giurisprudenza, la tesi per la quale non si tratta di un bene effetto da vizi (art. 1490 c.c.), o privo delle qualità essenziali (art. 1487 c.c.), ma di un bene diverso (aliud pro alio), con la conseguente possibilità per l’acquirente di chiedere la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453 c.c.

Mentre, in caso di compravendita di un’area fabbricabile in funzione di un determinato progetto edilizio, rivelatosi inattuabile per la minore potenzialità edificatoria del fondo rispetto a quella sulla quale il compratore aveva fatto affidamento, la responsabilità del venditore, derivante dalla situazione di fatto prospettata, non corrisponde ad un’ipotesi di vendita di cosa diversa da quella pattuita, essendo il bene immutato sia nella sua materialità che nella sua idoneità ad essere edificato, mentre la circostanza che sul suolo acquistato possa essere costruito un edificio di superficie minore rispetto a quella stimata incide unicamente sulle qualità promesse [394].

Con particolare riferimento alla compravendita di terreni, per il Tribunale della Lanterna [395], quando il venditore abbia garantito la realizzabilità di una determinata volumetria, l’inedificabilità del suolo costituisce un’ipotesi di carenza delle qualità promesse ed è una causa che giustifica, perciò, la richiesta di risoluzione del contratto. Ove l’acquirente, pur in presenza di un’ipotesi riconducibile alla carenza delle qualità promesse, abbia però agito invocando la tutela prescritta in caso di vizi della cosa venduta, il giudice, pur potendo dare alla domanda una diversa qualificazione, e quindi ricondurla nell’alveo dell’articolo 1497 c.c. (concernente appunto la mancanza delle qualità promesse), non può tuttavia accoglierla, poiché, diversamente, incorrerebbe nel vizio di ultrapetizione, implicando l’accoglimento della richiesta attorea l’attribuzione a questi di un bene giuridico diverso rispetto a quello domandato. Ed infatti, mentre la garanzia per vizi ha la finalità di assicurare l’equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore, l’azione di cui all’articolo 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall’articolo 1453 c.c., postula che l’inadempimento posto a base della domanda di risoluzione o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell’alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell’interesse della parte non inadempiente.

E’ stato, poi, affermato con ultima pronuncia dalla Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 marzo 2016, n. 5329

che nell’ipotesi in cui oggetto della compravendita sia un terreno edificatorio, la parziale edificabilita’ dello stesso i minore rispetto alle aspettative, non comporta automaticamente la configurabilita’ di una ipotesi di vendita di aliud pro alio (incidente, per converso, sul regime di eventuali eccezioni di prescrizioni e decadenza di vizi), dovendo il Giudice del merito provvedere a valutare congruamente se il tipo di edificabilita’ in concreto attuabile consenta o meno la detta configurabilita’ di aliud pro alio.

In tema di  consegna — in esecuzione della promessa di vendita di casa destinata ad uso di abitazione — di un immobile privo dei servizi essenziali alle esigenze indeclinabili di una vita sana e civile (nella specie, la casa era priva di alimentazione elettrica ed idrica), costituisce consegna di aliud pro alio, attenendo tali requisiti di abitabilità alla stessa identità della cosa sotto l’aspetto della sua destinazione [396].

Ad esempio, poi, per la Corte di legittimità [397] nel caso di compravendita di una unità immobiliare per la quale, al momento della conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l’ipotesi di vendita di aliud pro alio e di ritenere l’originaria mancanza di per sé sola fonte di danni risarcibili.

In merito, con altra precedente pronuncia la Cassazione[398] così provvedeva: nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancata consegna della licenza di abitabilità impone una indagine tendente ad accertare la causa effettiva di tale situazione, posto che il suo omesso rilascio può dipendere da molteplici cause, quali una grave violazione urbanistica, la necessità di interventi edilizi oppure dall’esistenza di meri impedimenti o ritardi burocratici che non attengono alla oggettiva attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economico–sociale. Pertanto l’eventuale relativo inadempimento del venditore può assumere connotazioni di diversa gravità senza necessariamente esser tale da dare luogo a risoluzione del contratto.

Successivamente la medesima Cassazione [399] andò a precisare che la vendita di un immobile strutturalmente destinato ad uso abitativo ma privo della licenza di abitabilità non è nulla per illiceità dell’oggetto, non essendovi alcuna norma che preveda l’obbligo del preventivo rilascio del predetto certificato, ma solo risolubile se il venditore abbia assunto, anche implicitamente, l’obbligo di curare il rilascio della licenza, a meno che, essendo dimostrato che l’immobile presenta tutte le caratteristiche necessarie per l’uso che gli è proprio e che la licenza possa essere agevolmente ottenuta, il giudice non ritenga di scarsa importanza l’inadempimento.

Causticamente altra Cassazione [400] ha stabilito che l’inesistenza delle condizioni per il rilascio della licenza di abitabilità in una situazione caratterizzata da una grave ed insanabile violazione urbanistica, integra la fattispecie della consegna di aliud pro alio, con la possibilità di promuovere l’azione contrattuale di risoluzione per inadempimento ai sensi degli artt. 1453 e seguenti c.c.

Per altro caso è intervenuta recentemente la Cassazione [401] affermando che in tema di vendita è configurabile la consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa consegnata è completamente difforme da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso, ma anche quando è assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, o abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto. Nella specie, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, l’immobile era idoneo ad essere usato per la destinazione (negozio) pattuita, seppure per dimensioni ridotte rispetto alla superfice dell’immobile: il che esclude l’assoluta inidoneità del bene ad essere adibito all’uso per il quale era stato acquistato, essendo nella specie configurabile piuttosto un minore sfruttamento dell’immobile suscettibile eventualmente di azione di risarcimento del danno derivante dalla mancanza delle qualità promesse (articolo 1497 c.c.), che però soggiace ai termini di prescrizione e di decadenza prescritti dall’articolo 1495 c.c.; addirittura, a stregua di quanto affermato in sede di giudizio, è stato possibile adeguare l’immobile ed ottenere le necessarie licenze per rendere l’immobile utilizzabile per l’intera superficie sfruttabile: gli oneri sostenuti avrebbero potuto assumere rilevanza sempre sotto il profilo risarcitorio di cui si è detto.

Mentre secondo una pronuncia del tribunale della Mole [402] nella compravendita di immobili “su pianta”, l’uso di una diversa tipologia di pavimentazione nei balconi, l’occupazione (parziale) di un vano che, invece, doveva rimanere vuoto, la diversa dislocazione degli attacchi antifurto, la difforme realizzazione di un piano all’interno del bagno cieco, sono tutti difetti che ineriscono al processo di produzione della res che, pertanto, ove provati, integrano un’ipotesi di mancanza di qualità della cosa oggetto del contratto e non la diversa eventualità della consegna aliud pro alio.

  1. Vendita di autoveicoli ed autoricambi

In merito secondo una prima pronuncia delle S.C. [403] non si ha consegna di aliud pro alio nel caso di vendita di un autoveicolo parzialmente ricostruito e perciò mancante del numero di telaio che ne costituisce il dato di identificazione, qualora il venditore abbia trattenuto i documenti di circolazione per provvedere alla regolarizzazione prevista dall’art. 52 del t.u. 15 giugno 1959, n. 393 (impressione di un numero distintivo, preceduto e seguito dal marchio con punzone dell’ispettorato per la motorizzazione civile), e questa non abbia potuto avvenire per fatto del compratore, che si sia rifiutato di presentare la macchina per la nuova punzonatura del telaio. Infatti, dal momento che il venditore aveva fatto quanto occorreva perché l’autoveicolo, già strutturalmente idoneo alla funzione propria di quel genus, conseguisse senza indugio tutti i requisiti necessari per poter legittimamente circolare sulle strade pubbliche, non si può ritenere che la cosa compravenduta e consegnata fosse inidonea ad assolvere alla destinazione economico–sociale propria di un autoveicolo e, quindi, a soddisfare in concreto i bisogni dell’acquirente e che, pertanto, fosse stata consegnata una cosa appartenente ad un genus diverso da quello pattuito.

Per una sentenza recente del Tribunale Barese [404] è infondata la domanda risarcitoria esperita nei confronti della concessionaria automobilistica, in relazione all’acquisto di un’autovettura usata laddove dall’istruttoria non emerga alcuna responsabilità ascrivibile alla convenuta la quale, prima di procedere alla consegna del veicolo abbia provveduto ad effettuare i dovuti controlli, dimostrati e certificati nella scheda di tagliando pre–consenga.

A tal riguardo si rileva che nell’ipotesi in cui il vizio che renda il veicolo inidoneo all’uso, non emerga immediatamente, potrebbe al più individuarsi un inadempimento del venditore all’obbligo di consegnare una cosa dotata delle qualità promesse. In tal caso opererebbe la speciale garanzia prevista dagli artt. 1492 e 1497 c.c. per cui la colpa rileva soltanto ai fini dell’eventuale risarcimento danni. La garanzia di conformità assolve infatti, la funzione di dare all’acquirente la certezza che dopo l’acquisto dovrà affrontare solo le spese di manutenzione ordinaria e gli inevitabili inconvenienti legati all’età ed allo stato d’uso del veicolo dichiarato dal venditore al momento dell’acquisto. Nel caso di specie, essendo l’attore a conoscenza dello stato d’uso del veicolo e delle manutenzioni da apportare allo stesso, avendo peraltro percorso in 4 mesi ben 12.000 chilometri, non può far valere alcuna responsabilità nei riguardi del venditore, con effetti risolutivi del contratto.

Per altra pronuncia di merito [405] la consegna di un’autovettura priva di alcuni accessori promessi non costituisce un’ipotesi di consegna di aliud pro alio bensì un caso di mancanza di qualità della cosa compravenduta. Affinché si abbia consegna di aliud pro alio è indispensabile, infatti, che la cosa consegnata appartenga ad un genere del tutto dissimile a quello pattuito, oppure che essa difetti dalle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico–sociale (o a quella specifica funzione che le parti abbiano assunto quale essenziale). La mancanza degli accessori promessi, invece, non rende per ciò solo l’autoveicolo un bene di natura differente né, tanto meno, impedisce che di esso possa essere fatto un uso conforme alla sua destinazione.

In merito il Tribunale Meneghino [406] ha affermato che deve escludersi sia la fattispecie della vendita aliud pro alio quanto il vizio essenziale del bene, qualora questo coincida in tutto e per tutto con quello oggetto dell’accordo, configurandosi in ipotesi siffatte un meno grave vizio redibitorio. Nella fattispecie, nei termini suddetti, la consegna del veicolo pattuito, perfettamente funzionante e coincidente per vetustà, modello, colore, targa, numero di telaio e proprietà a quella descritta in contratto, e la sola difformità del cambio, in quanto descritto come meccanico nella carta di circolazione e riscontrato come automatico a bordo del veicolo, non può ritenersi tale da determinate la non idoneità del bene all’uso nella pratica ad esso attribuito. Ad ogni modo, la carenza di prova in ordine alla tempestiva denuncia del vizio redibitorio ex art. 1490 c.c. determina la reiezione della domanda attorea, comunque infondata, non potendosi nemmeno ricondurre, per quanto innanzi, la fattispecie dedotta ad una vendita aliud pro alio, né ad un vendita di bene privo di qualità essenziali o promesse ex art. 1497 c.c.

Il tribunale Capitolino [407], invece, ha stabilito che la vendita di un autoveicolo recante i numeri di motore o di telaio alterati, diversi da quelli indicati sulla carta di circolazione, integra senza alcun dubbio una ipotesi di consegna di aliud pro alio che legittima l’acquirente a proporre l’azione generale di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. svincolata dai termini di prescrizione e decadenza (indipendentemente anche da qualsiasi eventuale successiva regolarizzazione) dovendo annettersi rilevanza, ai fini indicati dall’art. 1453 c.c., allo stato della cosa al momento della conclusione del contratto (o della consegna).

In un altro caso di specie, la S.C. [408] ha confermato la sentenza di merito che aveva ricompreso nell’aliud pro alio la consegna, da parte di un concessionario, di un veicolo poi sottoposto a sequestro penale in quanto munito di un motore rubato.

  1. Cessione di quote societarie[409]

Secondo la S.C. [410] la cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale — e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione — possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art.1497 c.c., la risoluzione per difetto di «qualità» della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.

Per altra sentenza [411] le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di «secondo grado», in quanto non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l’affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Ne consegue che la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497, c.c., ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi «radicalmente diversi» da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.

  1. Vendita forzata

La Cassazione [412], da ultimo, ha affermato che, nell’ipotesi in cui il giudice delegato abbia emesso decreto di trasferimento d’immobile costituito da “terreno edificabile” che, invece, sia risultato, dopo la vendita forzata del bene, terreno “edificato” di valore notevolmente superiore al prezzo di aggiudicazione, ricorre l’ipotesi della vendita aliud pro alio trattandosi di un errore relativo ad un elemento determinante l’offerta di acquisto. Ne consegue la legittimazione attiva del curatore ad esercitare l’azione di annullamento ai sensi degli artt. 1427–1429 c.c., non essendo applicabile, all’ipotesi di vendita aliud pro alio, l’art. 2922 c.c. che, pur riguardando anche la vendita disposta in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare, esclude la garanzia solo per gli altri vizi della cosa nella vendita forzata.

Per il Tribunale Euganeo [413] ai sensi e per gli effetti della disposizione di cui all’art. 2922 c.c., nelle vendite coattive l’applicazione della garanzia per vizi dettata in tema di vendita deve ritenersi esclusa. La deroga di cui alla medesima disposizione codicistica opera altresì per il caso in cui, sempre in tema di vendita coattiva, la cosa compravenduta non presenti le qualità promesse o quelle essenziali per l’uso cui è destinata, ai sensi dell’art. 1497 c.c.

Anteriormente, a queste due pronunce, la Cassazione [414], sempre in merito all’esecuzione forzata, ha statuito che l’esclusione della garanzia per i vizi della cosa, prevista dall’art. 2922, c.c., in riferimento alla vendita forzata compiuta nell’ambito dei procedimenti esecutivi, applicabile anche alla vendita disposta in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare, opera per le fattispecie previste dagli articoli da 1490 a 1497 c.c., cioè nel caso di vizi della cosa e di mancanza di qualità, ma non riguarda l’ipotesi di vendita di aliud pro alio, configurabile quando il bene aggiudicato appartenga ad un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza di vendita, ovvero manchi delle qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico–sociale, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che, preso in considerazione dalla succitata ordinanza, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto.

  1. Altri casi specifici

Ad esempio [415], l’appartenenza di un quadro all’autore indicato dai contraenti assume, nell’intendimento delle parti e secondo il comune apprezzamento di tali rapporti nel campo socio–economico, valore di mezzo specifico di identificazione della cosa venduta con carattere sostanziale, per cui, ove tale appartenenza risulti successivamente insussistente, deve ritenersi che la cosa trasferita è diversa da quella oggetto del contratto e non già la stessa cosa affetta da vizi redibitori o da mancanza di qualità promesse, con la conseguenza che compete all’acquirente l’azione di inadempimento per consegna di aliud pro alio e non l’azione redibitoria prevista dall’art. 1495 c.c.

Si ha consegna di aliud pro alio (e non mancanza di qualità essenziali) quando, dedotta ad oggetto del contratto acqua potabile, sia invece consegnata acqua non potabile, poiché l’acqua non potabile è cosa del tutto diversa (aliud) da quella potabile, essendo la potabilità dell’acqua una qualità avente come unico riferimento la compatibilità con l’organismo umano [416].

Nel caso set di mobili per ufficio, è configurabile la consegna di aliud pro alio non solo quando la cosa consegnata è completamente difforme da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso, ma anche quando è assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, o abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto [417].

Nel caso di trasferimento di un esercizio commerciale privo delle necessarie autorizzazioni amministrative tali carenze sono sufficienti ad integrare una ipotesi di vendita alid pro aliud, stante la carenza dei pur prescritti pareri di conformità alle disposizioni in materia di prevenzione incendi e di inquinamento acustico, determinanti, in quanto tali, la invalidità delle licenze di agibilità per l’esercizio dell’attività di disco–pub nei locali oggetto dell’attività ceduta, deve concludersi proprio per il ricorso della specifica ipotesi della vendita aliud pro alio, svincolata, in quanto tale, dai termini di decadenza e prescrizione previsti ex art. 1495 c.c.[418].

Altra ipotesi di vendita aliud pro alio, secondo altro Tribunale[419], è integrata dall’avvenuta consegna di materiale da cantiere diverso da quello contrattualmente pattuito (necessario per la realizzazione di un vialetto interno ad un edificio scolastico) tra l’altro composto da elementi altamente inquinanti (in quanto derivante dalla miscelazione di frantumati con rifiuti provenienti da impianti di abbattimento fumi da acciaierie), per cui, in accoglimento della domanda attorea, deve pronunciarsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento del venditore, con conseguente restituzione da parte del convenuto del prezzo corrisposto dalla parte attrice per l’acquisto della merce predetta, oltre interessi al tasso legale dal giorno del pagamento sino al saldo effettivo.

 

 

 

D)  OBBLIGHI PER IL COMPRATORE

[420]

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – sez. I  disposizioni generali – § 2 delle obbligazioni del compratore –  1498 – 1499

 

art. 1498 c.c.  pagamento del prezzo

Il compratore è tenuto a pagare il prezzo nel termine e nel luogo fissati dal contratto.

In mancanza di pattuizione salvi usi diversi, il pagamento deve avvenire al momento della consegna e nel luogo dove questa si esegue.

Se il prezzo non si deve pagare al momento della consegna, il pagamento si fa al domicilio del venditore.

Ai sensi dell’articolo 1498 c.c., il pagamento del prezzo della vendita, in mancanza di pattuizioni od usi diversi, deve avvenire contestualmente all’atto della consegna.

Ne consegue che, ove il pagamento non avvenga in tale momento, lo stesso va effettuato al domicilio del creditore, senza necessità di costituzione in mora come stabilito dall’articolo 1219, secondo comma, numero 3, c.c., anche gli interessi di mora decorrono dalla consegna, e solo se ove il tempo della consegna non sia accertato dalla richiesta[421].

È stato puntualizzato[422] che la pattuizione di pagamento del prezzo della vendita a mezzo di ricevuta bancaria non determina spostamento del luogo dell’adempimento da quello del domicilio del venditore–creditore ai sensi dell’art. 1498, comma terzo, c.c., trattandosi di mera facoltà concessa all’acquirente secondo la corrente prassi commerciale, con la conseguenza che ai fini dell’inadempimento e del conseguente obbligo degli interessi moratori ex art. 1224 c.c. non è necessaria la costituzione in mora del compratore ex art. 1219, comma secondo, n. 3, c.c.

In merito, poi, agli usi di cui al secondo comma, l’uso invalso tra le parti di un contratto di vendita di pagare la merce successivamente al domicilio del compratore, al passaggio dell’agente del venditore per ritiro di ordini o consegne, non è inquadrabile tra gli usi diversi, che a norma dell’art. 1498, secondo comma, c.c. consentono al compratore, per determinati affari, di non pagare il prezzo del bene nel luogo ove si esegue la consegna di esso, perché questi sono usi normativi, ossia costituiscono norme non scritte, sussidiarie e integrative, derivanti da una pratica costante e generale, attuata con la convinzione di obbedire ad una regola giuridica, e non interpretativi, perché non hanno la funzione di chiarire o integrare la volontà negoziale.

Né in tale prassi è sufficiente per configurare la pattuizione prevista dal primo comma dell’art. 1498 c.c. e quindi per modificare il forum destinatae solutionis — che è il domicilio del venditore — se non è convenuto che essa costituisce modalità di pagamento esclusiva, e il venditore contestualmente non rinuncia al foro previsto dal terzo comma dell’art. 1498 c.c., ovvero dell’art. 1182 c.c.[423]

La disposizione del terzo comma dell’art. 1498 c.c., a norma della quale il pagamento della merce compravenduta, quando non deve essere contestuale alla consegna, va eseguito al domicilio del venditore, è operante anche ai fini della competenza per territorio ex art. 20 c.p.c., in tutti i casi in cui sia mancato un espresso ed inequivoco patto contrario delle parti[424].

 

Pagamenti all’estero

 

Per una prima pronuncia delle sezioni unite [425]la regolamentazione dei pagamenti da farsi all’estero nelle relazioni commerciali e, in genere, nei negozi che causano spostamenti di valuta dall’Italia verso paesi esteri, regolamentazione volta a tutelare interessi pubblici generali, non comporta modificazioni del principio che, in mancanza di diverso patto negoziale, il pagamento del prezzo di una compravendita, se non deve essere fatto al momento della consegna, va fatto al domicilio del venditore. Che per eseguire, poi, siffatto pagamento si debbano impiegare, in applicazione di norme cogenti, determinati procedimenti di trasmissione della valuta è cosa che non incide sulla disciplina privatistica della compravendita, quale risulta dai patti del contratto e dalla legge che regola lo specifico contratto.

Successivamente, sempre per le sezioni unite [426], con riguardo alla domanda di pagamento del prezzo, proposta dal venditore italiano contro il compratore straniero domiciliato in un paese aderente alla CEE, la giurisdizione del giudice italiano, secondo il criterio alternativo di collegamento del luogo in cui l’obbligazione deve essere eseguita, fissato dall’art. 5, n. 1 della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (resa esecutiva con legge 21 giugno 1971, n. 804 ed entrata in vigore l’1 febbraio 1973), va riscontrata in base al luogo in cui deve essere adempiuta la specifica obbligazione dedotta in giudizio, corrispondente al diritto fatto valere dall’attore, e tale luogo va individuato in conformità alla legge che, secondo il diritto internazionale privato del giudice adito, disciplina l’obbligazione medesima (sentenze della Corte di giustizia della CEE nn. 12 e 14 del 1976). Peraltro, qualora la vendita riguardi cose mobili materiali, e sia intervenuta fra soggetti domiciliati in paesi aderenti anche alla convenzione dell’Aja sulle vendite internazionali di mobili dell’1 luglio 1964 (resa esecutiva con legge 21 giugno 1971, n. 816 ed entrata in vigore il 23 agosto 1972), trova applicazione, in via assorbente e prevalente sulle comuni disposizioni del suddetto diritto internazionale privato, la norma dell’art. 59 della stessa convenzione dell’Aja, la quale fissa l’indicato luogo dell’adempimento nel domicilio o nella residenza abituale del venditore (ovvero, nel caso di pagamento «contro» consegna della cosa o dei documenti, nel luogo della consegna medesima). In tale ipotesi, pertanto, la giurisdizione del giudice italiano deve essere affermata in base al mero riscontro in Italia del domicilio o della residenza abituale dell’attore (ovvero, nel caso specificato, del luogo della consegna della merce o dei documenti).

Interessi

 

art. 1499 c.c.   interessi compensativi sul prezzo

Salvo diversa pattuizione, qualora la cosa venduta è consegnata al compratore produca frutti (820) o altri proventi (1477), decorrono gli interessi (1284) sul prezzo, anche se questo non è ancora esigibile.

 

Per la Corte di Legittimità[427] gli interessi compensativi non decorrono nel caso in cui la consegna della cosa venduta o promessa in vendita, con anticipata attribuzione del relativo godimento e dei frutti prodotti dalla cosa stessa, sia avvenuta prima del pagamento del prezzo in esecuzione di una specifica clausola contrattuale, atteso che si deve ritenere in tale ipotesi che le parti, nell’ambito di una libera valutazione dei rispettivi interessi, abbiano considerato l’anticipata attribuzione della res vendita al compratore come componente della regolamentazione convenzionale degli interessi medesimi, rimanendo questi dovuti, ove il pagamento del prezzo sia stato convenuto per una data o correlato ad un evento (quale, nella promessa di vendita, la stipula del contratto definitivo) successivi alla consegna del bene all’acquirente, dal momento in cui, con la scadenza di detta data od il verificarsi di tale evento, il credito della somma capitale o del residuo prezzo sia divenuto, oltre che liquido, anche esigibile in funzione di corrispettivo del vantaggio che il debitore ritrae (salvo a convertirsi in interessi moratori, dovuti dal giorno della costituzione in mora nel caso di ritardo colpevole del debitore nel soddisfacimento del credito).

Mentre[428], in tema di pericolo di rivendica, la sospensione del pagamento del prezzo, quale eccezionale mezzo di autotutela consentito dall’art. 1481 c.c.[429], esclude la mora debendi e, dunque, il pagamento degli interessi moratori sul prezzo, ma non elimina — nell’ipotesi di vendita di bene fruttifero già consegnato al compratore — il dovere di pagare gli interessi compensativi di cui all’art. 1499 c.c., i quali hanno la funzione di rimediare ad uno squilibrio economico, che si determina anche nel periodo in cui si è manifestato il pericolo di evizione.

 

E) LA VENDITA CON PATTO DI RISCATTO

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – sez. I  disposizioni generali – § 3 del riscatto convenzionale –  1500 – 1509

art. 1500 c.c.   patto di riscatto

Il venditore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta (bene mobile o immobile) mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalle disposizioni che seguono.

Il patto di restituire un prezzo superiore (le parti possono stabilire anche un prezzo inferiore) a quello stipulato per la vendita è nullo per l’eccedenza (per evitare in assoluto che tale patto si traducesse in un strumento di usura).

 

Come già esplicitava il precedente Codice civile del 1865 all’art. 1515, anche il vigente art. 1500 descrive il riscatto (convenzionale) quale diritto a favore del venditore che si riserva di riavere la proprietà della cosa venduta mediante la semplice restituzione del prezzo e il rimborso di (ben determinate) spese. E tale diritto va esercitato entro il tassativo e improrogabile termine di due anni (se l’oggetto della vendita è bene mobile) o di cinque anni (se trattasi di bene immobile).

Il riscatto rientra quindi nel novero dei c.d. diritti potestativi.

1)   La natura giuridica

 

1 – A teoria [430] – simile al recesso eccezionalmente retroattivo

ed è quindi atto di esercizio di un diritto potestativo di natura personale (potere di revoca), come tale insurrogabile ex art. 2900 c.c. ed incedibile separatamente dal contratto  a cui inerisce e trasmissibile mortis causa.

Il riscatto della vendita non è, a differenza della condizione (art. 1360 c.c.), pienamente retroattivo, sia perché il venditore è tenuto, entro certi limiti, a mantenere le locazioni (art. 1500 c.c.) sia, soprattutto perché il venditore, per esercitare efficacemente il riscatto, non deve soltanto restituire il prezzo, ma anche rimborsare le spese ed ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita (art. 1502).

2 – A teoria [431] – vendita sottoposta ad una condizione risolutiva potestativacon conseguente applicabilità della relativa disciplina, ivi compreso l’art 1359  c.c. La dichiarazione di riscatto rileverebbe dunque alla stregua di un mero fatto, verificatosi il quale la vendita si risolverebbe con effetto retroattivo e dunque con efficacia anche per i terzi aventi causa del compratore.

Ultima Cassazione [432] che si è pronunciata in merito ha così statuito: la clausola di riscatto, apposta ad un contratto di vendita, è una condizione risolutiva potestativa, a mezzo della quale il venditore si riserva il diritto di risolvere il contratto entro un tempo determinato, così automaticamente riacquistando la proprietà del bene contro restituzione del prezzo e rimborso delle spese; pertanto, ai fini dell’imposta di registro – che è imposta d’atto – l’atto di esercizio del riscatto non è qualificabile come atto traslativo inverso alla prima vendita.

In precedenza la medesima Cassazione [433] cosi stabiliva: il patto di riscatto introduce nella vendita una condizione risolutiva potestativa, il cui avveramento è rimesso alla libera determinazione del venditore e produce l’immediato ritorno della proprietà della cosa al medesimo, senza bisogno di un’apposita manifestazione di volontà del compratore e, anzi, anche contro la sua volontà. Ciò, mentre distingue il patto di riscatto da quello di retrovendita, che non è sufficiente a far riacquistare al venditore la proprietà della cosa senza una dichiarazione di volontà del compratore, vale a porre in rilievo l’efficacia reale del riscatto convenzionale, nel senso che il patto di riscatto non è legato ai soggetti che lo hanno stipulato, ma può essere ceduto senza il consenso del compratore e se trascritto — può essere fatto valere anche nei confronti dei successivi acquirenti della cosa a norma dell’art. 1504 c.c.

 

2)   La sua funzione

E’ evidente: agevolare il venditore ove questo sia costretto a vendere, in genere perché ha urgente necessità di denaro, ma spera che la situazione possa mutare in modo da consentirgli di riacquistare il bene alienato.

3)   La situazione giuridica del compratore

Si tratta, senza dubbio, di una proprietà limitata (dal diritto del venditore), da taluni [434] ritenuta proprietà temporanea e da altri [435], più esattamente, proprietà risolubile.

Non vi è dubbio che il compratore potrà alienare questo suo diritto di proprietà analogamente a quanto dispone, in tema di condizione, l’art. 1357 c.c., ma gli effetti di ogni atto di disposizione sono subordinati all’esercizio del riscatto.

Inoltre a tutela del proprio diritto potrà esercitare le azioni a difesa della proprietà, ma avrà correlativamente un godimento limitato, perché dovrà comportarsi in modo da conservare integre le ragioni del venditore (arg. ex art. 1358 c.c.).

4)   La situazione giuridica del venditore

Si discute in dottrina riguardo alla titolarità sul bene se ha natura di:

diritto reale [436]  – tale teoria si basa sulla considerazione che il titolare del diritto di riscatto può recuperare il bene anche dai subacquirenti (art. 1504 c.c.). Si tratterebbe, più precisamente, di un diritto di natura reale sui generis che non sarebbe in contrasto con il principio del numerus clausus, in quanto espressamente previsto dal codice.

diritto personale [437] – tale teoria si basa sul fatto questo diritto non può avere natura reale, in quanto una delle caratteristiche fondamentali di questi diritti è appunto la realità, vale a dire la relazione diretta ed immediata fra titolare e la cosa, carattere che manca alla situazione giuridica del venditore.

Più precisamente si tratta di un diritto potestativo [438] – poiché il potere di revoca produce automaticamente il mutamento dell’acquisto dell’acquirente a favore del venditore senza che sia necessario alcun comportamento (né positivo né negativo) da parte del compratore, il quale si trova in uno stato di libera soggezione.

A tutela del proprio diritto potrà invocare, alla pari dell’alienante sotto condizione risolutiva (art. 1356 c.c.) i rimedi conservativi cautelari qualora il comportamento del compratore pregiudichi o metta soltanto in pericolo il possibile ritorno del bene ovvero la consistenza o lo stato delle cose (sequestri, provvedimenti d’urgenza ai sensi dell’art 700 c.p.c., azioni di nunciazione).

5)   Cedibilità e rinunzia al diritto di riscatto

Essendo un diritto personale non autonomo (perché esso è contenuto nella complessa posizione contrattuale del venditore) deve escludersi la possibilità di cederlo indipendentemente dall’intero rapporto giuridico.

L’intrasmissibilità non è assoluta, si può adoperare un altro mezzo tecnico affinché possa essere trasferito tale diritto, come nel caso della cessione del contratto [439], che renderà necessario, affinché ci sia il trasferimento, anche il consenso dell’acquirente ceduto.

Difatti, per la S.C. [440] la cessione del patto di riscatto, subordinata al consenso del contraente ceduto, è valida anche quando abbia ad oggetto la posizione del venditore che abbia già ricevuto il pagamento del prezzo, in quanto l’effetto del principio consensualistico può lasciare persistere le ulteriori obbligazioni principali (nella specie, la consegna) ed accessorie, nonché i diritti potestativi, quale, appunto, il diritto di riscatto, la cui permanenza rende la sostituzione soggettiva consentita e non irrilevante per l’ordinamento, giustificando il ricorso ad una disciplina diversa da quella dettata dagli artt. 1261 ss. e 1268 ss. c.c.

Già precedentemente la medesima Cassazione [441] prevedeva che nella vendita con patto di riscatto il venditore non potesse, senza il consenso del compratore, cedere ad un terzo estraneo al negozio, il diritto di riscattare il bene oggetto dello stesso, poiché detta cessione integrava (e tutt’ora integra) una modificazione che incideva non solo sulla struttura soggettiva ma anche su quella oggettiva del contratto, comportando l’obbligo del compratore di prestarsi al trasferimento della proprietà a favore del terzo senza che tale obbligo egli avesse mai assunto.

Infine, è bene precisare che nel caso in cui sopravvenga il fallimento del venditore dopo che la cosa venduta è già passata in proprietà al compratore, la curatela del fallimento non ha il potere di sciogliere unilateralmente il contratto, in base al disposto dell’art. 72, quarto comma, legge fall., bensì, in virtù del regime ordinario cui il contratto è soggetto (art. 1372 c.c.), può esercitare il diritto di riscatto, in funzione ricostruttiva o recuperatoria del patrimonio del fallito, offrendo in pagamento la restituzione del prezzo a suo tempo corrisposto all’acquirente [442].

6)   FORMA

In quanto accessorio alla vendita, deve rivestire la stessa forma del contratto di compravendita (per relationem).

Si discute, invece, sulla possibilità che il patto di riscatto sia contenuto in un atto successivo alla vendita.

È preferibile la tesi negatrice sostenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, le quali hanno osservato che vendita e patto di riscatto costituiscono una fattispecie unitaria non suscettibile di frazionamento.

Ciò non toglie che il patto posteriore possa, in omaggio al principio interpretativo della conservazione del contratto (1367 c.c.) essere considerato come un negozio autonomo, identificato in un preliminare unilaterale di vendita (Pactum de retrovendendo), in quanto impegna soltanto il compratore, attuale proprietario.

Forse risulta più esatto ricondurre tale patto posteriore alla figura dell’opzione[443] a favore del venditore.

7)   Trascrizione

[444]

E’ necessaria ai fini dell’opponibilità ai terzi in caso di vendita di immobili o di mobili registrati.

 

8)   Termine

 

art. 1501 c.c. termini

Il termine per il riscatto non può essere maggiore a 2 anni per i beni mobili e di 5 per la vendita dei beni immobili. Se la parti stabiliscono un termine maggiore, esso si riduce a quello legale (se la parti nulla stabiliscono il termine è quello legale).

Il termine stabilito dalla legge è perentorio e non si può prorogare.

 

Determinazione da parte del legislatore per tutelare l’esigenza di evitare un intralcio alla circolazione del bene venduto nel tempo utile per l’esercizio del diritto di riscatto.

Il termine convenzionale è prorogabile ma sempre entro il termine massimo legale.

È un termine di decadenza, che decorre dalla conclusione del contratto, e come tale in suscettibile di sospensione o interruzione.

Nel caso di vendita obbligatoria [445]  il termine per il riscatto decorre dal momento in cui si producono gli effetto, ossia a trasferimento avvenuto, sia perché il presupposto indefettibile per il riscatto è l’acquisto della proprietà da parte del compratore sia perché in un’ipotesi tipica, la vendita di cosa futura, si riscatterebbe un bene che ancora non esiste.

Per una lontana pronuncia della S.C. [446] la lettera e la ratio della legge impongono, quindi, di ritenere che il termine utile all’esercizio del diritto decorre dal momento in cui la vendita viene a perfezione e che anche l’efficacia della condizione sospensiva, al cui verificarsi sia stato eventualmente subordinato l’esercizio del riscatto, dev’essere limitata al termine legale per il predetto esercizio e, quindi, al quinquennio nel caso di vendita d’immobile; al di là del predetto termine la condizione sospensiva diventa inefficace come che contraria alla norma imperativa relativa alla temporaneità del termine di riscatto.

 

Bisogna porsi la domanda se sia possibile, in una vendita cui acceda un diritto di riscatto, riscattare il bene venduto allorquando sia già scaduto il termine di pagamento in capo all’acquirente (ma, naturalmente, non quello per esercitare il riscatto). In altri termini, il venditore può esercitare la dichiarazione di riscatto antecedentemente il pagamento del prezzo dovuto dal compratore e dopo che siano scaduti i termini di cui all’art. 1498 c.c.?

La risposta è sicuramente positiva: basti solo pensare alla configurabilità del riscatto quale diritto potestativo. D’altro canto, se si privasse il venditore della possibilità di riscattare il bene venduto si finirebbe col premiare (ingiustificatamente) il compratore inadempiente, penalizzando senza ragione (né logica, né giuridica) lo stesso venditore.

È di tutta evidenza che in questo caso al riscattante non competa l’onere di (ri)versare il prezzo del bene al riscattato. Oltre alla logica, sovviene la dizione della stessa legge che parla di restituzione del prezzo e di rimborso del prezzo; se il prezzo mai è stato versato al venditore nessun prezzo vi sarà da restituire.

E pure la giurisprudenza [447] che se ne è occupata ha esplicitamente dichiarato che nella vendita con patto di riscatto non è ipotizzabile un contratto complesso del quale, esaurita una prima componente, sia rimasta autonomamente in vita l’altra, costituente di per sé sola un contratto.

 

 

9)   Dichiarazione di riscatto: offerta reale

art. 1503 c.c.  esercizio del riscatto

Il venditore decade dal diritto del riscatto, se entro il termine fissato non comunica al compratore la dichiarazione di riscatto e non gli corrisponde le somme liquide dovute per il   rimborso del prezzo, delle spese e di ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita.

Se il compratore rifiuta di ricevere il pagamento di tali rimborsi 1) – 2) – 3) vedi art 1502, il venditore decade da diritto di riscatto, qualora non ne faccia offerta reale entro 8 giorni dalla scadenza del termine.

Nella vendita di beni immobili la dichiarazione di riscatto deve essere fatta per iscritto, a pena di nullità (e deve essere successivamente trascritta entro 60 giorni, altrimenti si consolidano i diritti acquistati dai terzi successivi alla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto)

 

Ha natura negoziale perché il venditore non si limita a comunicare il contenuto del suo diritto, ma manifesta la precisa volontà di riacquistare il bene; essa è materialmente compiuta da un notaio o da un pubblico ufficiale [448], i quali procedono a redigere un verbale da cui consti oltre all’oggetto dell’offerta, l’eventuale accettazione del pagamento da parte del creditore, con contestuale sua dichiarazione per quietanza e per liberazione delle garanzie, ovvero il rifiuto del pagamento stesso.

Per la Corte di Piazza Cavour [449] a norma dell’art. 1503 c.c., l’esercizio del diritto di riscatto non si esaurisce nella tempestiva dichiarazione recettiva del riscattante, ma richiede necessariamente, a pena di decadenza, che la stessa sia accompagnata dal pagamento di quanto dovuto, o dalla offerta reale della somma entro otto giorni dalla scadenza del termine, se il compratore rifiuti di ricevere il pagamento.

Inoltre, per la medesima Corte [450], l’art. 1503 c.c. prescrive che la dichiarazione di riscatto deve precedere l’offerta reale e che questa deve essere fatta solo nel caso che il compratore rifiuti di ricevere il pagamento dei rimborsi offertigli in via non formale, tuttavia, queste disposizioni non sono dettate a pena di nullità, né sono inderogabili, e perciò non escludono che il venditore possa procedere contestualmente, con unico atto, alla dichiarazione di riscatto ed all’offerta reale della somma dovuta.

In questo caso, l’offerta reale, sia che venga eseguita a mezzo di notaio, sia che venga fatta a mezzo di ufficiale giudiziario, è soggetta, quanto alla forma, alla disciplina prevista dall’art. 75 delle disposizioni di attuazione del c.c., in relazione all’art. 126 c.p.c. [451]

La disposizione dell’ultimo comma dell’art. 1503 c.c., la quale prescrive che nella vendita di beni immobili la dichiarazione di riscatto deve essere fatta per iscritto a pena di nullità, è diretta a stroncare tentativi di speculazione, e cioè ad evitare che il venditore, il quale non abbia i mezzi all’uopo sufficienti, dichiari ugualmente di volere riscattare l’immobile, senza che di tale dichiarazione rimanga prova documentale, e tenti così di trarre un ingiusto profitto. Nelle vendite immobiliari, perciò, la dichiarazione di riscatto non è valida se non è fatta con atto scritto, che, pertanto, costituisce elemento essenziale del negozio unilaterale ricettizio, in cui si concreta la detta dichiarazione, da comunicarsi al compratore entro il termine stabilito. L’atto scritto può assumere tanto la forma della scrittura privata quanto quella dell’atto pubblico, ma mentre per la scrittura privata non è discutibile che sia necessaria la sottoscrizione della parte, senza la quale l’atto è da considerarsi giuridicamente inesistente, per l’atto pubblico, invece, la sottoscrizione può non essere necessaria [452].

È stato anche specificato [453] che l’invito rivolto dal venditore al compratore, affinché si presenti in un determinato giorno dinanzi a notaio, per la stipulazione dell’atto di ritrasferimento del bene, e per ricevere il pagamento del prezzo e degli accessori dovutigli, non integra un’offerta, ancorché non formale, di detto pagamento, la quale richiede che la relativa somma di denaro venga messa nella sfera di disponibilità del creditore, ma un mero preannuncio dell’offerta medesima, che si traduce in offerta effettiva il giorno in cui il venditore stesso si presenti dal notaio, dichiarandosi pronto ad eseguire il versamento. Pertanto, ove a tale ultima data sia già scaduto il termine pattuito per il riscatto, l’indicato invito deve ritenersi inidoneo ad escludere la decadenza del venditore dal diritto di riscatto, a norma dell’art. 1503 c.c.

Con l’esercizio del riscatto il venditore si limita a far rientrare nel proprio patrimonio il bene venduto e non anche a far cessare ex tunc i rapporti con il compratore: esercitato il riscatto non si può considerare come se mai fosse stato assunto alcun impegno da parte del riscattato e neppure può essere considerato (in modo limitativo) tale dichiarazione solamente quale rinunzia a far valere eventuali inadempimenti pregressi delle parti.

Anche la giurisprudenza [454] si è espressa per l’efficacia non retroattiva dell’esercizio del riscatto. D’altra parte, basti solo a tal proposito considerare che, normalmente, il compratore sino all’esercizio del riscatto utilizza il bene venduto e non restituisce i frutti percetti (ciò per l’applicazione analogica alla fattispecie dell’art. 1361 comma 2, c.c.).

Per una sentenza di merito [455], poi, costituisce equivalenza all’esercizio del diritto di riscatto da parte del venditore il riacquisto del possesso delle cose a suo tempo vendute con il patto di riscatto.

10)       Obblighi del riscattante

 

art. 1502 c.c.  obblighi del riscattante

Il venditore che esercita il diritto di riscatto è tenuto a rimborsare al compratore  1)  il prezzo (pagamento in denaro contante e non per mezzo di assegni circolari o bancari, con la conseguenza che qualora il riscattato accettasse quei titoli, si avrebbe una  datio in solutum),  2) le spese  (1475) e 3) ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita, (ad es. le spese notarili e per l’eventuale trascrizione, l’imposta di registro o l’imposta sul valore aggiunto) 4) le spese per le riparazioni necessarie e, nei limiti dell’aumentato,  5) quelle che hanno aumentato il valore della cosa (1150).

Fino al rimborso delle spese necessarie e utili, il compratore ha diritto di ritenere la cosa. Il giudice tuttavia, per il rimborso delle spese utili, può accordare una dilazione, disponendo, se occorrono, le opportune cautele (1151, 1179).

In tema di vendita con patto di riscatto, il venditore che esercita il diritto di riscatto è tenuto, ai sensi dell’art. 1502 c.c., a rimborsare al compratore le spese che hanno aumentato il valore della cosa riscattata nei limiti dell’aumento, costituendo quindi oggetto della corrispondente obbligazione la spesa erogata dal compratore a vantaggio della cosa, e non l’utilità conseguitane, la quale viene in rilievo non per sé ma, nella misura in cui permanga al momento del riscatto, come limite (massimo) di detta obbligazione; al fine di non consentire un indebito arricchimento del venditore mediante acquisizione della cosa per lo stesso prezzo per il quale era stata venduta, nonostante l’incremento di valore apportatovi con suoi esborsi dal compratore, e di impedire, per converso, che il venditore medesimo debba sostenere un onere in difetto di sostanziale correlativo incremento del suo patrimonio, per fatto del compratore, sicuramente lecito ma posto in essere in una consapevole situazione aleatoria [456].

