Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 19 dicembre 2013, n. 28419

Rilevato in fatto

1. – Con due distinti atti di citazione del 18 aprile e del 19 giugno 1990, con il primo dei quali, che, a differenza del secondo, non risulta notificato, V.P. premetteva di aver notificato alla convenuta, in data 5 marzo 1990, precedente atto di citazione non iscritto a ruolo, con il quale aveva esposto gli stessi fatti e proposto le medesime domande, il P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Salerno la S.A.F. – Società Agricola e Forestale s.p.a. – Azienda Improsta di Eboli, in persona del suo legale rappresentante, per ottenere la risoluzione, per inadempimento della convenuta, del contratto di compravendita di un toro stipulato nei primi giorni del mese di marzo 1989 e la condanna della convenuta al risarcimento del danno. Espose l’attore di avere acquistato presso la sede di Eboli dell’azienda convenuta il toro, destinato a coprire le sessantatre bufale della sua azienda agricola, nessuna delle quali era stata ingravidata. Egli aveva, quindi, contestato l’inadempienza all’azienda venditrice senza ricevere risposta. Fece presente di aver subito un danno, dovuto, tra l’altro, alla mancata produzione di latte, al mancato incremento della mandria ed alla necessità di acquistare un altro toro, danno quantificato almeno in lire 300.000.000.
2. – Riassunto il giudizio nei confronti del liquidatore della società convenuta, posta in liquidazione coatta, ed intervenuto volontariamente nel giudizio l’Ente Nazionale per la Cellulosa e Carta (E.N.C.C.) in liquidazione, quale cessionario di tutti i rapporti passivi e delle attività patrimoniali della convenuta, in quanto suo successore universale, ìl Tribunale rigettò le eccezioni di prescrizione e decadenza sollevate dalla convenuta, in accoglimento della domanda attorea, al risarcimento del danno nella misura di euro 12541,12. La decisione fu impugnata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, succeduto al predetto Ente, disciolto.
3. – Con sentenza depositata 1’8 febbraio 2007, la Corte d’appello di Salerno, in accoglimento del gravame, rigettò la domanda del P., coltivata dai suoi eredi G., V., G. P. e A.M. M.
Il giudice di secondo grado escluse la configurabilità nella specie della ipotesi di aliud prio alio per il fatto che il toro venduto si era rivelato sterile, osservando che l’animale resta tale anche in mancanza di capacità riproduttiva, e comunque può trovare diverse utilizzazioni. La Corte ritenne, invece, che l’alterazione patologica da cui era risultato affetto il toro rappresentasse un vizio dell’animale che andava denunziato, ai fini della decadenza e della prescrizione, nei termini di cui all’art. 1.495 cod. civ. Nella specie, l’acquisto era avvenuto nel marzo del 1989, mentre la contestazione del vizio era avvenuta oralmente verso la fine del mese di ottobre dello stesso anno e mediante notificazione ufficiale il 30 novembre successivo, mentre dalla consulenza espletata era emerso che la conoscenza della inidoneità dell’animale alla riproduzione era possibile fin dalla fine del mese di
maggio del 1989, coincidente con la scadenza del secondo mese dalla immissione del toro nel branco delle bufale, termine dal quale dovevano essere computati gli otto giorni previsti dall’art. 1495 cod. civ. a pena di decadenza dall’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta. Né l’offerta della sostituzione dell’animale da parte di un dipendente della società venditrice valeva a superare la tardività, in quanto non comportava riconoscimento del vizio, ma costituiva solo manifestazione di volontà di mantenere buoni rapporti con il cliente, e perché comunque detto dipendente non aveva alcun potere di rappresentanza della società. L’azione di garanzia era peraltro prescritta poiché esercitata validamente solo in data 26 giugno 1990, ben oltre l’anno della consegna del toro. Al primo atto di citazione, in data 18 aprile 1990, non poteva attribuirsi valenza interruttiva della prescrizione, non essendo documentata, come già riferito, la notificazione dello stesso. Comunque, l’atto sarebbe risultato inviato per la notificazione il 19 aprile 1990, a distanza di tredici mesi dalla consegna, e, quindi, a garanzia estinta.
4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono Gianfranco, Vincenzo e Giuseppe P. quali eredi della madre A.M. M. e del padre V.P., sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso 1’E.N.C.C. in liquidazione.