Se nel contratto di compravendita con patto di riscatto sia stato simulatamente dichiarato un prezzo inferiore a quello effettivamente pattuito e corrisposto, gli eredi del venditore, per esercitare validamente il diritto di riscatto, devono corrispondere o, comunque, offrire al compratore, nel termine stabilito, il prezzo effettivamente ricevuto, la cui dissimulata pattuizione è quella che ha effetto tra le parti (art. 1414, secondo comma, c.c. [457]). Pertanto essi, qualora facciano offerta del prezzo simulato senza integrarla nel termine suddetto, incorrono nella sanzione della decadenza anche nel caso di ignoranza della simulazione, data l’irrilevanza di tale stato soggettivo in una situazione in cui essi sono subentrati al posto del venditore defunto [458].

Per altra pronuncia [459], sempre in tema di prezzo simulato, allorquando nel contratto di compravendita con patto di riscatto sia stato simulatamente dichiarato un prezzo inferiore a quello pattuito e corrisposto, gli eredi del venditore per esercitare validamente il diritto di riscatto ed evitare la decadenza da esso, devono corrispondere o, comunque, offrire al compratore, nel termine fissato, il prezzo effettivamente ricevuto e non quello simulato senza che al riguardo derivi al compratore un onere di informare della reale entità del prezzo gli eredi del venditore, non potendo questi ultimi invocare l’ignoranza della simulazione, data l’irrilevanza di tale stato soggettivo in una situazione nella quale essi sono subentrati al posto del venditore.

Infine, sul diritto di ritenzione, previsto all’ultimo comma dell’art. 1502 c.c., la Corte di legittimità[460] con una pronuncia non molto recente ha stabilito che in caso di vendita con patto di riscatto, lo ius retentionis è soltanto un mezzo di tutela, che importa, a favore del creditore, il potere di rifiutare la consegna della cosa dovuta fino al pagamento del credito, non già un diritto di godimento che abbia per conseguenza il potere di trarre profitto della cosa ritenuta, col farne propri i frutti senza renderne conto.

Poiché la vendita con patto di riscatto s’inquadra nello schema giuridico di un contratto sottoposto a condizione risolutiva, l’esercizio del riscatto da parte del venditore importa la risoluzione ex tunc della vendita, sempre che sussistano le condizioni stabilite dalla legge e dal contratto; conseguentemente, il compratore è tenuto a restituire i frutti fin dal momento in cui è idoneamente avvenuta la manifestazione di volontà da parte del venditore e non già dal momento successivo nel quale al patto viene data esecuzione mediante il rimborso del prezzo e degli accessori dovuti.

L’inattività del venditore che intenda riscattare, quando sia, dopo la manifestazione di volontà del riscatto, prolungata per lungo periodo di tempo, può importare, a norma dell’abrogato c.c. del 1865, decadenza dal diritto di riscatto, soltanto a condizione che il giudice, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione, ritenga di essere di fronte a circostanze tali da indurre a credere che la volontà di riscatto sia stata soltanto ostentata senza alcuna serietà e possibilità di tradurla in atto. Nella vendita con patto di riscatto, il giudizio del magistrato di merito sulla serietà dell’intenzione di esercitare il riscatto e sulla possibilità, da parte del riscattante, di attuarla, costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato.

11)     Finzione di avveramento del riscatto

Qualora l’esercizio del riscatto sia impedito per causa imputabile al compratore, deve ritenersi applicabile, quanto meno per analogia, l’art. 1359 c.c., norma che prevede la finzione di avveramento della condizione.

Se, ad es., il compratore ricorre ad artifizi idonei ad evitare che gli venga comunicata tempestivamente la dichiarazione di riscatto, si debbono considerare verificati egualmente gli effetti del ricatto stesso, ma, come ha avvertito la Cassazione, occorre che il venditore abbia adempiuto a tutti quegli oneri rispetto ai quali il comportamento del compratore non abbia spiegato alcuna influenza.

12)       Effetti fra le parti successivi al riscatto

art. 1505 c.c.  diritti costituiti dal compratore sulla cosa:

Il venditore che ha legittimamente esercitato il diritto di riscatto riprende la cosa esente dai pesi e dalle ipoteche da cui sia stata gravata; ma è tenuto a mantenere le locazioni [461] fatte senza frode, purché abbiano data certa e siano state convenute per un tempo non superiore ai 3 anni.

 

art. 1604  c.c.   vendita della cosa locata con patto di riscatto

Il compratore con patto di riscatto non può esercitare la facoltà di licenziare il conduttore fino a che il suo acquisto non sia divenuto irrevocabile con la scadenza del termine fissato per il riscatto.

Autorevole autore [462] – ha precisato che, per effetto dell’atto di riscatto, si verifica un ripristino della posizione di diritto in cui il venditore si trovava rispetto alla cosa al momento della conclusione del contratto.

Si verificherebbe, cioè, un riacquisto (da parte del riscattante/originario venditore) del diritto alienato; riacquisto che non consiste, però, in un ritrasferimento, bensì in un ritorno del diritto al medesimo titolo d’acquisto iniziale e nei limiti di tale titolo.

Questo inquadramento ha rilievo anche per la comunione legale fra i coniugi [463], perché, per la normale retroattività del riscatto, il bene riscattato conserva la natura personale che, eventualmente aveva al momento della conclusione del contratto.

13)       Opponibilità ai terzi

art. 1504 c.c.  effetti del riscatto rispetto ai terzi

Il venditore che ha legittimamente esercitato il diritto di riscatto nei confronti del compratore può ottenere il rilascio della cosa anche dai successivi acquirenti, purché il patto sia ad essi opponibile (trascrizione).

Se l’alienazione è stata notificata al venditore, il riscatto deve essere esercitato nei confronti del terzo acquirente

L’inopponibilità consegue

a)         per i beni mobili: all’eventuale acquisto ex art. 1153 c.c.

b)        per i beni immobili: alla posteriorità della trascrizione della dichiarazione di riscatto rispetto alla trascrizione dell’atto di acquisto da parte del terzo, purché siano trascorsi 60 giorni dalla scadenza del termine per l’esercizio del riscatto.

Per la Cassazione [464] nella vendita con patto di riscatto, la disposizione del secondo comma dell’art. 1504 c.c. secondo cui, in caso di successive alienazioni della cosa, il riscatto dev’essere esercitato nei confronti del terzo acquirente se l’alienazione è stata notificata al venditore, non preclude l’esercizio del riscatto direttamente nei confronti del terzo acquirente nel caso in cui il venditore sia venuto a conoscenza della subalienazione attraverso un mezzo diverso dalla notificazione prevista da detta norma. La portata della disposizione in esame, infatti, in coerenza con la natura reale dell’istituto e i principi informatori di esso, è quella di tradurre in obbligo ciò che, in mancanza della notificazione, sarebbe stata semplice facoltà del venditore.

14)     Figure affini e quelle vietate

 

a)        La vendita fiduciaria a scopo di garanzia

Per la S.C. [465] la vendita fiduciaria a scopo di garanzia si distingue dalla vendita con patto di riscatto dissimulante un mutuo con patto commissorio perché nel negozio fiduciario la proprietà si trasferisce al compratore che, però, assume l’obbligo, derivante dal patto interno ad efficacia meramente obbligatoria, di ritrasferire il bene al venditore se questi estinguerà il debito garantito, mentre nel negozio simulato, pur essendo apparentemente convenuto il trasferimento immediato della proprietà (sottoposto a condizione risolutiva a favore del venditore che voglia riprendere la cosa mediante la tempestiva restituzione del prezzo), le parti concordano in concreto, ponendo in essere un patto commissorio, che il compratore–creditore diverrà proprietario dell’immobile solo se il debitore non adempierà il suo debito nel termine stabilito. Data la nullità di tale patto, la prova di siffatta simulazione può essere data con testimoni e presunzioni anche inter partes.

b)        Pactum de retrovendendo

Ha carattere puramente obbligatorio e non reale, con cui l’acquirente si obbliga a rivendere all’alienante il bene a date condizioni.

Questo patto non può essere trascritto, e non è così opponibile ai terzi subacquirenti.

 

c)        Pactum de retroemendo (patto di ricompra)

Obbliga il venditore a riacquistare il bene a richiesta del compratore, il quale decide  di acquistare un altro bene dallo stesso venditore o da un terzo

d)        Pactum displicentiae o recesso con caparra penitenziale

[466]

 

Con cui le parti stabiliscono che ciascuna di esse potrà recedere dal contratto perdendo la caparra prestata o restituendo il doppio di quella ricevuta.

Ma la differenza con la vendita con diritto di riscatto è chiara: il recesso è possibile solo nella fase in cui il contratto non sia stato ancora eseguito, neppure per quanto riguarda il trasferimento del diritto; il riscatto, invece, agisce sul contratto integralmente eseguito.

Se, poi, il patto fosse destinato ad operare dopo il trasferimento del bene, si tratterrebbe, in realtà, di un vero e proprio riscatto e sarà applicabile la disciplina restrittiva prevista agli artt. 1500 e ss.

Si considerano fatte con frode e perciò in opponibili al venditore riscattante le locazioni intenzionalmente concluse tra compratore e terzo allo scopo di pregiudicare l’interesse del venditore alla libera disponibilità ed al pieno godimento della cosa dopo il riscatto.

Si presume conclusa in frode dell’alienante la locazione stipulata allo scadere del termine per il riscatto.

 

e)        In merito, poi, alle finalità di garanzia (patto commissorio)

 

 art. 2744 c.c.  divieto del patto commissorio

E’ nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno.

 

Per una pronuncia della Cassazione [467] con riferimento al divieto del patto commissorio, posto che qualunque negozio sia stato posto in essere, anche se astrattamente lecito, nondimeno è colpito da nullità, perché in frode alla legge, quando le parti abbiano voluto conseguire i risultati proibiti dalla norma di cui all’art. 2744 c.c., è nulla la vendita con patto di riscatto con esclusiva finalità di garanzia.

Mentre, in precedenza, altra Cassazione [468] in tema ebbe modo di affermare che la vendita con patto di riscatto o de retrovendendo, ex art. 1500 c.c., anche se stipulata a scopo di garanzia, sempreché sia vera e reale, non incorre nella sanzione di nullità stabilita per il patto commissorio vietato dagli artt. 1963, 2744 c.c., stante la strutturale non assimilabilità al patto commissorio (che determina l’effetto traslativo in danno del debitore, in dipendenza e in conseguenza, anche cronologica, del suo inadempimento) del patto di riscatto che attribuisce al venditore soltanto il potere di conseguire a pena di decadenza nel termine e con le modalità fissate dalla legge — il riacquisto del bene, ma prescinde da qualsiasi incidenza sull’effetto reale della vendita, che avviene immediatamente e direttamente per effetto del solo consenso dei contraenti ex art. 1376 c.c., indipendentemente dal mancato esercizio del riscatto. Né, d’altra parte, lo scopo di garanzia può, di per sé, determinare la nullità della vendita con patto di riscatto sotto il profilo della illiceità del motivo ai sensi dell’art. 1345 o del negozio in frode alla legge ex art. 1344 c.c.

Ma con altra successiva pronuncia la Cassazione [469], ha statuito categoricamente che il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., si applica anche alle alienazioni in garanzia risolutivamente condizionate. In altre parole è nulla la vendita con patto di riscatto, quando il trasferimento della proprietà, solo in apparenza immediato, è stato voluto allo scopo di garantire l’adempimento di un’obbligazione, avendo avuto le parti il reale intento di attribuire irrevocabilmente il bene al creditore soltanto in caso di inadempienza del debitore.

Da ultimo [470] la medesima Corte ha affermato che è senza dubbio corretto affermare che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita stipulata fra un debitore ed un creditore nell’intento di costituire una garanzia con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore in caso di inadempienza del debitore, pur non integrando direttamente un patto commissorio di cui all’articolo 2744 c.c., configura un mezzo per eludere tale norma imperativa e, quindi, esprime una causa illecita.

Sempre per ultima Cassazione [471], invece, va esclusa la violazione del divieto del patto commissorio in caso di mancanza di prova del mutuo, oppure qualora la vendita sia pattuita allo scopo, non già di garantire l’adempimento di un’obbligazione con riguardo all’eventualità non ancora verificatasi che rimanga inadempiuta, ma di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto o, infine, quando manchi l’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito che viene a contrarre. Sicché, va esclusa la sussistenza dei presupposti finalizzati alla configurabilità del patto commissorio; peraltro, il divieto di tale patto non è applicabile allorquando la titolarità del bene passi all’acquirente con l’obbligo di ritrasferimento al venditore se costui provvederà all’esatto adempimento.

Ancora per ultima Cassazione [472] ciò che assume rilievo, pertanto, ai fini dell’operatività del divieto, è il profilo funzionale dell’operazione, nel senso che l’assetto d’interessi risultante dalle pattuizioni intervenute tra le parti dev’essere tale da far ritenere che il meccanismo negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento del bene al creditore sia effettivamente collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, restando invece irrilevanti la natura obbligatoria, traslativa o reale del contratto attraverso il quale si realizza il predetto intento, il momento in cui l’effetto traslativo è destinato a realizzarsi, lo strumento negoziale destinato alla sua attuazione e la stessa identità delle parti che abbiano posto in essere i negozi preordinati al conseguimento del predetto risultato: al di fuori dell’ipotesi tipica contemplata dall’art. 2744 cod. civ., caratterizzata dalla costituzione in garanzia di un bene di cui il creditore è destinato ad acquistare automaticamente la proprietà in caso d’inadempimento, l’operatività del divieto è infatti subordinata alla configurabilità del negozio come mezzo per eludere tale norma imperativa, e quindi all’accertamento di una causa illecita, tale da rendere applicabile la sanzione di cui all’art. 1344 cod. civ. [473].

In quest’ottica, pur non integrando direttamente un patto commissorio, anche la vendita con patto di riscatto o di retrovendita può rappresentare un mezzo per sottrarsi all’applicazione del relativo divieto, ogni qualvolta il versamento del prezzo da parte del compratore non si configuri come corrispettivo dovuto per l’acquisto della proprietà, ma come erogazione di un mutuo, rispetto al quale il trasferimento del bene risponda alla sola finalità di costituire una posizione di garanzia provvisoria, capace di evolversi in maniera diversa a seconda che il debitore adempia o meno l’obbligo di restituire le somme ricevute [474].

Principio ripreso anche da ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 novembre 2015, n. 23670

secondo la quale, appunto, una vendita stipulata con patto di riscatto o di retrovendita è nulla se il versamento del denaro da parte del compratore non costituisca il pagamento del prezzo, ma l’adempimento di un mutuo, ed il trasferimento del bene serva solo a porre in essere una transitoria situazione di garanzia, destinata a venir meno, con effetti diversi a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che una siffatta vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio, costituisce un mezzo per eludere il divieto posto dall’articolo 2744 cod. civ., e la sua causa illecita ne determina l’invalidità ai sensi degli articoli 1343 e 1418 cod. civ. (Cass. 16953 del 20/06/2008).

In definitiva anche un contratto preliminare di compravendita con patto di riscatto [475] può dissimulare un mutuo con patto commissorio, ancorché non sia previsto il passaggio immediato del possesso del bene promesso in vendita, nel caso in cui la promessa di vendita garantisca la restituzione, entro il termine previsto per l’esercizio del riscatto, della somma precedentemente o coevamente mututata dal promittente compratore e se risultino, quindi, provati sia la stipulazione di un contratto di mutuo preesistente o coevo al contratto preliminare sia il nesso di strumentalità tra i due negozi.

 

f)         Sale and lease back

Ottima disamina in merito alle differenze e le similitudini tra i due istituti viene fornita da una pronuncia della Cassazione[476] secondo la quale il contratto di “sale and lease back” si configura secondo uno schema negoziale, socialmente tipico (in quanto frequentemente applicato, sia in Italia che all’estero, nella pratica degli affari), caratterizzato da una specificità tanto di struttura quanto di funzione (e, quindi, da originalità e autonomia rispetto ai “tipi” negoziali codificati), e concretamente attuato attraverso il collegamento tra un contratto di vendita di un proprio bene di natura strumentale da parte di un’impresa (o di un lavoratore autonomo) ad una società di finanziamento che, a sua volta, lo concede contestualmente in “leasing” all’alienante il quale corrisponde, dal suo canto, un canone di utilizzazione con facoltà, alla scadenza del contratto, di riacquistarne la proprietà esercitando un diritto di opzione per un predeterminato prezzo. Manca, pertanto, nella fattispecie negoziale “de qua” quella trilateralità propria del leasing, potendo essere due (e soltanto due) i soggetti dell’operazione finanziaria (e, conseguentemente, le parti del contratto), in quanto l’imprenditore assume la duplice veste del fornitore–venditore e dell’utilizzatore, secondo un procedimento non diverso da quello dell’antico costituto possessorio. Ne consegue che il negozio di sale and lease back viola la ratio del divieto del patto commissorio, al pari di qualunque altra fattispecie di collegamento negoziale, sol che (e tutte le volte che) il debitore, allo scopo di garantire al creditore l’adempimento dell’obbligazione, trasferisca a garanzia del creditore stesso un proprio bene riservandosi la possibilità di riacquistarne il diritto dominicale all’esito dell’adempimento dell’obbligazione, senza, peraltro, prevedere alcuna facoltà, in caso di inadempimento, di recuperare l’eventuale eccedenza di valore del bene rispetto all’ammontare del credito, con un adattamento funzionale dello scopo di garanzia del tutto incompatibile con la struttura e la “ratio” del contratto di compravendita, mentre l’esistenza di una concreta causa negoziale di scambio (che può riguardare, o meno, tanto il “sale and lease back” quanto lo stesso leasing finanziario) esclude in radice la configurabilità del patto vietato (nell’affermare il principio di diritto che precede la Corte Suprema ha, con riferimento alla fattispecie concreta, ritenuto l’esistenza di un patto commissorio celato sotto le vesti del leasing finanziario, con esclusione della fattispecie del sale and lease back – pur predicata dalla corte di merito – atteso il carattere trilatero del contratto stipulato dalle parti e rilevata altresì l’indiscutibile esistenza di un collegamento negoziale tra gli atti di compravendita, fideiussione, accensione di ipoteca e locazione finanziaria nella specie intervenuti).

Sul punto è tornata nuovamente la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 28 gennaio 2015, n. 1625

riaffermando che lo schema socialmente tipico del lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e soggettiva che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie che, in quanto realizzi una alienazione a scopo di garanzia, si risolva in un negozio atipico nullo per illiceita’ della causa concreta (Cass. 22 marzo 2007, n. 6969; 14 marzo 2006, n. 5438, ed altre).

Peraltro, la causa concreta del contratto di sale and lease back ben puo’ essere piegata al fine illecito vietato dall’articolo 2744 c.c., il quale costituisce una norma materiale, destinata a trovare applicazione non soltanto in relazione alle alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate all’inadempimento del debitore, ma anche a quelle immediatamente traslative e risolutivamente condizionate all’adempimento del debitore (Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1611, e successive, quale, fra le altre, 16 ottobre 1995, n. 10805, 19 luglio 1997, n. 6663 e 2 febbraio 2006, n. 2285), esprimendo essa un divieto di risultato.

Si e’ altresi’ precisato (Cass. 26 giugno 2001, n. 874; 19 luglio 1997, n. 6663) che la verifica se lo schema negoziale del lease back sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio va operata dal giudice del merito in base ad elementi sintomatici sia soggettivi che oggettivi, i quali non sono sindacabili in sede di legittimita’, se non nell’ambito del controllo sulla motivazione.

L’effetto di piegare un negozio lecito al raggiungimento di un risultato contrario alla norma imperativa dipende, pertanto, dalle circostanze del caso concreto e dalle clausole negoziali presenti nell’accordo, fondandosi su tali elementi di fatto la corretta qualificazione della fattispecie. Occorrera’ la ravvisabilita’ di un nesso funzionale, che renda manifesto l’intento negoziale complessivo delle parti; ma l’individuazione della causa concreta del negozio, ai fini della valutazione della sua liceita’ alla luce del complessivo regolamento d’interessi perseguito, appartiene alla sfera di competenze riservate al giudice del merito, sindacabile solo per vizio di motivazione.

15)       Riscatto contro gli eredi del compratore    

 

art. 1509 c.c.  riscatto contro gli eredi del compratore

Qualora il compratore abbia lasciato più eredi, il diritto di riscatto si può esercitare contro ciascuno di essi solo per la parte che gli spetta anche quando la cosa venduta e tuttora indivisa.

Se l’eredità è stata divisa e la cosa venduta è stata assegnata a uno degli eredi, il diritto di riscatto non può esercitarsi contro di lui che per la totalità.

La disciplina esposta si ritiene applicabile, in via d’interpretazione estensiva, anche all’ipotesi in cui all’acquirente con patto di riscatto succedano, inter vivos, più soggetti.

 

16)     Vendita con patto di riscatto di una cosa in comunione

[477]

Vendita congiuntiva di una cosa indivisa

art. 1507 c.c.   vendita congiuntiva di una cosa indivisa

Se più persone hanno venduto congiuntamente, mediante un solo contratto, una cosa indivisa, ciascuna può esercitare il diritto di riscatto solo sopra la quota che le spettava.

La medesima disposizione si osserva se il venditore ha lasciato più eredi.

Il compratore nei casi sopra espressi, può esigere che tutti i venditori o tutti i coeredi esercitino congiuntamente il diritto di riscatto dell’intera cosa; se essi non si accordano, il riscatto può esercitarsi soltanto da parte di colui o di coloro che offrono di riscattare la cosa per intero.

 

 Vendita separata di una cosa indivisa

art. 1508 c.c.   vendita separata di cosa indivisa

Se i comproprietari di una cosa non l’hanno venduta congiuntamente e per intero, ma ciascuno ha venduto la sola sua quota, essi possono separatamente esercitare il diritto di riscatto sopra la quota che loro spettava, e il compratore non può valersi della facoltà prevista dall’ultimo comma dell’articolo precedente.

 

 

Vendita di parte indivisa di una cosa

art. 1506 c.c.   riscatto di parte indivisa

In caso di vendita con patto di riscatto di una parte indivisa di una cosa, il comproprietario che chiede la divisione (può essere lo stesso compratore) deve proporre la domanda anche in confronto del venditore (litisconsortio necessario).

Se la cosa non è comodamente divisibile e si fa luogo all’incanto, il venditore che non ha esercitato il riscatto anteriormente all’aggiudicazione decade da tale diritto, anche se aggiudicatario sia lo stesso compratore.

 

 

Se per effetto della divisione, tutta la cosa sia stata assegnata al compratore con patto di riscatto, il venditore (originario), esercitando il riscatto, determinerà nuovamente la comunione ridiventando titolare della sua quota.

La ratio della disciplina del 2 co è quella di evitare che il riscatto possa essere esercitato nei confronti dell’aggiudicatario e quindi possa creare una comproprietà, atteso che questo pericolo finirebbe per determinare un deprezzamento della cosa venduta all’asta.

Per questo motivo è invece possibile esercitare il riscatto pur dopo la divisione in natura, perché allora esso avrà come termine di riferimento oggettivo la porzione di cosa assegnata al compratore.

2) LA VENDITA DI COSE MOBILI

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili – 1510 – 1536

 

A)          DISPOSIZIONI GENERALI

 

1)       Consegna

 

art. 1510 c.c.  luogo della consegna

In mancanza di patto o di uso contrario, la consegna della cosa deve avvenire nel luogo dove questa si trova al tempo della vendita, se le parti non erano a conoscenza, ovvero nel luogo ove il venditore aveva il suo domicilio o la sede dell’impresa.

 

2)          Deposito

Potere di autotutela, ma il compratore non è senza difesa, perché potrà, successivamente, richiedere in giudizio che sia dichiarato inefficace l’atto di deposito per mancanza di presupposti.

art. 1514  c.c.   deposito della cosa venduta

Se il compratore non si presenta per ricevere la cosa acquistata, il venditore può depositarla, per conto e a spese del compratore medesimo, in un locale di pubblico deposito, oppure in altro locale idoneo determinato dal tribunale del luogo, in cui la consegna doveva essere fatta.

Il venditore deve dare al compratore pronta notizia del deposito eseguito.

Secondo una prima pronuncia della Corte di Cassazione l’art. 1514 c.c. è applicabile in tutti i casi in cui il compratore non abbia ricevuto la cosa, a prescindere dalla circostanza che ciò sia avvenuto per fatto a lui imputabile ovvero per fatto indipendente dalla sua volontà [478].

Successivamente è stato disposto [479] che la norma dell’art. 1514 c.c. presuppone che non sia stata ancora effettuata la consegna della cosa venduta pertanto, detta norma non trova applicazione allorquando la consegna sia già avvenuta ed il fatto del compratore consista nel ritardo o nel rifiuto di ritirare la cosa dal luogo in cui essa e stata posta a sua disposizione.

Il procedimento

Il procedimento previsto dall’art. 1514 c.c. dev’essere adottato dal venditore soltanto se egli intenda ottenere rapidamente la liberazione dall’obbligazione di consegnare la cosa venduta e pertanto, ove non abbia interesse a detta liberazione ma preferisca soltanto fare escludere la propria inadempienza, è sufficiente l’offerta da parte sua della propria prestazione a norma degli artt. 1206 e seguenti c.c.; pertanto nel caso di mancata liberazione dall’obbligazione di consegnare la cosa venduta per il mancato esperimento del predetto procedimento da parte del venditore resta impregiudicato il giudizio circa la qualità di parte adempiente o inadempiente del venditore medesimo [480].

 

Efficacia del deposito

Il trasferimento delle cose mobili vendute in un locale di pubblico deposito, qualora il compratore non si sia presentato a riceverle, costituisce, a norma dell’art. 1514 c.c., una facoltà del venditore, dal cui mancato esercizio non deriva, al venditore medesimo, alcuna conseguenza pregiudizievole in ordine al diritto di pretendere il corrispettivo dal compratore [481].

 

In caso d’inadempimento, la parte adempiente può scegliere tra la risoluzione del contratto e   la sua esecuzione coattiva.

 

3)          Vendita in danno

 forma di autotutela [482]  si tratta di una forma di esecuzione forzata [483].

a)          inadempiente è il compratore

art. 1515 c.c.  esecuzione coattiva per inadempimento del compratore

 Se il compratore non adempie l’obbligazione di pagare il prezzo, il venditore può far vendere senza ritardo la cosa  per conto e a spese di lui.

La vendita è fatta all’incanto a mezzo di una persona autorizzata a tali atti o, in mancanza di essa nel luogo in cui la vendita deve essere eseguita, a mezzo di un ufficiale giudiziario. Il venditore deve dare tempestiva notizia al compratore del giorno, del luogo, e dell’ora in cui la vendita sarà eseguita.

Se la cosa ha un prezzo corrente, stabilito per atto della pubblica autorità (o da norme corporative), ovvero risultante da listini di borsa o da mercuriali, la vendita può essere fatta senza incanto, al prezzo corrente, a mezzo delle persone indicate nel comma precedente o di un commissario nominato dal tribunale. In tal caso il venditore deve dare al compratore pronta notizia della vendita.

Il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto e il ricavo netto della vendita, oltre al risarcimento del maggior danno (1536, 1551, 1686).

 

La finalità della norma dell’art. 1515 c.c., per cui il venditore, nell’informare il compratore della vendita da effettuarsi per conto e a spese di questi, deve, sotto obbligo del risarcimento dei danni (e non a pena di efficacia della vendita), indicare il luogo in cui si eseguirà la vendita, deve ritenersi ugualmente raggiunta quando l’interessato abbia avuto altrimenti notizia della località in cui le operazioni indicate vengono effettuate [484].

 

La vendita libera

Nel contratto di compravendita va riconosciuto accanto all’istituto della rivendita per conto del compratore che abbia già acquistato la proprietà della cosa (art. 1515 c.c.), la legittimità della cosiddetta rivendita libera da parte del venditore il quale, nel diverso caso in cui il compratore non sia divenuto ancora proprietario della cosa, non è obbligato a tenere questa presso di sé per tutta la durata della causa intentata contro il compratore inadempiente, ma, durante lo svolgimento di essa, può liberamente rivenderla ad altri per proprio conto, esercitando una facoltà che gli compete e che non può essere contestata dal compratore [485].

Sul venditore che — nel caso di inadempimento all’obbligo di ricevere la merce del compratore (o di pagare il prezzo) — si sia avvalso della pattuita facoltà di rivendere «al meglio» la merce a trattativa privata, senza l’osservanza delle formalità previste dall’art. 1515 c.c., incombe, qualora si controverta sulla congruità del prezzo praticato, quanto meno di allegare i prezzi praticati nella zona nel giorno (o nei giorni precedenti o successivi della vendita) onde consentire alla controparte di dimostrare che il prezzo in concreto praticato non era «il migliore possibile», dovendo in ogni caso provare che il prezzo in concreto praticato corrisponde a quello da lui indicato, in quanto l’entità del ricavo netto della vendita costituisce l’elemento fondamentale per la determinazione del danno, costituito dalla differenza tra il prezzo convenuto ed il ricavo netto della rivendita [486].

 

 

b)          inadempiente è il venditore

 

art. 1516 c.c.   esecuzione coattiva per inadempimento del venditore

Se la vendita ha per oggetto cose fungibili che hanno un prezzo corrente a norma del terzo co. dell’art. precedente, e il venditore non adempie la sua obbligazione, il compratore può far acquistare senza ritardo le cose, a spese del venditore, a mezzo di una delle persone indicate   nel secondo e terzo co. dell’art. precedente. Dell’acquisto il compratore deve dare pronta notizia al venditore.

Il compratore ha diritto alla differenza tra l’ammontare della spesa occorsa per l’acquisto e il prezzo convenuto, oltre al risarcimento del maggior danno (1223,1536, 1551).

 

 

La c.d. compera in danno

Perché si abbia compera in danno si richiede la mora del venditore, ma non è necessaria la costituzione in mora quando un termine sia fissato per l’esecuzione del contratto e la consegna debba essere eseguita ad iniziativa esclusiva del venditore, in luogo diverso dal suo domicilio e senza necessità di collaborazione attiva del compratore [487].

Nel caso d’inadempimento, da parte del venditore, di un contratto di compravendita di cose fungibili aventi un prezzo corrente a norma del terzo comma dell’art. 1515 c.c., l’accertamento — ai fini della valutazione della tempestività dell’esercizio, da parte del compratore, della facoltà (compera in danno del venditore) accordatagli dal primo comma dell’art. 1516 c.c. — dell’epoca in cui il compratore medesimo abbia avuto la certezza dell’inadempimento della controparte, col conseguente onere di procurarsi altrove la merce, si risolve in un apprezzamento di fatto, che, in sede di legittimità, non è validamente censurabile con la mera enunciazione di un convincimento diverso [488].

Il compratore di cose fungibili, il quale si avvalga della facoltà di procedere alla compera in danno del venditore disciplinata dall’art. 1516 c.c., può ottenere dall’inadempiente la differenza tra l’ammontare della spesa occorsa per l’acquisto ed il prezzo convenuto, mentre, qualora non si avvalga di tale facoltà, come nel caso in cui acquisti direttamente da un terzo le cose non consegnategli, al di fuori dei modi e delle forme di cui alla citata norma, per limitare le conseguenze dell’altrui inadempimento, può esperire ordinaria azione risarcitoria, soggetta alle comuni regole operanti in materia (e quindi sottratta ai limiti di cui al terzo comma del medesimo art. 1516 c.c.) [489].

 

 

Differenza di prezzo e risarcimento del danno

In merito al II comma dell’art. 1516 c.c. ovvero il diritto alla differenza di prezzo in favore dell’acquirente per la compera in danno, per la Cassazione [490] non attiene ad un mero rimborso di spese, così da costituire un titolo distinto dal risarcimento del maggior danno riconosciuto all’acquirente stesso da detta disposizione, ma ha anche esso (al pari dell’analogo diritto spettante al venditore, in base all’ultimo comma del precedente art. 1515 c.c., per la vendita in danno) contenuto risarcitorio, correlato alla perdita della maggior somma impiegata per procurarsi la cosa oggetto del contratto ineseguito.

Consegue che il giudice non può liquidare tale differenza di prezzo e rinviare a separato giudizio la liquidazione del maggior danno, non essendo consentito scindere il giudizio sul quantum, di modo che la determinazione della quantità della prestazione risarcitoria dovuta, abbia luogo per una parte in un processo e per l’altra in un secondo distinto processo.

 

4)          Risoluzione di diritto

art. 1517  c.c.   risoluzione di diritto

La risoluzione ha luogo di diritto a favore del contraente  che,  prima della scadenza del termine stabilito, abbia offerto all’altro, nelle forme di uso, la consegna della cosa o il pagamento del prezzo, se l’altra parte non adempie la propria obbligazione.

La risoluzione di diritto ha luogo pure a favore del venditore, se, alla scadenza del termine stabilito per la consegna, il compratore, la cui obbligazione di pagare il prezzo non sia scaduta, non si presenta per ricevere la cosa preventivamente offerta, ovvero non l’accetta.

Il contraente che intende valersi della risoluzione disposta dal presente articolo deve darne comunicazione all’altra parte entro 8 giorni dalla scadenza del termine, in mancanza di tale comunicazione, si osservano le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento. 

art. 1518 c.c.  normale determinazione del risarcimento

Se la vendita ha per oggetto una cosa che ha un prezzo corrente a norma del terzo comma dell’art. 1515, e il contratto si risolve per l’inadempimento di una delle parti, il risarcimento è costituito dalla differenza tra il prezzo convenuto e quello corrente nel luogo e nel giorno in cui si doveva fare la consegna, salva la prova di un maggior danno.

Nella vendita a esecuzione periodica, la liquidazione del danno si determina sulla base dei prezzi correnti nel luogo e nel giorno fissati per le singole consegne.

La presente norma riguarda esclusivamente il risarcimento dovuto in caso di risoluzione della vendita per inadempimento, e non trova materia di applicazione nel caso in cui sia eseguito l’adempimento coattivo, e si invochi quindi unicamente l’applicazione dell’art. 1516 c.c.[491]

L’art. 1518 c.c. contiene un criterio per la liquidazione del danno da inadempimento delle obbligazioni nascenti dalla compravendita di cose che abbiano un prezzo corrente, a norma dell’art. 1515 comma terzo c.c., dispensando la parte adempiente dall’onere della prova del pregiudizio subito.

Detta norma ha carattere eccezionale perché deroga ai normali criteri di liquidazione del danno ex art. 1223 c.c., ai quali, pertanto, deve farsi ricorso quando la cosa compravenduta non sia sussumibile nell’elenco di quelle indicate dall’art. 1515 comma terzo, c.c. al quale l’art. 1518 c.c. rinvia[492].

La presunzione del danno

Il danno da mancato guadagno per inadempimento del compratore, in favore del venditore di beni mobili che eserciti a scopo di lucro il commercio dei medesimi, va presunto sino a prova contraria, indipendentemente dal fatto che il bene oggetto della compravendita sia stato destinato dal venditore ad altri acquirenti, e deve essere liquidato dal giudice con equo apprezzamento di tutte le circostanze del caso, secondo una ricostruzione ideale degli utili che il venditore stesso avrebbe potuto ragionevolmente conseguire dalla normale esecuzione del contratto. (Nella specie, la S.C.[493], enunciando il surriportato principio, ha cassato la decisione del giudice del merito che aveva ritenuto la risarcibilità del lucro cessante all’impresa venditrice subordinata all’esistenza di una differenza tra il prezzo pattuito con il compratore inadempiente e quello effettivo di vendita al terzo).

In caso di inadempimento dell’acquirente, il danno da mancato guadagno dell’alienante, esercente professionalmente la vendita di beni mobili, non va escluso “a priori” e può essere liquidato in via equitativa, indipendentemente dalla prova che le merci siano rimaste invendute, dovendosi considerare che l’impresa venditrice, tanto se commerciante, quanto se produttrice, ha la possibilità, entro certi limiti, di aumentare la produzione e i rifornimenti, e che tale aumento è impedito dalla mancata esecuzione del contratto[494].

Ulteriormente, precedentemente da altra sentenza della Cassazione[495], è stato confermato che per l’applicazione della regola in tema di risarcimento del danno da inadempienza contrattuale nella vendita di cose che abbiano un prezzo risultante, tra l’altro, da mercuriali – ipotesi in cui il risarcimento è costituito dalla differenza tra il prezzo convenuto e quello corrente nel luogo e nel giorno in cui la consegna doveva essere effettuata – è sufficiente che si raggiunga la giudiziale certezza sull’esistenza delle mercuriali e sul loro contenuto, anche se questi documenti non vengono prodotti in giudizio, potendo i relativi elementi di fatto desumersi anche da una certificazione della camera di commercio, la cui interpretazione appartiene al giudice del merito, il convincimento del quale non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione logica e giuridica.

5)          La restituzione di cose non pagate

art. 1519 c.c.     restituzione di cose non pagate

(1 – A condizione)  Se  la vendita è stata fatta senza dilazione per il pagamento del prezzo, il venditore, in mancanza di pagamento, può riprendere il possesso delle cose vendute, (2 – A condizione) finché queste si trovano presso il compratore  (1156), (3 – A condizione) purché la domanda sia proposta entro quindici giorni dalla consegna (4 – A condizione) e  le cose si trovino nello stato in cui erano al tempo della consegna stessa.

Il diritto di riprendere il possesso delle cose non si può esercitare in pregiudizio dei privilegi previsti dagli artt. 2764 e 2765, salvo che si provi che il creditore, al tempo della introduzione di esse nella casa o nel fondo locato ovvero nel fondo concesso a mezzadria o a colonia, conosceva che il prezzo era ancora dovuto.

La disposizione del comma precedente si applica anche a favore dei creditori del compratore che abbiano sequestrato o pignorato le cose, a meno che si provi che essi, al momento del sequestro o del pignoramento, conoscevano che il prezzo era ancora dovuto.

L’art. 1519 c.c. concernente la costituzione delle cose non pagate, non prevede alcune rivendicazioni o risoluzioni né, tantomeno, una utilis rei vendicatio, ma contempla solo la possibilità che il venditore eserciti, qualora ricorrano i presupposti in esso menzionati, un’azione personale per ottenere dal compratore o da chi per lui, la restituzione del possesso dei mobili venduti e non pagati, al fine di poter esercitare sui medesimi il diritto di estensione a garanzia del pagamento del prezzo [496].

In caso di fallimento, ad esempio, qualora sia intervenuta una sentenza non passata in giudicato che condanna il compratore fallito dopo l’assegnazione della causa in decisione alla restituzione delle cose mobili consegnategli, in accoglimento della domanda tempestivamente proposta dal venditore a norma dell’art. 1519 c.c., e deve impugnare la sentenza, nel caso che il giudice delegato non intenda ammettere al passivo quel credito di restituzione. Il curatore che proponga impugnazione, tuttavia, può limitarsi a contestare la sussistenza delle condizioni di accoglimento della domanda, riservandosi di far valere le ragioni che, a suo avviso, precludono l’esercizio del diritto di restituzione nei confronti del fallimento, nel giudizio di opposizione promosso dal creditore contro il provvedimento di diniego di ammissione del suo credito al passivo, senza incorrere nell’eccezione di giudicato in ordine alla domanda di restituzione [497].

B)          ALCUNE TIPOLOGIE

1)          Vendita con trasporto (vendita piazza a piazza)

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti –    Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili – 1510 – 1511

Il suo connotato consiste, dunque, nel fatto che, accanto al rapporto di vendita, s’inserisce, pur restandone indipendente, un contratto di trasporto, del quali sono parti soltanto il venditore ed il vettore, mentre ne rimane estraneo il compratore.

Se, ad es., Tizio, che ha venduto a Caio 100 quintali di grano, non avendo mezzi per trasportarli al domicilio del compratore, può incaricare del trasporto la ditta Alfa.

Il compratore oltre ai diritti derivanti dal contratto di trasporto o spedizione, acquisisce, con la consegna al vettore, pure  i diritti derivanti dal contratto di assicurazione che vi sia stato eventualmente stipulato dal venditore a copertura dei rischi del trasporto.

Nella compravendita di cose mobili da trasportare, il pagamento del prezzo deve avvenire, in mancanza di patto od uso contrario, nel luogo in cui il venditore consegna la cosa al vettore; questo luogo, pertanto, va considerato come locus destinatae solutionis, al fine della determinazione della competenza per territorio [498].

Ricorrendo le condizioni previste dal primo comma dell’art. 1327 c.c., nella vendita da piazza a piazza la consegna della merce al vettore implica l’inizio dell’esecuzione del contratto da parte del venditore ed importa l’accettazione della proposta di vendita e la conclusione del contratto stesso, con la conseguenza che il giudice del luogo in cui è avvenuta siffatta consegna è territorialmente competente sotto il profilo del forum contractus (art. 20 c.p.c.) [499].

 

art. 1510 2 co c.c.  luogo della consegna

Salvo patto o uso contrario, se la cosa deve essere trasportata da un luogo all’altro, il venditore,  (la c.d. vendita liberatoria) si libera dall’obbligo della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere; le spese del trasporto sono a carico del compratore.

In merito, le sezioni unite nel lontano ‘70 [500] hanno stabilito il seguente principio: nella vendita da piazza a piazza, luogo di consegna della merce — in mancanza di patto o uso contrario — è quello in cui il venditore consegna la merce al vettore, e in tale luogo, non in quello d’arrivo o di destinazione, si radica il forum destinatae solutionis.

Successivamente è stato, poi, precisato[501] che in base alla presunzione stabilita dall’art. 1510, secondo comma, c.c., nella vendita di una cosa che deve essere trasportata da un luogo all’altro deve considerarsi come ipotesi normale la vendita con spedizione (nella quale la consegna della cosa venduta si considera effettuata nel luogo in cui la cosa è rimessa al vettore o allo spedizioniere), potendo solo in caso di fatto o uso contrario essere ravvisata la vendita con consegna all’arrivo (in cui, invece, la consegna deve essere effettuata nel domicilio dell’acquirente o nella sede della sua impresa). Agli effetti indicati, il diverso regolamento delle spese di trasporto, rispetto a quello previsto per la vendita con spedizione dall’art. 1510, secondo comma, citato (che pone tali spese a carico del compratore) non può, senza il concorso di altri elementi, essere interpretato come espressione di una volontà delle parti, intesa a spostare il luogo della consegna, rispetto a quello che è normalmente stabilito per l’ipotesi di vendita con spedizione, e non costituisce, pertanto, un elemento di per sé solo sufficiente perché debba ritenersi superata la presunzione anzidetta. L’accertamento se sia stata conclusa l’una o l’altra vendita involge un apprezzamento riservato alla competenza del giudice di merito e, come tale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici.

Per altra sentenza[502], più recente, la proprietà si trasferisce al compratore al momento della consegna al vettore, e con essa si trasferiscono anche i rischi ed i pericoli cui è esposta la merce. Ne consegue che i diritti nascenti dal contratto di assicurazione stipulato dal venditore (prima o dopo la consegna) non possono essere fatti valere dallo stesso venditore, bensì dall’acquirente.

Relativamente alla responsabilità del venditore, la c.d.consegna liberatoria, costituisce un’eccezione al principio generale che in tema di inadempimento delle obbligazioni, è affermato dall’art. 1228 c.c.

art. 1228 c.c.   responsabilità per fatto degli ausiliari

Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

 

 

 

Il venditore sarà comunque responsabile se:

A – vi è stata sua colpa per non aver concluso il contratto di trasporto secondo le condizioni o le modalità stabilite nel contratto di vendita;

B – non abbia affidato il trasporto al vettore o allo spedizioniere designato nel contratto stesso;

C – o se in mancanza di tale designazione, per aver scelto una persona comunque inidonea;

D – non abbia confezionato la merce in modo tradizionale;

E – nel caso in cui abbia affidato il trasporto ai propri dipendenti, poiché questi non assumono in proprio la gestione e la responsabilità dell’operazione nei confronti del compratore, essendo soggetti inseriti nella stessa organizzazione d’impresa del venditore.

Per quanto riguarda l’individuazione [503]

Nella vendita con spedizione da piazza a piazza avente per oggetto un genus, il compratore acquista la proprietà della cosa alienatagli e ne assume i rischi relativi attraverso la specificazione fatta dal venditore con la consegna della merce al vettore, quando si tratta di spedizione destinata unicamente al compratore medesimo o quando si tratti di più spedizioni di lotti separati materialmente l’uno dall’altro, distinti per ciascun destinatario compratore. Quando invece la partita venduta sia stata spedita dal venditore alla rinfusa ai vari compratori, senza distinzione di lotti, il venditore non si libera con la consegna al vettore, ma con la specificazione da eseguirsi all’arrivo con la separazione delle singole partite, per la consegna al compratore [504].

art. 1511 c.c.   denunzia nella vendita di cose da trasportare

Nella vendita di cose da trasportare da un luogo a un altro, il termine (1495) per la denunzia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti decorre dal giorno del ricevimento (att. 172).

A norma dell’art. 1511 c.c., nel caso di vendita da piazza a piazza, la decorrenza del termine per la denunzia dei vizi apparenti ha inizio con la consegna della merce al destinatario, anche se sia stata incaricata altra persona della ricezione della merce medesima [505].

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 12 luglio 2016, n. 14219

in tema di vendita di cose da trasportare, l’art. 1511 cod. civ. pone a carico del compratore un onere di diligenza consistente nel dovere di esaminare la cosa comprata per rilevarne vizi o difetti apparenti; cosicché il termine per la denunzia dei vizi e dei difetti di qualità apparenti decorre dal giorno in cui il compratore è stato in grado di esaminare la merce, ossia del giorno in cui questa è stata posta nella sua disponibilità mediante la consegna. La ratio della norma in esame consiste infatti nel non lasciare incerta la sorte del contratto e non già nel dare anche la dimostrazione dei vizi, necessaria soltanto in un secondo momento, allorché la contestazione sia insorta.

Da ultimo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|26 gennaio 2021| n. 1616

è stato anche chiarito che in tema di vendita di cose mobili da trasportare da un luogo ad un altro, l’art. 1511 c.c., che fa decorrere il termine per la denuncia dei vizi dal ricevimento, impone un onere di diligenza a carico del compratore, consistente nel dovere di esaminare con tempestività la cosa, ponendosi così in grado di rilevarne i difetti eventuali, all’occorrenza anche con un’indagine a campione.

 

Clausole derogatrici – ex art. 1510 2 co  

Sono frequenti, nella pratica, alcune clausole contrattuali che regolano, in maniera difforme dalla disciplina positiva,

1)           la sopportazione dei rischi

consegna all’arrivo –

consegna al domicilio del compratore –

per effetto delle quali la consegna avrà luogo solo dopo l’esecuzione del trasporto, in tali casi, di conseguenza, si applica, anche nella vendita con trasporto, il principio generale dell’art. 1228 c.c., che comporta la responsabilità per fatti dolosi o colposi degli ausiliari.

Tali clausole non sono applicabili per la vendita di cosa generica, poiché queste hanno proprio lo scopo d’impedire che, con la consegna al vettore, si determinino gli effetti dell’art. 1378 c.c.;

2)           l’incidenza delle spesele quali derogano il 2 co dell’art. 1510 seconda parte < le spese del trasporto sono a carico del compratore >:

clausola franco consegna – la quale addossa la venditore le spese del trasporto e della spedizione;

clausola franco destino – frontiera – vagone frontiera, etc. – quando la clausola franco è riferita ad un determinato luogo; essa ha il significato di addossare all’alienante tutte le spese richieste per lo spostamento del bene fino al luogo indicato.

 

2)          Vendita con garanzia di buon funzionamento[506]

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili – 1512 – 1513

 

art. 1512 c.c.  garanzia di buon funzionamento

Se il venditore ha garantito per un tempo determinato il buon funzionamento della cosa venduta, il compratore, salvo patto contrario, deve denunziare al venditore il difetto di funzionamento entro 30 giorni dalla scoperta, sotto pena di decadenza. L’azione si prescrive in 6 mesi dalla scoperta.

(La facoltà del compratore di domandare la risoluzione non è assoluta poiché) Il giudice, secondo le circostanze, può assegnare al venditore un termine per sostituire o riparare la cosa in modo da assicurarne il buon funzionamento, salvo il risarcimento dei danni (1223 e seguenti).

Sono salvi gli usi i quali stabiliscono che la garanzia di buon funzionamento è dovuta anche in mancanza di patto espresso (att. 174).

La garanzia che deve essere espressamente pattuita [507] a carico del venditore per un certo tempo, non annulla ma si somma a quella per vizi [508] (art. 1490 c.c.)  o per mancanza di qualità [509] (1497 c.c.), in quanto prescinde dall’individuazione del difetto, cosicché il compratore può limitarsi ad una denunzia generica, purché entro 30 giorni del manifestarsi del difetto.

Difatti, per la S.C. [510] la garanzia di buon funzionamento della cosa mobile venduta per un determinato periodo di tempo (art. 1512 c.c.), avente origine negoziale o eventualmente dagli usi, è un mezzo di rafforzamento della tutela del compratore, nel senso che si aggiunge alla garanzia, dovuta ex lege dal venditore, per vizi (art. 1490 c.c.) e alla responsabilità del venditore, stabilita dalla legge, per mancanza di qualità promesse ed essenziali per l’uso cui è destinata la cosa (art. 1497 c.c.).

Con la pattuizione della garanzia suddetta il venditore assicura al compratore il risultato che questi intende conseguire, cioè il buon funzionamento della cosa mobile venduta, e vi è tenuto indipendentemente dalla causa del cattivo funzionamento e qualunque essa sia, salvo che egli provi che il cattivo funzionamento dipenda da una causa sopravvenuta dopo la conclusione del contratto o da un fatto proprio del compratore.

È necessario, però, precisare, come ha avuto modo di fare la Cassazione, anche da ultimo,

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 dicembre 2015, n. 25027

che la garanzia per i vizi della cosa venduta disciplinata agli artt. 1490 e seguenti c.c., differisce da quella di buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c. dello stesso codice per il fatto che, mentre la seconda impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della cosa venduta, la prima — cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa del venditore medesimo richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno — impone all’acquirente anche l’onere di dimostrare la sussistenza dello specifico vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui essa è destinata [511].

Tale vendita con garanzia di funzionamento costituisce le regola in caso di macchinari.

Anche se la Cassazione [512] ha evidenziato che la garanzia del buon funzionamento delle cose vendute ex art. 1512 c.c. postula che si tratti di beni i quali anche se non rientranti necessariamente nella categoria delle macchine, siano destinati a durare nel tempo ed abbiano una propria funzionalità strumentale suscettibile, ove venga meno, di essere eventualmente ripristinata mediante riparazione come prevede espressamente il secondo comma dell’articolo citato, sicché essa non si attaglia alla vendita di cose consumabili, come nel caso di animali vivi destinati alla macellazione.

Essendo un’obbligazione di risultato il venditore potrà liberarsi dalla sua responsabilità soltanto dando la prova che il cattivo funzionamento è stato causato da fatti sopravvenuti a lui non imputabili (cattivo uso da parte del compratore, fatto del terzo , caso fortuito).

In altri termini, per la Cassazione [513] risolvendosi la garanzia di buon funzionamento in una obbligazione di risultato, il venditore si rende ad essa inadempiente per il solo fatto del cattivo o mancato funzionamento della cosa, che si sia verificato nel termine contrattualmente stabilito; dal che consegue che, mentre il compratore, per far valere la garanzia, dovrà provare soltanto il cattivo o il mancato funzionamento e non anche la colpa del venditore né, in generale, la causa specifica da cui esso sia stato determinato, il venditore, a sua volta, non potrà sottrarsi alla sua responsabilità se non dimostrando che la mancanza di buon funzionamento sia dipesa da una causa insorta successivamente alla conclusione del contratto ed alla consegna della cosa o, addirittura, da fatto proprio del compratore.

Per una pronuncia di merito [514] il garante non può sottrarsi al compimento della prestazione sullo stesso incombente adducendo, semplicemente, che il cattivo funzionamento non è riconducibile a difetti di costruzione o fabbricazione è che, quindi, il bene, integro sino a che è rimasto nella sua disponibilità, avrebbe subito danni nelle more della permanenza presso il rivenditore.

Il garante, infatti, risponde comunque di tutte le cause che, in qualunque modo, abbiano determinato il mal funzionamento del bene comunque verificatesi prima della consegna, ivi comprese quelle esterne ed ignote.

Tanto premesso, a fronte della prova, offerta dal compratore, circa il cattivo funzionamento del bene acquistato, il garante che non dimostri che il danno è riconducibile ad una anomalia verificatasi in un momento successivo alla vendita del bene (ovvero che non sia in grado di escludere che la stessa abbia trovato origine prima della vendita), è senz’altro tenuto ad effettuare le prestazioni che gli competono in applicazione della garanzia prestata. La copertura, pertanto, può essere validamente esclusa solo ove sia ravvisabile e, ovviamente, dimostrato, il comportamento negligente del compratore ovvero il caso fortuito, nell’ambito del quale, peraltro, devono essere ricondotte quelle ipotesi in cui il difetto dipenda dal fatto di un terzo, soggetto estraneo alla catena distributiva, come verificatosi, in ogni caso, dopo l’avvenuta consegna.

Termini

Per la Cassazione [515], la garanzia di buon funzionamento di cui all’art. 1512 c.c. non ha effetto se manca la determinazione del tempo della sua durata, salvo rimanendo l’ordinaria garanzia di legge, soggetta ai termini e condizioni di cui all’art. 1495 c.c. [516].

In merito, poi, il Tribunale Barese [517] ha avuto modo di specificare che ai fini della risoluzione del contratto per vizi e/o cattivo funzionamento è necessario che il compratore, oltre ai vizi, dimostri di aver provveduto alla relativa denuncia presso il venditore entro i termini di legge, così come disciplinato dagli artt. 1495 e 1512 c.c. In altri termini, nel caso in cui il venditore eccepisca la tardività della denuncia dovrà essere il compratore a fornire la prova di aver denunciato in tempo utile.

Con una recente pronuncia [518] è stato anche rimarcato che in tema di compravendita, il potere della parte di disporre delle eccezioni di prescrizione e decadenza dell’azione di garanzia si limita agli elementi costitutivi delle eccezioni stesse, ossia al decorso del tempo e alla volontà di profittare del conseguente effetto estintivo, mentre non concerne l’individuazione del tipo di garanzia applicabile, che è compito del giudice determinare, eventualmente riqualificando la fattispecie dedotta in giudizio (nella specie, garanzia di buon funzionamento, soggetta ai termini ex art. 1512 c.c., in luogo della garanzia edilizia, soggetta ai termini ex art. 1495 c.c.).

In precedenza era già stato affermato, dalla medesima Corte [519], che la garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. può essere assunta con il contenuto, gli effetti e la disciplina sua propria quanto ai termini ed alle condizioni dell’azione (artt. 1492, 1494, 1495 c.c.) da un soggetto diversa dal venditore, in ragione dei suoi particolari rapporti con quest’ultimo (di commissione, di preposizione istitutoria ecc.).

Tuttavia, per la riconducibilità della garanzia assunta dal terzo al paradigma normativo degli artt. 1490 e ss. c.c., ovvero ad altra forma di garanzia specifica assunta in modo autonomo ed indipendentemente da quella dovuta per legge dal venditore (ad esempio quella di buon funzionamento di cui all’art. 1512 c.c.), il giudice del merito deve procedere, alla stregua dei canoni ermeneutici legali all’interpretazione della dichiarazione del terzo, quale fonte primaria regolatrice del contenuto e delle condizioni di operatività della garanzia, salvo il ricorso per gli aspetti non regolati alla disciplina dell’istituto più affine per natura e funzione economico–sociale. Nel compimento di tale indagine il giudice non può limitarsi alla considerazione della natura del vizio oggetto della garanzia, ma deve estendere la sua indagine a tutti gli altri aspetti, limiti e condizioni di esercizio della medesima e soprattutto al suo specifico contenuto (alternativa fra l’actio redhibitoria e la quanti minoris; obbligazione assunta dal garante di sostituire o riparare le parti risultate difettose della cosa venduta ecc.)

Rimedi

Preliminarmente è importante rimarcare che sia nel caso di risoluzione del contratto sia in quello di sostituzione o riparazione della cosa il venditore è tenuto al pieno risarcimento del danno — e cioè del c.d. interesse positivo — che è in relazione diretta con il ritardo con il quale il compratore ha avuto la cosa in stato di perfetto funzionamento e perciò anche in relazione con il periodo di tempo in cui la cosa non abbia dato utilità per mancato funzionamento [520].

1)    La riparazione e/o sotituzione

L’obbligo derivante dalla garanzia di buon funzionamento non si esaurisce in una qualunque riparazione della cosa, che la faccia nuovamente funzionare, o in una qualunque sostituzione della cosa stessa, purché effettuata con altra funzionante, ma è assolto quando la riparazione sia tale da riportare la cosa nello stato di efficienza che avrebbe avuto, durante il periodo di garanzia, altra cosa dello stesso tipo e perfettamente funzionante, ovvero quando alla cosa non funzionante ne venga sostituita altra dello stesso tipo e nelle identiche condizioni di quella originariamente acquistata (sicché, se si era acquistata cosa nuova, la sostituzione non potrà avvenire che con altra cosa nuova, salvo diverso accordo delle parti), dovendo essere assicurato al compratore il buon funzionamento per la durata e con le prestazioni che era lecito attendersi dalla cosa nuova acquistata o dalla cosa nello stato di uso in cui era stata acquistata. Tale risultato, specialmente quando si tratti di motori nuovi, non può essere assicurato dalla sostituzione, ad esempio, con un motore vetusto, di cui non è dato conoscere se e per quanto tempo sia stato già azionato [521].

La sostituzione della cosa venduta, che in via coattiva è ammissibile solo nel caso previsto dall’art. 1512 c.c., può trovare applicazione in via facoltativa in ipotesi di ordinaria azione redibitoria, con la condanna del venditore a sostituire l’oggetto difettoso con altro esente da vizi o, in mancanza, a restituire il prezzo e risarcire il danno, poiché l’ordine di sostituzione impartito in tale forma (non coercitiva) non è incompatibile con lo schema dell’azione redibitoria, nulla vietando che il venditore possa trovare conveniente la facoltativa sostituzione della cosa, anziché la restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno, coercibile in via esecutiva [522].

2)    Esecuzione forzata

art. 2931 c.c.   esecuzione forzata degli obblighi di fare

Se non è adempiuto un obbligo di fare [523], l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell’obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile [524].

In una recente sentenza di merito è stato previsto, infatti, che in tema di vendita di cosa mobile, laddove, come nel caso di specie, nella proposta di acquisto dell’auto, accettata dalla Concessionaria, quest’ultima abbia garantito espressamente il buon funzionamento, la successiva domanda di eliminazione dei vizi trova fondamento nell’art. 1512 c.c.

Deve, altresì, considerarsi ammissibile la pretesa avanzata in sostituzione della domanda di eliminazione dei vizi e volta alla condanna della convenuta al pagamento della somma che si ritenga necessaria.

Infatti, l’acquirente che lamenti difformità o difetti della cosa può richiede, a norma dell’art. 1512 c.c., la loro eliminazione a spese del venditore mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 c.c., in aggiunta o alternativa che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. Detta ultima domanda tende a conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la presentazione della aedem res debita, sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi.

3)    Accertamento dei difetti

 

art. 1513 c.c.    accertamento dei difetti

In caso di divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o il compratore possono chiederne la verifica  (accertamento) nei modi stabiliti dall’art. 696, c.p.c. Il giudice, su istanza (125 c.p.c.) della parte interessata, può ordinare il deposito (att. 77) o il sequestro della cosa stessa, nonché la vendita per conto di chi spetta, determinandone le condizioni.

La parte che non ha chiesto la verifica della cosa, deve, in caso di contestazione, provarne rigorosamente l’identità e lo stato.

Applicabilità generale

 

Infatti per la Cassazione [525] la norma di cui all’art. 1513 c.c. — secondo cui, nel caso di divergenza sulla qualità e la condizione della cosa venduta, il venditore o il compratore che non abbiano chiesto la verifica della cosa medesima, debbono provarne rigorosamente l’identità e lo stato — si riferisce a qualsiasi ipotesi di controversia circa l’esistenza di requisiti della res vendita, la cui mancanza comporti l’inadempienza del venditore all’obbligo di consegnare la cosa pattuita o di garantire il compratore dai vizi o dai difetti di qualità o di funzionamento. Ne discende che la suddetta verifica è necessaria non solo per l’accertamento dei cennati vizi e difetti, ma anche per quello diretto a stabilire se la cosa consegnata costituisca, o meno, un aliud pro alio [526].

Possibilità di esperire un’ATP

art. 696 c.p.c.    accertamento tecnico e ispezione giudiziale

Chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose, può chiedere, a norma degli articoli 692 e seguenti, che sia disposto un accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale (1). Il presidente del tribunale [, il pretore] o il giudice di pace provvede nelle forme stabilite negli articoli 694 e 695, in quanto applicabili, nomina il consulente tecnico e fissa la data dell’inizio delle operazioni.

 

L’istanza con la quale il produttore di un bene chiede l’accertamento tecnico preventivo dei vizi di esso, lamentati dall’utilizzatore, notificata, unitamente al decreto di udienza, al solo venditore del medesimo, non è atto idoneo, ai sensi dell’art. 2943 c.c., ad interrompere la prescrizione del diritto dell’utilizzatore, surrogatosi nei diritti del compratore, al buon funzionamento del bene stesso, perché l’efficacia interruttiva, ai sensi dell’art. 2943 c.c., di un giudizio conservativo, non deriva dalla domanda di tutela preventiva di chiunque dei successivi contendenti di un giudizio ordinario, ma soltanto se quella proposta è volta alla tutela dello stesso diritto la cui prescrizione è successivamente eccepita, e quindi se il giudizio di cui all’art. 696 c.p.c. è instaurato dal soggetto titolare del diritto di cui nel giudizio ordinario è eccepita la prescrizione. Né ai predetti fini interruttivi può soccorrere l’art. 1513 c.c., che consente sia al venditore che al compratore di chiedere la verifica della qualità o condizione della cosa nei modi stabiliti dall’art. 696 c.p.c., essendo richieste omologhe, ma volte a fini diversi, ed in particolare quella del venditore ad accertare l’insussistenza dei presupposti per la garanzia di buon funzionamento e quindi a disconoscere, non a riconoscere, tale diritto del compratore [527].

Casi specifici

 

Per il Tribunale di Campobasso in relazione alla vendita del materiale di rivestimento della piscina, rivelatosi gravemente difettoso, merita accoglimento la domanda attorea sollevata ai sensi dell’art. 1512 c.c., inerente l’operatività della garanzia decennale prestata dalla società convenuta e volta ad ottenere la sostituzione del rivestimento. Laddove dal carteggio e dalle prove fotografiche prodotte dall’attore risulti in tutta evidenza che il materiale fornito risulti fortemente viziato già dal secondo anno di acquisto, nonostante le caratteristiche promesse, senza che la convenuta abbia addotto alcuna prova a sua discolpa, la domanda di sostituzione integrale del materiale con altro munito delle caratteristiche promesse, merita accoglimento.

Per un arresto della Cassazione [528] il venditore di una macchina che, oltre alle obbligazioni tipiche derivanti dal contratto, abbia assunto una specifica obbligazione di risultato garantendo un determinato funzionamento, può giustificare l’inadempimento della promessa soltanto denunciando una situazione sopravvenuta, imputabile a fatto dell’acquirente o a forza maggiore, ma non può invocare una situazione preesistente della quale avrebbe potuto rendersi conto prima di assumere la garanzia di risultato.

Rimanendo in tema  di vendita di autoveicolo, con contestuale stipula di un contratto di garanzia (nella fattispecie garanzia di “Lunga Protezione”), con altra sentenza di merito [529] è stato affermato che la casa costruttrice deve ritenersi tenuta, unitamente al concessionario venditore, a prestare la suddetta garanzia. Infatti, trattandosi di garanzia di buon funzionamento, l’acquirente che non abbia ottenuto in via stragiudiziale l’eliminazione dei difetti, può adire il giudice per richiedere la condanna della casa costruttrice alla sostituzione o riparazione del mezzo entro un termine assegnato.

Anche nella fornitura congiunta di hardware e softwaresussiste per il venditore l’obbligazione di garantire il buon funzionamento della res vendita e, quindi, un determinato risultato che consiste nell’idoneità del complesso a conseguire i risultati prefissisi dall’acquirente, comunicati dallo stesso al venditore e da questi tenuti presenti nell’effettuare la fornitura di un determinato elaboratore e di determinati programmi [530].

 

3)          Vendita con riserva di gradimento

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti –   Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili –  § 2 dalla vendita con riserva di gradimento, a prova, a campione – 1520

art. 1520  c.c.  vendita con riserva di gradimento

Quando si vendono cose con riserva di gradimento da parte del compratore, la vendita non si perfeziona fino a quando il gradimento non sia comunicato al venditore.

Se l’esame della cosa deve farsi presso il venditore, questi è liberato, qualora il compratore non vi proceda nel termine stabilito dal contratto o dagli usi, o, in mancanza, in un termine congruo fissato dal venditore.

Se la cosa si trova presso il compratore e questi non si pronunzia nel termine sopra indicato, la cosa si considera di suo gradimento.

Ambito  

L’istituto è previsto nella sezione relativa alla vendita di cose mobili, ma la dottrina quasi unanime ritiene che, in mancanza di un limite legislativo, per altro non giustificabile, essa possa avere ad oggetto sia universalità di mobili che beni immobili.

Logicamente nel caso di quest’ultimi beni per la loro particolarità sia il contratto di compravendita che la relativa dichiarazione di gradimento dovranno avere la forma scritta ed essere trascritti nei pubblici registri.

 

La natura

In merito alla natura sembra ravvisarsi nella fattispecie:

a)                       una sorta di proposta irrevocabile del venditore [531]– tesi non condivisibile per un autore in particolare[532], perché la fattispecie negoziale è più complessa: il compratore non si limita a prendere conoscenza della proposta del venditore, ma manifesta, prima della dichiarazione di gradimento, una vera e propria volontà contrattuale che consiste nell’accettare sia il potere di decidere sul contratto sia il contenuto di questo;

b)                       di opzione  di acquisto [533],  tesi prevalente anche in giurisprudenza poiché in questo caso, infatti, risulta vincolato solo il venditore, mentre il contratto si perfezionerà solo nel momento in cui il compratore comunicherà al venditore che la cosa è di suo gradimento; Così anche la S.C. [534]: nella vendita con riserva di gradimento, che costituisce una forma di opzione, si ha una promessa unilaterale vincolante per il solo venditore. Il contratto si perfeziona ex nunc, con l’accettazione da parte del compratore, espressa con la dichiarazione di gradimento comunicata all’altra parte.

c)                        Preliminare [535] unilaterale vincolante per il solo venditore, ma è facile replicare [536] che, dopo aver concluso la vendita con riserva di gradimento, le parti non devono stipulare un nuovo contratto (definitivo): il venditore, infatti, non deve fare altro e l’acquirente deve limitarsi ad accettare la proposta (irrevocabile) del venditore;

d)                       un negozio sottoposto a condizione sospensiva [537] – ma in contrario si può obiettare [538] che tale teoria contrasta con lo stesso diritto positivo e, precisamente, sia con l’art. 1355 c.c., che sancisce la nullità dell’alienazione sottoposta a condizione meramente potestativa, sia con lo stesso art. 1520 il quale non parla d’inefficacia, bensì di perfezione del contratto.

Dichiarazione di gradimento

Non vi è dubbio che il gradimento si distingue dall’accettazione, essendo il primo una manifestazione di giudizio, la seconda una manifestazione di volontà.

Se, poi, il compratore esprime un gradimento condizionato, si avrà, in realtà, una nuova proposta del compratore, alla quale dovrà seguire l’accettazione del venditore (art. 1326, u.c. c.c.).

La dottrina prevalente ritiene che il compratore abbia un potere discrezionale ed insindacabile, nel senso che può rifiutare non solo se la cosa non ha i requisiti di suo gusto, ma anche se, comunque, non corrisponde alle sue esigenze.

La differenza tra vendita — con riserva di gradimento — e vendita a prova [539]

 

La differenza tra vendita — con riserva di gradimento — e vendita a prova consiste in ciò che mentre la prima è un contratto soltanto — in itinere — e non perfezionato fino a che la riserva non sia sciolta dal potenziale acquirente con comunicazione del gradimento al venditore, la seconda è un contratto perfetto nei suoi elementi costitutivi, ma sospensivamente condizionato per la sua efficacia all’esito positivo della prova. Pur concordando la riserva di gradimento, l’aspirante compratore può implicitamente o esplicitamente anche riservarsi di sottoporre a prova la cosa che egli si propone di acquistare, in guisa da orientare le proprie determinazioni circa l’eventuale gradimento. In tale ipotesi, il tipo di negozio che viene in evidenza non è quello della vendita a prova, ma quello della vendita con riserva di gradimento, atteso che la manifestazione del potenziale acquirente di volere o di non volere acquistare è ancora lasciata all’arbitrio di lui, mentre l’esperimento della prova costituisce soltanto un mezzo in base al quale determinarsi [540].

 

La differenza tra vendita — con riserva di gradimento — e vendita su campionecfr par.fo 2) lettera B) punto 5) Vendita su campione e su tipo di campione, pag. 324

 

4)          Vendita con riserva di proprietà

[541]

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili –  § 3 dalla vendita con riserva di proprietà –  1523 – 1526

A)  Nozione

 

La vendita con riserva di proprietà è caratterizzata dal fatto che, mentre la proprietà dell’oggetto alienato resta al venditore, il godimento è conseguito dal compratore all’atto della stipulazione del contratto e il pagamento del prezzo è differito.

Per il Tribunale della Lanterna[542] la vendita con patto di riservato dominio assolve principalmente ad una funzione di garanzia del venditore, il quale conserva un diritto reale di garanzia sul bene, mentre la proprietà si trasferisce fin dalla conclusione del contratto.

B)  Natura: di tale contratto è discussa:

1)          Vendita sotto condizione sospensiva [543]

La dottrina tradizionale e la giurisprudenza attribui­scono alla figura la natura di contratto sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento integrale del prez­zo, basandosi principalmente sul dettato normativo dell’art. 1523 c.c., secondo cui “il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo“.

Questa non confligge con le regole telematiche della trascrizione  poiché è prevista la nota della condizione, ma tuttavia tale teoria non appare soddisfacente [544]:

1)  il congegno tipico della condizione sospensiva consiste precisamente nell’inefficacia iniziale del contratto, che dunque non produce nessuno dei suoi effetti propri. L’art. 1523 c.c. ha un contenuto inconciliabile con la condizione sospensiva, dal momento che indica due aspetti assolutamente inammissibili dei negozi sospensivamente condizionati: la consegna della cosa e  l’assunzione dei rischi precedenti il pagamento integrale del prezzo, vale  a dire anteriori rispetto all’evento che si vorrebbe dedotto in condizione.

2)  Inoltre per quanto attiene al rischio di perimento incolpevole del bene oggetto del contratto: nella vendita sotto condizione sospensiva, ai sensi dell’art. 1465 ultimo co, c.c., vale la regola generale secondo cui res perit domino, con la conseguenza che fino al verificarsi dell’evento dedotto in condizione, il rischio grava sul venditore, che continua, tra la stipula del contratto e l’avveramento della condizione, a essere proprietario del bene; nella vendita con riserva di proprietà è invece sancito il principio opposto: ai sensi dell’art. 1523, una volta ricevuta la consegna della cosa, è il compratore, ancora non proprietario, a doverne sopportare il rischio, pur rimanendo comunque la proprietà del bene al venditore, e quindi in deroga al principio generale res perit domino.

Si è peraltro cercato di replicare che, nella vendita con riserva della proprietà, soggetto a condizione sospensiva sarebbe soltanto il passaggio della proprietà, ma an­che tale precisazione non appare accoglibile, atteso che, ai sensi dell’art. 1353 c.c., la condizione può riguardare esclusivamente l’efficacia dell’intero contratto, ovvero di un singolo patto del contratto medesimo, ma non di un suo singolo effetto.  Inoltre, essendo quello tra­slativo l’effetto principale del contratto di vendita, una condizione di cui lo stesso fosse oggetto altro non si rive­la, in realtà, che riferita all’efficacia dell’intero contratto, in conformità tosi all’art. 1353 c.c.

Parte della dottrina  evidenzia quale ulteriore diffe­renza tra vendita con riserva della proprietà e vendita sotto condizione sospensiva il fatto che gli effetti della prima decorrono ex nunc dal pagamento del prezzo, men­tre per la vendita sotto condizione sospensiva vale il principio generale della retroattività dell’avveramento della condizione, ai sensi dell’art. 1360 c.c.

Tuttavia tale differenza, senza dubbio esistente, non sembra così rile­vante al fine di evidenziare la diversità di natura giuridi­ca tra le due figure.

Invero, la rettoattività o meno degli effetti appare un profilo indipendente dalla natura giuri­dica degli istituti, e come tale inidoneo a fondarne la dif­ferenza. Assegnare alla rettoattività una valenza signifi­cativa ai fini della ricostruzione sistematica di un istituto non appare irreprensibile da un punto di vista logico, poiché la retroattività è un mezzo disposto eccezional­mente dall’ordinamento giuridico per saldare tra loro due momenti, così da evitare incertezze e carenza di tito­larità dei diritti, senza però essere in grado di mutare il contenuto strutturale e sistematico degli istituti giuridi­ci; la retroattività è, in conclusione, sempre un mezzo o una ragione avente rilevanza concreta e non teorica, e non è perciò utilizzabile per la ricostruzione della natura giuridica dell’istituto .

2)          Vendita ad effetti obbligatori[545]

La divérsità più netta tra vendita con riserva di proprietà e vendita sotto la condizione sospensiva del pagamento del prezzo sembra ravvisabile nelle conseguenze del mancato adempimento: l’evento dedotto in condizione, vale a dire il pagamento del prezzo, non è coercibile e il suo mancato avveramento, conseguentemente, non può determinare il sorgere di profili di responsabilità a carico del compratore; inoltre, è sufficiente il mancato pa­gamento del prezzo in re ipsa a privare di efficacia il con­tratto.

Nella vendita con riserva della proprietà, invece, il mancato pagamento integrale del prezzo può determi­nare l’inizio di una fase patologica del rapporto,  con la possibilità di addivenire infine alla risoluzione del contratto, non essendo quest’ultima un effetto na­turale e automatico dell’inadempimento; lo stesso inadempimento comporta altresì delle precise responsa­bilità a carico del compratore, che dovrà quindi rispon­dere precisamente secondo le norme proprie della re­sponsabilità per inadempimento.

La responsabilità dell’acquirente di una vendita con riser­va della proprietà è peraltro ben comprensibile, se si pen­sa al fatto che questi, fin dal momento della conclusione del contratto, ha avuto il godimento del bene, con la con­seguenza che il venditore deve essere compensato per es­serne stato privato a favore di chi non è poi risultato in grado di eseguire correttamente quel rapporto che, nel suo complesso articolarsi, aveva rappresentato la base per l’at­tribuzione al compratore del godimento del bene .

L’istituto determina la nascita di effetti obbligatori ben precisi fin dal momento della stipula del contratto, qua­li l’assunzione del godimento del bene e del rischio in ca­so di suo perimento incolpevole da parte del comprato­re, ma non consente il passaggio della proprietà prima del pagamento integrale del prezzo.

Questa dissociazione tra effetti obbligatori immediati ed effetti reali differiti ha costituito la base per ritenere che la natura della figu­ra sia quella della vendita obbligatoria, intendendosi quest’ultima caratterizzata essenzialmente dalla sopra in­dicata scissione tra effetti obbligatori immediati ed effet­ti reali differiti.

Tale ricostruzione non sembra però soddisfacente sotto due profili:

a)          il primo di carattere teo­rico – classificatorio;

b)          il secondo invece eminentemente pratico.

Invero, a livello di teoria e di classificazione de­gli istituti giuridici, la vendita obbligatoria, figura che il legislatore non prevede espressamente in nessuna norma del codice civile, viene dalla dottrina ricondotta a quei casi in cui il trasferimento della proprietà non è effetto immediato del contratto, ma è oggetto di una specifica obbligazione a carico del venditore, che deve procurare l’acquisto del diritto a favore del compratore.

Tale obbligazione, prevista dall’art. 1476 n. 2 c.c., è chiara­mente assente nella vendita con riserva della proprietà, e, poiché la stessa è considerata elemento costitutivo della vendita obbligatoria, ne consegue che la vendita con riserva della proprietà non può essere inclusa tra le fattispecie di vendita obbligatoria.

Sul piano pratico, invece, si prescinde da un’esatta determinazione del contenuto delle posizioni soggettive delle parti del con­tratto, poiché gli effetti della vendita obbligatoria ap­paiono divergenti rispetto a quelli della vendita con ri­serva della proprietà: mentre nella prima si producono gli effetti obbligatori, ma questi si riferiscono a un rapporto tra le parti senza concretizzarsi in un rapporto assorbente nei confronti del bene oggetto del contratto medesimo, nella vendita con riserva della proprietà esistono sì dei rapporti obbligatori tra venditore e compratore, ma è so­prattutto l’intenso rapporto che il compratore instaura con il bene a caratterizzare la figura, in ciò distinguendo­la dalle altre fattispecie di vendita obbligatoria.

L’esistenza di questo rapporto molto stretto tra il com­pratore e il bene oggetto del contratto determina una certa assimilazione tra compratore di vendita con riserva della proprietà e proprietario del bene, mentre il sogget­to che, ai sensi dell’art. 1523 c.c., rimane unico pro­prietario, vale a dire il venditore, risulta privato di quasi tutte le attribuzioni proprie del titolare del diritto di pro­prietà, poiché il legislatore ha voluto lasciargli soltanto quanto risulta indispensabile per garantirlo nei confron­ti dell’eventuale inadempimento da parte del comprato­re.

3)          Vendita sotto condizione risolutiva[546]

In particolare, il compratore acquisterebbe  già con la stipula del contratto il diritto di proprietà della cosa, e ciò da un lato spiegherebbe l’ampiezza dei suoi poteri in ordine al godimento del bene, e dall’altro l’assunzione del rischio per il perimento incolpevole del bene stesso, mentre il venditore rimarrebbe comunque garantito nei confronti dell’eventuale inadempimento del compratore, proprio attraverso il meccanismo della condizione risolutiva. Senza dubbio così si spiegherebbero in maniera piuttosto adeguata gli effetti che discendono dalla stipu­la del contratto e si riceverebbe altresì un vantaggio in termini di certezza del diritto, poiché gli effetti del nego­zio andrebbero comunque a ricollegarsi al momento del­la stipula del contratto, la cui individuazione è piuttosto agevole, e non invece al momento dell’integrale paga­mento del prezzo, il cui accertamento è invece più diffi­coltoso.

Secondo un autore [547] tale teoria si scontra in modo netto ed irrimediabile col dato normativo,

A)          in particolare con l’art. 1523 ”il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo”.

B)          Inoltre se veramente si trattasse di condizione risolutiva, in caso di mancato adempimento da parte del compratore, non sarebbe necessario instaurare un giudizio di risoluzione per inadempimento, come invece è previsto dagli artt. 1525–26 c.c., con attribuzione oltretutto all’autorità giudiziaria del compito di valutare l’importanza dell’inadempimento.

 

4)          Negozio collegato ad uno scopo di garanzia[548]  

In seguito al quale il venditore conserverebbe sul bene un diritto reale di garanzia, mentre al compratore sarebbe trasferita la proprietà immediatamente, con ogni conseguenza in ordine ai poteri e alle facoltà di diritto sostanziale e processuale che spettano al proprietario.

Questa tesi, è senza dubbio, aderente alla funzione dell’istituto, che è anche quella di garantire il venditore dai rischi relativi all’immediata produzione dell’effetto traslativo, ma è in contrasto[549] con l’espressa previsione legislativa e con la dichiarata funzione dell’istituto che vuole si garantire il venditore, ma proprio attraverso la conservazione del diritto di proprietà.

5)          Teoria della doppia proprietà[550]

Dopo la conclusione del contratto, entrambe le parti dovrebbero considerarsi proprietarie del bene e, precisamente: il compratore sarebbe proprietario con riserva di pagamento, mentre il venditore sarebbe titolare di un diritto di proprietà, estremamente ridotto e limitato nel suo contenuto, diritto individuato con il termine di “proprietà a garanzia del prezzo”.

Una siffatta tesi è  però contraria[551]al diritto positivo, il quale chiaramente afferma che la proprietà, prima del pagamento dell’ultima rata di prezzo, resta solo al venditore e che nel nostro ordinamento non sembra ammissibile la coesistenza di due proprietà, per quanto diverse, sul medesimo bene.

6)             Acquisto di un diritto reale sui generis

Per alcuni autori [552] con la conclusione del contratto il compratore acquista un diritto reale, strumentale rispetto all’acquisto del diritto di proprietà, mentre quest’ultimo diritto resta in capo al venditore a garanzia dell’adempimento integrale da parte del compratore medesimo.

Questo diritto reale è caratterizzato dall’attribuzione  a favore del suo titolare, vale a dire del compratore di vendita con riserva di proprietà, del potere di godimento del bene, e del rischio per il caso di perimento della cosa anche non imputabile.

È, coerentemente, possibile che il compratore trasferisca il diritto reale di godimento, acquistato immediatamente al momento del contratto, a terze persone, le quali, evidentemente, diventeranno proprietarie successivamente, ossia quando il prezzo sarà interamente pagato. Se, invece, il compratore con riserva alienerà, non il suo diritto reale limitato, ma la piena proprietà, di cui non è titolare prima di aver pagato interamente il prezzo avrà venduto la cosa altrui e risponderà del reato per appropriazione indebita.

Sul compratore gravano la sopportazione delle spese per manutenzione e riparazione del bene, e pure gli oneri fiscali.

Le azioni petitorie nei confronti dei terzi competono sia al venditore che al compratore, in quanto volto a tutelare un interesse di entrambi, analogamente  a quanto avviene tra usufruttuario e nudo proprietario.

C)   Ambito

1)           beni mobili –

2)           beni mobili registrati –

3)           beni immobili [553] – anche se non menzionati nel codice civile, prevale la tesi positiva della loro ammissibilità in tale ambito, poiché in mancanza di una norma proibitiva che peraltro non troverebbe giustificazione, prevale il dominio dell’autonomia privata (art. 1322 c.c). Nella pratica, anzi, qualora nell’alienazione di un bene immobile il pagamento sia differito, la riserva di proprietà viene spesso preferita all’ipoteca legale (art. 2817 n. 1 c.c.), perché il venditore, rimanendo proprietario, non dovrà, in caso d’inadempimento, ricorrere “all’odiosa” procedura esecutiva.

Secondo una pronuncia di merito [554] la vendita con riserva di proprietà normalmente attuata nelle compravendite mobiliari, può essere applicata anche alle vendite di immobili ed, in particolare, è tipica delle vendite a rate o a credito, in cui l’effetto traslativo della proprietà viene differito al momento del pagamento dell’ultima rata di prezzo. La circostanza comporta nella fattispecie che gli alienanti del suolo, facendo applicazione del summenzionato istituto, hanno mantenuto la proprietà del medesimo e, per il principio dell’estensione, la proprietà suddetta si è estesa ai materiali delle costruzioni in itinere. Al momento di introduzione della domanda, pertanto, i convenuti, acquirenti con riserva di proprietà, difettavano chiaramente di legittimazione passiva in relazione a tutte quelle domande a contenuto reale che presupponevano la proprietà in capo ad essi dell’edificio, ovverosia alle domande con le quali le parti, deducendo l’avvenuta violazione delle normative edilizie in materia di distanze, hanno invocato una riduzione del manufatto alle condizioni legittime.

4)           Anche per i diritti diversi dalla proprietà – ad es. vendita di Uso, superficie, usufrutto con prezzo differito.

Mentre la riserva di proprietà, consentita nel contratto di compravendita a favore del venditore dall’art. 1523 c.c., non è configurabile nel contratto di appalto, in quanto la proprietà dell’opera appaltata passa dall’appaltatore al committente nel momento stesso della consegna fatta dal primo al secondo e dell’accettazione da parte di quest’ultimo dell’opera stessa senza alcuna riserva, pur restando l’appaltatore creditore verso il committente del relativo prezzo [555].

Come del resto il diritto di prelazione (e di riscatto), riconosciuto dall’art. 7 della legge n. 817 del 14 agosto 1971 al coltivatore diretto che sia proprietario di terreni confinanti con quelli offerti in vendita (o già venduti), non può essere esercitato — neppure in via di applicazione analogica — dal soggetto che abbia acquistato il fondo con patto di riservato dominio, prima del pagamento dell’ultima rata del prezzo, atteso che nella vendita con riserva della proprietà (che può avere ad oggetto anche beni immobili) il trasferimento del diritto reale venendo differito al momento del pagamento dell’ultima rata di prezzo, l’acquirente (con patto di riservato dominio) diventa proprietario del bene soltanto quando il prezzo sia stato interamente versato [556].

 

 

D)   Disciplina

 

1)           Il passaggio dei rischi e dei pericoli – ex art. 1523 c.c. –

art. 1523 c.c.  passaggio della proprietà e dei rischi

Nella vendita a rate con riserva di proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna.

 

Il compratore assume al momento della consegna tali rischi, da tale momento, quindi, se la cosa perisce o rimane deteriorata, anche per caso fortuito, egli non è esonerato dal pagare l’intero prezzo.

Tecnicamente questa norma è un’eccezione alla regola sulla vendita obbligatoria (art. 1465 c.c. – res perit domino), ma essa è giustificata da ragioni equitative, in quanto il compratore ha già ottenuto il possesso e il godimento della cosa; se non ha ancora acquistato la proprietà è solo perché, a suo vantaggio, si è stabilito il pagamento differito del prezzo.

Non sarebbe perciò giusto che questo vantaggio gliene procurasse altri ancora, in specie l’esenzione dai rischi.

Per le sezioni unite [557], poi, il diritto alla consegna del bene compravenduto, pure nel caso di vendita con patto di riservato dominio, insorge con la conclusione del contratto, e resta quindi soggetto a prescrizione con decorso dalla data della sua stipulazione, tenendo conto che, pure in detta ipotesi, quel diritto è autonomo rispetto agli altri costituiti con il contratto, e non è qualificabile come mera facoltà inerente al diritto di proprietà (oggetto di successivo trasferimento).

È stato anche precisato [558] che il patto di riservato dominio può essere incluso anche in una vendita che preveda il pagamento del prezzo non rateale, ma interamente o parzialmente differito.

In entrambi i casi l’elemento caratteristico della vendita è costituito dalla immediata eseguibilità della prestazione di consegna della cosa e dal differimento dell’effetto traslativo, che ha luogo soltanto all’atto della completa esecuzione della prestazione riguardante il pagamento del prezzo.