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1325, 1453, 1455, 1458, 1490, 1492, 1493, 1494, 1495, 1496, 1497 cod. civ. Avrebbe errato la Corte di merito nell’escludere nella specie dell’inadempimento per consegna di aliud pro allo, valorizzando il mero dato fisico e morfologico del bene venduto laddove il richiamato istituto sarebbe configurabile non solo quando il bene trasferito sia completamente diverso da quello oggetto del contratto, ma anche quando esso sia privo delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente. L’ambito proprio di utilità di un toro bufalino – osservano i ricorrenti – è quello dell’ingravidamento delle bufale: sicchè un toro da monta non offre alcun beneficio economico se non è fertile.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis: “Nella vendita di un toro bufalino da monta, la fertilità dell’animale costituisce un requisito giuridico fondamentale del bene compravenduto, che vale ad incidere sull’attitudine dell’animale ad assolvere alla sua funzione economico-sociale di ingravidamento delle bufale. Pertanto integra inadempimento del venditore, per consegna di aliud pro allo, la consegna di un toro bufalino affetto da impotentia generandi ma non coeundi. Tale inadempimento dà luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti all’art. 1495 c.c.”.
2. – Con il secondo motivo si denuncia la omessa ed insufficiente motivazione in ordine all’affermazione della Corte di merito circa la possibile utilità del toro infertile come cibo per altri esseri viventi, affermazione non accompagnata dalla specifica individuazione di tali esseri; così come privo di alcuna specificazione sarebbe il riferimento ad altre ridotte utilizzazioni del toro. Si lamenta ancora la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,1453,1455,2697,2909 c.c. e 324 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione del giudicato e la omessa ed insufficiente motivazione, in quanto comunque nella specie il toro sarebbe stato acquistato allo scopo di ingravidare le bufale: un punto, codesto, non contestato in causa ed inequivocabilmente accertato dalla sentenza di primo grado, in cui si legge che la funzione naturale del toro è “quella di fecondare le femmine”, affermazione non contestata in grado di appello dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con riferimento alla specifica funzione economico-sociale del contratto di acquisto dE’.1 toro per cui è causa, sicchè sul punto si sarebbe formato il giudicato.
La illustrazione della censura è completata dalla formulazione del seguente quesito di diritto: “Il parametro per valutare l’adempimento contrattuale è la ragione giustificatrice del negozio comune ai soggetti che lo pongono in essere in relazione al concreto assetto di interessi pattuito, non una qualsiasi utilità economica che l’oggetto del contratto possa rivestire nel mercato”.
3. – Con il terzo motivo si lamenta la omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla mancata valutazione della testimonianza del direttore dell’azienda Improsta di Eboli in cui fu venduto il toro, relativa all’avvenuto riconoscimento del difetto dell’animale e all’impegno del venditore, assunto per il tramite di detto soggetto, a sostituire il toro. L’accertamento in ordine al primo punto avrebbe condotto all’applicazione del secondo comma dell’art. 1495 cod.civ., secondo il quale la denunzia del vizio della cosa venduta ai fini dell’azione di garanzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio; così come l’accertamento in ordine al secondo punto avrebbe indotto alla esclusione dell’applicabilità del terzo comma dello stesso art. 1495 cod.civ., relativo alla prescrizione annuale di detta azione, ed all’applicazione, invece, del’art. 2944 cod.civ., a norma del quale la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.

4. – Le censure, che, avuto riguardo alla stretta connessione logico­giuridica che le avvince, possono essere trattate congiuntamente, sono fondate.

4.1. – Secondo il costante indirizzo di questa Corte, in tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualità (le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex articolo 1495 c.c.) si distinguono dall’ipotesi della consegna di aliud pro allo – che dà luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato articolo 1495 c.c. – , la quale ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione di quest’ultima sì da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziali dalle parti (cd. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto (nei sensi suddetti, si vedano, ex plurimis, Cass., sentt. n. 10916 del 2011, n. 26953 del 2008, n. 9227 del 2005, n. 13925 del 2002, n. 2712 del 1999).
Lo stabilire se si versi in tema di consegna di aliud pro allo o di cosa mancante di qualità, di cosa affetta da vizi redibitori, involge un giudizio di. fatto devoluto al giudice del merito: pertanto in sede di legittimità il controllo della Corte deve limitarsi a stabilire se il giudice di appello, nell’esprimere il proprio giudizio di fatto, si sia attenuto ad un corretto criterio di distinzione tra le accennate diverse ipotesi.
4.2. – Nella specie tale conformazione è mancata, avendo la Corte territoriale sostenuto la ricorrenza della figura giuridica dell’aliud pro allo nelle sole ipotesi di consegna di cosa diversa da quella pattuita, pur concedendo che tale diversità possa consistere anche nella mancanza nella merce venduta delle qualità minimali necessarie per un suo qualsiasi utile impiego: per tale via giungendo alla conclusione della non configurabilità, nel caso sottoposto al suo esame, della predetta figura posto che il toro per cui è causa restava tale pur se privo di capacità riproduttiva, potendo trovare altre utilizzazioni, a cominciare dall’uso alimentare per altri esseri viventi.
Ciò ha fatto senza peraltro considerare che pacificamente la qualità necessaria ad adempiere la funzione economico-sociale in vista della quale il contratto era stato concluso era proprio la fecondazione delle bufale: funzione cui il toro consegnato si rivelò inidoneo.
4.3. – Né decisivo risulta in contrario l’argomento, valorizzato dalla Corte di merito, secondo il quale la vendita di animali è espressamente disciplinata dall’art. 1496 cod.civ., alla stregua del quale la garanzia per vizi è regolata in primo luogo dalle leggi speciali, e, in mancanza dagli usi locali, ovvero, ove questi non provvedano, dagli usi locali. E’, infatti, nozione di comune esperienza che proprio negli usi concreti del mercato l’acquisto di un toro sia finalizzato alla riproduzione.
5. – Resta assorbito dall’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso l’esame degli ulteriori tre, con i quali si lamentano vizi attinenti al calcolo dei termini di decadenza dal diritto di garanzia e di prescrizione della relativa azione dì cui all’art. 1495 cod.civ. nonché alla mancata attribuzione di valenza di atto interruttivo della prescrizione all’atto, proveniente dal P., di costituzione in mora della S.A.F. – Società Agricola e Forestale s.p.a. – Azienda Improsta di Eboli.
6. – Conclusivamente, devono essere accolti il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad un diverso giudice – che viene individuato nella Corte d’appello di Salerno in diversa composizione, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la controversia alla luce del principio di diritto enunciato sub 4.1.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo e il terzo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.

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