Per la S.C. [559] il compratore con riserva di proprietà, acquistando la proprietà della cosa soltanto con il pagamento dell’ultima rata del prezzo, ai sensi dell’art. 1523 c.c., non può costituire enfiteusi sulla stessa, in quanto tale diritto reale di godimento graverebbe sul diritto del venditore, che è ancora titolare del dominio diretto sul bene.

Altro caso affrontato dalla S.C. [560] riguarda la riserva di proprietà in merito ad un alloggio di edilizia popolare, in effetti, con il pagamento dell’ultima rata di prezzo si verifica il trasferimento di proprietà dell’alloggio di edilizia popolare ed economica, già ceduto con riserva di proprietà all’originario assegnatario, poi deceduto, con la conseguenza che da parte degli eredi non è necessaria alcuna manifestazione di volontà per l’acquisizione di tale diritto; mentre, solo nel caso di decesso dell’assegnatario prima della stipula del contratto di cessione, il subentro nel diritto “personalissimo” all’assegnazione non si verifica iure hereditatis, essendo regolato dalle speciali disposizioni in materia.

Precedentemente la stessa Cassazione [561], senza tale precisazione, così stabiliva; con il pagamento dell’ultima rata di prezzo si verifica la condizione sospensiva a cui è sottoposta la vendita con riserva di proprietà di un alloggio di edilizia popolaree pertanto, per il trasferimento di esso a favore degli eredi dell’assegnatario, con il quale è stato stipulato il contratto di cessione in proprietà, non occorre nessuna ulteriore manifestazione di volontà da parte di costoro.

È stato anche puntualizzato [562] che nell’ambito della fattispecie contrattuale della vendita con patto di riservato dominio non è contemplata la facoltà, per l’acquirente, di non corrispondere il prezzo sulla base di una mera rivalutazione della convenienza dell’affare concluso.

In tal senso, invero, una volta perfezionatosi l’accordo tra i contraenti, deve escludersi la possibilità di apportare modifiche ai termini negoziali, se non con il consenso reciproco di entrambi, ovvero, avendo il contratto forza di legge tra le parti, per cause ammesse dalla legge.

È necessario anche precisare, come ha avuto modo la Cassazione [563], che la riserva di proprietà può aversi anche a mezzo di una donazione indiretta.

La donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità, e non già dal mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall’ordinamento, ivi compresi più negozi tra loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipulato un contratto di compravendita, paghi o si impegni a pagare il relativo prezzo e, essendosene riservata la facoltà nel momento della conclusione del contratto, provveda ad effettuare la dichiarazione di nomina, sostituendo a sé, come destinatario degli effetti negoziali, il beneficiario della liberalità, così consentendo a quest’ultimo di rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso. Né la configurabilità della donazione indiretta è impedita dalla circostanza che la compravendita sia stata stipulata con riserva della proprietà in favore del venditore fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo, giacché quel che rileva è che lo stipulante abbia pagato, in unica soluzione o a rate, il corrispettivo, oppure abbia messo a disposizione del beneficiario i mezzi per il relativo pagamento.

2)           Opponibilità ai terzi della riserva di proprietà

 

art. 1524 c.c.  opponibilità della riserva di proprietà nei confronti di terzi

La riserva di proprietà è opponibile ai creditori del compratore, solo se risulta da atto scritto avente data certa al pignoramento.

Se la vendita ha per oggetto macchine e il prezzo è superiore alle lire trentamila, la riserva della proprietà è opponibile anche al terzo acquirente, purché il patto di riservato dominio sia trascritto in apposito registro tenuto nella cancelleria del tribunale nella giurisdizione del quale è collocata la macchina, e questa, quando è acquistata dal terzo, si trovi ancora nel luogo dove la trascrizione è stata eseguita (2762; att. 254 e seguente).

Sono salve le disposizioni relative ai beni mobili iscritti in pubblici registri (2683 e seguenti).

La norma dell’art. 1524 c.c., nel rendere inopponibile ai terzi creditori del compratore il patto di riserva di proprietà che acceda ad un contratto di vendita, non trova la sua ratio nell’intento di salvaguardare i creditori da un atto che debba presumersi compiuto al fine di pregiudicare la loro sfera giuridica, ma nell’esigenza di tutelarli da pregiudizio che in linea di fatto può loro derivare, in relazione al loro affidamento nell’estensione della garanzia generale anche al bene oggetto della vendita, dalla circostanza che quest’ultimo, ancorché acquistato e pur se trasferito nel possesso, non è divenuto di proprietà del loro debitore.

Ad esigenza analoga il legislatore si è adeguato, ferma rimanendo la disponibilità degli altri mezzi di tutela offerti dalla speciale disciplina concorsuale, come si avrà modo di precisare, nell’art. 45 della legge fallimentare, richiedendo l’esistenza, prima della dichiarazione di fallimento, delle formalità necessarie anche nel diritto comune per rendere opponibili gli atti ai terzi (e quindi, in caso di vendita con riservato dominio, anche le formalità dell’art. 1524 c.c.). Con la norma dell’art. 64 della legge fallimentare, invece, nella parte in cui esso sancisce l’inefficacia, rispetto ai creditori, degli atti a titolo gratuito compiuti dal debitore nei due anni anteriori al fallimento, il legislatore ha previsto una ipotesi normativa che si differenzia nella ratio, nell’oggetto e nei limiti, da quelle che precedono. Quanto alla ratio, perché ispirata ad una presunzione di frode; quanto all’oggetto, perché essa riguarda atti a titolo gratuito; quanto ai limiti, con particolare riferimento alla materia della prova, perché la legge non ne pone alcuno che non possa già intendersi ricompreso nella sancita inefficacia relativa dell’atto compiuto entro i due anni predetti. Dalla diversità delle ipotesi normative considerate, deriva l’impossibilità dell’applicazione automatica della disciplina e degli effetti della prima (operante anche con riferimento alla procedura concorsuale in virtù dell’art. 45 legge fallimentare) ai casi previsti dalla seconda, ove in questi non ricorrano, anche, della prima, tutti i presupposti [564].

Con riguardo alla vendita di un bene mobile, con riserva di proprietà, che può essere validamente stipulata anche verbalmente, l’atto scritto è necessario solo ai fini dell’opponibilità della detta riserva di proprietà ai creditori del compratore [565].

Nell’ipotesi che vi sia differenza fra la data della stipulazione di un contratto di vendita con patto di riservato dominio e la successiva data in cui esso, unitamente alla riserva, sia stato registrato, il patto di riservato dominio non può ritenersi nullo o comunque assolutamente inefficace siccome inidoneo ad assolvere la sua funzione di dilazionare il trapasso della proprietà, già avvenuto invece come naturale effetto della precedente vendita, quest’ultima dovendosi considerare come stipulata pura e semplice. La norma di cui all’art. 1524 c.c., formulata solo in termini di opponibilità, ha voluto, infatti, colpire con una sanzione avente efficacia non assoluta, ma relativa, il mancato rispetto dei requisiti da essa previsti per il patto di riserva, onde il difetto di essi non basterebbe a rendere invalida fra le stesse parti del contratto una riserva della quale il contraente interessato potesse bensì dimostrare l’avvenuta stipulazione, senza peraltro poterla far valere verso i terzi per non averla tradotta in atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento [566].

Ciò non toglie che tale vendita può essere sottoposta ad azione revocatoria ordinaria.

Ai fini dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c., la vendita di un immobile con patto di riservato dominio comporta sempre un depauperamento del patrimonio del debitore, sia nel caso in cui il compratore diviene proprietario delle cose alienate con il pagamento dell’ultima rata del prezzo, sia nel caso in cui la fattispecie acquisitiva non giunge a conclusione per il compratore e, a carico del venditore, sorge l’obbligazione di restituzione delle rate riscosse, tenuto conto altresì , del fatto che il denaro corrispondente alle rate riscosse, per sua natura meno agevolmente aggredibile in sede esecutiva, non elimina il pericolo di danno costituito dall’eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva [567].

In tema di fallimento l’opponibilità del patto di riservato dominio postula esclusivamente che la sua stipulazione risulti da atto di data certa anteriore al fallimento e non anche che sia iscritto a norma dell’art. 1524, comma secondo c.c., essendo tale formalità necessaria per l’opponibilità al terzo acquirente [568].

Inoltre, la peculiare disciplina dettata dall’art. 73, secondo comma, della legge fall., che assicura al compratore una tutela più ampia rispetto a quella accordata al promittente acquirente dall’art. 72, quarto comma, trova giustificazione nel fatto che nella vendita a rate con riserva di proprietà l’effetto traslativo, pur rinviato nel tempo e subordinato all’integrale pagamento del prezzo, è già vincolante tra le parti, al punto che con la conclusione del contratto il venditore è obbligato alla consegna del bene al compratore, il quale dal momento della consegna assume su di sé i rischi relativi al bene acquistato; essa non può quindi trovare applicazione al contratto preliminare di compravendita concluso in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, il quale rimane assoggettato alla disciplina dettata dall’art. 72, quarto comma, della legge fall. anche nell’ipotesi in cui siano stati pattuiti l’immediato trasferimento del possesso e l’integrale pagamento del prezzo, in quanto tali clausole, aventi carattere accessorio e non incompatibili con la natura obbligatoria del contratto, non determinano effetti traslativi, essendo all’uopo necessaria la prestazione di un ulteriore consenso ad opera delle parti [569].

art. 72 L.F.    rapporti pendenti

Se  un  contratto  è  ancora  ineseguito  o  non  compiutamente  eseguito  da  entrambe  le  parti  quando,  nei confronti  di  una  di  esse,  è  dichiarato  il  fallimento,  l’esecuzione  del  contratto,  fatte  salve  le  diverse disposizioni  della  presente  Sezione,  rimane  sospesa  fino  a  quando  il  curatore,  con  l’autorizzazione  del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo  tutti i relativi obblighi,  ovvero  di  sciogliersi  dal  medesimo  salvo  che,  nei  contratti  ad  effetti  reali,  sia  già  avvenuto  il trasferimento del diritto.

Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto.  La  disposizione  di  cui  al  primo  comma  si  applica  anche  al  contratto  preliminare  salvo  quanto  previsto nell’articolo 72–bis.

In caso di scioglimento, il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno.

L’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V.

Sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.

In  caso  di  scioglimento  del  contratto  preliminare  di  vendita  immobiliare  trascritto  ai  sensi  dell’articolo 2645–bis del codice civile, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che gli sia dovuto il risarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’articolo 2775–bis del codice civile a  condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.

Le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645–bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente.

art. 73 L.F.  vendita con riserva di proprietà

Nella vendita con riserva di proprietà, in caso di fallimento del compratore, se il prezzo deve essere pagato a termine o a rate, il curatore può subentrare nel contratto con l’autorizzazione del comitato dei creditori; il venditore  può chiedere cauzione  a  meno  che  il  curatore  paghi  immediatamente  il  prezzo  con  lo sconto dell’interesse legale. Qualora il curatore si sciolga dal contratto, il venditore deve restituire le rate di prezzo già riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa.

Il fallimento del venditore non è causa di scioglimento del contratto.

Ai fini dell’esercitabilità dell’azione revocatoria fallimentare di cui al secondo comma dell’art. 67 della legge fallimentare, la quale presuppone che il creditore soddisfatto abbia avuto la possibilità, conoscendo l’insolvenza del debitore, di sospendere o rifiutare l’esecuzione della propria prestazione, non è possibile accostare la situazione del venditore nella vendita con riserva di proprietà — nei cui confronti venga esercitata la revocatoria relativamente alle rate di prezzo della vendita — a quella del legalmonopolista, sia perché il sorgere del rapporto di vendita con riserva di proprietà è frutto di libera scelta e non di un obbligo legale a contrarre, sia perché la difficoltà di ipotizzare l’applicazione dell’art. 1461 c.c. a detto tipo di vendita si ricollega alla particolare struttura di tale contratto (nel quale la consegna della cosa avviene all’atto della conclusione restando così possibile la sospensione dell’adempimento della propria prestazione da parte del venditore, nella ricorrenza di una situazione riconducibile all’art. 1461, solo prima della consegna), sia perché il venditore, di fronte al verificarsi di mutate condizioni dell’acquirente ed in particolare di fronte al rischio che i pagamenti del medesimo siano oggetto di possibili revoche a seguito di esercizio della revocatoria fallimentare od ordinaria, dispone di mezzi di tutela, rappresentati o dal rifiuto della prestazione, che, in presenza di detto rischio, ben può ritenersi assistito da motivo legittimo ai sensi dell’art. 1206 c.c., con conseguente esclusione di mora accipiendi a suo carico (senza che in contrario si possa addurre l’operatività dell’art. 1358 c.c.), o dalla possibilità di esercitare l’azione di risoluzione per inadempimento nel caso in cui ricorrano le condizioni di cui all’art. 1525 c.c. (Sulla base di tali principi la Suprema Corte [570] ha ritenuto nella specie ammissibile la revocatoria contro il venditore con riserva di proprietà).

art. 66 L.F.   azione revocatoria ordinaria

Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile.

L’azione  si  propone  dinanzi  al  tribunale  fallimentare,  sia  in  confronto  del  contraente  immediato,  sia  in confronto dei sui aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro.

art. 67 L.F.    atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie

Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite  o  le  obbligazioni  assunte  dal  fallito  sorpassano  di  oltre  un  quarto  ciò  che  a  lui  è  stato  dato  o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;

3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;

4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di

Non sono soggetti all’azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645–bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto  immobili  ad  uso  abitativo,  destinati  a  costituire  l’abitazione  principale  dell’acquirente  o  di  suoi parenti  e  affini  entro  il  terzo  grado,  ovvero  immobili  ad  uso  non  abitativo  destinati  a  costituire  la  sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;

d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel  registro  dei  revisori  legali  ed  in  possesso  dei  requisiti  previsti  dall’articolo  28,  lettere  a)  e  b)  deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è  legato  all’impresa  e  a  coloro  che  hanno  interesse  all’operazione  di  risanamento  da  rapporti  di  natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista  deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività  di  lavoro  subordinato  o  autonomo  in  favore  del  debitore  ovvero  partecipato  agli  organi  di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;

e)  gli  atti,  i  pagamenti  e  le  garanzie  posti  in  essere  in  esecuzione  del  concordato  preventivo, dell’amministrazione controllata , nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182–bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161;

f)  i  pagamenti  dei  corrispettivi  per  prestazioni  di  lavoro  effettuate  da  dipendenti  ed  altri  collaboratori, anche non subordinati, del fallito;

g)  i  pagamenti  di  debiti  liquidi  ed  esigibili  eseguiti  alla  scadenza  per  ottenere  la  prestazione  di  servizi strumentali  all’accesso  alle  procedure  concorsuali  di  amministrazione  controllata  e  di  concordato preventivo.

Le  disposizioni  di  questo  articolo  non  si  applicano  all’istituto  di  emissione,  alle  operazioni  di  credito  su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.

Sempre in tema di fallimento per altra pronuncia [571] il fatto che il venditore con patto di riservato dominio, in caso di fallimento del compratore, abbia chiesto ed ottenuto l’ammissione al passivo della parte di prezzo ancora non pagatagli non preclude, al venditore stesso, la facoltà di proporre a norma dell’art. 103 legge fall. istanza di restituzione della cosa, atteso che la speciale natura del procedimento fallimentare non osta all’applicazione dell’art. 1453, secondo comma, non configurandosi una violazione della par condicio creditorum, dal momento che la proprietà del bene, per effetto del patto di riservato dominio, non si trasferisce al (compratore) fallito se non con il pagamento dell’ultima rata.

3)           Trascrizione [572]

Annotazione

Il notaio procede ad una quietanza finale, rilasciata dal venditore che riconosce l’avvenuto pagamento, e ne consente l’annotazione a margine della trascrizione originaria.

Difatti per una sentenza di merito [573], la vendita con riserva di proprietà, seppure disciplinata con specifico riferimento ai beni mobili, è applicabile anche con riguardo ai beni immobili, seppure in tali circostanze deve necessariamente coordinarsi con la relativa disciplina in materia, avuto particolare riguardo a quella concernente la trascrizione. Orbene, nelle ipotesi in cui l’atto notarile di compravendita immobiliare risulti regolarmente trascritto alla data della stipula, e dunque opponibile all’alienante, e nel successivo atto di quietanza e assenso alla cancellazione del riservato dominio sul bene si dia atto che il patto di riservato dominio è stato a suo tempo convenuto unicamente a garanzia del pagamento del prezzo, rateizzato, una volta perfezionatasi la fattispecie con in pagamento del prezzo gli effetti della compravendita retroagiscono al momento della stipula del contratto. La rilevata circostanza, e dunque l’avvenuto acquisto dell’immobile non già alla data di pagamento dell’ultima rata del prezzo convenuto, bensì alla data di sottoscrizione del contratto di compravendita, determina nella specie la chiara sussistenza della legittimazione attiva degli attori in ordine alla domanda risarcitoria avente origine da fatti prima del pagamento dell’ultima rata del prezzo e la conseguente infondatezza dell’eccezione sollevata dai convenuti al riguardo. Nella fattispecie concreta, in particolare, la domanda risarcitoria è proposta al fine di ottenere il ristoro dei danni derivati agli attori in seguito all’occupazione dei suoli di proprietà da parte della convenuta Amministrazione Comunale ed alla irreversibile trasformazione degli stessi, circostante queste intervenute prima che i medesimi provvedessero al versamento dell’ultima rata del prezzo pattuito con l’alienante.

4)           Limitata risoluzione per inadempimento

 

art. 1525 c.c.   inadempimento del compratore

Nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto, e il compratore conserva il beneficio del termine relativamente alle rate successive (1455; att. 176).

 

Per la S.C. [574]l’azione diretta a far valere il diritto alla restituzione di un bene oggetto di un contratto di vendita a rate con riserva della proprietà, nei confronti dello acquirente inadempiente all’obbligazione di pagamento del prezzo, ha natura non di azione reale di rivendica [575] ma di azione contrattuale personale proponibile nelle forme del procedimento monitorio.

La norma di cui all’art. 1525 c.c., secondo la quale il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo non dà luogo alla risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà, è dettata con esclusivo riferimento a tale fattispecie contrattuale, e non è, pertanto, suscettibile di applicazione analogica con riguardo ad altre figure negoziali (quale quella, ricorrente nella specie, del cosiddetto «contratto misto»), né è invocabile da soggetti diversi dalla parte acquirente, nel cui interesse essa risulta formulata, con la conseguenza che la parte alienante, per conseguire la risoluzione del contratto, deve dimostrare la sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 1186 e 1453 c.c. [576]

Come già analizzato in precedenza con la massima riportata [577] nel contratto preliminare di compravendita immobiliare, diversamente da quanto accade nel preliminare di permuta, l’avvenuta esecuzione del contratto da parte del promissario acquirente non impedisce, in caso di fallimento del promittente venditore, l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto conferitagli dall’art. 72, quarto comma, della legge fall. Nella compravendita, infatti, non si riscontra quell’identità di ruoli tra le parti che caratterizza la permuta, in cui ciascuno dei contraenti assume, al tempo stesso, la posizione di alienante ed acquirente, e non è quindi applicabile il principio secondo cui l’avvenuta esecuzione della prestazione da parte di uno dei contraenti in epoca anteriore alla stipulazione del contratto definitivo determina l’insorgere «ex uno latere» degli effetti finali dell’operazione economica programmata, realizzando quindi, rispetto ad una delle parti, lo stesso risultato giuridico ricollegato, nella previsione delle stesse, alla stipulazione del definitivo. Non si giustifica, pertanto, una disciplina uniforme degli effetti della dichiarazione di fallimento, tale da escludere, in caso di sopravvenuto fallimento del venditore, l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scioglimento unilaterale del contratto, qualora l’acquirente abbia già eseguito la propria prestazione.

 

 

art. 1526 c.c.  risoluzione del contratto

Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre il risarcimento del danno (1223 c.c.).

(Patto di confisca delle rate versate è stato considerato un’applicazione dell’istituto della clausola penale [578]) Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta (1384 c.c.).

La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti (att. 176).

 

Per una vetusta sentenza della S.C. [579] l’equo compenso cui ha diritto il venditore nel caso di risoluzione di vendite a rate, sta a rappresentare la contropartita dell’uso e del naturale deterioramento della cosa, dipendente dal tempo trascorso, mentre per l’ulteriore deprezzamento dovuto a cause fuori dall’ordinario, soccorre il risarcimento del danno, dovuto anch’esso dal compratore inadempiente. Il compenso de quo deve essere calcolato con criterio equitativo, più che con criterio meramente economico e di lucro.

Nuovamente sul punto, con ultimo intervento la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 dicembre 2015, n. 25732

ha, ulteriormente, stabilito che in tema di vendita con riserva di proprietà, l’art. 1526 c.c., applicabile alla fattispecie negoziale del leasing traslativo prevede che nel caso in cui la risoluzione avvenga per l’inadempimento del compratore, debba essere riconosciuto al venditore – tenuto a restituire le rate riscosse – il diritto all’equo compenso per l’uso della cosa comprensivo della remunerazione del godimento del bene, del deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e del logoramento per l’uso, oltre al risarcimento del danno, eventualmente derivante da un deterioramento anormale della cosa. Ne consegue che il diritto all’equo compenso e quello al risarcimento del danno costituiscono autonome pretese, le quali, se esercitate nel corso del giudizio, necessitano di autonoma e tempestiva domanda.

 

Nella disposizione di cui al secondo comma dell’art. 1526 c.c. — per la quale, qualora sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità, questa può essere ridotta dal giudice — il ricorso al termine indennità, normalmente utilizzato per indicare quelle forme di compensazione in danaro la cui entità non corrisponde necessariamente a quella del danno, né presuppone l’imputabilità del comportamento che lo ha determinato, sta ad indicare che il legislatore ha inteso riferirsi ai casi in cui la liquidazione anticipata concerne unicamente il credito all’equo compenso per il temporaneo godimento del bene, di cui al primo comma del medesimo articolo [580].

 

 

E)    La vendita in forma di locazione[581]

Tale figura, accogliendo la tesi sostenuta da un autorevole autore [582]  rientra nell’ambito della compravendita con riserva di proprietà, superando in tal modo quelle dispute dottrinarie, di matrice francese, sulla natura di tale istituto (locazione accompagnata da promessa di vendita, vendita soggetta a condizione, vendita soggetta a termine, contratto misto) avutesi soprattutto precedentemente alla riforma del codice civile del 1942.

In altri termini: se Tizio conviene che pagherà per 10 anni a Caio proprietario dell’appartamento Alfa, il canone mensile di 500 euro per il godimento dell’appartamento stesse e le parti stabiliscono, nel contempo che al decimo anno, se Tizio sarà in regola con i pagamenti, diventerà automaticamente proprietario, il contratto, anche se configurato impropriamente come locazione, sarà, nella realtà giuridica e nella conseguente disciplina, una vendita con riserva di proprietà.

In questo tipo di contratto, infatti, manca la causa della locazione, ossia il godimento temporaneo di un determinato bene per il corrispettivo pagamento di un canone.

Questo tipo contrattuale, pur perseguendo in definitiva lo stesso fine della vendita in forma di locazione, da questa si distingue per la diversa struttura giuridica e, sul piano della disciplina, soprattutto perché manca in essa l’automatismo del passaggio della proprietà; manca cioè la caratteristica principale della vendita con riserva di proprietà (art. 1523 c.c.).

 

Leasing

Leasing deriva dall’inglese to lease che significa affittare.

Con questo termine si indica la locazione finanziaria che trae le sue origini, appunto, dal sistema del common law.

È un contratto appartenente alla categoria dei “nuovi contratti atipici” e risulta dalla combinazione degli schemi della vendita con patto di riservato dominio e del contratto di locazione di cui all’art. 1571 del c.c. Con il contratto di leasing, un soggetto chiamato locatore o concedente, concede a un altro soggetto chiamato utilizzatore, il diritto di utilizzare un determinato bene dietro il pagamento di un canone periodico.

Le figure di leasing presenti nel nostro ordinamento sono molteplici e ormai praticamente tipizzate dalle interpretazioni rese da dottrina e giurisprudenza ma non tutte si possono inquadrare nella fattispecie di cui all’art. 1523 c.c

Tra le diverse figure si contraddistinguono:

1)          Il leasing operativo

Esso rappresenta la forma più antica di leasing: può essere inquadrato giuridicamente come locazione di beni strumentali. Infatti con esso vengono ceduti in locazione beni strumentali standardizzati per un periodo di tempo rapportato alla loro vita economica ovvero produttiva. In poche parole esso rappresenta una forma particolare di noleggio perché la società, pur avendone il pieno godimento, paga un canone per così dire locatizio, realizzando nel breve periodo un ingente utile dovuto alla sproporzione derivante dal basso costo di acquisto dei materiali (canone di locazione) e l’utile derivante dagli incassi che i beni acquistati con questa forma di leasing producono (utile).

La seconda figura di leasing è:

2)           il Leasing finanziario suddiviso in ulteriori due figure giuridiche il leasing di godimento ed il leasing traslativo.

Il cosiddetto leasing finanziario, è

il contratto con il quale una società finanziaria, che ha acquistato per conto di un’impresa industriale o commerciale un bene ad essa necessario, lo cede all’impresa stessa in godimento, per un determinato periodo di tempo (normalmente corrispondente a quello in cui il bene è idoneo ad apportare utilità economica), dietro pagamento di un canone, e con facoltà di optare, alla scadenza, fra la restituzione od il conseguimento in proprietà previo versamento di un ulteriore importo

 

Tale fattispecie configura un contratto atipico, essenzialmente rivolto a consentire ad una parte la disponibilità della cosa mediante un prestito di capitale effettuato dall’altra, ove detto canone assume principalmente il valore di restituzione della somma mutuata, non di versamento periodico di un prezzo di acquisto, anche perché tale acquisto è contemplato in via meramente eventuale e comunque abbisogna di una nuova manifestazione di volontà negoziale (esercizio dell’opzione). Pertanto, in caso di risoluzione anticipata del contratto, per l’inadempimento dell’imprenditore che utilizza il bene, deve escludersi che la società finanziaria sia tenuta alla restituzione delle somme riscosse, stante l’inapplicabilità delle disposizioni dettate dall’art. 1526 c.c. per le ipotesi della vendita con riserva di proprietà o della locazione con patto di trasferimento della cosa locata, e resta invece operante il principio generale posto dall’art. 1458, primo comma, c.c. per i rapporti di durata, sull’inoperatività degli effetti della risoluzione per le prestazioni già eseguite, con l’ulteriore conseguenza che va riconosciuta come lecita, in quanto coerente con tale principio, la clausola che preveda l’integrale percezione da parte della società finanziaria dei ratei di canone scaduti fino alla data della risoluzione stessa [583].

Per il tribunale Milanese [584]il leasing finanziario si concretizza in una fattispecie che realizza una figura di collegamento negoziale tra il contratto di leasing ed il contratto di fornitura. La scissione tra il soggetto destinato a ricevere dal fornitore la prestazione di consegna ed il soggetto destinato ad adempiere nei confronti del fornitore l’obbligazione di pagamento del prezzo, pur non consentendo al concedente di pagare il prezzo indipendentemente dall’avvenuta consegna, giustifica che il concedente stesso possa fare affidamento sull’autoresponsabilità dell’utilizzatore nel ricevere la consegna dal fornitore atteso che utilizzatore e concedente hanno, nei confronti del fornitore, un interesse comune per cui su entrambi grava un onere di collaborazione. Se l’utilizzatore accetta di sottoscrivere il verbale di consegna anche a fronte di una consegna mancante o incompleta da parte del fornitore, piuttosto che rifiutare la prestazione o far constatare il rifiuto nel relativo verbale, pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore ma non gli può essere consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa né di fondate su ciò il diritto di sospendere il pagamento dei canoni.

Per la Corte Capitolina [585]nell’ambito del contratto di leasing finanziario, è l’utilizzatore che ha la legittimazione a far valere nei confronti del fornitore le azioni dirette all’adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto adempimento dello stesso. Invero, nonostante il collegamento negoziale esistente tra il contratto di leasing finanziario ed il contratto di fornitura tra il concedente ed il fornitore, con obbligo di consegna del bene all’utilizzatore, allorché detta consegna vi sia stata, è elemento naturale del negozio, salvo clausola contraria, l’esonero del locatore da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto, ed a stabilire le condizioni di acquisto per il concedente, per cui ogni vizio del bene dovrà essere fatto valere direttamente dall’utilizzatore nei confronti del fornitore.

Per il Tribunale Bolognese [586] in materia di leasing, l’eventuale non conformità tra quanto risultante dal verbale di consegna e quanto effettivamente consegnato, non legittima in nessun caso, il rifiuto del pagamento dei canoni convenuti. Nella locazione finanziaria, caratterizzata dal collegamento negoziale tra il leasing ed il contratto di fornitura, si assiste ad una scissione tra soggetto destinato a ricevere dal fornitore la merce ed il soggetto destinato ad adempiere nei confronti del fornitore l’obbligazione di pagamento del prezzo. Ove il negozio di compravendita prevede che il fornitore consegni la res direttamente all’utilizzatore ed il contratto di leasing sancisce a propria volta, che l’utilizzatore la riceva, quest’ultimo è gravato dall’onere di comportarsi, rispetto al momento perfezionativo della consegna, in maniera diligente. Infatti, se l’utilizzatore accetta di sottoscrivere il verbale di consegna senza riserve, anche a fronte di una consegna incompleta da parte del fornitore, egli pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore. Ne discende che allo stesso non può essere consentito di opporre che la consegna non è stata completa, né di sospendere il pagamento dei canoni.

A)           Il leasing di puro godimento

 

Per la S.C. [587] ricorre la figura del leasing di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi, mentre ricorre il leasing traslativo allorché la pattuizione si riferisca a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto, e solo in quest’ultimo caso, stante la eadem ratio, può applicarsi in via analogica al contratto di leasing la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. per la vendita con riserva di proprietà. L’accertamento della volontà delle parti trasfusa nelle clausole contrattuali in ordine al tipo di negozio posto in essere rientra nei poteri del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se non per violazione dei criteri ermeneutici, ovvero per vizio di motivazione.

Ai fini della qualificazione come leasing traslativo di un contratto avente ad oggetto l’utilizzazione di beni atti a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo, ciò che rileva, indipendentemente dalla circostanza che concedente sia il produttore del bene ovvero un imprenditore che l’acquisti per porlo a disposizione dell’utilizzatore, è se il godimento temporaneo da parte dell’utilizzatore esaurisca la funzione economica del bene ovvero la durata del contratto sia predeterminata solo in funzione dell’ulteriore differito trasferimento del bene e della rateizzazione del prezzo d’acquisto; in quest’ultima ipotesi, in caso di inadempimento dell’utilizzatore, si applica in via analogica la disciplina della vendita con riserva della proprietà, per cui, ai sensi dell’art.1526 c.c., l’utilizzatore ha diritto alla restituzione delle rate riscosse ed il concedente ha diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa oltre al risarcimento del danno [588].

B)          Leasing Traslativo

Sul concetto di leasing traslativo ci aiuta notevolmente ultima sentenza della S.C. [589] secondo la quale il contratto di leasing traslativo sottende un’operazione tendente ad attuare un acquisto dell’utilizzatore ed una mera operazione di finanziamento da parte del concedente.

È l’utilizzatore che sceglie presso il terzo venditore (non presso il concedente) il bene oggetto di leasing, in termini conformi alle sue peculiari esigenze, mentre il concedente si limita a fornire i mezzi economici per il pagamento del prezzo, erogando la somma necessaria, che verrà restituita – con l’aggiunta di interessi, spese ed utile dell’operazione ratealmente e tramite l’esercizio finale dell’opzione di acquisto.

La formale intestazione della proprietà al concedente ha mera funzione di garanzia della restituzione del finanziamento e configura una sorta di proprietà fiduciaria in funzione di garanzia, che si contrappone al vero e proprio dominio utile, spettante all’utilizzatore.

Per il Tribunale Milanese [590] nel leasing traslativo, soggetto alla disciplina della vendita con riserva di proprietà, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, restituita la cosa, conserva il diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della stessa, oltre al risarcimento del danno. Quanto poi alla richiesta di riduzione ad equità della penale ai sensi dell’art. 1384 c.c., anche nel caso di mancata restituzione dei beni da parte dell’utilizzatore, è possibile escludere che ricorrano i presupposti per ridurre ad equità la penale in ragione del fatto che detta clausola non pare comportare un ingiustificato arricchimento del concedente [591].

Inoltre, per la Corte Romana [592], la clausola contrattuale che pone a carico dell’utilizzatore il rischio per la perdita del bene oggetto del contratto non ha carattere vessatorio [593], poiché essa si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile – in via analogica – dall’art. 1523 c.c. sulla vendita a rate con riserva della proprietà. Detta norma è, infatti, finalizzata ad evitare che, in seguito alla consegna del bene all’utilizzatore, il concedente possa essere danneggiato a sua insaputa per fatti avvenuti nella sfera di controllo dell’altra parte.

In precedenza, la stessa Corte Capitolina [594], sempre in merito alla clausola contrattuale che pone a carico dell’utilizzatore il rischio per la perdita del bene oggetto del contratto, questa previsone non ha carattere vessatorio, poiché si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile – in via analogica – dall’art. 1523 c.c. sulla vendita a rate con riserva della proprietà.

Secondo, poi, la sentenza già menzionata [595] della S.C., nel contratto di leasing traslativo, l’utilizzatore del bene, benché non proprietario, è una sorta di domino utile, e dunque può essere chiamato a rispondere a titolo di responsabilità precontrattuale.

Si legge nella sentenza in commento che erroneamente la sentenza impugnata ha negato alla parte utilizzatrice la legittimazione a rispondere per responsabilità precontrattuale, perché mera utilizzatrice, e non formale proprietaria, del bene oggetto di leasing.

Ognuno può essere chiamato a rispondere degli affidamenti ingiustamente creati nei terzi in relazione ad affari che rientrino nell’ambito dei poteri, pur limitati, che concretamente gli spettino su di un determinato bene: così il locatore può risponde per mala fede o per ingiustificato recesso dalle trattative attinenti a una sublocazione, pur se non proprietario del bene.

Per quanto poi concerne i contratti di leasing traslativo, i poteri dell’utilizzatore sono talmente ampi da poter essere assimilati ad una sorta di dominio utile, tale da rendere inaccettabile, perchè non conforme alla natura del contratto e della sottostante operazione economica, il principio per cui l’utilizzatore non potrebbe essere chiamato a rispondere per responsabilità precontrattuale (come anche per responsabilità contrattuale o aquiliana) in relazione agli atti che ha il potere di compiere per effetto del contratto di leasing.

 

In tema di leasing traslativo, nel caso di fallimento del compratore, la dichiarazione del curatore di scioglimento dal contratto non ancora compiutamente eseguito, ai sensi del secondo comma dell’art. 72 legge fall., ha effetti ex tunc, con la conseguenza che il credito restitutorio per le prestazioni effettuate dal compratore fallito (nella specie, i canoni pagati) non nasce dalla dichiarazione del curatore né dalla sentenza di fallimento, ma trova il suo fatto genetico nel venir meno della giustificazione contrattuale dell’attribuzione patrimoniale stessa fin dal momento della sua esecuzione; collocandosi tale momento anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il suddetto credito diviene compensabile con il controcredito del concedente, sorto anch’esso anteriormente a detta dichiarazione, e relativo al risarcimento dei danni per l’inadempimento del fallito, anche quando gli effetti dello scioglimento siano regolati dall’art. 1526 c.c.[596]

 

C)          Disciplina Comune

 

Come riportato in ultima pronuncia della Cassazione [597], la giurisprudenza più che consolidata della medesima Corte [598], è costante nell’affermare che nel contratto di leasing, se il concedente imputa all’utilizzatore l’inadempimento costituito dalla sospensione del pagamento dei canoni e se l’utilizzatore eccepisce l’inadempimento del fornitore all’obbligazione di consegna, l’accoglimento dell’eccezione, che deve avvenire sulla base dell’art. 1463 c.c., non può trovare ostacolo nel fatto che il contratto di leasing contenga una clausola che riversi sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte clausole, ma se – come nella specie – l’utilizzatore accetta di sottoscrivere senza riserve il verbale di consegna, pure a fronte di una incompleta o a fortiori mancata consegna da parte del fornitore (invece di rifiutare la prestazione e far constatare il rifiuto nel relativo verbale), egli pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore; con la conseguenza che in tal caso non gli può essere consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa o che non c’è stata, nè di fondare su ciò il diritto di sospendere il pagamento dei canoni.

In sostanza, la scissione tra soggetto destinato a ricevere (dal fornitore) la prestazione di consegna e soggetto destinato ad adempiere (nei confronti del fornitore) l’obbligazione di pagamento del prezzo, non consente al concedente di pagare il prezzo indipendentemente dall’avvenuta consegna, ma giustifica, sulla base dell’art. 1375 c.c., che il concedente stesso possa fare affidamento sull’autoresponsabilità dell’utilizzatore nel ricevere la consegna dal fornitore, atteso che utilizzatore e concedente hanno, nei confronti del fornitore, un interesse comune (sicché su entrambi grava un onere di collaborazione); pertanto, se il contratto di compravendita prevede che il fornitore consegni la cosa direttamente all’utilizzatore, ed il contratto di leasing prevede, a sua volta, che l’utilizzatore la riceva, il concedente che resta obbligato al pagamento del prezzo, nell’adempiere, deve far in modo di salvaguardare l’interesse dell’utilizzatore all’esatto adempimento, così come questi è, dal suo canto, gravato, nei confronti del concedente, dell’onere di comportarsi, rispetto al momento della consegna, in modo diligente, si che non ne risulti sacrificato, per altro verso, l’interesse che anche il concedente ha all’esatto adempimento da parte del fornitore, secondo un modello comportamentale comune improntato alla reciproca cooperazione onde conseguire l’esatto adempimento da parte del fornitore.

Nuovamente sul punto, con ultimo intervento la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 22 dicembre 2015, n. 25732

ha, ulteriormente, stabilito che in tema di vendita con riserva di proprietà, l’art. 1526 c.c., applicabile alla fattispecie negoziale del leasing traslativo prevede che nel caso in cui la risoluzione avvenga per l’inadempimento del compratore, debba essere riconosciuto al venditore – tenuto a restituire le rate riscosse – il diritto all’equo compenso per l’uso della cosa comprensivo della remunerazione del godimento del bene, del deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e del logoramento per l’uso, oltre al risarcimento del danno, eventualmente derivante da un deterioramento anormale della cosa. Ne consegue che il diritto all’equo compenso e quello al risarcimento del danno costituiscono autonome pretese, le quali, se esercitate nel corso del giudizio, necessitano di autonoma e tempestiva domanda.

Inoltre nella medesima sentenza viene confermato il principio della invalidita’ di eventuali clausole che assegnino ali’utilizzatore il rischio della mancata consegna e che nei contratti di leasing traslativo sussiste l’obbligo di buona fede e di cooperazione fra le parti contrattuali. Sussiste cioe’ un obbligo reciproco fra le parti di condotta secondo buona fede per cui anche parte concedente, avendo contezza che il verbale di consegna non era stato sottoscritto dopo l’effettiva consegna, avrebbe dovuto, per lo meno, chiedere conferma all’utilizzatore se, quantomeno a distanza di poco tempo, cio’ fosse realmente avvenuto

In tema di leasing, sia esso traslativo o finanziario, deve escludersi che l’esercizio da parte dell’utilizzatore dei diritti derivanti dai rapporti di locazione aventi ad oggetto gli immobili ad esso concessi in godimento richieda la prova della intervenuta cessione dei relativi contratti, con il consenso dei conduttori, ovvero della gestione dei rapporti stessi da parte dell’utilizzatore in nome e per conto del concedente, non risultando sufficiente, al predetto fine, la mera stipulazione del contratto di leasing e neppure la concreta gestione dei rapporti di locazione da parte dell’utilizzatore, dovendosi, invece, ritenere che è la stessa funzione del contratto, imperniato sull’attribuzione della disponibilità del bene concesso in uso, ad escludere la necessità della predetta cessione, implicando l’esercizio in proprio da parte dell’utilizzatore dei diritti derivanti dai contratti di locazione, nonché l’assunzione dei relativi obblighi [599].

Infine, per ultima Cassazione [600] nelle operazioni di leasing tra il contratto di vendita e quello di locazione finanziaria esiste un collegamento funzionale, per effetto del quale si produce una diffusione delle cause di nullità, annullamento, risoluzione, dall’uno all’altro dei due contratti collegati.

 

 

5)          Vendita su campione e su tipo di campione

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili –  § 2 dalla vendita con riserva di gradimento, a prova, a campione –  1520 – 1523

 

art. 1522  c.c.  vendita su campione e su tipo di campione

Se la vendita è fatta su campione s’intende che questo deve servire come esclusivo paragone per la qualità della merce, e in tal caso qualsiasi difformità attribuisce al compratore il diritto alla risoluzione del contratto.

(la c.d. vendita sul tipo di campione – clausola) Qualora però dalla convenzione o dagli usi risulti che il campione deve servire unicamente ad indicare in modo approssimativo la qualità si può domandare la risoluzione soltanto se la difformità del campione sia notevole.

Ambito

Questo tipo contrattuale trova applicazione quasi esclusivamente nella vendita generica [601], nella quale può facilmente prelevarsi il campione, ma non è escluso il ricorso ad esso per le cose specifiche, qualora sia possibile in questi casi esibire un fac–simile che funzioni da campione.

Si ritiene, inoltre, che tale vendita possa avere ad oggetto anche immobili, in tal caso si avrà una determinazione per relationem di determinate qualità del bene, non essendo necessario che il campione sia prelevato dalla cosa venduta.

Si pensi alla vendita di un appartamento di un residence strutturato ed arredato con caratteristiche uguali ad altro facente parte dello stesso residence.

È giusto precisare che nella vendita su campione, le parti possono anche pattuire che soltanto alcuni dei requisiti del campione assurgono a qualità promesse, cosicché non qualsiasi difformità della merce rispetto al campione, ma soltanto la difformità rispetto ai requisiti del campione alle quali le parti hanno espressamente fatto riferimento attribuisce al compratore, ai fini dell’art. 1522 c.c. il diritto alla risoluzione del contratto [602].

Natura giuridica  –

Contratto perfetto per relationem, immediatamente efficace, il cui oggetto non è determinato ma è determinabile attraverso il riferimento al campione.

Per la S.C. [603] se è vero che la perfetta aderenza al campione della cosa consegnata è giustamente richiesta ove la stessa possa essere uguale, nel senso che ogni esemplare debba essere identico al prototipo rappresentato dal campione, ciò non può verificarsi in assoluto laddove le cose, anziché fabbricate dall’uomo, siano prodotte dalla natura, nella quale è ben difficile riscontrare cose perfettamente uguali; così allorché si tratta di un bene come il marmo colorato, nel quale, fermo restando tipo, qualità e coloratura, differenze si possono riscontrare nella venatura e macchiatura.

Differenze tra

Vendita su campione Vendita con riserva di gradimento [604]
si differenziano per il fatto che
quest’ultima si tratta di un contratto in via di formazione (precisamente un’opzione) nel quale l’acquirente ha un potere discrezionale ed insindacabile di accettare la cosa venduta.
Vendita su campione Vendita a prova [605]
si differenziano per il fatto che
quest’ultima s’inquadra nei contratti sottoposti a condizione sospensiva dove la prova a differenza del riferimento del campione (che da una semplice operazione di raffronto) consiste in un atto di accertamento tecnico del quale deve risultare che la cosa venduta ha le qualità pattuite ed è idonea all’uso cui è destinata.
Vendita su campione Vendita su tipo di campione
si differenziano per il fatto che
quando nel concludere un contratto di compravendita di merce si sia fatto riferimento ad un campione, cioè ad un esemplare appartenente al genere oggetto della vendita, che deve servire da modello per controllare (al momento della consegna) la conformità della cosa consegnata a quella pattuita, possono verificarsi due ipotesi: che l’esemplare prescelto abbia la funzione di assicurare la perfetta conformità delle cose che si consegnano al campione, nel senso che di esso debbono possedere tutte le caratteristiche, perché il compratore non intende acquistare cose anche in piccola parte diverse (vendita su campione), ovvero che il campione debba servire solo a fornire un’indicazione generica delle caratteristiche che devono avere le cose da consegnarsi, per modo che queste possono anche non corrispondere esattamente al tipo, bastando che ne possiedano solo le qualità essenziali (vendita su tipo di campione). Lo stabilire, nei singoli casi, se si sia inteso stipulare una vendita su campione o una vendita su tipo di campione si risolve in un apprezzamento di fatto affidato al giudice di merito che, quando sia immune da vizi logici o errori giuridici, non è sindacabile in cassazione [606].

Disciplina giuridica  – problemi riguardo:

A)        l’interpretazione; nel caso in cui la clausola di vendita su campione non sia espressa, sarà compito dell’interprete ravvisarne l’esistenza sulla base di specifiche circostanze identificate dalla dottrina:

1)  esibizione del campione al momento della stipulazione del contratto;

2)  nella dazione di un campione ad un terzo;

3)  nell’adozione di idonee cautele atte ad identificare il campione;

B)        l’azione di difformità della merce; s’inquadra nell’ambito dell’azione di risoluzione per mancanza delle qualità promesse [607]; la principale variante rispetto alla tipica azione per mancanza delle qualità promesse consiste nell’inapplicabilità dell’inadempimento di scarsa importanza (art. 1455 c.c.), in quanto la vendita su campione si caratterizza (qualsiasi difformità) per il fatto che tutti i requisiti risultanti dal campione sono stati dalle parti considerati come qualità essenziali. Per la risoluzione della vendita su campione la legge non richiede il requisito dell’importanza dell’inadempimento, in quanto la vendita di cosa mobile su campione si caratterizza per il fatto che qualsiasi differenza dal campione costituisce, per raffronto materiale corporeo, una inadempienza che dà diritto al compratore di domandare la risoluzione del contratto[608].

C)        le generali azioni a difesa del compratore; la conformità del bene al campione non esclude, naturalmente la tutela tipica a favore del compratore: la tutela generale e la tutela speciale del compratore.

D)        Onere della prova; nella vendita su campione il venditore non ha altro obbligo che quello di provare di aver consegnato la merce contrattata, senza che egli possa essere tenuto a provarne la conformità, laddove l’onere di provare che la merce non aveva le caratteristiche richieste e risultanti dal campione, incombe al compratore, a dimostrazione del fondamento dell’eccezione opposta alla pretesa del venditore; inoltre, la prova della relativa difformità deve essere valutata esclusivamente mediante il raffronto con il campione, sicché ove il campione manchi o non sia esibito con le necessarie garanzie d’identificazione, viene meno la possibilità di accertare l’inadempimento del venditore in ordine alla particolare qualità della merce oggetto della convenzione [609].

  

 

6)          Vendita a prova

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili –  § 2 dalla vendita con riserva di gradimento, a prova, a campione –  1520 – 1523

Si presume fatta sotto la condizione sospensiva [610] che la cosa  abbia le qualità pattuite o sia idonea all’uso a cui è destinata.

 

art. 1521 c.c.    vendita a prova

(È stabilito con chiaro riferimento all’interesse del compratore che) la vendita a prova si presume fatta sotto la condizione sospensiva (1353 e seguenti)  (è evidente che le parti possono sottoporre espressamente il contratto a condizione risolutiva, in modo che il trasferimento abbia luogo nel momento della conclusione dello stesso, il cui effetto verrà a cessare qualora l’accertamento abbia esito negativo) che la cosa abbia le qualità pattuite o sia idonea all’uso a cui è destinata.

La prova si deve eseguire nel termine e secondo le modalità stabiliti dal contratto o dagli usi.

Ambito  

 

L’istituto è previsto nella sezione relativa alla vendita di cose mobili, ma non può escludersi che tale vendita essa possa avere ad oggetto sia universalità di mobili che beni immobili.

Vendita a prova Vendita con riserva di gradimento [611]
si differenziano per 2 ragioni
1 A – perché si tratta di un contratto perfetto ancorché condizionato
2 A – perché la valutazione della cosa non dipende dall’arbitrio dell’acquirente (fato soggettivo), ma dall’esperimento positivo (fatto obiettivo) della prova.

Mentre per quanto riguarda le differenze con la vendita su campione cfr par.fo 2) lettera B) punto 5) Vendita su campione e su tipo di campione, pag. 324

Non è, invece, come pure è stato sostenuto, una vendita obbligatoria (o trasferimento differito), perché non è sospeso solo l’effetto traslativo, ma l’intera efficacia del contratto; l’effetto traslativo, peraltro, verificatosi l’evento (vale a dire l’esito positivo della prova), ha effetto retroattivo, a differenza di quanto avviene per la vendita obbligatoria.

Come non rientra nel concetto di vendita a prova l’ipotesi in cui, nella base di esecuzione del contratto di compravendita (nella specie, macchine) sorte contestazioni sui requisiti della cosa, questi, per clausola contrattuale, devono essere accertati mediante un predeterminato tipo di prova. In tal caso si ha una vendita ordinaria, incondizionata ed immediatamente efficace, la prova è assunta solo agli effetti della garanzia per i vizi e della responsabilità per mancanza di qualità, ed importa semplicemente che i relativi accertamenti stragiudiziali possano essere compiuti non con ogni mezzo, ma solo mediante una determinata prova, compiuta la quale, se ne può sindacare ed accertare l’esito in giudizio[612].

La prova

Come atto di accertamento dei requisiti pattuiti e di quelli legali, analogamente alla verifica nell’appalto.

Essa non ha natura di negozio, ma di atto giuridico in senso stretto, perché rileva come mero presupposto di effetti preordinati dalla legge.

A)           Esito positivo – efficacia ex tunc del contratto, ossia dal momento della sua conclusione.

B)           Esito negativo – la vendita diventa, in linea di massima, inutile; non può peraltro escludersi che la vendita possa divenire efficace, qualora il compratore dimostri di volere egualmente la cosa acquistata rinunciando alla condizione apposta nel suo esclusivo interesse.

Per la S.C.[613] la vendita a prova è caratterizzata dal fatto che le parti fanno dipendere l’efficacia del contratto dall’esito dell’accertamento, secondo le modalità stabilite dal contratto stesso o dagli usi, che la cosa abbia le qualità pattuite e sia esente da vizi ovvero sia idonea all’uso cui è destinata. Ne consegue che se l’esito è negativo la vendita si risolve automaticamente, senza necessità di fare ricorso alle norme sulla garanzia accordata al compratore per i vizi della cosa a lui venduta e con preclusione di qualsivoglia conservazione del contratto o riduzione del prezzo.

Spetta al giudice stabilire, ove insorga controversia fra le parti, se la prova sia stata fatta e se da essa siano rimaste accertate le condizioni all’uopo richieste. Tuttavia, ove l’esito della prova sia stato concordato dalle parti l’indagine del giudice resta limitata alla constatazione dell’accordo intervenuto fra le stesse, ben potendo, in virtù del potere dispositivo, il venditore aderire ad una valutazione negativa della prova, anche se, oggettivamente, si sarebbe potuto pervenire a conclusioni diverse, e, nella ipotesi contraria, il compratore convenire sulla valutazione positiva, accertando la cosa indipendentemente dalla mancanza o dalla incompletezza sia delle qualità pattuite che della idoneità all’uso [614].

Sia il compratore che il venditore sono tenuti ad eseguire atti necessari per l’esperimento della prova e, più specificamente, debbono compiere quanto occorre, secondo la regola della diligenza e della buona fede, affinché la prova abbia luogo. Trova quindi applicazione la regola contenuta nell’art. 1358, che è espressione del principio generale di buona fede nell’esecuzione del contratto sancito dall’art. 1375.

 

Finzione di prova

Qualora l’esercizio della prova sia impedito per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al verificarsi della condizione (normalmente il venditore), deve ritenersi applicabile, per analogia, l’art. 1359 c.c., norma che prevede la finzione di avveramento della condizione.

Rinuncia alla  prova

Dal carattere condizionato del contratto, inoltre, deriva la possibilità di rinunciare alla prova con conseguente efficacia immediata della vendita.

Tale accordo, inoltre, essendo perfetto ma non ancora efficace determina la ricorrenza del principio res perit domino (art. 1465, 4 co) e, quindi, l’accollo del rischio in ordine al perimento del bene in capo al venditore nelle more della prova. 

 

 

7)          Vendita su documenti

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili –  § 4 dalla vendita su documenti –  1527 – 1530

 

Nozione

 

La vendita su documenti è caratterizzata dal fatto che il venditore si libera dall’obbligo della consegna rimettendo al compratore il titolo rappresentativo della merce e gli altri documenti stabiliti dal contratto, o, in mancanza, dagli usi.

art. 1527  c.c.  consegna

Nella vendita su documenti, il venditore si libera dall’obbligo della consegna rimettendo il titolo rappresentativo della merce e gli altri documenti  (ad es. la polizza di assicurazione della merce contro i danni, i  documenti certificativi della regolarità del bene e degli adempimenti fiscali, la fattura ecc.) stabiliti dal contratto o, in mancanza, dagli usi (poiché la consegna del titolo è sostitutiva della consegna della merce, non si applicherà la prima parte dell’art. 1510 riguardo al luogo della consegna, quindi non si dovrà guardare al luogo in cui trova la merce, ma il luogo dell’adempimento sarà il domicilio del debitore o della sua impresa al tempo del contratto).

Inoltre la merce venduta, prima della consegna al compratore, è detenuta da un soggetto diverso dal venditore (semplice detentore o vettore) e per conto di quest’ultimo, secondo proprio lo schema dell’art. 1140 c.c. [615], in base al quale si può possedere anche per mezzo di altra persona.

art. 1140 c.c.      possesso

Il possesso e il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.

Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa.

Per la S.C.[616] sia la vendita su documenti, regolata dall’art. 1527 c.c., sia la vendita con pagamento del prezzo a mezzo banca di cui all’art. 1530 c.c. hanno ad oggetto merce rappresentata da titoli e si caratterizzano per il fatto che l’obbligo della consegna dei beni venduti è sostituito da quello della consegna dei titoli.

La differenza fra le due ipotesi è che, nella prima, il compratore deve corrispondere il prezzo nel momento e nel luogo in cui avviene la consegna dei documenti (salvo patto o usi contrari), mentre nella seconda il pagamento del prezzo, dietro presentazione dei documenti, viene eseguito a mezzo banca.

Problema interpretativo

È discusso se la semplice esistenza dei titoli rappresentativi faccia presumere che le parti intendessero concludere il tipo di vendita in esame;

–             parte della dottrina [617] ritiene che se al momento della stipulazione è noto al compratore che la merce è rappresentata da titoli, salvo prova contraria, la vendita si presume su documenti;

–              altra parte della dottrina afferma [618] la tesi  secondo la quale occorre un’apposita clausola.

La volontà delle parti può, peraltro, anche risultare implicitamente dal fatto che esse abbiano pattuito il pagamento contro consegna dei documenti e tra questi si trovi il titolo rappresentativo della merce.

Per le sezioni unite[619] la vendita «su documenti», di cui all’art. 1527 c.c., postula che sia già stato rilasciato il titolo rappresentativo della merce (da parte del depositario o del vettore), e, pertanto, non è configurabile quando il contratto venga concluso prima della formazione di quel titolo.

Natura – contratto consensuale e non reale.

In sostanza la consegna dei documenti non determina la disponibilità immediata della merce in capo al compratore.

Il venditore si libera dell’obbligo della consegna, secondo la previsione dell’art. 1527 c.c., rimettendo al compratore il titolo rappresentativo della merce (fede di deposito e nota di pegno), e non anche, pertanto, nel diverso caso in cui rimetta un mero documento di legittimazione (nella specie, buono contenente l’ordine al depositario di dare la merce ad un determinato incaricato del compratore), il quale resta soggetto ai principi generali della compravendita mobiliare, con la conseguenza che l’obbligazione del venditore può considerarsi adempiuta solo con la consegna dei beni al compratore [620].

I titoli rappresentativi della merce

I titoli dovranno essere determinati concretamente non essendo sufficiente la definizione data dall’art. 1996

art. 1996 c.c.  titoli rappresentativi

I titoli rappresentativi di merci attribuiscono al possessore il diritto alla consegna delle merci che sono in essi specificate, il possesso delle medesime e il potere di disporne mediante trasferimento del titolo (c.c.1684, 1691, 1790 e seguente; Cod. Nav. 463, 961).

La dottrina [621]  ha individuato siffatti titoli nelle seguenti figure,  i c.d. titoli propri:

Questi sono

1)           Il duplicato della lettera di vettura all’ordine e la ricevuta di carico all’ordine per i trasporti terrestri (art. 1691 c.c.).

2)           La polizza di carico e la polizza di ricevuta per l’imbarco (art. 466 cod. nav.).

3)           L’ordine di consegna per i trasporti marittimi (delivery order – art. 466 cod. nav.).

4)           La lettera di trasporto per i trasporti aerei;

5)           La fede di deposito e la nota di pegno per i depositi nei magazzini generali (1790 ss., c.c.)

Invece  non rientrano nell’ipotesi dell’art. 1527 i titoli impropri –

perché non si limitano ad attribuire il diritto alla consegna di un bene già determinato al momento del contratto, ma trasferiscono essi stessi il diritto; realizzano, in altri termini, una vera e propria cessione di contratto, nella quale il contraente ceduto (il venditore) consente preventivamente la cessione.

art. 2002 c.c.    documenti di legittimazione e titoli impropri

Le norme di questo titolo non si applicano ai documenti che servono solo a identificare l’avente diritto alla prestazione, o a consentire il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione.

L’ipotesi più nota di titolo rappresentativo improprio è il c.d. stabilito; se Tizio intende comperare una determinata merce, la pagherà al venditore Caio e si farà da lui rilasciare lo stabilito; in tal modo Tizio potrà alienare ad altre persone la merce stessa senza ritirarla; l’alienazione avverrà con la semplice girata del documento successivo acquirente.

Altra dottrina[622], invece, ritiene che tale disciplina possa essere estesa anche ai titoli c.d. impropri riguardanti beni individuati.

Infine un’altra parte della dottrina[623] ritiene che, se con tale contratto le parti intendono solo soddisfare l’interesse del compratore alla riconsegna con la semplificazione e le garanzie derivanti dalla cessione del titolo (e non, invece, l’ulteriore interesse del compratore alla commercializzazione della merce prima della consegna) , la vendita può riguardare anche i titoli impropri.

Pagamento del prezzo

art.1528 c.c.   pagamento del prezzo

Salvo patto o usi contrari, il pagamento del prezzo e degli accessori deve eseguirsi nel momento e nel luogo in cui avviene la consegna dei documenti indicati dall’articolo precedente.

Quando i documenti sono regolari, il compratore non può rifiutare il pagamento del prezzo adducendo eccezioni relative alla qualità e allo stato delle cose  (1490 – tale principio appare collocarsi nell’ambito della medesima problematica alla base dell’art. 1462, dedicato alla c.d. clausola solve et repete [624]), a meno che queste risultino già dimostrate.

La dottrina maggioritaria ritiene altresì che il compratore possa rifiutare di dare il corrispettivo anche se uno < degli altri documenti > di cui all’art. 1527 c.c. manchi o sia irregolare.

Nella compravendita di cose su lettera di trasporto aereo, la quale integra vendita su documenti ai sensi ed agli effetti degli artt. 1527 e segg. c.c. (configurando detta lettera un titolo rappresentativo della merce), i diritti inerenti alla riconsegna della merce, e, quindi, anche il diritto di far valere l’eventuale responsabilità risarcitoria del vettore, spettano al legittimo possessore del titolo (senza necessità di girata, ove detta lettera sia al portatore, come consentito dall’art. 964 cod. nav.), mentre è in proposito irrilevante che il pagamento del prezzo sia avvenuto a mezzo banca, secondo la previsione dell’art. 1530 c.c., considerato che la banca medesima riceve il titolo rappresentativo in qualità di delegata al pagamento, provvedendo poi a trasferirlo al compratore–delegante [625].

Sempre per la medesima Corte [626] nella vendita su documenti, le regolarità di quest’ultimi, che costituisce presupposto della facoltà conferita al venditore dal secondo comma dell’art. 1528 c.c. di paralizzare ogni contestazione del compratore relativa alla qualità e allo stato delle cose, esigendo il pagamento preventivo del prezzo, deve essere dimostrata dal venditore: tale dimostrazione, in caso di dissenso delle parti deve essere data mediante l’esibizione in giudizio dei documenti medesimi, non essendo concepibile che la regolarità di un documento (la quale può involgere sia il contenuto che la forma) possa essere allegata dalla parte e controllata dal giudice senza che lo stesso sia prodotto in causa.

Il regime particolare dei rischi

art. 1529 c.c.  rischi

Se la vendita ha per oggetto cose in viaggio (deroga al principio generale stabilito all’art. 1465 per il quale il rischio contrattuale è a carico dell’acquirente dal momento in cui si è perfezionato il contratto anche se non vi sia stata consegna), e tra i documenti consegnati al compratore è compresa la polizza di assicurazione per i rischi del trasporto, sono a carico del compratore i rischi a cui si trova esposta la merce dal momento della consegna al vettore (la norma rappresenta senza dubbio, per autorevole dottrina [627], un grave contrasto con i principi generali, perché la vendita, se la merce è perita prima del contratto, dovrebbe essere addirittura nulla per inesistenza dell’oggetto, ma il contratto è giustificato sul piano giuridico ed economico dalla surrogazione dell’indennità alla cosa – ex art. 2742 c.c. – e, sul piano pratico, dalla necessità di una circolazioni delle merci rapida e priva di contestazioni).

Questa disposizione non si applica se il venditore al tempo del contratto era a conoscenza della perdita o dell’avaria della merce, e le ha in mala fede taciute al compratore.

Tale contratto non è classificabile come aleatorio, dato che le prestazioni delle parti sono certe e determinate fin dall’inizio e l’anomalia della disciplina è compensata e giustificata dalla circostanza che il compratore diviene beneficiario della polizza di assicurazione della merce, sicché, anche se non conseguirà la merce, ne otterrà l’equivalente dalla compagnia assicuratrice.

Per la Corte di Legittimità [628] in tema di vendita di cose mobili da trasportare da un luogo ad un altro, il venditore si libera dall’obbligo di consegnare la merce al compratore, rimettendola al vettore o allo spedizioniere, determinando in caso di vendita di cose determinate solo nel genus il trasferimento della proprietà al compratore per effetto della individuazione sicché il destinatario compratore (divenuto proprietario e possessore della merce) ha facoltà di agire contro il vettore, in caso di perdita della merce durante il viaggio.

Il pagamento contro documenti a mezzo di banca

art. 1530 c.c.  pagamento contro documenti a mezzo di banca

Quando il pagamento del prezzo deve avvenire a mezzo di una banca, il venditore non può rivolgersi al compratore se non dopo il rifiuto opposto dalla banca stessa è constatato all’atto della presentazione dei documenti nelle forme stabilite dagli usi (1268).

La banca che ha confermato il credito al venditore può opporgli solo le eccezioni derivanti dall’incompletezza o irregolarità dei documenti e quelle relative al rapporto di conferma del credito.

Il pagamento del prezzo normalmente è regolato con apertura di credito documentale, con la quale il compratore, detto ordinante, dà mandata ad una banca, detta emittente, di aprire un credito a favore del venditore detto beneficiario, il quale otterrà il pagamento dalla banca dietro consegna di documenti.

Se il credito è confermato dalla banca ha luogo una delegazione obbligatoria costituita da un triplice rapporto e, precisamente,

A)           da un rapporto delegante – delegatario (compratore – venditore) di compravendita,

B)           da un rapporto delegante delegato (compratore – banca) di mandato [629],

C)           da un rapporto delegato delegatario (banca – venditore) con la quale la banca apre il credito a favore del venditore e si obbliga in proprio a pagargli il prezzo contro consegna di documenti rappresentativi.

Così anche per la Cassazione [630], secondo la quale nella compravendita di merci regolata, quanto al pagamento del prezzo, con l’apertura di credito documentale, confermato o irrevocabile, ha luogo una delegazione obbligatoria costituita da un triplice rapporto e, precisamente, da un rapporto delegante – delegatario (compratore – venditore) di compravendita, da un rapporto delegante – delegato (compratore – banca) di mandato, con il quale il compratore incarica la banca di effettuare il pagamento al venditore, e da un rapporto delegato – delegatario (banca – venditore) con il quale la banca apre il credito a favore del venditore e si obbliga in proprio a pagargli il prezzo contro consegna dei documenti rappresentativi, senza potergli opporre – attesa l’autonomia degli altri rapporti – se non le eccezioni che derivano dall’incompletezza o dalla irregolarità dei documenti o che derivano dallo stesso rapporto di conferma del credito (art. 1530, comma secondo, c.c.).

Antecedentemente, la medesima Cassazione [631] ha avuto modo di affermare che in tale ipotesi di vendita di merci con apertura di credito per il prezzo, da parte del compratore a favore del venditore presso una banca, ove quest’ultima confermi il credito nei confronti del beneficiario, il rapporto obbligatorio tra banca e beneficiario è astratto, cioè indipendente dal contratto di compravendita, e questo quale presupposto del mandato di apertura di credito incide nel rapporto obbligatorio tra la banca accreditante ed il beneficiario soltanto nel senso che l’obbligazione assunta dalla prima verso il secondo di mettere a disposizione di costui la somma oggetto dell’apertura di credito è condizionata all’esito positivo del controllo, da parte della banca (a ciò obbligata nei riguardi dell’ordinante), della regolarità dei documenti relativi alla vendita che il beneficiario ha l’onere di presentare alla banca stessa entro un certo tempo. Nel caso di apertura di credito non confermato, invece, tra i due negozi esiste un collegamento funzionale [632], implicante l’attrazione dell’apertura di credito, specificamente finalizzata all’esecuzione della compravendita, nel sinallagma di questa, con collegamento alla corrispettiva obbligazione del venditore nei confronti del compratore di consegnare le merci oggetto della compravendita, per cui le vicende di detto sinallagma reagiscono nell’esecuzione del mandato e, quindi, la consegna dal venditore al compratore di merce viziata o mancante di qualità promesse o essenziali o, addirittura, di aliud pro alio costituisce giusta causa di revoca del mandato (nonostante la clausola di irrevocabilità), con la conseguenza che, comunicata tale revoca alla banca, questa, pur se ha constatato la regolarità dei documenti relativi alla vendita, non può consentire al beneficiario–venditore l’utilizzazione del credito aperto in suo favore.

Nel caso, invece, in cui la banca delegata dal compratore non assuma alcuna diretta obbligazione nei confronti del venditore e si limiti ad eseguire il pagamento, dopo aver ritirato i documenti, si ha un’ipotesi di delegazione di pagamento ex art. 1269 c.c.

 

8)          Vendita a termine di titoli di credito

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. II – della vendita di cose mobili –  § 5 dalla vendita a termine dei titoli di credito –  1531 – 1536

Questo contratto normalmente è un contratto di borsa, ma non è escluso che il contratto sia regolato in toto dalle norme di diritto comune.

Esempio, Tizio vende oggi a Caio un certo numero di azioni per un prezzo stabilito, ma le parti convengono che il trasferimento dei titoli ed il trasferimento del prezzo avverrà tra 1 mese.

La ragione giustificatrice della vendita a termine di titoli di credito è evidente: speculare sulla differenza di prezzo fra il momento della conclusione del contratto ed il momento della sua esecuzione.

Il venditore spera nel ribasso per l’evidente ragione che, ove questo si verifichi, acquisterà da altri al minor prezzo di mercato e consegnerà al suo compratore, contro il maggior prezzo di contratto le cose vendute; il compratore, a sua volta, spera nel rialzo, perché così rivenderà ad altri al maggior prezzo di mercato i titoli che ha acquistato ad un prezzo minore.

Con una delle poche pronunce, in merito, la Cassazione [633] ha stabilito che il contratto a premio cosiddetto dont — ovvero a facoltà semplice — è il contratto di borsa con il quale uno dei contraenti si riserva la facoltà di modificare, pagando per questo un premio all’altro contraente, il contenuto del rapporto. Egli — infatti — può, entro un certo termine, stabilito dagli usi di borsa, scegliere tra il ritiro di titoli preventivamente identificati nel loro ammontare al prezzo che matureranno maggiorato del premio, oppure di abbandonare il premio senza compiere alcun acquisto.

In definitiva, il premista sa, fin dall’inizio del rapporto, quale è il rischio che affronta per la ipotesi che il prezzo di acquisto eventuale non sia conveniente.

La facoltà in questione — peraltro — non è detto che debba esser esercitata nel giorno della cosiddetta risposta premi della borsa di riferimento.

Quel giorno — infatti — rappresenta soltanto l’ultimo a disposizione del premista a tal fine, mentre la riserva di acquisto può essere validamente esercitata anche prima di tale termine attraverso una risposta — per l’appunto — anticipata la quale — comunque — dà vita ad un contratto di acquisto di titoli con effetto dal termine originariamente stabilito.

Il fatto — tuttavia — che un tale acquisto definitivo rappresenti una eventualità del tutto fisiologica della stipula di un dont, non toglie che esso si basi su di una negoziazione ulteriore, distinta da quella originaria che ne costituisce il presupposto, e non toglie — quindi — che colui il quale afferma l’esistenza di un tale acquisto, sia tenuto a dare la prova di tale ulteriore negoziazione.

Natura giuridica

E’ una forma particolare di vendita di cose generiche, troverà perciò applicazione l’art. 1378 c.c.

Un problema ampiamente discusso in dottrina è stato quello relativo al carattere reale o consensuale  del trasferimento dei titoli di credito.

In realtà poiché il legislatore ha posto tale vendita nella sezione dedicata alla vendita di cose mobili, sembra preferibile applicare ad essa i principi generali dettati in materia di vendita.

Titoli non determinati Titoli determinati
Ma indicati solo con riferimento ad uno specifico genere e a una data quantità, il passaggio della proprietà avviene, solo alla scadenza del termine con l’individuazione, cioè con la determinazione in concreto dei titoli venduti. Il trasferimento della proprietà del documento avviene per effetto del consenso delle parti.
In entrambi i casi spetta, comunque, all’acquirente la tutela petitoria e possessoria del titolo stesso.
I contratti a mercato fermo I contratti a mercato libero o a premio
Si caratterizzano per il fatto che il loro contenuto è compiutamente e definitivamente fissato al momento della conclusione, mentre l’esecuzione, che consiste nelle prestazioni tipiche, è differita nel tempo. Con apposite clausole, si attribuisce ad una parte, dietro corrispettivo di un determinato premio, il diritto di modificare l’oggetto del contratto originariamente convenuto, generalmente moltiplicando, ovvero di recedere da esso.In tal caso non si può parlare più di compravendita ma di un contratto tipico sui generis non commutativo ma aleatorio.

Forma del contratto

La legge non prevede alcun formalismo; non vi è dubbio, perciò, che la vendita a termine di titoli di credito potrà essere conclusa sia in forma orale che in forma scritta.

Quando il contratto viene concluso in borsa, è tuttavia frequente la redazione di un apposito documento (il c.d. fissato bollato), costituito da un foglietto bollato diviso in due parti: l’una per l’operazione di compera, l’altro per l’operazione di vendita.

art. 1531  c.c.  interessi, dividendi e diritti di voto

Nella vendita a termine di titoli di credito (titoli di debito pubblico, azioni di società commerciali, ecc.) (1992), gli interessi e i dividendi esigibili dopo la conclusione del contratto e prima della scadenza del termine, se riscossi dal venditore, sono accreditati al compratore.

Qualora la vendita abbia per oggetto titoli azionari, il diritto di voto spetta al venditore fino al momento della consegna (1550; att. 177).

 

art. 1532 c.c.  il diritto di opzione

Il diritto di opzione inerente ai titoli venduti a termine spetta al compratore.

Il venditore, qualora il compratore gliene faccia richiesta in tempo utile, deve mettere il compratore in grado di esercitare il diritto di opzione, oppure deve esercitarlo per conto del compratore, se questi gli ha fornito i fondi necessari.

In mancanza di richiesta da parte del compratore, il venditore deve curare la vendita dei diritti di opzione per conto del compratore, a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito (1550; att. 251).

 

art. 1533 c.c.  estrazione per premi o rimborsi

Se i titoli venduti a termine sono soggetti a estrazione per premi o rimborsi, i diritti e gli oneri derivanti dall’estrazione spettano al compratore, qualora la conclusione (1326 c.c.) del contratto sia anteriore al giorno stabilito per l’inizio dell’estrazione.

Il venditore, al solo effetto indicato dal comma precedente, deve comunicare per iscritto al compratore una distinta numerica dei titoli almeno un giorno prima dell’inizio dell’estrazione.

In mancanza di tale comunicazione, il compratore ha facoltà di acquistare, a spese del venditore, i diritti spettanti a una quantità corrispondente di titoli, dandone comunicazione al venditore prima dell’inizio della estrazione.

 

art. 1534 c.c.   versamenti richiesti sui titoli

Il compratore deve fornire al venditore, almeno due giorni prima della scadenza, le somme necessarie per eseguire i versamenti richiesti sui titoli non liberati (1550).

 

art. 1535 c.c.  proroga dei contratti a termine

Se alla scadenza del termine le parti convengono di prorogare l’esecuzione del contratto, è dovuta la differenza tra il prezzo originario e quello corrente nel giorno della scadenza, salva l’osservanza degli usi diversi.

 

art. 1536 c.c.  inadempimento

In caso d’inadempimento della vendita a termine di titoli, si osservano le norme degli artt. 1515 e 1516, salva, per i contratti di borsa, l’applicazione delle leggi speciali

 

 

9)          Vendita di beni di consumo

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti –   Capo I Della vendita –   Sez. II – della vendita di cose mobili –  § 1 – bis  dalla vendita dei beni di consumo –  1519 bis – 1519 nonies

 

Abrogati dal d.lgs 6 settembre 2005, n. 206 – c.d. Codice del Consumo, sostituiti dagli artt. 128–135, Titolo III, Garanzia legale di conformità e garanzie commerciali per i beni di consumo, Capo I, Della vendita dei beni di consumo

 

 

Per una pronuncia di merito [634] la previsione normativa di cui all’art. 1519 quater c.c., nel delineare il quadro dei rimedi attivabili dal compratore del bene usato a tutela dei propri diritti, precisa, al comma secondo, che, in caso di difetto di conformità del bene, il consumatore, con priorità rispetto all’azione di riduzione del prezzo nonché a quella di risoluzione, ha diritto al ripristino di tale conformità mediante riparazione o sostituzione della cosa, che può chiedere al venditore di effettuare, senza spese ed a sua semplice scelta.

Trattasi, dunque, di una previsione (oggi sostituita dal Codice del Consumo) chiaramente posta a tutela del consumatore, libero di scegliere tra i vari rimedi esperibili, in quanto generalmente esclusa la sussistenza di una gerarchia tra di essi.

La tutela di cui agli artt. 1519 bis e seguenti c.c., in ogni caso, non esclude l’ulteriore rimedio generale del risarcimento del danno previsto dall’art. 1453 c.c., in caso di inadempimento del contratto, in quanto pregiudizio non coperto dalla riduzione del prezzo. (Fattispecie avente ad oggetto la riduzione del prezzo del veicolo da parte del compratore, avendo il venditore chiaramente rifiutato di provvedere alla riparazione dello stesso, nella cui liquidazione, tuttavia, il primo Giudice ha erroneamente fatto riferimento al risarcimento dal danno anziché alla chiesta riduzione).

Sempre per altra sentenza di merito [635] il contratto di vendita di beni di consumo, in tal modo qualificabile qualora sussistenti le condizioni normativamente richieste, sia oggettive – in quanto vendita di beni di consumo – che soggettive – quando le parti assumono rispettivamente le vesti di consumatore e persona giuridica privata nell’esercizio di attività imprenditoriale – è soggetto, qualora stipulato prima della entrata in vigore del Codice del Consumo, alla disciplina di cui agli artt. 1519 bis e seguenti c.c., applicabili ratione temporis, successivamente sostituiti dagli artt. 128 e seguenti del richiamato Codice e fino alla entrata in vigore di quest’ultimo.

Il disposto di cui all’art. 1519 quater c.c., in particolare, (sul quale nella specie l’attore basa la sua domanda di risoluzione del contratto di vendita di mobilia per grave inadempimento del venditore e restituzione del prezzo pagato) offre al consumatore, che ritenga di aver acquistato un bene affetto da difetti di conformità, la scelta fra tre possibili rimedi, ovvero il ripristino della conformità mediante riparazioni e sostituzioni, la riduzione adeguata del prezzo o la risoluzione del contratto. Trattasi di una tutela rafforzata a vantaggio del consumatore, in quanto notoriamente parte debole del rapporto, cui non sottendono le stesse regole disciplinanti le ordinarie azioni di garanzia per i vizi della cosa venduta e di risoluzione per inadempimento, fatta salva la integrazione della disciplina speciale con le norme comuni per quanto dalle prime non previsto. Nella fattispecie concreta, in particolare, deve ritenersi configurabile il ricorso di entrambe le ipotesi tipiche di cui all’art. 1519 quater, comma sette, lett. b) e c), c.c., con conseguente legittimazione del consumatore al ricorso al rimedio della risoluzione, avendo la società venditrice omesso di provvedere in un congruo termine alle sostituzioni, nonché, in ogni caso, solo parzialmente e negligentemente realizzato le sostituzioni occorrenti, arrecando al consumatore notevoli inconvenienti. Al contrario, l’avvenuta quantificazione, da parte del consulente d’ufficio, delle sostituzioni necessarie in una somma pari alla metà del prezzo di acquisto del bene, è tale da escludere il ricorso della risoluzione per lieve entità del difetto di conformità per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione.

art. 128   ambito di applicazione e definizioni

1. Il presente capo disciplina taluni aspetti dei contratti di vendita e delle garanzie concernenti i beni di consumo. A tali fini ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione nonchè quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre. 2. Ai fini del presente capo si intende per: a) beni di consumo: qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, tranne: 1) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai; 2) l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; 3) l’energia elettrica; b) venditore: qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1; c) garanzia convenzionale ulteriore: qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità; d) riparazione: nel caso di difetto di conformità, il ripristino del bene di consumo per renderlo conforme al contratto di vendita. 3. Le disposizioni del presente capo si applicano alla vendita di beni di consumo usati, tenuto conto del tempo del pregresso utilizzo, limitatamente ai difetti non derivanti dall’uso normale della cosa.

 

art. 129  conformità al contratto

1. Il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita. 2. Si presume che i beni di consumo siano conformi al contratto se, ove pertinenti, coesistono le seguenti circostanze: a) sono idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello; c) presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura; d) sono altresì idonei all’uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti. 3. Non vi è difetto di conformità se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto non poteva ignorarlo con l’ordinaria diligenza o se il difetto di conformità deriva da istruzioni o materiali forniti dal consumatore. 4. Il venditore non è vincolato dalle dichiarazioni pubbliche di cui al comma 2, lettera c), quando, in via anche alternativa, dimostra che: a) non era a conoscenza della dichiarazione e non poteva conoscerla con l’ordinaria diligenza; b) la dichiarazione è stata adeguatamente corretta entro il momento della conclusione del contratto in modo da essere conoscibile al consumatore; c) la decisione di acquistare il bene di consumo non è stata influenzata dalla dichiarazione. 5. Il difetto di conformità che deriva dall’imperfetta installazione del bene di consumo è equiparato al difetto di conformità del bene quando l’installazione è compresa nel contratto di vendita ed è stata effettuata dal venditore o sotto la sua responsabilità. Tale equiparazione si applica anche nel caso in cui il prodotto, concepito per essere installato dal consumatore, sia da questo installato in modo non corretto a causa di una carenza delle istruzioni di installazione.

 

art. 130[636] diritti del consumatore

1. Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. 2. In caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi 3, 4, 5 e 6, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi 7, 8 e 9. 3. Il consumatore può chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro. 4. Ai fini di cui al comma 3 è da considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro, tenendo conto: a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; b) dell’entità del difetto di conformità; c) dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore. 5. Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene. 6. Le spese di cui ai commi 2 e 3 si riferiscono ai costi indispensabili per rendere conformi i beni, in particolare modo con riferimento alle spese effettuate per la spedizione, per la mano d’opera e per i materiali. 7. Il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 5; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore. 8. Nel determinare l’importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell’uso del bene. 9. Dopo la denuncia del difetto di conformità, il venditore può offrire al consumatore qualsiasi altro rimedio disponibile, con i seguenti effetti: a) qualora il consumatore abbia già richiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, con le necessarie conseguenze in ordine alla decorrenza del termine congruo di cui al comma 5, salvo accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto; b) qualora il consumatore non abbia già richiesto uno specifico rimedio, il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio ai sensi del presente articolo. 10. Un difetto di conformità di lieve entità per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto.

 

art. 131  diritto di regresso

1. Il venditore finale, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva. 2. Il venditore finale che abbia ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore, può agire, entro un anno dall’esecuzione della prestazione, in regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili per ottenere la reintegrazione di quanto prestato.

 

art. 132   termini

1. Il venditore è responsabile, a norma dell’articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene. 2. Il consumatore decade dai diritti previsti dall’articolo 130, comma 2, se non denuncia al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto. La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del difetto o lo ha occultato. 3. Salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. 4. L’azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene; il consumatore, che sia convenuto per l’esecuzione del contratto, può tuttavia far valere sempre i diritti di cui all’articolo 130, comma 2, purché il difetto di conformità sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza del termine di cui al periodo precedente.

 

art. 133   garanzia convenzionale

1. La garanzia convenzionale vincola chi la offre secondo le modalità indicate nella dichiarazione di garanzia medesima o nella relativa pubblicità. 2. La garanzia deve, a cura di chi la offre, almeno indicare: a) la specificazione che il consumatore è titolare dei diritti previsti dal presente paragrafo e che la garanzia medesima lascia impregiudicati tali diritti; b) in modo chiaro e comprensibile l’oggetto della garanzia e gli elementi essenziali necessari per farla valere, compresi la durata e l’estensione territoriale della garanzia, nonché il nome o la ditta e il domicilio o la sede di chi la offre. 3. A richiesta del consumatore, la garanzia deve essere disponibile per iscritto o su altro supporto duraturo a lui accessibile. 4. La garanzia deve essere redatta in lingua italiana con caratteri non meno evidenti di quelli di eventuali altre lingue. 5. Una garanzia non rispondente ai requisiti di cui ai commi 2, 3 e 4, rimane comunque valida e il consumatore può continuare ad avvalersene ed esigerne l’applicazione.

 

art. 134   carattere imperativo delle disposizioni

1. È nullo ogni patto, anteriore alla comunicazione al venditore del difetto di conformità, volto ad escludere o limitare, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti dal presente paragrafo. La nullità può essere fatta valere solo dal consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. 2. Nel caso di beni usati, le parti possono limitare la durata della responsabilità di cui all’articolo 1519–sexies, comma primo, del codice civile ad un periodo di tempo in ogni caso non inferiore ad un anno. 3. È nulla ogni clausola contrattuale che, prevedendo l’applicabilità al contratto di una legislazione di un Paese extracomunitario, abbia l’effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dal presente paragrafo, laddove il contratto presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno Stato membro dell’Unione europea.

 

art. 135   tutela in base ad altre disposizioni

1. Le disposizioni del presente capo non escludono nè limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico. 2. Per quanto non previsto dal presente titolo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita.

 

10)          Vendita di beni mobili internazionali

Tale vendita è disciplinata dal regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000.

Sul punto si riporta ultima sentenza delle Sezioni Uunite, in merito alla competenza territoriale

Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 26 febbraio 2016, n. 3802

in tema di vendita internazionale di cose mobili, il giudice chiamato a decidere sulla propria giurisdizione deve applicare il criterio del luogo di esecuzione della prestazione di consegna, di cui all’art. 5, punto 1, lett. b), del regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, che va individuato, qualora dall’esame del complesso delle clausole contrattuali non risulti una sua chiara identificazione, non in base al diritto sostanziale applicabile al contratto, ma nel luogo della consegna materiale (e non soltanto giuridica) dei beni, mediante la quale l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre effettivamente dei beni stessi alla destinazione finale dell’operazione di vendita.

 

3) LA VENDITA IMMOBILIARE

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti –   Capo I Della vendita –   Sez. III della vendita di cose immobili – 1537 – 1541

La summa divisio

vendita a misura vendita a corpo
le parti indicano l’estensione e fissano un prezzo in ragione di un tanto per ogni unità di misura, quindi in rapporto diretto, cioè proporzionalmente alla superficie il prezzo è determinato in relazione al bene come tale, nella sua globalità e non nella sua misura.
La distinzione tra vendita a corpo e a misura, mentre è determinante per accertare la reale estensione del bene ceduto nei rapporti tra venditore e compratore, è, invece, irrilevante al fine di identificare la superficie venduta nei confronti dei terzi che vantino diritti su una parte di essa, giacché in quest’altra ipotesi è necessario stabilire soltanto se il venditore abbia alienato in tutto o in parte un bene non suo e se il compratore disponga, per fatto imputabile al venditore stesso, di un terreno meno esteso di quello formante oggetto del contratto [637].Sempre per la Cassazione [638] il criterio fondamentale di distinzione tra vendita a misura e vendita a corpo sta in ciò che nella prima la determinazione dei confini della cosa venduta è effettuata attraverso la misurazione mentre la seconda è caratterizzata dalla determinazione e delimitazione del bene in modo che esso resti identificato indipendentemente dalla misura. Il relativo apprezzamento implicando valutazione della volontà contrattuale è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Da ultimo la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|26 maggio 2021| n. 14592.

ha nuovamente ribadito che la differenza tra vendita a corpo ed a misura attiene unicamente all’influenza dell’estensione del bene sul prezzo pattuito, mentre non produce effetti in ordine all’individuazione della cosa compravenduta, per la quale l’indicazione dei confini ha una funzione essenziale ove sia precisa e riscontrabile sul terreno; l’accertamento circa la ricorrenza dell’una ovvero dell’altra tipologia di vendita – rilevante allorché sia controversa tra le parti la prevalenza del criterio di riferimento costituito dalla indicazione di determinate particelle catastali ovvero di quello costituito dalla misura complessiva della superficie del fondo venduto – appartiene al giudice di merito ed è, pertanto, incensurabile in cassazione per violazione di norme di diritto. (Fattispecie relativa ad un avviso d’asta in cui il bene era indicato, oltre che avuto riguardo alle particelle catastali di riferimento, anche con l’estensione in mq, risultata tuttavia diversa da quella derivante dalla somma delle superfici delle particelle medesime).

Nell’ipotesi di compravendita di immobili, per la cui stipulazione la legge richiede, ai fini della validità del contratto, la forma scritta ad substantiam, il documento deve contenere tutti gli elementi essenziali del negozio medesimo e, quindi, anche l’elemento prezzo [639], la cui indicazione non può risultare da elementi estrinseci rispetto alla scrittura.

Pertanto, è nullo il contratto nel quale sia indicato un unico prezzo con riguardo a due vendite di distinti beni immobili appartenenti a diversi proprietari, in quanto l’indicazione globale del prezzo esclude sia la determinatezza o la determinabilità del prezzo di ciascuna vendita, sia la consacrazione nell’atto scritto dell’accordo concluso tra le parti sul prezzo di ciascuna vendita [640].

È stato precisato [641] che in tema di negozi traslativi di terreni, la sanzione della nullità assoluta (rilevabile, perciò, anche d’ufficio) degli atti di trasferimento senza l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica è stata introdotta dagli artt. 18 e 40 della legge 47 del 1985, giacché le disposizioni previgenti di cui all’art. 31 comma quarto legge 1150 del 1942, come modificato dall’art. 10 legge 765 del 1967 e dall’art. 15 legge 10 del 1977, prevedevano soltanto delle ipotesi di nullità relativa degli atti giuridici aventi ad oggetto terreni abusivamente lottizzati a scopo residenziale o unità abusivamente edificate e sempreché dagli atti non risultasse la conoscenza da parte dell’acquirente della mancanza di lottizzazione autorizzata o dell’assenza di concessione.

In altre parole in senso generale vertendosi in tema di compravendita immobiliare, l’atto deve essere stipulato, ai sensi dell’art. 1350 n. 1 c.c., in forma scritta richiesta ‘ad substantiam’; tale esigenza comporta che l’atto scritto suddetto deve essere rappresentato non da un qualsiasi documento da cui risulti la precedente stipulazione, ma da uno scritto che contenga la manifestazione della volontà di concludere il contratto e che sia posto in essere al fine specifico di manifestare tale volontà (Cass. 29-10-1994 n. 8937; Cass. 12-11-2013 n. 25424).

Inoltre, per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà immobiliare, per i quali è richiesta la forma scritta ‘ad substantiam’, l’atto scritto costituisce lo strumento necessario ed insostituibile per la valida manifestazione della volontà produttiva del negozio – che la manifestazione scritta della volontà di uno dei contraenti non può essere sostituita da una dichiarazione confessoria dell’altra parte, non valendo tale dichiarazione né quale elemento integrante il contratto, né – quand’anche contenga il preciso riferimento ad un contratto concluso per iscritto – come prova del medesimo (Cass. 28-5-1997 n. 4709; Cass. 18-6-2003 n. 9687; Cass. 7-4-2005 n. 7274).

Tale principio è stato confermato anche da recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 settembre 2014, n. 19488

Identificazione

In tema di vendita immobiliare a corpo,l’individuazione del bene alienato va compiuta in base alla complessiva ed oggettiva descrizione fattane dai contraenti, ivi compresa la misura del fondo che — essendo, ai sensi dell’art. 1538 c.c., irrilevante esclusivamente in riferimento alla determinazione del prezzo — costituisce un elemento idoneo a concorrere, con gli elementi topografico — catastali e con i confini menzionati dalle parti, nella identificazione dell’immobile; pertanto, pur se la misura e le risultanze catastali non possono avere valore prevalente rispetto ai confini, con cui le parti abbiano inteso ulteriormente specificare il bene venduto, deve costituire oggetto di un rigoroso accertamento l’identificazione dei confini,quando sulla base di questi si riscontri una concreta divergenza dell’estensione del fondo rispetto alla misura e ai dati catastali, ai quali le stesse parti hanno fatto riferimento.

Ne consegue che in tal caso occorre verificare,sul piano storico,lo stato dei luoghi esistenti e conosciuti dalle parti al momento della stipula dell’atto, giacché, mentre costituisce un valido criterio di indagine la presunzione di conformità di tale stato a quello anteriore, non altrettanto può dirsi della presunzione di una conformità del medesimo a quello successivo, dovendosi in quest’ultima ipotesi accertare quando si sia verificata la divergenza fra i confini risultanti dalle mappe catastali e quelli successivamente individuati [642].

Sempre in tema di compravendita immobiliare, qualora le parti abbiano fatto riferimento, ad ulteriore e conclusiva precisazione rispetto alle altre indicazioni, al tipo di frazionamento allegato all’atto di vendita, detto frazionamento, quale elemento testuale della volontà negoziale, costituisce il dato primario per l’esatta identificazione del bene trasferito, in quanto la sua specificità non lascia margini di incertezza nella determinazione dei relativi confini [643].

Inoltre, in un caso particolare affrontato di recente dalla Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 marzo 2015, n. 4733

è stato affermato che è affetto da nullità il contratto di compravendita di un’abitazione quando il venditore ceda solo l’immobile e non anche il diritto d’uso del posto auto riservato ai condomini. Nel caso di specie, la controversia era sorta perché il venditore, trasferitosi in una mansarda realizzata abusivamente nello stesso immobile, aveva riservato a sé la possibilità di usufruire del parcheggio, collegando tale diritto all’esistenza della mansarda.

A) Estensione inferiore:   bisogna distinguere

a)         in caso di vendita a misura

 

art. 1537 c.c. vendita a misura 

Quando un determinato immobile (812) è venduto con l’indicazione  della sua misura e per un prezzo stabilito in ragione di un tanto per ogni unità di misura, il compratore ha diritto ad una riduzione se la misura effettiva dell’immobile è inferiore a quella indicata nel contratto.

 

La Cassazione [644] in merito ha pronunciato il seguente arresto: nella vendita a misura, in cui il prezzo è determinato in base alle effettive dimensioni dell’immobile, il compratore ha diritto ad una riduzione di esso se la misura effettiva risulti inferiore a quella indicata nel contratto, nella vendita a corpo, in cui il prezzo è stabilito in relazione all’entità globale del bene indipendentemente dalle sue dimensioni reali, non si procede a diminuzione, salvo che la misura reale sia inferiore di un ventesimo rispetto a quella precisata nel contratto. In entrambe le ipotesi, è presa in considerazione sempre e soltanto la misura concreta e reale del bene, cioè quella dell’estensione dei terreni e della superficie o cubatura dei fabbricati e non la misura della edificabilità, che è una qualità del suolo esulante dall’ambito del criterio quantitativo della misura cui si riferiscono le due menzionate norme, senza alcuna possibilità di una loro applicazione estensiva ed analogica.

 

 

b)        in caso di vendita a corpo

art. 1538 c.c.  vendita a corpo

 Sebbene la misura sia stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, ma ha facoltà di recedere dal contratto qualora l’eccedenza oltrepassi la ventesima parte della misura dichiarata

Nel caso in cui dovrebbe pagarsi un supplemento di prezzo, il compratore ha la scelta di recedere dal contratto o di corrispondere il supplemento.

Per la S.C. [645] poiché l’oggetto della vendita a misura è costituito da un’unica entità economica, il calcolo del prezzo in rapporto alla quantità del venduto non ne comporta una differenziazione in rapporto alle unità in eccesso o in difetto, sicché il patto limitativo della rivalutazione del prezzo va inteso come riferito anche alla eventuale maggiore somma dovuta al venditore in corrispettivo della maggiore entità rispetto a quella indicata in contratto.

Inoltre [646], l’art. 1538 c.c. — che, per le vendite a corpo, prevede il rimedio della diminuzione o del supplemento di prezzo in ipotesi di difformità tra la misura reale dell’immobile e quella indicata in contratto (purché la prima sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto alla seconda), salva per il compratore, che dovrebbe pagare detto supplemento, la facoltà di recedere dal contratto — si applica alle vendite a corpo validamente stipulate ed a quelle inficiate da mero errore, mentre non opera quando la stipulazione a corpo sia stata determinata da dolo del venditore, ossia quando l’errore sull’esatta estensione del fondo sia conseguenza del raggiro posto in essere dal venditore e sia la ragione che ha determinato il compratore ad acquistare l’immobile a corpo e non a misura, nel qual caso quest’ultimo ben può invocare l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1427 c.c.

B) Estensione superiore:   bisogna distinguere

a)  se l’eccedenza supera la ventesima parte:  il compratore ha in ogni caso la scelta tra recedere dal contratto o pagare un supplemento proporzionale di prezzo.

b)           se l’eccedenza non supera la ventesima parte: il compratore dovrà necessariamente pagare il supplemento in caso di vendita a misura e nulla dovrà in caso di vendita a corpo.

 

Recesso  è richiesta la forma scritta

art. 1539 c.c.  recesso dal contratto

Quando il compratore esercita il diritto di recesso,  il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare le spese del contratto.

 

Prescrizione

art. 1541 c.c.  prescrizione

 Il diritto del venditore al supplemento del prezzo e quello del compratore alla diminuzione del prezzo o al recesso dal contratto si prescrivono in 1 anno dalla consegna dell’immobile.

 

Vendita cumulativa di più immobili

art. 1540 c.c.   vendita cumulativa di più immobili

Se due o più immobili sono stati venduti con lo stesso contratto per un solo e medesimo prezzo, con l’indicazione della misura di ciascuno di essi, e si trova che la quantità è minore nell’uno e maggiore nell’altro, se ne fa la compensazione fino alla debita concorrenza; il diritto al supplemento o alla diminuzione del prezzo spetta in conformità delle disposizioni sopra stabilite.

4) LA VENDITA DI EREDITÀ

 

Libro IV delle obbligazioni – Titolo III dei singoli contratti – Capo I Della vendita – Sez. IV – della vendita di eredità –  1542 – 1547

La vendita dell’eredità è un istituto di complessa applicazione pratica per le non poche problematiche che comporta: l’intenzione di colui che vuole vendere l’eredità si traduce, nella normale realtà dei casi, nel desiderio di liberarsi di tutte le situazioni attive e passive che fanno carico alla qualità di erede, e di trasferirle in capo a un altro soggetto deve essere rapportata a quella del compratore che, dall’altra parte, intravede un possibile vantaggio nell’operazione negoziale, ma deve prestare particolare attenzione all’oggetto del trasferimento e agli eventuali gravami connessi alla traslazione di un cespite ereditario, nonché, qualora l’asse ereditario appartenga a più persone, dovrà assicurarsi che il venditore adotti gli opportuni adempimenti onde evitare il venir meno del bene alienato per effetto del retratto successorio [647].

Oggetto del trasferimento può essere l’intera eredità devoluta a un unico erede o una singola quota in comunione con altri coeredi.

In tale ultima ipotesi la vendita della quota dell’eredità è soggetta al limite della preventiva offerta agli altri coeredi: a norma dell’art. 732 c.c. il coerede che intende alienare a un estraneo la sua quota, o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione.

Non configura la fattispecie di cui all’art. 1542 c.c. la vendita di singoli beni facenti parte dell’eredità.

Qualora in un negozio traslativo le parti abbiano fatto riferimento ai singoli beni dell’eredità si presume trattasi di vendita di eredità, salvo verificare, in sede interpretativa, che i contraenti abbiano considerato tali beni come elemento essenziale della prestazione, in tal caso si fuoriesce dallo schema tipico della vendita di eredità per rientrare nel modello di un’ordinaria compravendita.

Pertanto, occorre affermare che prima della divisione ereditaria un coerede può alienare un determinato bene caduto in successione, ma il definitivo acquisto è subordinato al verificarsi della condizione sospensiva che il bene sia assegnato all’alienante in sede di divisione.

Tale considerazione giova ritenere legittima, in linea di principio, la pattuizione di vendita dell’eredità sottoposta a condizione sospensiva o risolutiva.

In tale ipotesi l’efficacia del negozio sarà subordinata al verificarsi della condizione.

Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione si ritiene che nell’ipotesi in cui l’erede alieni la quota indivisa dell’unico cespite ereditario a lui pervenuta, per escludere che il bene costituisca un’entità rappresentativa di una quota del patrimonio ereditario occorre che, dalla indagine circa l’effettiva intenzione delle parti emergano elementi sicuri e convincenti onde ritenere, con riferimento al contenuto complessivo del contratto e all’atteggiamento delle parti, che queste non abbiano inteso comunque rendere partecipe l’acquirente di tutti i rapporti e di tutte le situazioni attive e passive che fanno capo alla comunione ereditaria [648].

Peraltro, secondo la conforme giurisprudenza della Suprema Corte [649], l’indicazione di beni determinati in contratto non costituisce elemento decisivo per escludere l’ipotesi di trasferimento della quota ereditaria o di parte di essa, quando gli altri elementi utili all’interpretazione della natura del contratto consentano in maniera univoca di ritenere che la res certa, oggetto della disposizione patrimoniale, sia stata considerata come misura della partecipazione dell’acquirente alla comunione ereditaria e, cioè, come frazione dell’universum ius del defunto e non come pars quota con riferimento all’esito della divisione [650].

In linea di principio la vendita di un bene in comunione è di norma considerata dalle parti come un unicum inscindibile e non come somma delle vendite delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari, per cui questi ultimi costituiscono una unica parte complessa e le loro dichiarazioni di vendita si fondano in un’unica volontà negoziale. Ciò non accade nell’ipotesi in cui dall’unico documento predisposto per il negozio risulti chiaramente la volontà di scomposizione in più contratti in base ai quali ogni comproprietario vende la propria quota all’acquirente senza nessun collegamento negoziale con le vendite degli altri [651].

Pertanto, nella vendita di una quota dell’eredità il bene deve essere stato venduto come bene in comproprietà e come tale risulterà qualificato nel contratto, e non, al contrario, come bene di proprietà esclusiva dell’alienante [652] .

A)  Natura giudica [653]

Contratto aleatorio(contra altra dottrina [654]secondo la quale l’istituto in esame ha un suo preciso oggetto – l’eredità –  e una sua specifica garanzia, in quanto il venditore deve garantire la titolarità del patrimonio ereditario)

 

Carattere aleatorio della vendita di eredità e rescissione per lesione

La giurisprudenza prevalente afferma il carattere aleatorio [655] della vendita di eredità: tale definizione riveste particolare importanza nella vendita tra coeredi ai fini dell’eventuale rescissione.

In virtù della natura aleatoria la vendita di quota al coerede non è soggetta all’azione di rescissione [656] per lesione oltre il quarto, a norma dell’art. 765 c.c., quando oggetto del negozio sia il diritto ereditario astrattamente considerato nel suo complesso indistinto di attività e passività e in quanto si prescinda dalla determinazione specifica dei beni che lo compongono, posto che chi vende un’eredità o una quota di essa, senza specificarne gli oggetti, non essendo tenuto a garantire che la propria qualità di erede non può essere poi ammesso ad affacciare pretese per lesione di prezzo di cose neppure specificate. Viceversa è da escludere che ricorra l’alea quando risulti che la vendita,malgrado il generale riferimento alla quota, abbia avuto per oggetto una porzione ereditaria già esattamente individuata sia in ordine alla certezza che alla misura spettante al coerede venditore, e relativa a cespiti ereditari ben determinati, conosciuti dagli acquirenti. Ai fini della suddetta distinzione è irrilevante che nell’atto di vendita sia stato o meno indicato il passivo ereditario e che il venditore abbia o meno assunto espressamente la garanzia per evizione.

B)  Oggetto

E’ innanzitutto evidente che non si trasmette la qualità di erede, essendo questa strettamente personale ed intrasmissibile; il compratore, quindi non è un successore a titolo universale, ma un avente causa, a titolo particolare, dell’erede.

La vendita deve, poi, riferirsi ad una successione già aperta perché la vendita di un’eredità sarebbe nulla per il divieto dei patti successori.

Quindi in generale sono i diritti ereditari entrati a far parte  dell’eredità a far tempo dall’apertura della successione.

Complesso di rapporti distinti

 

Dottrina minoritaria[657]

Universitas iuris

Dottrina maggioritaria [658] 

La teoria dell’universitas non si concilia:

A)           con la possibilità che venga eliminato del tutto, col patto contrario, il trasferimento dei debiti (art. 1546 c.c.);

B)           con l’inclusione nel trasferimento di oggetti pervenuti al venditore successivamente all’accettazione di eredità.

Inoltre, si evidenzia che il trasferimento dell’universum ius è escluso proprio dalla stessa circostanza dell’esistenza di un accollo e non di una pura e semplice successione nel debito.

Alle due obiezioni su cui si fonda la dottrina minoritaria si risponde come segue:

A)          quanto al patto contrario (art. 1546 c.c.) si può rilevare che questi debiti come effetto immediato della vendita di eredità , passano dal venditore al compratore, anche se non è vietato alle parti, di stabilire, con un autonomo negozio, che il venditore assuma il debito del compratore.

La dottrina prevalente ritiene che tale vendita determini per il compratore l’accollo cumulativo ex lege dei debiti ereditari.

B)          Quanto al trasferimento di oggetti pervenuti al venditore anche successivamente all’accettazione dell’eredità, si osserva che questa inclusione, peraltro non prevista espressamente dal legislatore, si può giustificare soltanto con la teoria dell’universitas, perché questi oggetti, ancorché acquistati successivamente, fanno pur parte dell’eredità proprio perché essa è concepita come complesso unitario, ossia come università.

Sono ipso iure esclusi dal trasferimento i diritti aventi carattere personale e familiare come:

1)         i diritti della personalità –

2)         il credito alimentare –

3)         i diritti di usufrutto, uso e abitazione [659]

4)         il diritto di riscatto (retratto)

5)         il diritto di rendita vitalizia –

6)         il diritto al sepolcro –

7)         i ricordi storici –

8)         i ritratti –

C)  Gli obblighi delle parti

Obblighi del venditore:

1) innanzitutto deve garantire la propria qualità di erede; non è, invece, tenuto a garantire l’esistenza dei singoli diritti ereditari quando manchi la specificazione degli oggetti della vendita.

Applicabile la disciplina prevista nei casi di vendita di cosa altrui [660] e sull’evizione.

art. 1542 c.c.  garanzia

Chi vende un’eredità senza specificarne gli oggetti non è tenuto a garantire che la propria qualità di erede.

Questa garanzia comprende tutte le ipotesi nelle quali il venditore non sia destinatario dell’eredità e ciò può verificarsi quando:

A)           la successione non è stata ancora aperta;

B)           ovvero l’alienate non è erede:

in questo secondo caso il compratore potrà, ove ne ricorrano i presupposti, giovarsi anche della tutela che spetta a coloro i quali hanno contrattato con l’erede apparente (art. 534 c.c.).

Per ultima Cassazione [661] nell’oggetto del contratto di vendita di eredità, di cui agli artt. 1542 e segg. c.c., non rientra anche l’azione di petizione ereditaria [662], essendo quest’ultima diretta all’accertamento della qualità di erede, per sua natura intrasmissibile, e configurandosi, invece, la vendita dell’eredità come alienazione di componenti patrimoniali e non di mere qualificazioni giuridiche. Ne consegue che deve escludersi la legittimazione attiva a proporre l’azione di petitio hereditatis in capo al compratore dell’eredità, potendo questi, in quanto creditore del venditore per i frutti percepiti, i crediti riscossi ed i beni venduti e, per contro, terzo rispetto al conflitto tra erede e possessore di beni ereditari, proporre azione surrogatoria in caso di inerzia del venditore stesso nell’esercizio della petizione d’eredità.

2)

art. 1543 2 co c.c. forme …………….

Il venditore è tenuto a prestarsi agli atti che sono necessari da parte sua per rendere efficace, di fronte ai terzi, la trasmissione di ciascuno dei diritti compresi nell’eredità.

3)

art. 1544 c.c. obblighi del venditore

Se il venditore  ha percepito i frutti di qualche bene o riscosso qualche credito ereditario ovvero ha venduto qualche bene dell’eredità, è tenuto a rimborsarne il compratore salvo patto contrario.

 

Obblighi del compratore

 

art. 1545 c.c.   obblighi del compratore

Il compratore deve rimborsare il venditore di quanto questi ha pagato per debiti e pesi dell’eredità, e deve corrispondergli quanto gli sarebbe dovuto dall’eredità medesima, salvo che sia convenuto diversamente.

Funzione e scopo del dettato normativo sono quelli di ricostruzione dell’asse ereditario, di modo che l’effetto traslativo abbia ad oggetto l’universalità dei beni pervenuti al venditore al momento dell’apertura della successione, inteso come totalità degli elementi attivi e passivi.

Allo stesso modo il compratore deve rimborsare il venditore di quanto questi ha pagato per debiti e pesi dell’eredità, e deve corrispondergli quanto gli sarebbe dovuto dall’eredità medesima, salvo che sia convenuto diversamente (art. 1545 c.c.).

 

 

D)   Forma e trascrizione [663]

 

art. 1543 c.c.  forme

La vendita di eredità deve farsi per atto scritto, sotto pena di nullità.

Il venditore è tenuto a prestarsi agli atti che sono necessari da parte sua per rendere efficace, di fronte ai terzi, la trasmissione di ciascuno dei diritti compresi nell’eredità.

La mancanza di specificazione rende impossibile l’immediata trascrizione, la quale avverrà successivamente, quando, cioè, gli oggetti saranno stati individuati.

L’atto d’individuazione è senza dubbio complesso ed il sistema per realizzarlo, ai fini della trascrizione, consiste nel far sottoscrivere la nota, congiuntamente, sia al venditore che al compratore.

 

 

E)    Responsabilità ex lege per i debiti

 

art. 1546 c.c. responsabilità per debiti ereditari

Il compratore, se non vi è patto contrario(negozio autonomo, non incompatibile con la natura dell’universum ius, collegato il quale ha la qualifica di accollo interno) , è obbligato in solido (1292 e seguenti) col venditore a pagare i debiti ereditari (752).

F)    Altre forme di alienazione di eredità

art. 1547 c.c.  altre forme di alienazione (la permuta [664], la datio in solutum, la transazione, il conferimento in società, la costituzione di una rendita) di eredità

Le disposizioni precedenti si applicano alle altre forme di alienazione di un’eredità a titolo oneroso

Nelle alienazioni a titolo gratuito la garanzia è regolata dall’art. 797.

 

G) Inesperibilità del retratto successorio[665] quando la vendita riguarda singoli beni

Si ritiene che le condizioni per l’esperibilità del retratto successorio ai sensi dell’art. 732 c.c. sussistono quando il coerede vende i diritti di comproprietà su tutti i beni immobili e mobili lasciati dal de cuius, giacché in tal caso è ravvisabile il trasferimento della quota, intesa come parte dello universum ius. Qualora, invece, la vendita riguardi soltanto alcuni beni dell’eredità, poiché in tema di retratto successorio la regola è quella della sua esclusione, per potere ritenere che essa abbia a oggetto la quota ereditaria è necessario che colui che eserciti il diritto di riscatto provi la discordanza della dichiarazione negoziale rispetto alla reale volontà dei contraenti, nel senso che costoro abbiano voluto fare subentrare l’acquirente, sia pure nei limiti dei singoli beni oggetto del trasferimento, in tutti i rapporti e in tutte le situazioni giuridiche attive e passive della comunione ereditaria [666], e di considerare pertanto, in vista di una tale finalità, il bene, o i beni, oggetto della traslazione, in funzione rappresentativa e come indice espressivo della quota o di parte di essa; ciò in quanto anche la traslazione di un solo bene finisce per individuare la fattispecie presa in considerazione dall’art. 732 c.c.[667].

Resta salva la possibilità che il retrattato dimostri, in base a elementi concreti della fattispecie e intrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l’entità dei beni venduti), con esclusione del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo, che invece la vendita ha a oggetto un bene a sé stante [668].

 

 

H)   Ammissibilità della vendita di eredità altrui [669]

Considerando che la vendita dell’eredità può avvenire legittimamente solo all’apertura della successione e non prima, altrimenti si incorrerebbe in un patto dispositivo nullo ex art. 458 c.c., si ritiene patto successorio dispositivo, vietato dall’art. 458 c.c., quando l’oggetto del contratto sia stato considerato dalle parti come compreso in una futura successione; si ha invece un valido contratto di compravendita di cosa altrui quando, secondo la comune intenzione delle parti, il contratto debba produrre l’effetto obbligatorio, suscettibile di immediata esecuzione, di vincolare il venditore a procurare al compratore l’acquisto del bene venduto: in tale ipotesi la vendita non è nulla e l’effetto reale si verifica automaticamente quando, alla morte del proprietario, il bene passi iure hereditatis al venditore [670].

Sulla scorta di tale interpretazione la vendita, da parte di due nipoti, di immobili di proprietà di una loro zia, prima della morte della stessa, può integrare, ai sensi dell’art. 1478 c.c., l’ipotesi di una vendita di cosa altrui, qualora, secondo la comune intenzione delle parti, il contratto debba produrre l’effetto obbligatorio, suscettibile di immediata esecuzione,di vincolare i venditori a procurare al compratore l’acquisto del bene venduto. In tale ipotesi, la vendita non è nulla, e l’effetto reale del negozio si verifica automaticamente quando, alla morte della zia, i venditori ne abbiano acquistato la proprietà. La vendita è, invece, nulla, configurando un patto successorio, ove risulti accertato che il suo oggetto sia stato considerato dalle parti come compreso in una possibile successione [671].

5) NOTE

[1] Tranne nel caso, ad esempio, della vendita con trasporto (vendita piazza a piazza), cfr par.fo 2) lettera B), punto 1), pag. 263

[2] La vendita è il contratto tipico dello scambio in un sistema economico monetario, poiché quanto oggetto di vendita viene scambiato contro un corrispettivo in denaro; in assenza della moneta si aveva in epoca pre romana lo scambio in termini di baratto.

[3] Emptio-venditio (compravendita): in forza di questo contratto nascevano i seguenti obblighi: per il venditore, di mettere a disposizione del compratore la cosa (merx) finché non ne acquistava la proprietà.

Per l’acquirente, di trasferire a titolo di corrispettivo al venditore il pretium, la proprietà di una somma di denaro.

Potevano costituire merx  tutte le cose mobili e immobili, dunque anche gli schiavi, che erano res mancipi‘, e anche il libero, se venduto a un compratore di buona fede (che lo credeva schiavo).

Questo contratto consensuale era basato sulla bona fides ed il consenso delle parti.

Non trasmetteva la proprietà della cosa comprata, ma faceva sì che sorgesse l’impegno reciproco delle parti a trasferire la cosa e a pagare il prezzo convenuto.

[4] Nel caso di vendita di eredità, cfr par.fo 4), lettera C) Gli obblighi delle parti, pag. 365, si ha un fattispecie aleatoria, oltreché nell’ambito di emptio spei  cfr par.fo 1), lettera C), punto 2) lettera D) vendita di speranza – pag. 99

[5] Gazzoni

[6] Cfr par.fo 1), lettera C), punto 2) lettera A) vendita di cosa generica, pag. 70

[7] Cfr par.fo 1), lettera C), punto 2) lettera B) vendita di cosa altrui, pag. 73

[8] Cfr par.fo 1), lettera C), punto 2) lettera D) vendita di cosa futura, pag. 86

[9] Cfr par.fo 1), lettera C), punto 2) lettera F) vendita alternativa, pag. 101

[10] Per una maggiore consultazione sulle differenze tra definitivo e preliminare aprire il seguente collegamento on-line  Le trattative ed il contratto preliminare

[11]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 18-4-2002. Nel caso, la S.C., nel fare applicazione del suindicato principio con particolare riferimento all’individuazione del contenuto del rapporto stipulato dalle parti, ha osservato che in sede di stipulazione del preliminare le parti possono anche determinare un oggetto più ampio di quello successivamente trasfuso nel contratto definitivo, senza che ciò tuttavia assuma alcuna rilevanza ai fini dell’identificazione del contenuto delle determinazioni definitive. Inoltre tale principio è stato anche confermato da ultima sentenza della Cassazione, per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 gennaio 2014, n. 153 , secondo la quale, appunto, il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta nel primo caso ad impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà, e nel secondo ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà. Lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo ovvero un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l’effetto traslativo ad una successiva manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Tale accertamento è incensurabile in Cassazione, se è sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 e s. c.c.(Corte di Cassazione, 20-11-2007 n. 24150; Corte di Cassazione,4-10-2006 n. 21381; Corte di Cassazione, 21-5-2002 n. 7429).

[12]Corte di Cassazione, sentenza  26-4-84, n. 2626. Nella specie, in un contratto avente ad oggetto il trasferimento di un bene immobile verso il corrispettivo costituito in parte dal pagamento di una somma di danaro ed in parte dalla costruzione di una strada da parte dell’acquirente, i giudici del merito avevano ritenuto predominante, in base alla valutazione del rispettivo interesse delle parti, il carattere traslativo del contratto, con conseguente assoggettamento dello stesso alla disciplina della vendita, escludendo quindi l’applicabilità dell’art. 1667 c.c. e del relativo termine di prescrizione

[13] Per una maggiore consultazione sulla permuta  aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di permuta – par.fo 6 – la differenza tra la permuta e la vendita

[14]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9088 del 16-4-2007

[15] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 marzo 2014, n. 5605  Nel caso in esame, la sentenza di merito ha tenuto conto di questi principi e si è fatta carico di ricostruire la volontà effettiva delle parti, sostanzialmente pervenendo alla conclusione che il bene (la BMW) dato in permuta integrava gli estremi di una datio in solutum.

[16]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5966 del 23-4-2001

[17] Per una maggiore consultazione sulla proposta irrevocabile aprire il seguente collegamento on-line  La proposta irrevocabile (o ferma)

[18] Per una maggiore consultazione sull’opzione aprire il seguente collegamento on-line  L’Opzione

[19] Per una maggiore consultazione sulle trattative e la responsabilità precontrattuale aprire il seguente collegamento on-line Le trattative ed il contratto preliminare

[20]cfr par.fo 1) lettera C) punto 2) lettera A) Vendita di cosa generica, pag. 71

[21]cfr par.fo 1)lettera C) punto 2) lettera D) vendita di cosa futura, pag. 90

[22]cfr par.fo 1) lettera C) punto 2) lettera F) vendita alternativa, pag. 105

[23]cfr. par.fo 1) lettera E) Vendita con patto di riscatto, punto 7) la trascrizione, pag. 231

[24]cfr. par.fo 2) lettera B) punto 4) Vendita con riserva di proprietà, D) Disciplina, punto 3) La trascrizione, pag. 305

[25]cfr par.fo 4) lettera D) Forma e Trascrizione, pag. 371

[26] Le modifiche apportate dalla L. 3 agosto 2013, n. 90

All’articolo 6, comma 1, capoverso Art. 6: al comma 1, le parole da: «L’attestato» fino a: «è rilasciato» sono sostituite dalle seguenti: «A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, l’attestato di prestazione energetica degli edifici è rilasciato» e le parole: «al termine dei lavori» sono sostituite dalle seguenti: «prima del rilascio del certificato di agibilità»;

al comma 2, nel primo periodo, dopo la parola: «vendita» sono inserite le seguenti: «di trasferimento di immobili a titolo gratuito» e, nell’ultimo periodo, le parole: «congiuntamente alla dichiarazione di fine lavori» sono sostituite dalle seguenti: «entro quindici giorni dalla richiesta di rilascio del certificato di agibilità»;

al comma 3, dopo la parola: «vendita» sono inserite le seguenti: «negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito»; dopo il comma 3 è inserito il seguente: «3-bis. L’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti»;

al comma 4, dopo le parole: «destinazione d’uso,» sono inserite le seguenti: «la medesima situazione al contorno, il medesimo orientamento e la medesima geometria e»;

al comma 5, secondo periodo, le parole: «degli impianti termici» sono sostituite dalle seguenti: «dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici» e le parole da: «dal decreto» fino alla fine del periodo sono sostituite dalle seguenti: «dai regolamenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74, e al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 75»;

al comma 6, le parole: «centoventi giorni» sono sostituite dalle seguenti: «centottanta giorni»; dopo il comma 6 è inserito il seguente: «6-bis. Il fondo di garanzia di cui all’articolo 22, comma 4, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, è utilizzato entro i limiti delle risorse del fondo stesso anche per la copertura delle spese relative alla certificazione energetica e agli adeguamenti di cui al comma 6 del presente articolo»; al comma 8, le parole: «l’indice di prestazione energetica dell’involucro edilizio e globale» sono sostituite dalle seguenti: «gli indici di prestazione energetica dell’involucro e globale»; al comma 11, le parole: «rilascio della prestazione energetica» sono sostituite dalle seguenti: «rilascio dell’attestato di prestazione energetica» e le parole: «sistema di attestazione energetica» sono sostituite dalle seguenti: «sistema di certificazione energetica»; al comma 12, alinea, le parole: «pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153» sono sostituite dalle seguenti: «pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 158».

[27]Corte di Cassazione, sentenza  8-6-83, n. 3938

[28]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12506 del 29-5-2007

[29]Corte di Cassazione, sentenza  19-10-99, n. 11744

[30]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19044 del 3-9-2010

[31]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6166 del 20-3-2006. Precedentemente era stato affermato dalla medesima Corte che in tema di compravendita immobiliare, ai fini della sussistenza del requisito della determinatezza o della determinabilità dell’oggetto del contratto, nell’atto devono essere indicati gli elementi necessari per la identificazione del bene venduto, i quali devono essere certi ed oggettivi, e cioè idonei per l’individuazione dell’oggetto. Detta ipotesi, pertanto, non ricorre nella vendita di un bene — costituito da un lotto di terreno da staccarsi da uno più grande — di cui non siano specificati i confini e venga indicata solo per approssimazione anche l’estensione, essendo tali elementi privi di certezza in ordine alla oggettiva consistenza del bene. Corte di Cassazione, sentenza  12-7-2000, n. 9235

[32]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9857 del 24-4-2007

[33]Corte di Cassazione, sentenza  16-6-89, n. 2900

[34] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 marzo 2014, n. 4934  Corte di Cassazione, sentenza  n. 10698 del 1994; Corte di Cassazione, sentenza  n. 11744 del 1999; Corte di Cassazione, sentenza  n. 15304 del 2006;Corte di Cassazione, sentenza  n. 20131 del 2013

[35]Corte di Cassazione, sentenza  n. 5123 del 1999 e Corte di Cassazione, sentenza  n. 6764 del 2003

[36]Messineo

[37] Per la lettura integrale del testo aprire il seguente collegamento: Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490

[38] Per la lettura integrale del testo aprire il seguente collegamento: Legge 8 ottobre 1997, n. 352 Disposizioni sui beni culturali

[39] Per la lettura integrale del testo aprire il seguente collegamento:  Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137

[40] Per una maggiore consultazione sulla prelazione aprire il seguente collegamento on-line  La prelazione volontaria e legale

[41]Corte di Cassazione, sentenza  26-6-90, n. 6466

[42] Per una maggiore consultazione sulla cessione del contratto  aprire il seguente collegamento on-line  La cessione del contratto

[43] Per una maggiore consultazione sul possesso aprire il seguente collegamento on-line  Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso

[44] GazzoniGioffrèMasiPetrone

[45] Albergo

[46] Grasso e Alcaro

[47]Corte di Cassazione, sentenza 27 settembre 1996, n. 8528 e Corte di Cassazione, sentenza 12 novembre 1996, n. 9884

[48] Corte d’Appello Palermo, sezione II, sentenza 12 marzo 2012, n. 357

[49] PadulaAlbergoGioffrè

[50] Per una maggiore consultazione sul contratto di mandato  aprire il seguente collegamento on-line  Il mandato

[51]Corte di Cassazione, sentenza  21-8-85, n. 4464

[52] cfr par.fo 1) lettera D) Delle obbligazioni del compratore, pag. 219

[53] Per una maggiore consultazione sulla permuta  aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di permuta – par.fo 6 – la differenza tra la permuta e la vendita

[54]Corte di Cassazione, sentenza  23-1-88, n. 523

[55] Per una maggiore consultazione sulla donazione indiretta  aprire il seguente collegamento on-line  La donazione mista negozio indiretto

[56]Corte di Cassazione, sentenza  28-8-93, n. 9144

[57]Corte di Cassazione, sentenza  27-2-86, n. 1266

[58]Corte di Cassazione, sentenza  18-11-96, n. 10069

[59]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 7246 del 26-3-2007

[60]cfr par.fo 6) La compravendita immobiliare pag. 356

[61]Corte di Cassazione, sentenza  22-6-71, n. 1966

[62]Corte di Cassazione, sentenza  27-7-2000, n. 9867

[63] Greco – Cottino – Bianca – Rubino

[64]  La legge presume, se non risulta una volontà contraria, che le parti si siano affidate all’equo arbitrio (arbitrium boni viri) del terzo: in tal caso, l’arbitratore deve decidere considerando egualmente gli interessi delle parti contrattuali.

[65] La determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo (arbitrium merum) consente a quest’ultimo di decidere in base al suo criterio individuale. In questo caso, la mancata determinazione del terzo rende vano l’intero rapporto, mentre l’avvenuta determinazione si può impugnare (ossia contestare nel corso di un processo) solo quando il terzo abbia agito in malafede, cioè abbia danneggiato intenzionalmente una parte.

[66]Corte di Cassazione, sentenza  5-10-63, n. 2632

[67]Corte di Cassazione, sentenza  28-5-90, n. 4954

[68]Corte di Cassazione, sentenza  12-7-68, n. 2479

[69] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 19 novembre 2003, n. 17527. Nell’enunciare il principio di cui in massima, la S.C. ha altresì escluso che contro il provvedimento reso in sede di reclamo, ove erroneamente qualificato dal presidente della corte d’appello “ordinanza-sentenza”, sia proponibile il ricorso ordinario per cassazione ex art. 360 c.p.c.

[70] Gazzoni

[71]Corte di Cassazione, sentenza  4-3-70, n. 523. Quando il contratto di vendita ha per oggetto cose che il venditore abitualmente vende, la mancata determinazione espressa del prezzo non importa la nullità del contratto, dovendosi presumere che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore, da desumere, se trattasi di prezzo di mercato, tranne patto contrario, dal listino o dalle mercuriali vigenti al momento della consegna. Corte di Cassazione, sentenza  5-6-82, n. 3435 Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 13807 del 23-7-2004

[72]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza719 del 16-1-2006

[73] Rubino

[74] Greco – Cottino – Luminoso

[75] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 novembre 2013, n. 25804

[76]Corte di Cassazione, sentenza  3-3-81, n. 1232

[77] Tribunale Ivrea, sezione I, sentenza 5 luglio 2011, n. 416

[78]Corte di Cassazione, sentenza  27-6-85, n. 3853

[79] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 febbraio 2004, n. 2111

[80] Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 ottobre 1986, n. 708, recante misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità abitative

[81]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 843 del 16-1-2007

[82]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza7004 del 8-5-2012

[83]Corte di Cassazione, sentenza  15-6-64, n. 1500

[84] Per una maggiore consultazione sul contratto di mediazione  aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di mediazione

[85]Corte di Cassazione, sentenza  24-2-93, n. 2263. La provvigione dovuta al mediatore non rientra tra le spese del contratto di compravendita e nelle altre accessorie che l’art. 1475 c.c. pone, salvo diverso accordo, a carico del compratore, atteso che essa scaturisce non dal contratto in questione ma dal diverso rapporto di mediazione, dal quale solo sorgono in capo al mediatore diritti nei confronti di ciascuna delle parti che ha concluso l’affare per la quota ad essa spettante. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 luglio 2011, n. 14899

[86] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 aprile 2014, n. 8886

[87]Corte di Cassazione, sentenza  11-1-89, n. 75

[88]Corte di Cassazione, sentenza  25-7-81, n. 4818. Pertanto, quando dal contratto risulta che il venditore si è obbligato a mettere a disposizione il suo personale specializzato, sia pure verso compenso da conteggiarsi a parte, per la messa in opera della macchina — che indica nel linguaggio tecnico la collocazione di un apparecchio o di una struttura o delle parti di un impianto nel luogo in cui devono funzionare deve ritenersi che le parti abbiano inteso che a carico del venditore sussiste l’obbligo di provvedere al montaggio come requisito indispensabile per l’adempimento dell’obbligazione di consegnare, con la conseguenza che, ai fini dell’individuazione del locus destinatae solutionis, si deve avere riguardo allo stabilimento dell’acquirente dove, col montaggio della macchina, viene effettuata quella consegna nel senso sopra indicato

[89]Corte di Cassazione, sentenza  19-2-86, n. 1024

[90]Corte di Cassazione, sentenza  4-3-93, n. 2660

[91] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 marzo 2013, n. 7957. Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva negato la pretesa risarcitoria azionata nei confronti del venditore dal compratore di un appartamento, il quale, ottenuta la declaratoria giudiziale di nullità della clausola negoziale di riserva di proprietà dell’area destinata a parcheggio condominiale, non aveva potuto fruire del diritto d’uso riconosciutogli, essendo stata detta area già trasferita ad altri soggetti

[92] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 novembre 2013, n. 25427

[93] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 ottobre 2013 n. 23157 . In precedenza la medesima Cassazione ugualmente stabiliva che nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché vale a incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico — sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. Pertanto, il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra inadempimento del venditore per consegna di «aliud pro alio», adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell’art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o esonerato comunque il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che detto esonero non vi fosse stato, atteso che il compratore poteva nutrire la legittima aspettativa che nei sette mesi intercorrenti tra la stipula del preliminare e il tempo stabilito per la stipula del contratto definitivo, la controparte avrebbe procurato il certificato). Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1514 del 26-1-2006

[94] Per una maggiore consultazione sul possesso aprire il seguente collegamento on-line  Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso

[95]Corte di Cassazione, sentenza  21-12-93, n. 12621

[96] Per una maggiore consultazione sul contratto di somministrazione  aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di somministrazione ex artt. 1559 e ss. c.c.

[97]Corte di Cassazione, sentenza  16-12-68, n. 3997

[98]Corte di Cassazione, sentenza  31-5-71, n. 1637

[99] Gorla – Ferrara – Arangio Ruiz

[100] Salis

[101] Gazzara

[102] Cariota Ferrara – De Martini

[103] Capozzi – Rubino – Cottino – Mirabelli –  Greco e la giurisprudenza prevalente

[104]Corte di Cassazione, sentenza  16-3-84, n. 1808

[105] Per una maggiore consultazione sulla risoluzione  aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione

[106] Per una maggiore consultazione sulla rescissione  aprire il seguente collegamento on-line  La rescissione

[107] Capozzi – Degni – Salis – Rubino

[108] Capozzi – Rubino – Natoli – De Martini – Maiorca – Mastrocinque – Mariconda

[109] cfr par.fo 2) lettera B) punto 5) Vendita su campione e su tipo di campione, pag. 322

[110]cfr par.fo 2) lettera B) punto 1) Vendita da piazza a piazza, pag. 266

[111] Gorla – Gazzarra – Majello – Mirabelli – Gazzoni

[112] per tutti, Panico

[113]cfr. par.fo 1) lettera B), punto 3) la forma, lettera A) la trascrizione, pag. 21

[114] Servitù di un vantaggio futuro – Per una maggiore consultazione sulle servitù aprire il seguente collegamento on-line  Le servitù prediali – par.fo H – Servitù di un vantaggio futuro

[115] cfr par.fo 4) lettera C) Gli obblighi delle parti, pag. 368

[116]cfr par.fo 4) lettera H) Ammissibilità della vendita di cosa altrui, pag. 374

[117] Per una maggiore consultazione sul contratto a favore del terzo  aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto a favore del terzo

[118]Corte di Cassazione, sentenza  23-2-2001, n. 2656(conf. Corte di Cassazione, sentenza 6-6-83, n. 3839)

[119] Corte d’Appello Campobasso, civile, sentenza 24 ottobre 2013, n. 266

[120] Tribunale Perugia, civile, sentenza 29 giugno 2013, n. 905

[121] Tribunale Roma, sezione X, sentenza 18 ottobre 2012, n. 19672. Nel caso di specie il notaio veniva accusato di aver rogato un atto – trasferimento di immobile – da parte di un venditore che non ne era proprietario. Il tribunale ha escluso che si rientrasse nella fattispecie di cui all’art. 28 della legge notarile in quanto tale ipotesi è disciplinata dagli artt. 1478 e 1479 c.c. – Vendita di cosa altrui; Buona fede del compratore

[122]Corte di Cassazione, sentenza  2-2-98, n. 984, Corte di Cassazione, sentenza 18-2-86, n. 960

[123]Corte di Cassazione, sentenza  21-7-80, n. 4776.Nella specie il venditore aveva dichiarato al compratore di avere acquistato l’immobile venduto con un «compromesso». La Corte Suprema ha ritenuto implicitamente accertato dal giudice del merito l’estremo dell’alienità del bene in quanto tale espressione, nel linguaggio dei pratici, allude all’esistenza di un contratto preliminare

[124]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7515 del 27-3-2007. Nel caso di specie, la S.C. ha confermato sul punto la sentenza di merito, che aveva qualificato il contratto intercorso tra le parti come vendita di cosa altrui, in quanto l’amministratore di una società semplice era intervenuto nella vendita dei beni sociali in proprio, dichiarandosi unico proprietario dei beni, mentre dalla motivazione risultava chiaramente che i beni oggetto del contratto erano, in forza dei titoli di provenienza richiamati dalla scrittura privata di vendita, di proprietà esclusiva della società

[125] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 gennaio 2011, n. 1567

[126]Corte di Cassazione, sentenza  25-7-77, n. 3306

[127]Corte di Cassazione, sentenza  24-3-81, n. 1727

[128]Corte di Cassazione, sentenza  6-12-78, n. 5773

[129]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18477 del 3-12-2003

[130] Bianca – Capozzi

[131] Rubino

[132]Corte di Cassazione, sentenza  22-4-81, n. 2363

[133] Gazzoni

[134] Rubino

[135] Greco e Cottino

[136] Greco e Cottino

[137] Per una maggiore consultazione sulla comunione aprire il seguente collegamento on-line  La comunione – par.fo F) Poteri ed obblighi dei contitolari – La vendita

[138] Capozzi –  Bianca

[139] Per una maggiore consultazione sulla divisione aprire il seguente collegamento on-line  La divisione

[140]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 387 del 12-1-2005

[141] Per una maggiore consultazione sulla prelazione aprire il seguente collegamento on-line  La prelazione volontaria e legale

[142]Corte di Cassazione, sentenza  11-2-80, n. 950

[143] Gazzoni

[144] Lipari

[145]Corte di Cassazione, sentenza  21-3-87, n. 2827

[146] Giorgianni

[147]A differenza della vendita di cosa futura, la quale ha per oggetto beni prodotti dalla natura, come i frutti di un fondo, i parti degli animali o altre cose la cui venuta ad esistenza è considerata dai contraenti come incerta e non dipendente in modo esclusivo dalla volontà dell’uomo, ed in cui se la cosa non viene ad esistenza il contratto è nullo, nella vendita di cosa da costruire il venditore assume l’obbligazione di prestare l’attività necessaria per la produzione del bene e pertanto risponde per l’inadempimento contrattuale nel caso in cui non dimostri che la prestazione promessa è venuta a mancare per causa a lui non imputabile. Corte di Cassazione, sentenza  10-11-89, n. 4772

[148] Giorgianni

[149] Lipari

[150]Corte di Cassazione, sentenza  15-4-99, n. 3750

[151] Gazzoni

[152] Rubino

[153]Corte di Cassazione, sentenza  28-11-87, n. 8863

[154]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 20998 del 30-9-2009

[155]cfr. par.fo 1) lettera B), punto 3) la forma, lettera A) la trascrizione, pag. 21

[156]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza16921 del 21-7-2009. Nella fattispecie, relativa alla compravendita di un immobile da costruire, poiché un terzo creditore del costruttore aveva iscritto ipoteca sull’immobile, prima che gli acquirenti avessero trascritto sia il contratto che la domanda giudiziale di accertamento della proprietà, la sentenza di accoglimento è stata ritenuta non opponibile al creditore ipotecario

[157]Corte di Cassazione, sentenza  10-7-86, n. 4497

[158] Per una maggiore consultazione sul collegamento negoziale  aprire il seguente collegamento on-line  Il collegamento negoziale

[159] Per una maggiore consultazione sull’accessione aprire il seguente collegamento on-line  L’Accessione

[160] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 30 ottobre 2012, n. 18656

[161]Corte di Cassazione, sentenza  21-6-2000, n. 8445 (conf. Corte di Cassazione, sentenza  17-12-99, n. 14209. Nella specie la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva qualificato come appalto il contratto con il quale, oltre alla completa fornitura dell’arredamento necessario all’installazione di un bar pasticceria, si prevedeva anche e soprattutto un’attività di progettazione, di direzione nonché di esecuzione dei lavori da parte dell’obbligato, che si sarebbe potuto servire, a sua volta, anche di altre ditte, rimanendo, peraltro, sempre personalmente responsabile verso il committente

[162]Corte di Cassazione, sentenza  19-10-92, n. 11450

[163] Pacifici Mazzoni – Bianca – Granturco

[164]cfr par.fo 1), lettera A) Struttura, pag. 6

[165] Rubino – Messineo – Mirabelli – Lipari

[166]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14461 del 30-6-2011. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto nullo, per inesistenza dell’oggetto, la compravendita di frutti pendenti da un agrumeto mai venuti a maturazione a causa di gelate

[167]Corte di Cassazione, sentenza  9-12-57, n. 4622

[168]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5757 del 23-3-2004

[169]cfr. par.fo 1) lettera B), punto 3) la forma, lettera A) la trascrizione, pag. 21

[170] Per una maggiore consultazione sulla rescissione  aprire il seguente collegamento on-line  La rescissione

[171] Per una maggiore consultazione sulla risoluzione aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione

[172] De Luca –  Cogliandro – D’Auria – Ronza

[173] Capozzi

[174] Martorano e Mirabelli

[175] Gorla – Luzzatto

[176] Rubino – Bianca – Capozzi

[177] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 12 ottobre 2012, n. 17485. Nella specie, la S.C., affermando l’enunciato principio, ha assunto che la peculiare pattuizione, connotante di parziale aleatorietà il contratto di vendita inter partes, portava ad escludere l’applicabilità dell’art. 1497 c.c., non potendo dirsi promesse tra le parti, ma solo prefigurate come possibile rischio futuro, determinate qualità della cosa venduta, e cioè, segnatamente, la resa ottimale dell’impianto

[178] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 10 ottobre 2011, n. 20877

[179] Per una maggiore consultazione sull’azione di rivendica aprire il seguente collegamento on-line  Le azioni a difesa della proprietà. Rivendicazione

[180]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8574 del 26-4-2005

[181] Per una maggiore consultazione sull’azione di rivendica aprire il seguente collegamento on-line  Le azioni a difesa della proprietà. Regolamento di confini

[182]Corte di Cassazione, sentenza 6-12-84, n. 6402. Principio ripreso da ultimissima cassazione Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 17 febbraio 2014, n. 3626.In tema di compravendita, qualora l’immobile venduto risulti costruito in violazione delle limitazioni legali della proprietà, la pretesa del proprietario del fondo confinante, diretta a ottenere il rispetto di tali limitazioni, può concretare un’ipotesi riconducibile, alternativamente, alla garanzia per evizione, ai sensi degli artt. 1483 e 1484 c.c., ovvero alla garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., secondo che dall’accoglimento della domanda derivi, in tutto o in parte, la perdita della cosa venduta, ovvero discenda soltanto una restrizione del godimento del bene, il quale resti, però, integro nella sua identità strutturale. In precedenza la medesima Cassazione, sezione II, sentenza 21 dicembre 2012, n. 23818 con altra pronuncia ha previsto che in tema di compravendita, qualora l’immobile venduto risulti costruito in violazione delle limitazioni legali della proprietà, la pretesa del proprietario del fondo confinante, diretta a ottenere il rispetto di tali limitazioni, può concretare un’ipotesi riconducibile, alternativamente, alla garanzia per evizione, ai sensi degli artt. 1483 e 1484 c.c., ovvero alla garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., secondo che dall’accoglimento della domanda derivi, in tutto o in parte, la perdita della cosa venduta (nella specie, a seguito della totale o parziale demolizione dell’edificio costruito a distanza illegale), ovvero discenda soltanto una restrizione del godimento del bene, il quale resti, però, integro nella sua identità strutturale; con la conseguenza che il corrispondente diritto del compratore resta soggetto ai relativi termini di prescrizione, decorrenti non dalla conclusione del contratto, bensì dal passaggio in giudicato della sentenza definitiva sull’evizione o sulla sussistenza della minore garanzia della cosa venduta.

[183] Per una maggiore consultazione sulle distanze aprire il seguente collegamento on-line  Le distanze tra le costruzioni ex artt. 873 e ss, c.c.

[184] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 20 dicembre 2013, n. 28580. In tema di compravendita, la garanzia per evizione costituisce una particolare tutela che l’ordinamento attribuisce al compratore, per il caso in cui sia disturbato o menomato nel godimento del bene acquistato per effetto delle pretese fatte valere da terzi nei suoi confronti. Non v’è dubbio che può costituire evizione anche l’espropriazione forzata del bene ovvero l’espropriazione per causa di pubblica utilità. Pertanto, la garanzia per evizione si estende a tutte le ipotesi di vendita, siano essa a misura o corpo. Inoltre, l’evizione opera indipendentemente dalla sussistenza della colpa del venditore o dalla buona fede dell’acquirente per cui non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa di futura evizione, nel caso in cui la stessa effettivamente si verifichi.

[185]Corte di Cassazione, sentenza  19-12-91, n. 13681

[186]Corte di Cassazione, sentenza  26-6-87, n. 5639

[187]Corte di Cassazione, sentenza 6-12-84, n. 6399. Per una pronuncia di merito Tribunale Padova, S

sezione II, sentenza 14 gennaio 2013, n. 91,la non conformità dell’immobile oggetto di compravendita al progetto approvato dall’Amministrazione non costituisce, nei rapporti tra i privati, vizio della cosa rilevante ex art. 1490 c.c., in quanto trattandosi non già di una anomalia strutturale, bensì di una irregolarità che assoggetta la cosa al potere sanzionatorio dell’Amministrazione e determina l’inquadramento della fattispecie nell’ambito dell’art. 1489 c.c., avente ad oggetto la disciplina dell’ipotesi in cui la cosa compravenduta sia gravata da oneri o diritti reali o personali in favore di terzi, che diminuiscano non solo il libero godimento del bene, ma anche il valore del medesimo e la sua commerciabilità. In tale contesto, invero, l’ordine di demolizione dell’immobile assume, in seguito all’avvenuta esecuzione dello stesso, gli effetti sostanziali di una evizione totale o parziale, a seconda che ne derivi l’abbattimento totale o parziale del bene. Il venditore, pertanto, seppure non tenuto alla garanzia per effetto della conoscenza della irregolarità da parte del compratore, è comunque tenuto a restituire il prezzo ed a rimborsare le spese, fatta eccezione per l’ipotesi (non ricorrente nella specie) in cui la vendita non sia stata convenuta a rischio e pericolo del compratore stesso ex art. 1483 c.c. (Nel caso concreto il mancato raggiungimento della prova in ordine alla legittimità dell’ordine di demolizione, e dunque alla fondatezza dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, determina la reiezione delle domande di riduzione del prezzo di compravendita del bene e di risarcimento del danno).

[188]Corte di Cassazione, sentenza  13-1-84, n. 276

[189]Corte di Cassazione, sentenza  18-5-71, n. 1494

[190]Corte di Cassazione, sezione  VI, ordinanza 877 del 17-1-2011

[191]Corte di Cassazione, sentenza  27-1-98, n. 792

[192]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14754 del 26-6-2007. Da ultimo la medesima Cassazione, sezione III, sentenza 11 dicembre 2012, n. 22625 ha stabilito che se l’acquirente del fondo agrario, che subisce il riscatto, agisce nei confronti del proprietario alienante per il risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1483 c.c., quest’ultimo è normalmente dovuto, in virtù dell’art. 1479 c.c., nei limiti del cd. interesse negativo, costituito principalmente dalla restituzione del prezzo e dal rimborso delle spese della vendita; solo se ricorra il dolo o la colpa del venditore in riferimento alla particolare causa che ha determinato l’evizione, come nell’ipotesi di violazione della garanzia espressamente prestata circa l’inesistenza di diritti di prelazione spettanti a terzi, il venditore è obbligato al risarcimento totale del danno, comprensivo anche del lucro cessante.

[193] Per una maggiore consultazione sul retratto successorio aprire il seguente collegamento on-line  Il retratto successorio

[194] Per una maggiore consultazione sul contratto di locazione  aprire il seguente collegamento on-line  La locazione: par.fo12) Disciplina dei fondi immobili ed urbani – par.fo Uso diverso da abitazione – la prelazione

[195]Corte di Cassazione, sentenza  2-4-96, n. 3020

[196]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9642 del 16-7-2001

[197]Corte di Cassazione, sentenza  24-5-66, n. 1328

[198] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 14 aprile 2011, n. 8536

[199]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14431 del 22-6-2006

[200]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9642 del 16-7-2001

[201]Corte di Cassazione, sentenza  6-1-82, n. 5

[202] Gazzoni

[203]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 20165 del 18-10-2005. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente l’evizione in presenza di una sentenza di trasferimento del bene pronunciata, ai sensi dell’art. 2932 c.c., in favore del terzo, a nulla rilevando che il compratore aveva conservato il possesso del bene

[204]Corte di Cassazione, sentenza  26-1-95, n. 945

[205] Per una maggiore consultazione sul possesso  aprire il seguente collegamento on-line  Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso

[206]Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 8536 del 14-4-2011. Principio affermato dalla S.C. con riguardo all’esercizio, da parte del curatore fallimentare della società prima venditrice, dell’azione di inefficacia ex art. 45 legge fall. della formalità — successiva al fallimento — del trasferimento di proprietà di autoveicolo, trascritto nel pubblico registro in modo, quindi, ormai inopponibile alla massa, con conseguente obbligo di restituzione del bene anche da parte del terzo subacquirente dall’avente causa dalla società fallita

[207]Corte di Cassazione, sentenza  16-5-81, n. 3249

[208]Corte di Cassazione, sentenza  23-4-64, n. 988

[209]Corte di Cassazione, sentenza  6-11-75, n. 3749

[210]Corte di Cassazione, sentenza  3-6-91, n. 6255

[211] Per una maggiore consultazione sull’azione di rivendica aprire il seguente collegamento on-line  Le azioni a difesa della proprietà. Rivendicazione – negatoria – regolamento di confini – apposizione dei termini

[212]Corte di Cassazione, sentenza  27-3-96, n. 2714. Principio ripreso da altra successiva sentenza secondo la quale, appunto, quando il compratore, oltre a chiamare in causa il venditore per la denuncia della lite ai sensi dell’art. 1485 c.c., propone contro di lui, nel medesimo processo, anche l’azione di garanzia, fra la causa principale e quella di garanzia (propria) si instaura un vincolo di mera dipendenza ma non di inscindibilità, con la conseguenza che i rispettivi giudizi ben possono proseguire distintamente o essere decisi separatamente, facendo venir meno il nesso di dipendenza; ne consegue che, ove il preteso garantito non ritenga di dover coltivare in grado di appello la propria domanda, legittimamente il giudizio di secondo grado può proseguire ed essere deciso tra le sole parti originarie del rapporto principale, senza la partecipazione del preteso garante. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9910 del 27-4-2009

[213]Corte di Cassazione, sentenza  6-11-75, n. 3749

[214]cfr. par.fo 1)lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) par.fo A) Imperfezione materiale, pag. 156

[215]Corte di Cassazione, sentenza  18-11-70, n. 2440

[216]Corte di Cassazione, sentenza  11-5-84, n. 2890

[217]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4248 del 22-2-2010

[218]Corte di Cassazione, sentenza  23-6-76, n. 2349

[219]Corte di Cassazione, sentenza  5-6-82, n. 3433

[220] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 dicembre 2011, n. 29367

[221] Per una maggiore consultazione sulla servitù aprire il seguente collegamento on-line  Le Servitù prediali

[222]Corte di Cassazione, sentenza  30-10-90, n. 10525

[223] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sentenza 8 aprile 2013, n.8500

[224] Per una maggiore consultazione sul possesso  aprire il seguente collegamento on-line  Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso

[225]Corte di Cassazione, sentenza  1-10-91, n. 10218

[226] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto, uso e abitazione aprire il seguente collegamento on-line  L’Usufrutto, l’Uso e l’Abitazione

[227]Corte di Cassazione, sentenza  18-4-2000, n. 4977

[228]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24055 del 25-9-2008.

[229]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 13496 del 23-6-2005. Nell’enunziare il suindicato principio la S.C. ha ritenuto infondata la doglianza del ricorrente, che lamentava l’erroneità del rigetto da parte dei giudici di merito della domanda di risoluzione del contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto la proprietà superficiaria di appartamento realizzato in regime di edilizia convenzionata, e recante clausola con la quale la promittente venditrice garantiva la libertà dell’immobile da vincoli ed oneri pregiudizievoli

[230]Corte di Cassazione, sentenza  7-10-86, n. 5908

[231]Corte di Cassazione, sentenza  12-4-83, n. 2581

[232]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza18653 del 16-9-2004

[233]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza3464 del 6-3-2012

[234]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza2737 del 23-2-2012

[235]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1613 del 4-2-2003. In tale caso il compratore ha diritto oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, secondo quanto stabilito dall’art. 1480 c.c., anche al risarcimento del danno, ai fini del quale non si richiede la malafede del venditore ma è sufficiente che questi versi in colpa, essendo il risarcimento del danno fondato sulle norme generali degli artt. 1218 e 1223 in base al richiamo di quest’ultima disposizione da parte dell’art. 1479, a sua volta richiamato dall’art. 1480, cui rinvia ancora il citato art. 1489.

[236]Corte di Cassazione, sentenza  27-11-72, n. 3459

[237]Corte di Cassazione, sentenza  20-5-76, n. 1801

[238]Corte di Cassazione, sentenza  22-5-73, n. 1501

[239]Corte di Cassazione, sentenza  11-1-92, n. 253

[240]Corte di Cassazione, sentenza  23-10-91, n. 11218

[241] cfr par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera C) aliud pro alio – pag. 201

[242]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10523 del 3-7-2003

[243] Rubino

[244] Rubino

[245] Per una maggiore consultazione sulla caparra aprire il seguente collegamento on-line  Il rafforzamento degli effetti del contratto: 1) la clausola penale; 2) la caparra confirmatoria; 3) la caparra penitenziale

[246]cfr. par.fo 1) punto 4) Delle obbligazioni del compratore, pag. 223

[247] Per una maggiore consultazione sull’eccezione di inadempimento aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione, par.fo E) L’eccezione di inadempimento

[248] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 maggio 2012, n. 8002

[249]Corte di Cassazione, sentenza  25-2-74, n. 552

[250]Corte di Cassazione, sentenza  13-4-85, n. 2463

[251]Corte di Cassazione, sentenza  6-7-77, n. 2985

[252]Corte di Cassazione, sentenza  13-8-99, n. 8631

[253] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 marzo 2013, n. 5772 , Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 novembre 2011, n. 24340

[254] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 febbraio 2013, n. 4426

[255] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 giugno 1994, n. 5979

[256]Corte di Cassazione, sentenza  18-5-82, n. 3072

[257]Corte di Cassazione, sentenza 28-3-88, n. 2615

[258]Corte di Cassazione, sentenza  23-2-82, n. 1119

[259]Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza 14583 del 30-7-2004

[260] Per una maggiore consultazione sull’eccezione di inadempimento aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione, par.fo E) L’eccezione di inadempimento

[261]Corte di Cassazione, sentenza  6-8-99, n. 8481

[262]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8002 del 21-5-2012

[263]Corte di Cassazione, sentenza  19-7-86, n. 4667.

2914 c.c.   alienazioni anteriori al pignoramento

Non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione, sebbene anteriori al pignoramento:

1) le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, che siano state trascritte successivamente al pignoramento;

2) le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente al pignoramento;

3) le alienazioni di universalità di mobili che non abbiano data certa ;

4) le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente al pignoramento, salvo che risultino da atto avente data certa.

[264] Tribunale Trapani, sentenza 12 ottobre 2010

[265] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 maggio 2013, n. 13208

[266]Corte di Cassazione, sentenza 3565/02, Corte di Cassazione, sentenza 15380/00, Corte di Cassazione, sentenza 9498/94 e Corte di Cassazione, sentenza 4450/82

[267]Corte di Cassazione, sentenza 19097/09 e Corte di Cassazione, sentenza 15380/00

[268]Corte di Cassazione, sentenza 1431/79

[269]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 6597 del 23-3-2011

[270] Per una maggiore consultazione sulla prelazione aprire il seguente collegamento on-line  La prelazione volontaria e legale

[271]Corte di Cassazione, sentenza  7-4-72, n. 1046

[272]Difetti di struttura – es. motore costruito male o ad es. un animale da riproduzione divenuto sterile

[273]Deficienza – es. bottiglia di liquore che risulti piena solo in parte o di un bracciale dichiarato d’oro a 18 carati, il quale risulti di un titolo minore

[274]Corte di Cassazione, sentenza  3-12-70, n. 2544

[275]cfr. par.fo C) punto 3) lettera B) punto 3) la garanzia per mancanza delle qualità promesse, pag. 195

[276]Cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera C) Aliud pro alio, pag. 201

[277]Corte di Cassazione, sentenza  13-1-97, n. 244. Il giudice di merito aveva ritenuto trattarsi di vizi redibitori in una fattispecie in cui i difetti di alcune resistenze elettriche consegnate erano inerenti al processo di produzione o di fabbricazione ed aveva escluso l’ipotesi della consegna dell’aliud pro alio, in quanto la merce stessa apparteneva al genere ordinato dall’acquirente ed il riscontrato difetto di funzionalità era risultato rimediabile attraverso il procedimento di «essiccazione» appositamente prescritto dalla casa costruttrice per rimuoverlo e ricondurre l’anomalia in percentuali ammissibili. La S.C., in applicazione dell’enunciato principio di diritto, ha confermato la pronuncia del merito

[278]Corte di Cassazione, sentenza  22-8-98, n. 8338. Nell’affermare il principio di diritto esposto in massima, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito — che aveva escluso la legittimazione passiva dell’alienante attesa la estraneità del vizio alla res empta — disponendo che il giudice del rinvio procedesse all’accertamento relativo alla concreta ed apprezzabile diminuzione del valore dell’appartamento alienato per effetto del vizio denunciato

[279] Per una maggiore consultazione sulle immissioni  aprire il seguente collegamento on-line  Le Immissioni ex art. 844 c.c.

[279]Corte di Cassazione, sentenza  1-10-91, n. 10218

[280] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 8 marzo 2013, n.5845

[281] Per una maggiore consultazione sull’azienda  aprire il seguente collegamento on-line  L’Azienda

[282] Tribunale Padova, sezione II, sentenza 14 gennaio 2013, n. 91, Tribunale Bologna, sezione II, sentenza 16 aprile 2012, n. 1051. La natura giuridica del vizio rilevante ai sensi e per gli effetti del disposto normativo di cui all’art. 1490 c.c. postula la concretezza e la materialità del medesimo, con la conseguenza che nelle ipotesi in cui (come nel caso concreto) si deduca quale vizio la intervenuta costruzione dell’immobile in difformità dal progetto edilizio approvato, la fattispecie deve ritenersi, più correttamente, riconducibile alla previsione di cui all’art. 1489 c.c. In ogni caso, qualora la riscontrata difformità sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, conosciuta all’acquirente al tempo dell’acquisto e non risulti oggetto del potere repressivo della Pubblica Amministrazione quanto a sanzione pecuniaria ovvero, nei casi più gravi, ad ordine di demolizione, non può riconoscersi in capo all’acquirente alcuna azione in danno del venditore per la riduzione del prezzo di compravendita dell’immobile. (Fattispecie avente ad oggetto interventi autorizzati dall’Amministrazione Comunale, oltre che richiamati al momento dell’assegnazione dell’alloggio, con la conseguenza che deve, per quanto innanzi, escludersi sia la fondatezza dell’azione ex art. 1495 c.c., in quanto non configurabili vizi e/o difetti dell’immobile a tal uopo rilevanti, sia la operatività della diversa previsione di cui all’art. 1489 c.c.). Nel caso concreto il mancato raggiungimento della prova in ordine alla legittimità dell’ordine di demolizione, e dunque alla fondatezza dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, determina la reiezione delle domande di riduzione del prezzo di compravendita del bene e di risarcimento del danno

[283] cfr par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 1) Evizione limitativa pag. 128

[284] Tribunale Roma, sezione III, sentenza 25 novembre 2013, n. 23660. Fattispecie avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni subiti dall’attore a seguito di rifornimento di carburante presso la stazione di servizio di parte convenuta, a causa della presenza nello stesso di acqua, ove non risulta rispettato il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione risarcitoria. In tema altra pronuncia di merito Tribunale Trento, civile, sentenza 3 maggio 2012, n. 415,  ha previsto che l’azione risarcitoria promossa giudizialmente dall’acquirente di un prodotto difettoso, nella veste di consumatore ogni qualvolta il contratto risulti essere stato stipulato per esigenze estranee all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta, è di tipo contrattuale nei confronti del venditore in virtù della disciplina redibitoria del contratto di vendita sancita dagli artt. 1490 e ss. c.c., ed extracontrattuale nei confronti del produttore (cui è equiparato il fornitore) ai sensi degli artt. 114 e ss. del Codice del Consumo. Avuto particolare riguardo alla responsabilità del produttore, inizialmente disciplinata dal D.P.R. n. 224 del 1988 successivamente trasfuso nel Codice del Consumo, la pacifica sussistenza della stessa anche nelle ipotesi in cui il produttore non abbia colpe dirette, e dunque qualora in fase di produzione non abbia agito né in maniera dolosa, né in maniera colposa, consente la configurabilità di una responsabilità di natura oggettiva, in quanto il solo fatto di creare una situazione di pericolo, quale può essere la commercializzazione di un prodotto difettoso, è già sufficiente per far ricadere sul produttore la responsabilità per gli eventuali danni che ne derivano. In merito deve, tuttavia, rilevarsi che il disposto di cui all’art. 123 del Codice del Consumo espressamente delinea l’ambito del danno risarcibile al riguardo, in quanto non tutti i danni per tale particolare titolo di responsabilità lo sono, ma solo il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali, oppure la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso. Nella fattispecie, in relazione alla proposta domanda risarcitoria in seguito all’incendio sviluppatosi nell’autoveicolo di proprietà attorea rispettivamente venduto e prodotto dalle convenute, la mancata prova da parte di un danno ulteriore e diverso rispetto al vizio in sé, o difetto di conformità dell’auto, non consente di far luogo all’accoglimento, nei termini di cui innanzi, della domanda risarcitoria proposta nei confronti del fornitore.

[285]cfr. par.fo 1)lettera C) punto 3) lettera B) punto 3), par.fo B) disciplina, pag. 198

[286]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2981 del 27-2-2012

[287]Corte di Cassazione, sentenza  26-1-2000, n. 851

[288]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8192 del 3-4-2009

[289]Corte di Cassazione, sentenza  24-7-68, n. 2678

[290]Corte di Cassazione, sentenza  30-3-51, n. 718La vendita per conto di chi spetta, alla quale può farsi ricorso solo nei casi di pericolo che la merce perisca o si deteriori, non è di ostacolo alla domanda di risoluzione della precedente vendita per vizi della cosa venduta, riferendosi l’art. 1492 c.c., che limita il diritto del compratore alla riduzione del prezzo, alla sola alienazione volontaria.

[291]Corte di Cassazione, sentenza  9-10-79, n. 5242

[292]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza18352 del 13-9-2004.Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in un contratto di somministrazione di latte in cui il somministrante aveva assunto l’obbligo di avvertire l’acquirente in caso di reperimento di latte inquinato da prodotti farmaceutici, e di mettere il latte inquinato in contenitori separati, aveva ritenuto che il non aver posto in essere nessuna delle due condotte costituisse una indiretta garanzia che il prodotto fornito fosse esente da vizi, escludendo l’applicabilità’dell’art. 1491 c.c.

[293] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 gennaio 2013, n.1258

[294] cfr par.fo 2) lettera B) punto 2) Vendita con garanzia di buon funzionamento, pag. 268

[295]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23060 del 30-10-2009. In senso conforme, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 ottobre 2009, n. 23060, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 giugno 1980, n. 3813, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 21 giugno 1974, n. 1852.Tribunale Bari, sezione II, sentenza 30 ottobre 2013, n. 3498.La garanzia per i vizi della res venduta, disciplinata dagli artt. 1490 e ss. c.c., si differenzia da quella del buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c., atteso che quest’ultima impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della res venduta. Viceversa, la prima, cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno, impone al compratore anche l’onere di provare la sussistenza dello specifico vizio che renda la res inidonea all’uso cui la stessa è finalizzata. Altresì, la garanzia ex art. 1512 c.c., che attua, con l’assicurazione di un determinato risultato, il buon funzionamento della res per il tempo convenuto, una più forte garanzia dell’acquirente, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilità per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale, sicché può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza di un simile patto nel contratto di compravendita. (Nella fattispecie, tenuto conto dei predetti principi, si è riconosciuto come l’attore potesse usufruire della garanzia ex art. 1512 c.c., essendo stata provata l’esistenza di un patto in tal senso, oltre al cattivo funzionamento dell’autovettura acquistata).

[296]Corte di Cassazione, sentenza  4-9-91, n. 9352

[297]Corte di Cassazione, sentenza  23-12-93, n. 12759

[298]cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) lettera E) Obbligo di denunzia dei vizi – termini e condizioni, pag. 169

[299]Corte di Cassazione, sentenza  8-3-68, n. 767

[300]Corte di Cassazione, sentenza  7-12-73, n. 3342

[301]cfr. par.fo 2) lettera B) punto 2) Vendita con garanzia di buon funzionamento – Termini, pag. 272

[302] Ad esempio può essere fatta, in difetto di una espressa previsione di forma, con qualunque mezzo che in concreto si riveli idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati e, quindi, anche con una telefonata. Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5142 del 3-4-2003

[303]Corte di Cassazione, sentenza  15-5-2000, n. 6234

[304] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 febbraio 2014, n. 3210

[305] Tribunale Milano, sezione VII, sentenza 26 gennaio 2012, n. 997

[306] Tribunale Bologna, sezione II, sentenza 15 novembre 2012, n. 2869

[307]Corte di Cassazione, sentenza  30-1-95, n. 1082

[308]Corte di Cassazione, sentenza  26-11-96, n. 10498

[309] Tribunale Roma, sezione III, sentenza 7 giugno 2012, n. 11850

[310]Corte di Cassazione, sentenza  29-1-2000, n. 1031. La decadenza dal diritto di garanzia per i vizi della cosa venduta non può essere rilevata d’ufficio, ma dev’essere ritualmente eccepita da chi vi abbia interesse, vale a dire soprattutto dal venditore. Peraltro, considerato che la denuncia dei vizi e la tempestività della stessa costituiscono condizioni dell’azione è sul compratore che grava l’onere di provarle entrambe. Corte di Cassazione, sentenza  29-1-2000, n. 1031

[311] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 febbraio 2014, n. 3021 (Corte di Cassazione, sentenza n. 11410/08).

[312] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 21 maggio 2013, n. 12384. Per altra pronunciaCorte di Cassazione, sezione II, sentenza 5251 del 15-3-2004, l’occultamento degli stessi, per assumere rilevanza, deve consistere non nel semplice silenzio serbato dal venditore, ma in una particolare attività illecita, funzionale, con adeguati accorgimenti, a nascondere il vizio della cosa. L’accertamento dell’apparenza e riconoscibilità dei vizi costituisce, poi, un apprezzamento di fatto, come tale sottratto al sindacato di legittimità per tutto ciò che non attiene al procedimento logico — giuridico seguito dal giudice di merito.

[313] cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2), par.fo D) Patto di esclusione, pag. 163

[314]Corte di Cassazione, sentenza  21-4-88, n. 3094

[315] Tribunale Trieste, sentenza 17 agosto 2011, n. 961. Nella specie, in particolare, l’accertato posizionamento e mantenimento di catino e secchio all’interno di un ambiente arduo da ispezionare, ha di fatto costituito una concreta attività idonea e sufficiente a rendere maggiormente difficile il riconoscimento dei vizi riscontrati sull’immobile (specificamente consistenti nell’ammaloramento di parti di travi per l’umidità) in quanto qualora vi fossero stati segni di infiltrazioni nel soffitto del vano abitato sottostante, i vizi sarebbero stati indirettamente segnalati in quanto facilmente visibili.

[316]cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) lettera F) I rimedi a tutela dell’acquirente – le azioni edilizie, punto 3) Esatto adempimento pag. 185

[317]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza  13294 del 21-6-2005

[318]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 20332 del 27-9-2007

[319] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19 dicembre 2013, n. 28419 Tribunale Treviso, civile, sentenza 6 novembre 2013, n. 1970. In materia di vendita, si ha la c.d. vendita aliud pro alio quando il bene è incommerciabile o assolutamente privo delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, ovvero abbia difetti che lo rendano inservibile o non sia idoneo ad assolvere alla funzione naturale o a quella assunta come essenziale dalle parti. Infatti, si configura la vendita aliud pro alio, idonea a determinare la risoluzione del contratto, ovvero l’azione di adempimento svincolata dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495 c.c., solo qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito, rivelandosi del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della res venduta e. quindi, a fornire l’utilità richiesta.

[320]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22415 del 29-11-2004

[321]Corte di Cassazione, sentenza  6-10-78, n. 4462

[322]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza del 25 marzo 1988, n. 2565, In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l’azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492 terzo comma c. c. ), ma in via concorrente con l’azione di risoluzione (art. 1492 citato, primo comma), deve negarsi l’ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell’azione di risoluzione, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490 c. c. (il quale detta una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell’art. 1455 c. c. sull’importanza dello inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l’una o l’altra

[323]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1434 del 27-1-2004

[324]Per una maggiore consultazione sulla risoluzione in generale  aprire il seguente collegamento on-line La risoluzione

[325]Corte di Cassazione, sentenza  6-5-78, n. 2188

[326]Corte di Cassazione, sentenza  15-2-86, n. 914

[327]Corte di Cassazione, sentenza 15-5-2000, n. 6234, successivamente confermata dalla sentenza Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22415 del 29-11-2004

[328]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14665 del 3-6-2008

[329]Corte di Cassazione, sentenza  4-4-98, n. 3500. Nella specie, in relazione all’acquisto da parte di una società sportiva di un giocatore risultato non in perfette condizioni fisiche per i postumi di un intervento chirurgico al menisco, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto preclusa l’azione redibitoria alla società per avere essa utilizzato il giocatore in due stagioni di campionato, spendendo così parte delle sue energie sportive, e aver continuato a fruire delle prestazioni del suddetto giocatore anche dopo l’accertamento dei postumi dell’intervento chirurgico, tenendo in tal modo un comportamento incompatibile con la volontà di provocare l’immediato scioglimento del vincolo

[330]Corte di Cassazione, sentenza  29-7-83, n. 5221

[331]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22416 del 29-11-2004

[332]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14665 del 3-6-2008

[333]cfr par.fo 2) lettera B) punto 2) Vendita con garanzia di buon funzionamento, pag. 268

[334]Corte di Cassazione, sentenza  11-5-83, n. 3257

[335]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza4-12-92, n. 12942

[336]Corte di Cassazione, sentenza  29-5-98, n. 5309. Nella specie, il promissario acquirente aveva corrisposto il prezzo convenuto nel preliminare di vendita di un fondo rustico in parte al promittente venditore, in parte a terzi, affittuari del medesimo fondo. La S.C., nel confermare la pronuncia di merito che aveva individuato nel solo promittente venditore il soggetto obbligato alla restituzione di quanto complessivamente versato dal promissario acquirente, vittorioso attore in risoluzione del preliminare, ha enunciato il principio di diritto di cui in massima.

[337]Corte di Cassazione, sentenza  19-10-63, n. 2787

[338]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2566 del 20-2-2003

[339]Corte di Cassazione, sentenza  25-2-63, n. 464

[340]Corte di Cassazione, sentenza  9-1-93, n. 139

[341]Corte di Cassazione, sentenza  19-5-69, n. 1745

[342] Tribunale Modena, sezione II, sentenza 10 ottobre 2012, n. 1531. L’azione estimatoria, o quanti minoris, proposta dall’acquirente al fine di ottenere una riduzione del prezzo per la presenza di difformità nell’immobile oggetto del contratto di vendita, ha lo scopo di salvaguardare l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni nell’ipotesi in cui l’acquirente non possa o non voglia ricorrere al rimedio della risoluzione, essendo necessario accertare allo scopo in quale misura percentuale il vizio incida rispetto al valore del bene integro: la controprestazione sarà allora ridotta in ragione della stessa percentuale. L’applicazione di tale principio conduce nella pratica alla frequente riduzione del prezzo di acquisto del bene in misura pari al costo sopportato dall’acquirente per la eliminazione del vizio. Nel caso concreto, integrato il vizio lamentato dall’acquirente, e riconosciuto dal venditore, dal mancato adeguamento alle norme di legge degli impianti di elettricità, acqua e gas, ed accertato, in seguito a consulenza tecnica d’ufficio (ritenuta dal Giudice pienamente condivisibile), che solo l’adeguamento degli impianti predetti avrebbe comportato la totale eliminazione del vizio, la proposta azione di riduzione del prezzo deve essere accolta nei limiti della spesa sopportata dall’attore per eliminare i vizi dell’immobile e non anche in relazione ad ulteriori interventi effettuati dallo stesso acquirente ma non diretti alla eliminazione del vizio lamentato.

[343]Corte di Cassazione, sentenza  21-7-84, n. 4278

[344]Corte di Cassazione, sentenza  6-10-2000, n. 13332

[345]Corte di Cassazione, sentenza  12-7-78, n. 3519

[346] Tribunale Padova, sezione II, sentenza 16 novembre 2012, n. 2705

[347]Corte di Cassazione, sentenza  6-2-89, n. 724

[348]Corte di Cassazione, sentenza  8-3-2001, n. 3425

[349]cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) lettera E) Obbligo di denunzia dei vizi – termini e condizioni, pag. 170

[350]Corte di Cassazione, sentenza  5-8-85, n. 4382

[351] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 aprile 2012, n. 6263

[352] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 13 novembre 2012, n.19702. In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale. Inoltre, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della actio quanti minoris o della actio redhibitoria. Ne consegue che il compratore non dispone – neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica – di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene.

In precedenza Corte di Cassazione, sezioni unite, 21 maggio 2005, n. 13294.

[353] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 maggio 2013, n. 13613. Tribunale Bologna, sezione II, sentenza 11 settembre 2013, n. 2565. in ordine alla garanzia per i vizi della res venduta, ex art. 1490 c.c., si sottolinea che se il venditore si impegna ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di facere che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e non alterandone la disciplina. Di talché, in siffatta ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale ex art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale. Nella fattispecie, in base ai principi de quibus, si è ritenuto che il venditore si fosse fatto carico delle riparazioni dei beni che presentavano vizi diversi da quelli di fabbricazione e che tale impegno fosse idoneo a far sorgere un’obbligazione ampliativa della garanzia originaria, soggetta alla prescrizione decennale.

[354] Corte d’Appello Roma, sezione III, sentenza 24 gennaio 2012, n. 392

[355] Tribunale Roma, sezione VIII, sentenza 5 luglio 2011, n. 14544

[356]Corte di Cassazione, sentenza  23-12-91, n. 13869

[357]Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza. 16338 del 20-8-2004

[358] Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 13 maggio 2013, n. 11337

[359]Corte di Cassazione, sentenza  1-2-95, n. 1153

[360]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10728 del 3-8-2001

[361]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 marzo 2004, n. 6044. Tribunale Roma, Sezione X, sentenza 21 marzo 2013, n. 6167.L’azione esercitata ai sensi dell’art. 1494 c.c., può essere promossa sia come corollario dell’azione di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo, sia a prescindere dall’esercizio delle stesse. In entrambe le ipotesi l’azione risarcitoria del danni subiti in conseguenza della presenza dei vizi della cosa venduta, è soggetta al termine di prescrizione annuale decorrente dalla data di consegna della res.

[362] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 novembre 2013, n. 26852

[363] Tribunale Napoli, sezione III, sentenza 4 dicembre 2012, n. 13161

[364]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 del 3-1-2002

[365]Corte di Cassazione, sentenza  19-7-95, n. 7863 (conf. Cass. 11-5-84, n. 2891, rv. 434947).

[366]Corte di Cassazione, sentenza  26-4-91, n. 4564

[367]cfr par.fo 2) lettera B) punto 2) Vendita con garanzia di buon funzionamento, pag. 268

[368]cfr. par.fo 2) lettera B) punto 5) Vendita su campione e su tipo di campione, pag. 325

[369]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 13 gennaio 1997, n. 244

[370]Corte di Cassazione, sentenza  15-11-78, n. 5257

[371]Corte di Cassazione, sentenza  8-5-98, n. 4657

[372]Corte di Cassazione, sentenza  8-4-71

[373] Carnelutti – Amorth

[374] Rubino – Bianca – Greco – Cottino – Capozzi

[375]Corte di Cassazione, sentenza  10-1-81, n. 247

[376]cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2)par.fo B) esclusione, pag. 158

[377] Greco – Cottino

[378] Bianca

[379]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 gennaio 2000, n. 639

[380]Corte di Cassazione, sentenza  1-4-76, n. 1151.Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 aprile 2003, n. 5313. L’azione esperibile per mancanza delle qualità, invece, costituisce sic et simpliciter un’ipotesi di inadempimento del venditore, in mancanza di qualsiasi errore della controparte, in ordine alle caratteristiche del bene oggetto del contratto; la mancanza di qualità attiene alla fase esecutiva del rapporto, consistendo in una inesattezza del bene rispetto alle caratteristiche necessarie o pattuite, ben chiare fin dall’inizio all’acquirente. La Suprema Corte ha riconosciuto l’esercizio alternativo delle due azioni nel medesimo processo

[381]Corte di Cassazione, sentenza  16-4-84, n. 2453

[382] cfr par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 1) – Evizione limitativa pag. 138

[383]cfr. par.fo 1)lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) la garanzia per vizi, par.fo A) Imperfezione materiale, pag. 154

[384]cfr. par.fo 2) lettera B) punto 2) Vendita con garanzia di buon funzionamento – Accertamento dei difetti, pag. 276

[385] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 febbraio 2014, n. 2860  In tema di compravendita, l’ipotesi dell’aliud pro alio si verifica quando la cosa consegnata sia completamente diversa da quella pattuita, appartenendo ad un genere diverso e rivelandosi del tutto inidonea ad assolvere la destinazione economico-sociale della res dedotta come oggetto del contratto” (Cass. n. 20996/2013).Nella fattispecie il motociclo compravenduto e consegnato alla ricorrente senza alcun artificio non era cosa completamente diversa da quella contrattata, nè apparteneva ad un genere diverso, nè era “privo delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente o difettato in modo irreversibile” o con numero di telaio diverso rispetto a quello indicato nella carta di circolazione (Cass. n. 9227/2005).

[386]Per una maggiore consultazione sulla risoluzione in generale aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione

[387]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5202 del 7-3-2007. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento ad un’azione di risarcimento danni relativi ai vizi di una fornitura di pannelli in grigliato pressato preverniciato, aveva escluso che la fornitura di detta merce integrasse la consegna di aliud pro alio, con la conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 1495 c.c., atteso che la venditrice non aveva mai conosciuto le particolari prescrizioni del rapporto intercorso fra l’acquirente e la società committente, mentre, d’altra parte, non poteva ritenersi l’appartenenza della cosa ad un genere del tutto diverso ovvero che la presenza dei difetti fosse di tale natura da non consentire l’assolvimento della funzione concreta del bene presa in esame dai contraenti

[388]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1092 del 18-1-2007. Nella specie, la sentenza impugnata aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dall’acquirente per la assoluta inidoneità dei contenitori di cartone utilizzati per il trasporto di uva, giunta a destinazione schiacciata e deteriorata, ritenendo non accertato che la venditrice fosse a conoscenza dell’uso al quale i medesimi contenitori dovevano essere destinati; la S.C. ha cassato la decisione sul rilievo che i giudici di appello non avevano compiuto, alla stregua degli elementi acquisiti, la necessaria indagine in ordine alla volontà dei contraenti circa lo specifico contenuto delle obbligazioni assunte dalle parti e, in particolare, di quella a carico della venditrice

[389] (Corte di Cassazione, nn. 26953/08, 5066/07 e 9227/05). Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 26 settembre 2013, n. 22113

[390]Corte di Cassazione, n. 7561 del 30/03/2006; Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 686 del 16/01/2006.Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 21 novembre 2012, n. 20557

[391]Corte di Cassazione, sentenza  16-4-92, n. 4681

[392] Greco –  Cottino

[393] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 27 marzo 2013, n. 7767

[394] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 maggio 2013, n. 13612

[395] Tribunale Genova, sezione I, sentenza 30 giugno 2011, n. 2669

[396]Corte di Cassazione, sentenza  22-11-78, n. 5448

[397]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6548 del 18-3-2010. Precedentemente per la stessa Cassazione  29-3-95, n. 3687, la vendita (obbligatoria o ad effetti reali) di un immobile strutturalmente destinato ad uso di abitazione, ma privo di licenza di abitabilità, non ha un oggetto illecito, in quanto non esiste alcuna norma che contempli l’obbligo del preventivo rilascio del certificato in questione. Detta vendita, pertanto, non è nulla bensì può essere risolubile per mancanza di una qualità essenziale tale da costituire consegna di aliud pro alio, ove risultino specifiche pattuizioni, anche implicite, delle parti contraenti in ordine all’assunzione del relativo obbligo del venditore (o anche soltanto in ordine al termine del relativo adempimento).

[398]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza24786 del 22-11-2006. Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato una ipotesi di consegna di aliud pro alio in relazione alla circostanza che il rilascio del certificato, di cui l’immobile mancava, avrebbe comportato la ristrutturazione completa del tetto, con una spesa pari a trenta milioni di lire, equivalente a quasi la metà del prezzo di vendita dell’immobile

[399] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 31 maggio 2010, n. 13231

[400]Corte di Cassazione, sentenza  11-2-98, n. 1391

[401] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 7 febbraio 2014, n. 2858

[402] Tribunale Torino, sezione I, sentenza 21 aprile 2008, n. 2975

[403]Corte di Cassazione, sentenza 26-8-75, n. 3022

[404] Tribunale Bari, sentenza 22 ottobre 2012, n. 3289

[405] Tribunale Potenza, sentenza 13 aprile 2012, n. 420

[406] Tribunale Milano, Sezione I, Sentenza 7 febbraio 2012, n. 1524. È stato rilevato nella sentenza, inoltre, che il vizio redibitorio di cui all’art. 1490 c.c. e la mancanza di qualità promesse o essenziali del bene ex art. 1497 c.c., pur presupponendo entrambi l’appartenenza della cosa al genere pattuito, si differenziano poiché il vizio nel primo caso concerne le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione del bene, che ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore, mentre nel secondo caso inerisce alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell’ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa una specie piuttosto che in un’altra. Le due fattispecie del vizio redibitorio e della mancanza delle qualità promesse si differenziano, inoltre, dalla consegna aliud pro alio, ipotesi questa che ricorre ogni qualvolta la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso da quello pattuito, o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto.

[407] Tribunale Roma, sezione III, sentenza 23 settembre 2009, n. 19109

[408] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 novembre 2008, n. 26953

[409] Per una maggiore consultazione sulla cessione di quote societarie  aprire il seguente collegamento on-line  Concetto di capitale sociale e quota nelle società di persona. La cessione, l’affitto, usufrutto e pegno della quota

[410]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16031 del 19-7-2007

[411]Corte di Cassazione, sezione I, sentenza18181 del 9-9-2004. Nella specie, successivamente alla stipula del contratto di cessione di azioni di una s.p.a., erano state accertate irregolarità fiscali nella gestione della società, con conseguente irrogazione in danno della stessa di sanzioni tributarie di importo elevatissimo, che ne avevano determinato il fallimento; la S.C. in applicazione del succitato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva escluso la proponibilità dell’azione di risoluzione per la vendita di aliud pro alio.

[412]Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 21249 del 14-10-2010

[413] Tribunale Padova, sezione II, sentenza 6 settembre 2011, n. 1979. Nella fattispecie, in cui parte attrice si era aggiudicata all’asta un posto auto la cui superficie era risultata ridotta rispetto a quella indicata nella CTU dal perito nominato nella procedura esecutiva, il Tribunale ha escluso, sulla base delle deroghe che l’art. 2922 c.c. prevede per le vendite coattive rispetto ad una comune compravendita, che potesse essere accoglibile la domanda di applicazione della garanzia per vizi e per mancanza delle qualità promesse

[414]Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 4085 del 25-2-2005. Nella specie, la Corte Cass. ha cassato, per difetto di motivazione, il decreto del Tribunale che non aveva congruamente indicato le ragioni in virtù delle quali il vincolo idrogeologico gravante sull’immobile venduto, non menzionato negli atti della procedura, non comprometteva la naturale funzione economico-sociale del bene. Conforme altra sentenza, Corte di Cassazione, sentenza  9-10-98, n. 10015, secondo la quale L’esclusione della garanzia per i vizi della cosa, prevista dall’art. 2922 c.c. in riferimento alla vendita forzata compiuta nell’ambito dei procedimenti esecutivi, si riferisce alle fattispecie previste dagli articoli da 1490 a 1497 c.c., e cioè ai vizi della cosa e alla mancanza di qualità, e non riguarda l’ipotesi di aliud pro alio tra il bene oggetto dell’ordinanza e quello oggetto dell’aggiudicazione, deducibile anche rispetto alla vendita forzata, con conseguente annullamento della vendita. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il bene trasferito sia solo quantitativamente diverso da quello descritto nell’ordinanza di vendita, e la domanda dell’interessato sia diretta semplicemente alla restituzione di parte del prezzo, è escluso il ricorso al rimedio regolato dall’art. 1497 c.c. ed il conseguente annullamento della vendita. La parziale inesecuzione del contratto fa sorgere, invero, il diritto dell’acquirente alla ripetizione di parte del prezzo (obbligazione, questa, che si configura come debito di valuta e non di valore), rimedio ammissibile anche in caso di esecuzione forzata. Ed infatti, l’art. 2921, secondo comma, c.c., consentendo all’aggiudicatario, che non riesca a conseguire una parte del bene, il diritto a ripetere una parte proporzionale del prezzo di aggiudicazione, impedisce che si verifichi un indebito arricchimento di coloro che dovranno ripartirsi il prezzo ricavato dalla vendita, in applicazione del principio generale della ripetizione dell’indebito.

[415]Corte di Cassazione, sentenza  26-1-77, n. 392

[416]Corte di Cassazione, sentenza  5-7-83, n. 4515

[417] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 28 febbraio 2013, n. 5048

[418] Tribunale Monza, sezione III, sentenza 16 febbraio 2009, n. 515

[419] Tribunale Bologna, sezione IV, sentenza 18 ottobre 2012, n. 2638

[420] cfr par.fo 2) lettera B) I requisiti del contratto, punto 5) Prezzo, pag. 40

[421] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 2 febbraio 2007, n. 2361

[422]Corte di Cassazione, sentenza  23-5-94, n. 5021

[423]Corte di Cassazione, sentenza  29-3-99, n. 2966

[424]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 19920 del 14-11-2012

[425]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 21-2-74, n. 490

[426]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 9-5-83, n. 3146

[427]Corte di Cassazione, sentenza  10-11-89, n. 4775

[428] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 4426 del 21-2-2013

[429]cfr. par.fo 2) Delle obbligazioni del venditore, punto 3) lettera B) punto 1) La garanzia per evizione, lettera I) pericolo di evizione, pag. 141

[430] Bianca – Puleo – Rubino – Mirabelli – Gabrielli – Capozzi

[431] Greco e Cottino – Rescigno – Pelosi e giurisprudenza prevalente

[432] Corte di Cassazione, sezione TRI civile, sentenza 18 novembre 2011, n. 24252

[433]Corte di Cassazione, sentenza  16-5-75, n. 1895, secondo altra pronuncia: poiché la vendita con patto di riscatto costituisce un negozio sottoposto alla condizione risolutiva potestativa dell’esercizio del riscatto da parte del venditore, che elimina con effetto retroattivo gli effetti dell’alienazione, mentre il patto di retrovendita, obbligando ad una successiva stipulazione, si configura come un contratto preliminare che vincola il compratore a rivendere l’oggetto al venditore, sulla base di un rapporto meramente obbligatorio che interessa i soli contraenti ed ha effetto dalla data della nuova stipulazione, la prospettazione dell’esistenza di un patto di retrovendita, per la prima volta, nella fase di cassazione del giudizio, svoltosi sul presupposto della sussistenza di un patto di riscatto, risolvendosi in una istanza di accertamento di elementi che non hanno formato oggetto di esame precedente, è inammissibile. Corte di Cassazione, sentenza  3-11-79, n. 5705. Ancora per altra sentenza con riguardo a compravendita, la clausola che accordi ad entrambi i contraenti il potere di far venir meno gli effetti del contratto non può essere ricondotta nell’ambito del patto di riscatto, contemplato dall’art. 1500 c.c. con riferimento soltanto al venditore, ma può integrare, sulla base dell’individuazione dell’effettiva volontà degli stipulanti, una condizione risolutiva potestativa (non rientrante nella previsione di nullità di cui all’art. 1355 c.c., inerente alla condizione meramente potestativa di tipo sospensivo), ovvero un patto di recesso ex art. 1373 c.c., considerando che il primo comma di tale ultima norma, ove esclude il recesso dopo l’esecuzione del contratto, è suscettibile di deroga convenzionale. Corte di Cassazione, sentenza  25-1-92, n. 812

[434] Costanza – Luminoso

[435] Pelosi – Cervelli – Capozzi

[436] Gorla – Costanza – Luminoso – Bocchini

[437] Romano – Rubino – Mirabelli – Greco – Cottino – Pelosi – Luzzatto

[438]La posizione soggettiva del venditore per effetto del patto di riscatto si configura come un diritto potestativo di natura personale e di conseguenza non è cedibile al terzo se non mediante una vera e propria cessione dell’intero contratto di vendita, cui il patto di riscatto accede, secondo i principi generali in materia di contratti con prestazioni corrispettive di cui agli artt. 1406 e segg c.c. Infatti nella vendita con patto di riscatto non è ipotizzabile un contratto complesso del quale, esaurita una prima componente, sia rimasta autonomamente in vita l’altra, costituente per se sola un contratto con prestazione a carico di una sola parte e, quindi, cedibile unilateralmente a norma dell’art. 1260 c.c. Corte di Cassazione, sentenza  24-9-79, n. 4921

[439] Per una maggiore consultazione sulla cessione del contratto  aprire il seguente collegamento on-line  La cessione del contratto

[440]Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 24252 del 18-11-2011

[441]Corte di Cassazione, sentenza  20-12-88, n. 6963

[442]Corte di Cassazione, sentenza  3-4-91, n. 3478

[443] Per una maggiore consultazione sull’opzione aprire il seguente collegamento on-line  L’Opzione

[444]cfr. par.fo 1) lettera B), punto 3) la forma, lettera A) la trascrizione, pag. 21

[445] secondo la dottrina prevalente Capozzi – Bianca – Greco – Cottino e parte della giurisprudenza

[446]Corte di Cassazione, sentenza  14-12-62, n. 3347

[447] Corte di Cassazione, sentenza 24 settembre 1979, n. 4921

[448]L’esercizio del diritto di riscatto richiede non solo l’apposita dichiarazione del venditore, da comunicarsi al venditore entro il termine fissato, ma anche la corresponsione, entro lo stesso termine, delle somme liquide dovute per il rimborso del prezzo, delle spese e di ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita. Per tale rimborso è sufficiente, al fine di evitare la decadenza dal diritto di riscatto, che anteriormente alla scadenza di detto termine (sia esso quello legale o quello convenzionale) il venditore faccia offerta non formale, purché seria e concreta, del prezzo e delle somme accessorie da lui dovute. Tuttavia, dopo la scadenza del termine e di fronte al rifiuto del compratore di ricevere il pagamento dei rimborsi e di acconsentire al riscatto, è necessaria entro otto giorni dalla scadenza del termine l’offerta reale di tali rimborsi, che non può trovare valido equipollente nell’invito a comparire davanti a un notaio per l’esecuzione del riscatto o nella proposizione di un’azione giudiziaria circa il riscatto medesimo o in offerta di pagamento meramente verbali, in quanto la decadenza dal diritto di riscatto non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto a tale scopo dalla legge. Corte di Cassazione, sentenza  17-4-68, n. 1133

[449]Corte di Cassazione, sentenza  3-11-79, n. 5705

[450]Corte di Cassazione, sentenza  8-2-69, n. 434

[451] Corte di Cassazione, sentenza 8-2-69, n. 434. Nella specie, è stata ritenuta valida, a norma dell’art. 1503 c.c. la dichiarazione di riscatto contenuta in un processo verbale di offerta reale, sottoscritto dal solo ufficiale giudiziario, e non anche dal venditore

[452]Corte di Cassazione, sentenza  8-2-69, n. 434

[453]Corte di Cassazione, sentenza  14-7-79, n. 4127

[454] per tutte: Corte di Cassazione, sentenza 12 dicembre 1986, n. 7385

[455] Tribunale Milano, sezione III, sentenza 6 giugno 2002, n. 7337

[456]Corte di Cassazione, sentenza  22-2-83, n. 1332

[457] Per una maggiore consultazione sulla simulazione aprire il seguente collegamento on-line  La simulazione

[458]Corte di Cassazione, sentenza  29-5-78, n. 2703

[459]Corte di Cassazione, sentenza  9-3-85, n. 1916

[460]Corte di Cassazione, sentenza  1-8-60, n. 2245

[461] Per una maggiore consultazione sul contratto di locazione aprire il seguente collegamento on-line  La locazione – par.fo 10) Il trasferimento della cosa locata

[462] Luminoso

[463] Per una maggiore consultazione sulla comunione legale aprire il seguente collegamento on-line  La comunione legale tra i coniugi e lo scioglimento

[464]Corte di Cassazione, sentenza  16-5-75, n. 1895

[465]Corte di Cassazione, sentenza  6-6-83, n. 3843

[466] Per una maggiore consultazione sulla caparra aprire il seguente collegamento on-line  Il rafforzamento degli effetti del contratto: 1) la clausola penale; 2) la caparra confirmatoria; 3) la caparra penitenziale

[467]Corte di Cassazione, sentenza  28-9-94, n. 7890

[468]Corte di Cassazione, sentenza  12-12-86, n. 7385

[469]Corte di Cassazione, sentenza  11-2-98, n. 1396

[470] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 12 novembre 2013, n. 25429

[471] Per la consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 marzo 2014, n. 6175

[472] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 17 aprile 2014, n. 8957

[473]Corte di Cassazione, sezione II, 10 marzo 2011, n. 5740; Corte di Cassazione 5 marzo 2010, n. 5426; Corte di Cassazione 19 maggio 2004, n. 9466

[474]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 febbraio 2007, n. 2725;Corte di Cassazione, sentenza 20 luglio 2001, n. 9900; Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 4 agosto 2006, n. 17705

[475]Corte di Cassazione, sentenza  19-9-92, n. 1074

[476] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 21 gennaio 2005, n. 1273

[477] Per una maggiore consultazione sulla comunione aprire il seguente collegamento on-line  La comunione

[478]Corte di Cassazione, sentenza  30-4-52, n. 1209.

[479]Corte di Cassazione, sentenza  18-6-64, n. 1577

[480]Corte di Cassazione, sentenza  14-2-80, n. 1108,

[481] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1 luglio 2004, n. 12017

[482]La rivendita coattiva in danno e per conto ed a spese del compratore inadempiente, di cui all’art. 1515 c.c., rappresenta una forma privata di autotutela, intesa ad assicurare sul ricavato, cioè per via diversa dall’adempimento del compratore, la soddisfazione del prezzo. Tale rimedio, che si aggiunge alle ordinarie azioni giudiziali di condanna all’adempimento o alla risoluzione, costituisce un mezzo sostitutivo dell’ordinaria azione civile intesa ad ottenere la condanna al pagamento del prezzo (esecuzione del contratto), pertanto, esso non può essere sperimentato quando (come nel caso di compravendita non avente efficacia, per il mancato verificarsi della condicio juris cui era sottoposta) non sarebbe ammissibile l’ordinaria azione giudiziaria rivolta alla condanna al pagamento del prezzo. Corte di Cassazione, sentenza  11-7-68, n. 2444.

[483]Poiché la compera in danno del venditore, disciplinata dall’art. 1516 c.c., è una particolare forma di esecuzione forzata specifica prevista per gli obblighi di fare (in senso stretto), essa presuppone l’esecuzione e non già la risoluzione per inadempimento della compravendita e, quindi, la relativa normativa non può trovare applicazione nel caso in cui la vendita sia stata risolta per inadempimento del venditore e si faccia questione in ordine ai danni patiti dal compratore. Corte di Cassazione, sentenza  4-12-78, n. 5697

[484]Corte di Cassazione, sentenza  19-8-50, n. 2487.

[485]Corte di Cassazione, sentenza  22-5-86, n. 3405

[486]Corte di Cassazione, sentenza  15-5-90, n. 4169

[487]Corte di Cassazione, sentenza  11-8-61, n. 1958.

[488]Corte di Cassazione, sentenza  23-2-80, n. 1299

[489]Corte di Cassazione, sentenza  27-8-90, n. 8840

[490]Corte di Cassazione, sentenza  9-6-83, n. 3963

[491]Corte di Cassazione, sentenza  16-5-52, n. 1740.

[492] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 aprile 1994, n. 3614

[493] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 marzo 1982, n. 1429

[494] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 novembre 2000, n. 15009

[495] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 12 novembre 1981, n. 5986

[496]Corte di Cassazione, sentenza  5-3-54, n. 635

[497] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 6 giugno 1975, n. 2248

[498]Corte di Cassazione, sentenza  16-7-75, n. 2818, Nella vendita da piazza a piazza stipulata tra commercianti ed avente ad oggetto merci destinate al consumo, con ordinazione fatta su modulo di commissione predisposto dal rappresentante in cui si preveda la non necessità della conferma dell’ordine da parte del venditore, con conseguente esecuzione della prestazione senza una preventiva risposta, il contratto deve ritenersi concluso, anche ai fini della competenza, territoriale, nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. (Nella specie, con la consegna della merce al vettore, avente, ai sensi dell’art. 1510 comma 2 c.c., effetto liberatorio per il venditore). Corte di Cassazione, sentenza  8-1-96, n. 52

[499]Corte di Cassazione, sentenza  27-8-85, n. 4559

[500]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 24-4-70

[501]Corte di Cassazione, sentenza  15-12-75, n. 4125

[502]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11585 del 31-5-2005

[503]cfr par.fo 1) lettera C) punto 2) lettera A) Vendita di cosa generica, pag. 71

[504]Corte di Cassazione, sentenza  17-8-90, n. 8345

[505]Corte di Cassazione, sentenza  23-5-72, n. 1602

[506]cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) lettera F) I rimedi a tutela dell’acquirente – le azioni edilizie, punto 1) L’azione di risoluzione pag. 178

[507]La garanzia di buon funzionamento, di cui all’art. 1512 c.c., la quale attua, con l’assicurazione di un determinato risultato (buon funzionamento per il tempo convenuto), una più energica tutela del compratore, in via autonoma e indipendente rispetto alla garanzia per vizi e alla responsabilità per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale e, pertanto, può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza di un tale patto nel contratto di compravendita. Corte di Cassazione, sentenza  28-5-88, n. 3656

[508] cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) par.fo C) Preesistenza, pag. 161

[509]cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 3) la garanzia per mancanza delle qualità promesse, pag. 195

[510]Corte di Cassazione, sentenza  17-1-75, n. 208

[511]Corte di Cassazione, sentenza  16-6-80, n. 3813. In tema Tribunale Bari, sezione II, sentenza 30 ottobre 2013, n. 3498.La garanzia per i vizi della res venduta, disciplinata dagli artt. 1490 e ss. c.c., si differenzia da quella del buon funzionamento prevista dall’art. 1512 c.c., atteso che quest’ultima impone all’acquirente solo l’onere di dimostrare il cattivo funzionamento della res venduta. Viceversa, la prima, cui il venditore è tenuto anche se incolpevole, essendo la colpa di questi richiesta solo ai fini dell’obbligo del risarcimento del danno, impone al compratore anche l’onere di provare la sussistenza dello specifico vizio che renda la res inidonea all’uso cui la stessa è finalizzata. Altresì, la garanzia ex art. 1512 c.c., che attua, con l’assicurazione di un determinato risultato, il buon funzionamento della res per il tempo convenuto, una più forte garanzia dell’acquirente, in via autonoma ed indipendente rispetto alla garanzia per vizi ed alla responsabilità per mancanza di qualità, trova fondamento in un patto contrattuale, sicché può essere invocata solo previa deduzione e dimostrazione dell’esistenza di un simile patto nel contratto di compravendita. (Nella fattispecie, tenuto conto dei predetti principi, si è riconosciuto come l’attore potesse usufruire della garanzia ex art. 1512 c.c., essendo stata provata l’esistenza di un patto in tal senso, oltre al cattivo funzionamento dell’autovettura acquistata). In senso conforme, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 ottobre 2009, n. 23060, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 giugno 1980, n. 3813, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 21 giugno 1974, n. 1852.

[512] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14 giugno 2000, n. 8126

[513]Corte di Cassazione, sentenza  11-7-72, n. 2328

[514] Tribunale Benevento, civile, sentenza 24 settembre 2010, n. 1531

[515]Corte di Cassazione, sentenza  29-5-95, n. 6033

[516] Cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 2) lettera E) Obbligo di denunzia dei vizi – termini e condizioni, pag. 164

[517] Tribunale Bari, sezione II, sentenza 10 febbraio 2009, n. 503

[518] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 novembre 2012, n. 21463

[519] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 dicembre 1991, n. 13869

[520]Corte di Cassazione, sentenza  11-11-60, n. 3013.

[521]Corte di Cassazione, sentenza  3-3-77, n. 873

[522]Corte di Cassazione, sentenza  11-5-83, n. 3257

[523] Gli obblighi di fare cui si riferisce la norma sono soltanto quelli fungibili, ossia suscettibili di essere eseguiti anche da persona diversa dal debitore. Così, ad esempio, sarà suscettibile di esecuzione in forma specifica l’obbligo di imbiancare una casa; non altrettanto l’obbligo di dipingere un quadro, poiché evidentemente il creditore non potrà da altri ottenere il medesimo risultato artistico. In quest’ultima eventualità, il creditore potrà ottenere soltanto il risarcimento del danno

[524] Nessuno può essere costretto a tenere un comportamento contro la propria volontà (nemo ad factum cogi potest). Ciò spiega perché sul soggetto obbligato potranno ricadere, comunque, soltanto i riflessi economici dell’attività tenuta da altri in suo luogo.

[525]Corte di Cassazione, sentenza  7-6-76, n. 2082

[526]cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera C) Aliud pro alio, pag. 201

[527]Corte di Cassazione, sentenza  6-4-99, n. 3294

[528]Corte di Cassazione, sentenza  8-6-73, n. 1654

[529] Tribunale Monza, sentenza 26 febbraio 2001

[530]Corte di Cassazione, sentenza  15-6-2000, n. 8153

[531] Gorla  – Per una maggiore consultazione sulla proposta irrevocabile aprire il seguente collegamento on-line La proposta irrevocabile (o ferma)

[532] Capozzi

[533] Lucchini – Luzzato – Rubino – Trabucchi – Greco – CottinoCapozzi – Gazzoni. Per una maggiore consultazione sull’opzione aprire il seguente collegamento on-line  L’Opzione

[534]Corte di Cassazione, sentenza  13-2-70, n. 353

[535] Per una maggiore consultazione sul  preliminare aprire il seguente collegamento on-line Le trattative ed il contratto preliminare

[536] Capozzi

[537] Barassi

[538] Capozzi

[539]cfr par.fo 2) lettera B) punto 6) Vendita a prova, pag. 328

[540]Corte di Cassazione, sentenza  2-3-67, n. 483, rv. 326427 (conf. Corte di Cassazione, sentenza 27-2-86, n. 1270).

[541]cfr par.fo 1) lettera C) punto 2) lettera E) Vendita con riserva di proprietà, pag. 101

[542] Tribunale Genova, sezione VI, sentenza 4 gennaio 2008, n. 45

[543] Giurisprudenza – Rescigno – Giordano – De Martini. Per la S.C. la compravendita immobiliare sottoposta alla condizione del pagamento del prezzo si inquadra nella figura della compravendita con riserva di proprietà e il trasferimento del relativo diritto si realizza col pagamento dell’ultima rata del prezzo; l’art. 1360 c.c. sulla retroattività della condizione non opera infatti tutte le volte che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto debbano essere riportati a un momento diverso da quello della conclusione del contratto. Corte di Cassazione, sentenza  8-4-99, n. 3415

[544] Romoli – Mirabelli

[545] Greco e Cottino – Rubino – Mirabelli – Gazzarra – Capozzi   e parte della giurisprudenza della Cassazione

[546] Rubino

[547] Romoli

[548] Bianca

[549] Capozzi

[550] Comporti

[551] Carpino

[552] Romoli – Capozzi

[553]La vendita con riserva della proprietà, normalmente attuata nelle compravendite mobiliari, può essere applicata anche alle vendite di immobili, ed è tipica delle vendite a rate o a credito, in cui l’effetto traslativo della proprietà viene differito al momento del pagamento dell’ultima rata di prezzo. Corte di Cassazione, sentenza  3-4-80, n. 2167

[554] Tribunale Bari, sezione I, sentenza 2 maggio 2012, n. 1536

[555]Corte di Cassazione, sentenza  1-6-74, n. 1569

[556]Corte di Cassazione, sentenza  14-4-89, n. 1802

[557]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 19-7-85, n. 4266

[558]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6322 del 22-3-2006

[559] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 18 settembre 2013, n. 21388

[560] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 8 maggio 2012, n. 7005

[561]Corte di Cassazione, sentenza  13-7-98, n. 6813

[562] Corte d’Appello Potenza, civile, sentenza 7 aprile 2011, n. 77. Nella specie non può, nei termini di cui innanzi, attribuirsi alcun rilievo all’assunto dell’acquirente (appellante) nella parte in cui, rilevando l’intervenuto acquisto di un immobile di minor valore rispetto al prezzo convenuto, e peraltro mai corrisposto all’alienante, sostiene la legittimità della propria condotta omissiva e la reiezione della domanda di risoluzione del contratto di diritto per inadempimento, come proposta da controparte. In circostanze siffatte, invero, l’acquirente deve unicamente imputare a se stesso l’acquisto di un immobile ad un prezzo asseritamente superiore rispetto al valore effettivo, circostanza questa che, seppure provata, non consente di ottenere una pronuncia giudiziale che determini la minor somma dovuta, né di paralizzare la domanda proposta dalla venditrice per l’accertamento della risoluzione di diritto del contratto, a norma dell’art. 1456 c.c., per inadempimento dell’acquirente.

[563] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 febbraio 2012, n. 3134

[564]Corte di Cassazione, sentenza  22-6-72, n. 2040

[565]Corte di Cassazione, sentenza  13-5-91, n. 5324

[566]Corte di Cassazione, sentenza  22-6-72, n. 2040

[567] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 novembre 2010, n. 23818

[568]Corte di Cassazione, sentenza  24-2-98, n. 1999

[569] Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 22 dicembre 2005, n. 28480

[570]Corte di Cassazione, sentenza  6-11-99, n. 12358

[571]Corte di Cassazione, sentenza  6-2-86, n. 723

[572]Cfr. par.fo 1) lettera B), punto 3) la forma, lettera A) la trascrizione, pag. 21

[573] Tribunale Vicenza, sezione II, sentenza 10 febbraio 2011, n. 168

[574] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22 marzo 2006, n. 6322

[575] Per una maggiore consultazione sull’azione di rivendica aprire il seguente collegamento on-line  Le azioni a difesa della proprietà. Rivendicazione – negatoria – regolamento di confini – apposizione dei termini

[576]Corte di Cassazione, sentenza  14-7-2000, n. 9356 (Nello stesso senso, in ordine all’inapplicabilità al contratto preliminare, Corte di Cassazione, sentenza 29-5-98, n. 5324).

[577]Corte di Cassazione, sezione I, sentenza  28480 del 22-12-2005

[578] Per una maggiore consultazione sulla caparra aprire il seguente collegamento on-line  Il rafforzamento degli effetti del contratto: 1) la clausola penale; 2) la caparra confirmatoria; 3) la caparra penitenziale

[579]Corte di Cassazione, sentenza  20-10-56, n. 3767.

[580]Corte di Cassazione, sentenza  28-6-95, n. 7266

[581] Per una maggiore consultazione sul contratto di locazione  aprire il seguente collegamento on-line  La locazione

[582] Fubini

[583]Corte di Cassazione, sentenza  15-10-88, n. 5623

[584] Tribunale Milano, sezione XII civile, sentenza 19 settembre 2013, n. 11621

[585] Corte d’Appello Roma, sezione III, sentenza 27 marzo 2012, n. 1652

[586] Tribunale Bologna, sezione II, sentenza 21 ottobre 2013, n. 2983

[587]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 12317 del 10-6-2005. Nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito per non aver effettuato correttamente l’indagine volta alla riconduzione del contratto di leasing concluso dalle parti all’uno e all’altro tipo negoziale, omettendo l’indispensabile comparazione economica tra l’ordinaria durata tecnologica del bene utilizzato in godimento ed il suo valore residuo, e omettendo di porre a tale scopo a raffronto il prezzo della opzione con il valore residuo

[588]Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 13418 del 23-5-2008

[589] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 febbraio 2014, n. 3362

[590] Tribunale Milano, sezione XII, sentenza 6 marzo 2013, n. 3222

[591] In tema cfr anche Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 73 del 8-1-2010. Nel leasing traslativo, al quale si applica per analogia la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. per la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà in caso di inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, riconsegnato il bene, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, mentre il concedente ha diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, il quale comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non include il risarcimento del danno che può derivare da un deterioramento anormale della cosa né comprende il mancato guadagno. (Nella specie, relativa alla risoluzione del contratto di locazione finanziaria di una motonave, la S.C. ha rigettato il proposto ricorso, poiché nella sentenza impugnata si era correttamente escluso dall’area del “giusto compenso” — individuato, adeguatamente, mediante il criterio equitativo del “bare boat” — il mancato guadagno ed essendo fallito l’utilizzatore era stata individuata nella procedura di insinuazione al passivo la sede esclusiva per la determinazione della penale, per la quale era stata predisposta apposita clausola ai fini della liquidazione del risarcimento del danno).

[592] Corte d’Appello Roma, sezione III, sentenza 22 novembre 2011, n. 4958

[593]In tema di leasing traslativo, la clausola contrattuale che pone a carico dell’utilizzatore il rischio per la perdita del bene oggetto del contratto non ha carattere vessatorio, poiché essa si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità della disciplina legale desumibile – in via analogica – dall’art. 1523 c.c. sulla vendita a rate con riserva della proprietà. Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 6369 del 3-5-2002

[594] Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 14 ottobre 2011, n. 21301

[595] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 13 febbraio 2014, n. 3362

[596]Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 11145 del 13-5-2009

[597] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione Sezione III sentenza del 23 maggio 2012, n. 8101

[598] – a partire dalla Corte di Cassazione, sentenza 2 novembre 1998 n. 10926 – Corte di Cassazione, sentenza 6 giugno 2002, n. 8222

[599] Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 11 luglio 2012, n. 11643. Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato il decreto del tribunale che aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo, proposta da una società succeduta a quella fallita nei contratti di locazione, in virtù di un contratto di leasing stipulato con un istituto di credito, relativa alla domanda di ammissione al passivo per la somma pari all’importo dei depositi cauzionali versati dai conduttori, ritenendo necessaria la prova dell’intervenuta cessione dei relativi contratti con il consenso dei conduttori medesimi, ovvero della gestione dei rapporti stessi da parte dell’utilizzatrice in nome e per conto della concedente

[600] Per la  consultazione del testo integrale aprire il seguente collegamento on-line  Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 febbraio 2014, n. 4065

[601]cfr par.fo 1) lettera C) punto 2) lettera A) Vendita di cosa generica, pag. 70

[602]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza1229 del 28-1-2003. Nella specie, concernente una compravendita di una partita di tessuto, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, secondo la quale, avendo le parti convenuto che il campione allegato alla proposta di acquisto serviva da strumento di paragone esclusivamente per il colore, la difformità della merce rispetto a tutte le altre caratteristiche del tessuto non attribuiva al compratore il diritto alla risoluzione del contratto

[603]Corte di Cassazione, sentenza  16-5-75, n. 1909

[604]cfr par.fo 2) lettera B) punto 3) Vendita con riserva di gradimento, pag. 282

[605]cfr par.fo 2) lettera B) punto 6) Vendita a prova, pag. 328

[606]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4540 del 27-3-2003

[607] cfr. par.fo 1) lettera C) punto 3) lettera B) punto 3) par.fo A) Mancanza delle qualità promesse, pag. 195

[608]Corte di Cassazione, sentenza  18-9-74, n. 2499

[609]Corte di Cassazione, sezione VI,ordinanza 9582 del 12-6-2012

[610]  La vendita a prova è un contratto perfetto nei suoi elementi costitutivi, ma sospensivamente condizionato per la sua efficacia all’esito positivo della prova. Corte di Cassazione, sentenza  16-10-69, n. 3384

[611]cfr par.fo 2) lettera B) punto 3) Vendita con riserva di gradimento, pag. 282

[612]Corte di Cassazione, sentenza 25-5-65, n. 1006

[613]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 1318 del 29-1-2003

[614]Corte di Cassazione, sentenza  14-3-64, n. 567

[615] Per una maggiore consultazione sul possesso  aprire il seguente collegamento on-line  Il possesso, l’usucapione e le azioni a tutela del possesso

[616]Corte di Cassazione, sentenza  22-11-76, n. 4388

[617] Rubino – Bianca

[618] Capozzi – Greco – Cottino

[619]Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 12-6-90, n. 5713

[620]Corte di Cassazione, sentenza  15-2-84, n. 1140

[621] Rubino – Greco – Capottino – Mirabelli

[622] Rubino

[623] Bocchini

[624] Per una maggiore consultazione sulla clausola solve et repete  aprire il seguente collegamento on-line  La risoluzione, par.fo D) la risoluzione di diritto, punto 3) Clausola Solve et repete

[625]Corte di Cassazione, sentenza  9-4-87, n. 3482

[626]Corte di Cassazione, sentenza  20-7-60, n. 2031

[627] Capozzi

[628]Corte di Cassazione, sentenza  26-3-2001, n. 4344

[629] Per una maggiore consultazione sul contratto di mandato  aprire il seguente collegamento on-line  Il mandato

[630]Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 1288 del 29-1-2003. Conforme anche altra sentenza della Corte di Cassazione, sentenza  15-1-99, n. 372, per la quale la vendita con pagamento contro documenti a mezzo di banca, prevista dall’art. 1530 c.c., si conforma al modello della delegazione cumulativa passiva titolata, che configura un vincolo di solidarietà tra delegante e delegato. Ed infatti, in tale ipotesi, il venditore non può rivolgersi per il pagamento al compratore se non dopo il rifiuto opposto dalla banca: sicché, dalla conferma della banca delegata discende, a favore del delegante, il beneficio dell’ordine, che attribuisce al debito beneficiato il carattere di sussidiarietà rispetto all’altro debito (del delegato). Inoltre, secondo le regole della sussidiarietà, l’estinzione dell’obbligazione del delegato ha effetto liberatorio anche per il delegante. Pertanto, ove il creditore abbia negoziato con la banca a sua volta delegata un finanziamento immediato per l’importo corrispondente al credito da soddisfare alle scadenze già pattuite, con espressa dichiarazione relativa all’autorizzazione alla stessa ad utilizzare gli importi accreditati dal debitore delegante in caso di mancata restituzione del finanziamento prima della scadenza del credito, tale negozio, che, a prescindere dal lessico adoperato dalle parti, ha il senso di una rinuncia al credito, sottoposta alla condizione risolutiva del rimborso dell’anticipazione, opera, in caso di mancata verificazione di tale condizione, anche nei confronti della banca delegante in virtù delle ricordate regole sulla sussidiarietà. Ne consegue che, in tale ipotesi, ove il creditore rinunciante sia dichiarato fallito, il credito di cui si tratta non potrà essere acquisito alla massa fallimentare per essere stata la predetta rinuncia al diritto di credito valida ed efficace fin dall’originaria dichiarazione. (Nella fattispecie, la S.C. ha applicato i principi sopra esposti al caso di una società in accomandita semplice che aveva eseguito forniture di armi a favore di una società greca con contratto di vendita a consegne ripartite, che prevedeva il pagamento differito di ogni singola fornitura tramite apertura irrevocabile di credito documentario della «Commercial Bank of Greece», confermata dal «Credit Lyonnais», filiale di Milano, da cui la creditrice aveva poi ottenuto un finanziamento immediato per l’importo corrispondente al proprio credito, rilasciando una dichiarazione con la quale, a garanzia del rimborso dell’anticipazione, affermava di cedere all’istituto i crediti vantati nei confronti dello stesso, autorizzandolo ad utilizzare gli importi dei pagamenti da essi derivanti, alle scadenze pattuite, ad estinzione del suddetto finanziamento in caso di mancato rimborso dello stesso. Al di là delle espressioni usate nella citata dichiarazione, la Corte di merito, con decisione poi confermata dalla S.C., aveva, in riforma della decisione del giudice di primo grado, qualificato quel negozio come una remissione del debito sottoposta a condizione risolutiva, non verificatasi, della restituzione delle anticipazioni, con la conseguenza che, una volta fallita la società, la rinuncia al credito, da essa effettuata in favore del debitore delegato, con effetti liberatori anche nei confronti del delegante, escludeva la possibilità che lo stesso credito potesse essere acquisito alla massa fallimentare).

[631]Corte di Cassazione, sentenza  10-6-83, n. 3992

[632] Per una maggiore consultazione sul collegamento negoziale aprire il seguente collegamento on-line Il collegamento negoziale

[633]Corte di Cassazione, sentenza  20-3-98, n. 2927

[634] Tribunale Modena, sezione I, sentenza 14 giugno 2013, n. 935

[635] Tribunale Bari, sezione II, sentenza 15 maggio 2012, n. 1699

[636] Articolo così modificato dal decreto legislativo 23 ottobre 2007, n. 221

[637]Corte di Cassazione, sentenza  15-1-86, n. 180

[638]Corte di Cassazione, sentenza  28-6-2000, n. 8793

[639] cfr par.fo 2), lettera B) I requisiti del contratto, punto 5) Prezzo, pag. 40

[640]Corte di Cassazione, sentenza  27-6-79, n. 3595

[641]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24013 del 27-12-2004

[642]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 22038 del 22-11-2004

[643]Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3633 del 24-2-2004

[644]Corte di Cassazione, sentenza  27-12-93, n. 12791

[645]Corte di Cassazione, sentenza  2-8-90, n. 7711

[646]Corte di Cassazione, sentenza  12-4-83, n. 2575

[647] Per una maggiore consultazione sul retratto successorio aprire il seguente collegamento on-line  Il retratto successorio

[648] Corte di Cassazione, sentenza n. 3181/2002

[649] Corte di Cassazione, sentenza n. 5272 /1997; Corte di Cassazione, sentenza n. 369/1986

[650] Corte di Cassazione, sentenza n. 11881/2002

[651] Corte di Cassazione, sentenza n. 11986/1998

[652] Corte di Cassazione, sentenzan. 9453/2002;Corte di Cassazione, sentenzan. 4902/1998; Corte di Cassazione, sentenza n. 9749/1991

[653] cfr par.fo 1), lettera A) Struttura, pag. 6

[654] – Greco – Cottino – Mirabelli – Rubino – Andrioli

[655]La vendita di quota al coerede ha carattere aleatorio, e non è, quindi, soggetta all’azione di rescissione per lesione oltre il quarto, a norma dell’art. 765 c.c., quando oggetto del negozio sia il diritto ereditario astrattamente considerato nel suo complesso indistinto di attività e passività ed in quanto si prescinda dalla determinazione specifica dei beni che lo compongono, posto che chi vende un’eredità o una quota di essa, senza specificazione di oggetti, non essendo tenuto a garantire che la propria qualità di erede non può essere poi ammesso ad affacciare pretese per lesione di prezzo di cose neppure specificate. Viceversa è da escludere che ricorra l’alea quando risulti che la vendita, malgrado il generale riferimento alla quota, abbia avuto per oggetto una porzione ereditaria già esattamente individuata così in ordine alla certezza che alla misura spettante al coerede venditore, e relativa a cespiti ereditari ben determinati, conosciuti dagli acquirenti. Ai fini della suddetta distinzione è irrilevante che nell’atto di vendita sia stato o meno indicato il passivo ereditario e che il venditore abbia o meno assunto espressamente la garanzia per evizione. Corte di Cassazione, sentenza  10-2-62, n. 287, Corte di Cassazione, sentenza n. 287/1992

 art. 765 c.c.   vendita del diritto ereditario fatta al coerede

L’azione di rescissione non è ammessa [art. 764 c.c.] contro la vendita del diritto ereditario [art. 477, 1542, 1544 c.c.] fatta senza frode [artt. 743, 1344 c.c.] a uno dei coeredi, a suo rischio e pericolo, da parte degli altri coeredi o di uno di essi [art. 1447 c.c.].

[656] Per una maggiore consultazione sull’azione di rescissione (in senso generale) aprire il seguente collegamento on-line  La rescissione

[657] Fedele –  Mirabelli

[658] Capozzi – Gazzoni –  Santoro Passarelli – Barbero – Rubino – Bianca

[659] Per una maggiore consultazione sull’usufrutto, uso e abitazione aprire il seguente collegamento on-line  L’Usufrutto, l’Uso e l’Abitazione

[660] cfr par.fo 1)lettera C) punto 2) lettera B) vendita di cosa altrui, pag. 73

[661] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 marzo 2012, n. 5145

[662] Per una maggiore consultazione sull’azione di petizione ereditaria aprire il seguente collegamento on-line  Azione di petizione ereditaria

[663]cfr. par.fo 1) lettera B), punto 3) la forma, lettera A) la trascrizione, pag. 21

[664] Per una maggiore consultazione sulla permuta  aprire il seguente collegamento on-line  Il contratto di permuta

[665] Per una maggiore consultazione sul retratto successorio aprire il seguente collegamento on-line  Il retratto successorio

[666] Corte di Cassazione, sentenza n. 2574/1983; Corte di Cassazione, sentenza n. 1609/1981; Corte di Cassazione, sentenza n. 8304/1990

[667] Corte di Cassazione, sentenza n. 13704/1999

[668] Corte di Cassazione, sentenza n. 3049/1997

[669]cfr par.fo 1), lettera C), punto 2) lettera B) vendita di cosa altrui, pag. 73

[670] Corte di Cassazione, sentenza n. 2619/1976

[671] Corte di Cassazione, sentenza n. 527/1974

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *