Le banche oltre all’attività ad esse riservata (quella bancaria in senso stretto) svolgono anche ogni altra attività finanziaria

Consiglio di Stato, Sentenza|11 marzo 2021| n. 2085.

Le banche, oltre all’attività ad esse riservata (quella bancaria in senso stretto) svolgono anche ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna di esse, nonché le attività connesse o strumentali e i poteri di regolazione e di vigilanza della Banca d’Italia non possono che concernere l’intera sfera delle attività poste in essere dagli enti creditizi in ambito finanziario, poiché è dal complesso di tali attività che dipende la stabilità del sistema. Non viene in alcun modo in considerazione l’esercizio dell’attività bancaria, né l’esercizio di attività ad essa connesse comunque sottoposte alla vigilanza della Banca d’Italia, in presenza di un’attività di mera intermediazione per l’acquisto e la vendita di un bene completamente estranea all’ambito regolamentato.

Sentenza|11 marzo 2021| n. 2085

Data udienza 28 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Concorrenza e mercato – Pratiche commerciali scorrette – Fattispecie – Istituto di credito – Investimento in diamanti – Caratteristiche – Prospettazione omissiva e ingannevole ai consumatori – Aggravamento condizioni per il diritto di recesso e individuazione del foro competente – Carenze informative – Attività – Parere della Banca D’Italia non necessario – Imputabilità della condotta – Quantificazione della sanzione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1426 del 2019, proposto da
Un. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ca., Pi. Fa. ed An. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Li. in Roma, via delle (…);
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Al. ed altri, non costituiti in giudizio;
Associazione Co., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Le., Ca. La. ed Iv. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 10966/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2021 il Cons. Giordano Lamberti;
L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma1, del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2, del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1 – La banca appellante ha impugnato il provvedimento n. 26757 del 2017 con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha accertato che due pratiche commerciali poste in essere dalla In. Di. Bu. S.p.A. ed altri, oltre ad altro istituto di credito – e consistenti nella prospettazione omissiva e ingannevole ai consumatori di alcune caratteristiche dell’investimento in diamanti, nell’aggravamento delle condizioni per il diritto di recesso e nell’individuazione del foro competente per le controversie – costituivano una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettere b), c), d) ed f), nonché 23, comma 1, lettera t), e 49, 50, 52, 54 e 66- bis del codice del consumo.
Con il medesimo provvedimento ha vietato l’ulteriore diffusione di tali pratiche e ha irrogato alle società la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 4.000.000.
In particolare, il provvedimento sanzionatorio impugnato si fonda sulla considerazione per cui “la pratica posta in essere… concernente le modalità di prospettazione dell’acquisto di diamanti in tutto il materiale illustrativo diffuso attraverso il sito e attraverso il canale bancario… integra la violazione… in quanto contraria alla diligenza professionale ed idonea ad indurre in errore i consumatori relativamente: al prezzo ed al modo in cui viene calcolato – prospettato da ID. come quotazione di mercato; all’andamento del mercato dei diamanti ed alla vantaggiosità e redditività dell’acquisto prospettato, in comparazione con l’inflazione ed altri investimenti; alla certezza del rapido e certo disinvestimento in termini di facile liquidabilità del bene; alle qualifiche del professionista ID. che vanta una leadership europea”.
Veniva anche ravvisata la violazione delle norme poste a tutela dei consumatori sotto il profilo della “omessa indicazione dell’informativa sul diritto di recesso dovuta per i contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali e la mancata messa a disposizione di un modulo tipo” e quello della “formulazione… ambigua ed imprecisa, come tale suscettibile di distorta interpretazione da parte del consumatore” dell’indicazione del Foro competente.
Con la determinazione finale si imputava alla Banca appellante la responsabilità solo della prima delle pratiche sopra descritte, ritenendo che la stessa avrebbe “svolto un ruolo attivo nell’attività di promozione e vendita dei diamanti da investimento commercializzati dai professionisti, in virtù di accordi commerciali sottoscritti con ID. S.p.A. e ID. In. S.r.l. che prevedevano – a titolo di corrispettivo – ingenti compensi alle suddette banche correlati alle vendite”.
2 – Con la sentenza n. 10966 del 2018, il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso.
3 – Avverso tale pronuncia ha proposto appello l’originaria ricorrente.
All’udienza del 28/01/2021 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – Prima di esaminare compiutamente gli specifici rilievi dell’appellante giova ricordare i fatti accertati a carico della società e che hanno dato luogo alla sanzione.
L’Autorità ha accertato l’esistenza di plurime carenze informative rispetto a distinti profili: a) le modalità di prospettazione delle caratteristiche dell’investimento in diamanti – presentato quale investimento in un “bene rifugio” in grado di conservare ed accrescere il suo valore nel tempo, di agevole liquidabilità e alienabilità ; b) le modalità di determinazione del prezzo (sia in caso di acquisto, che in caso di rivendita) prospettato come quotazione di mercato; c) la rappresentazione dell’andamento del mercato dei diamanti; d) la qualifica di Intermarket Diamond Business come “leader di mercato”.
Quanto ai primi due profili di scorrettezza, l’Autorità ha ritenuto che il materiale illustrativo predisposto e riprodotto anche nel sito e divulgato agli istituti di credito, nonché da questi ultimi utilizzato al fine di offrire una prima informativa al cliente sull’investimento, fosse ingannevole atteso che presentava i prezzi dei diamanti come “quotazioni”. Tale presentazione lasciava intendere al consumatore che si trattava di rilevazioni oggettive di mercato raccolte dal professionista a beneficio del consumatore che avrebbe potuto in tal modo monitorare l’andamento del proprio “investimento”.
Viceversa, dall’istruttoria svolta dall’Autorità è emerso che le asserite quotazioni in realtà non corrispondevano ad una rilevazione sull’effettivo andamento di mercato risultante dall’andamento della domanda e dell’offerta di diamanti. Si trattava, invece, dei prezzi dei servizi offerti da ID. (tra cui la vendita dei diamanti), autonomamente fissati e progressivamente aumentati nel corso degli anni dalla stessa ID..
La pubblicazione periodica di tali “quotazioni” su un quotidiano economico finanziario di larga diffusione e reputazione quale “Il Sole 24 Ore”, e successivamente “Milano Finanza”, ne avrebbe confermato l’autorevolezza, inducendo nei consumatori l’erronea percezione che si trattasse di oggettive quotazioni dei diamanti sul mercato.
Ad alimentare l’equivoco dato dalla impropria definizione del prezzo come quotazioni dei diamanti concorreva la combinazione di ulteriori elementi quali: la stessa terminologia impiegata nella presentazione dell’acquisto dei diamanti come investimento; le reiterate indicazioni presenti nel materiale illustrativo/promozionale di ID. volte a affermare che le quotazioni dei diamanti fossero destinate ad aumentare per il progressivo esaurimento dei diamanti.
Inoltre, il raffronto nei grafici con la quotazione dell’indice Eurostoxx 50, che rappresenta una media ponderata delle quotazioni ufficiali di Borsa delle azioni delle 50 società dell’Eurozona con maggiore valore del capitale flottante, avvalorava nel consumatore l’idea che le “quotazioni” fossero riferite al valore intrinseco dei diamanti, o comunque a valori assai vicini ad essi, alla stregua di altri beni o titoli acquistati a scopo di investimento.
2 – Con il primo motivo di appello si deduce la violazione dell’art. 27, co. 1 bis, del Codice del Consumo, perché l’Autorità non ha acquisito il necessario parere dell’autorità di regolazione competente, ossia, nella specie, della Banca d’Italia.
La censura è infondata.
In base all’art. 27, comma 1-bis citato, anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente.
Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze.
La disposizione in questione è stata inserita nel Codice del Consumo dall’art. 1, co. 6, lett. a), del d.lgs. 21.2.2014, n. 21 per superare la procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea (lettera di messa in mora del 17.10.2013), che si fondava sul precedente criterio di riparto della competenza a sanzionare le pratiche commerciali scorrette basato sul principio di specialità (introdotto dall’art. 23, co. 12-quinquiesdecies, d.l. n. 95/2012 conv. in l. n. 135/2012) e che affidava alle autorità di settore le relative competenze.
Con essa, pertanto, si è inteso affermare la competenza esclusiva della AGCM anche nei settori regolati e, quindi, nei settori delle assicurazioni, delle banche, e dei servizi finanziari e d’investimento, previa, tuttavia, l’obbligatoria acquisizione del parere dell’Autorità di regolazione competente.
Contrariamente alla prospettazione dell’appellante, l’AGCM non deve sempre acquisire il parere dell’Autorità di regolazione competente allorché sanzioni un soggetto operante “nei settori regolati”.
Invero, ciò che rileva, ai sensi dell’art. 27, comma 1-bis, Codice del Consumo, non è la natura del soggetto destinatario del provvedimento finale e il fatto che esso operi anche nell’ambito di un settore regolato, ma che la specifica attività oggetto del procedimento dell’AGCM rientri tra le attività regolate.
Richiamando la ratio ad origine della norma, solo in tale eventualità vi è, invero, una potenziale sovrapposizione tra i due enti vigilanti. Viceversa, laddove la condotta abusiva venga in considerazione nello svolgimento di un’attività estranea a quelle regolate dalla disciplina di settore, tale rischio non sussiste.
Del resto, non si vede quale significato possa ricondursi alla partecipazione della Banca d’Italia in un procedimento avente ad oggetto la verifica di un comportamento posto in essere in ambito completamente estraneo alle proprie prerogative di vigilanza.
La soluzione che precede risulta coerente con il protocollo che regola i rapporti tra AGCM e Banca d’Italia che all’art. 2 (“Attività di cooperazione”) prevede: “1. L’AGCM e la Banca d’Italia cooperano nelle seguenti forme: a) coordinamento degli interventi istituzionali su settori di comune interesse; b) segnalazione dell’AGCM alla Banca d’Italia di casi in cui, nell’ambito di procedimenti di competenza dell’AGCM medesima, emergano ipotesi di eventuali violazioni da parte degli operatori delle norme alla cui applicazione è preposta la Banca d’Italia; c) segnalazione della Banca d’Italia all’AGCM di casi in cui, nell’ambito di procedimenti di competenza della Banca d’Italia medesima, emergano ipotesi di eventuali fattispecie di pratiche commerciali scorrette relative ai settori creditizio e finanziario.”
Quanto all’ambito delle competenze della Banca d’Italia, in base all’articolo 5 (Finalità e destinatari della vigilanza) del TUB: “Le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti dal presente decreto legislativo, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”. Ai sensi dell’articolo 10 l’attività bancaria attiene alla raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria.
Per le ragioni già esposte, oltre che per quelle di seguito svolte, nel caso in esame la condotta concretamente posta in essere dalla Banca non rientra tra le “ipotesi di eventuali violazioni da parte degli operatori delle norme alla cui applicazione è preposta la Banca d’Italia” di cui al protocollo citato, venendo in considerazione un’attività del tutto estranea al settore bancario ed a cui non si applicano le norme alla cui applicazione è preposta la Banca d’Italia.
2.1 – Deve precisarsi che non si è al cospetto neppure di un’attività “connessa” o “strumentale” a quella propria del settore regolato.
Le banche, come noto, oltre all’attività ad esse riservata (quella bancaria in senso stretto) svolgono anche “ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali” (art. 10 del TUB). E i poteri di regolazione e di vigilanza della Banca d’Italia, essendo diretti ad assicurare la “gestione sana e prudente, la trasparenza delle operazioni e dei servizi offerti e la correttezza delle relazioni con la clientela”, non possono che concernere l’intera sfera delle attività poste in essere dagli enti creditizi in ambito finanziario, poiché è dal complesso di tali attività che dipende la stabilità del sistema.
Tuttavia, nel caso di specie, come già evidenziato, non viene in alcun modo in considerazione l’esercizio dell’attività bancaria, né l’esercizio di attività ad essa connesse comunque sottoposte alla vigilanza della Banca d’Italia. Viene, invece, in considerazione un’attività di mera intermediazione per l’acquisto e la vendita di un bene (i diamanti) completamente estranea all’ambito regolamentato. Infatti, deve ribadirsi come l’attività concretamente posta in essere dall’Istituto bancario non possa essere ricondotta alle attività connesse, soggette alla vigilanza e al controllo della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 5 TUB. Trattasi, invero, di attività estranea a quella bancaria e finanziaria, in quanto avente ad oggetto la compravendita di merci nella loro consistenza fisica (non attraverso strumenti finanziari) non suscettibile di incidere e di riflettersi sul sistema finanziario.
Al riguardo, la comunicazione della CONSOB n. 97006082 del 10 luglio 1997 precisa che non rientrano nella nozione di prodotto finanziario “le operazioni di investimento in attività reali o di consumo, cioè le operazioni di acquisto di beni e di prestazioni di servizi che, anche se concluse con l’intento di investire il proprio patrimonio, sono essenzialmente dirette a procurare all’investitore il godimento del bene, a trasformare le proprie disponibilità in beni reali idonei a soddisfare in via diretta i bisogni non finanziari del risparmiatore stesso”.
Da un altro punto di vista, come anticipato, non pare che la detta attività, di mera intermediazione in una compravendita, sia suscettibile di mettere a rischio l’attività bancaria esercitata in via principale dagli istituti di credito.
La soluzione innanzi delineata risulta indirettamente confermata dalla stessa Banca d’Italia che – nel comunicato stampa del 14 marzo 2018 reso proprio a seguito delle segnalazioni relative alla vicenda per cui è causa (che, in quanto di pubblica diffusione può assurgere ad elemento di prova alla stregua dell’art. 115 secondo comma c.p.c.) – ha dichiarato che alla commercializzazione dei diamanti attraverso il canale bancario non si applicano le tutele di trasparenza previste per la clientela dal Testo unico bancario e che la commercializzazione di diamanti non costituisce attività bancaria o finanziaria.
Inoltre, la soluzione che precede risulta conforme all’orientamento della giurisprudenza espressasi in casi similari (Cons. St., 25 giugno 2019, n. 4357 e 11 dicembre 2017, n. 5795).
3 – Con il secondo motivo di appello si contesta l’imputabilità della condotta alla banca appellante.
A tal fine l’appellante rileva che la scorrettezza della pratica ruotava attorno alla rappresentazione del prezzo dei diamanti e alle “quotazioni” degli stessi e che i funzionari della Banca – mero segnalatore dell’opportunità di investimento in diamanti – erano all’oscuro dei profili di ingannevolezza contestati, non avendo in alcun modo cooperato direttamente ovvero indirettamente alla predisposizione del detto materiale promozionale. Per tale ragione, l’AGCM avrebbe dovuto escludere la sussistenza di una responsabilità concorrente in capo ad Un., in quanto la stessa, alla luce del proprio ruolo (per come delineato nelle previsioni contrattuali, nelle linee guida applicative e nelle relative circolari diramate alle proprie filiali), non disponeva di strumenti tali da consentirle di esercitare un controllo sull’operato di ID. e sul contenuto e/o la correttezza del materiale pubblicitario da quest’ultima predisposto.
3.1 – La censura è infondata, muovendo da una premessa fallace, ovvero che l’attività dell’Istituto bancaria si sia limitata a quella di collegamento tra due parti contrattuali.
Deve invero escludersi che il ruolo della Banca nella realizzazione della pratica in oggetto si sia limitato semplicemente a trasmettere alla clientela un prodotto e un materiale divulgativo interamente predisposto da altri.
L’indagine di tale aspetto non può limitarsi alle evidenze formali rappresentate dalle disposizioni contrattuali che regolavano i rapporti con ID. e ID. In., né rileva che l’appellante non abbia mai partecipato alla predisposizione e alla realizzazione dei materiali divulgativi che conterrebbero le informazioni ingannevoli contestate dall’Autorità, né le circolari interne dell’istituto.
La compartecipazione dell’appellante all’illecito emerge, invece, inequivocabilmente dai riscontri fattuali già evidenziati dal T.A.R. solo genericamente contestati con l’atto di appello.
Al riguardo, è sufficiente richiamare gli elementi più significativi del ruolo attivo svolto dalla Banca nella dinamica contrattuale complessiva in cui il consumatore era coinvolto:
a) in forza dell’accordo di collaborazione sottoscritto tra ID. e BBPM, la banca era tenuta a mettere a disposizione dei clienti, nei propri locali, il materiale divulgativo predisposto da ID., provvedendo anche i funzionari dell’istituto a inoltrare alla ID. le disposizioni di acquisto sottoscritte dall’acquirente, previa informativa resa, dai medesimi funzionari, in ordine all’esatto ammontare dell’operazione;
b) per l’attività svolta, la banca conseguiva una provvigione pari ad una percentuale dell’operazione conclusa (tra il 10% e il 20%); inoltre, è emerso come la stessa si prefiggesse, a mezzo dell’accordo con ID., di conseguire un aumento delle vendite di servizi bancari aggiuntivi (quali la custodia in cassette di sicurezza);
c) l’appellante aveva previsto che alla raccolta della proposta di acquisto era deputato un c.d. “referente investimenti” e ed aveva descritto nel dettaglio il processo da seguire nel “proporre” l’investimento in diamanti e nell'”assistere” il cliente nell’eventuale acquisto;
d) dai reclami dei clienti e dalle segnalazioni delle associazioni, è emerso che “i funzionari bancari ai quali normalmente i clienti si rivolgevano per la consulenza sui propri investimenti proponevano alla propria clientela… l’acquisto dei diamanti come forma di investimento alternativa”;
Il ruolo svolto dagli operatori degli istituti di credito nella realizzazione della pratica emerge anche dall’ampiezza delle attività svolte dagli stessi nelle diverse fasi dell’acquisto, così come risulta dal contenuto degli esposti dei risparmiatori. Infatti, gli impiegati della Banca curavano la compilazione e l’invio a ID. del modulo d’ordine di acquisto delle pietre sottoscritto dal cliente, informavano il cliente stesso dell’esatto importo dell’investimento, organizzavano e presenziavano ad eventuali incontri tra cliente e ID., nonché alla consegna della pietra, che avveniva nei locali della filiale laddove il cliente non avesse richiesto la custodia presso i caveaux di ID.. Anche nel caso di richieste di ricollocamento, la banca assumeva un ruolo di intermediazione, mettendo in contatto i clienti con ID..
E’ dunque indubbio che il cliente – come confermato dal contenuto di molte segnalazioni e reclami – al momento dell’acquisto fosse persuaso del fatto che l’operazione nel suo complesso e le informazioni rese sull’investimento fossero verificate, e quindi “garantite”, dalla banca. L’affidamento derivante dalla circostanza che l’opportunità dell’acquisto dei diamanti venisse presentata al cliente come forma di investimento dalla propria banca – e dal proprio referente di fiducia – emerge anche dal fatto che i reclami, in gran parte, sono stati presentati alle banche, proprio in quanto percepite come controparti di prima istanza.
3.2 – In base all’art. 5, comma 3, del codice del consumo “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
Deve, dunque, concludersi che la nozione di “professionista” rinveniente dal “Codice del consumo” deve essere intesa in senso ampio, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di una attività di impresa finalizzata alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o servizio. In tal senso, integra la nozione di professionista autore (o co-autore) della pratica commerciale “chiunque abbia una oggettiva cointeressenza diretta ed immediata alla realizzazione della pratica commerciale medesima”.
3.3 – Alla luce di tale considerazione perde di consistenza anche il rilievo dell’appellante secondo cui nella specie non sarebbe ravvisabile una propria condotta colposa, in quanto non sarebbe possibile affermare in capo alla stessa un onere di verificare il contenuto dell’offerta.
Al riguardo, deve anche rilevarsi che ciò che rileva è che il professionista abbia con il suo contegno contribuito, in qualità di co-autore, alla realizzazione dell’illecito, non solo ove il suo contributo abbia avuto efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile alla realizzazione della violazione, ma anche allorquando il contributo abbia sostanziato una agevolazione dell’altrui condotta, traendone un diretto vantaggio economico (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3763).
Non può, inoltre, trascurarsi che la responsabilità della ricorrente per i fatti oggetto del provvedimento risulta correlata anche al ritorno economico da questa conseguito a seguito dell’attività di promozione dei diamanti di investimento (sulla rilevanza del ritorno economico del professionista al fine di fondare la sua responsabilità per pratica commerciale scorretta, a prescindere dalla estraneità del prodotto offerto rispetto alla gamma tipica di servizi forniti vedasi Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1820).
La giurisprudenza ha ulteriormente precisato che “l’obbligo di diligenza richiede che, in presenza di vantaggi economici derivanti dalla pratica commerciale, il soggetto che consegue comunque un vantaggio, come nel caso di specie il titolare dei punti commerciali dove sono effettuate le vendite e sottoscritti i contratti di finanziamento, si attivi concretamente e ponga in essere misure idonee per comprendere appieno le modalità ed il contenuto delle operazioni proposte ai consumatori, solo in presenza delle quali la responsabilità editoriale può essere esclusa essendosi l’operatore economico diligentemente attivato” (Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 38).
4 – La Banca contesta infine la determinazione della sanzione, che è stata quantificata dall’AGCM in misura pari a 4.000.000 di Euro.
A tal fine l’appellante: a) reputa generico il riferimento operato sia dall’AGCM che dal TAR alla (pretesa) ampia diffusione della pratica; b) rileva come sia indimostrato anche il preteso pregiudizio economico subito dai consumatori; c) contesta il parametro relativo alla durata dell’illecito; d) la sussistenza della recidiva; e) insiste nel rilevare che le pratiche commerciali in oggetto sono state interamente ideate e realizzate da ID., senza il coinvolgimento dell’appellante, che, al più può vedersi coinvolto nel presente procedimento per il suo ruolo di mero segnalatore.
4.1 – Le censura deve trovare parziale accoglimento.
Ai sensi dell’articolo 27, comma 9, del Codice del Consumo, nel testo applicabile ratione temporis, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 5.000.000 di euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.
Inoltre, l’art. 27, comma 13, del Codice del Consumo richiama espressamente le previsioni di cui al capo I, sezione I della legge 689/1981, in materia di sanzioni amministrative. L’art. 11 della citata fonte normativa, in particolare, stabilisce che nella determinazione del quantum della sanzione all’interno della cornice edittale debba aversi riguardo “alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.
La contestazione dei parametri utilizzati dall’Autorità deve essere disattesa, dal momento che, contrariamente agli assunti dell’appellante, la pratica aveva assunto una diffusione particolarmente estesa, proprio grazie alla presenza capillare sul territorio degli istituti di credito coinvolti; deve ritenersi parimenti condivisibile la valutazione dell’Autorità circa la capacità economica dell’ente appellante al quale deve essere parametrata la sanzione; il numero ed il contenuto delle segnalazioni acquisite dall’Autorità depongono nel senso della sussistenza di un effettivo pregiudizio ai consumatori, anche a prescindere dalla sua connotazione strettamente patrimoniale che, se del caso, sarà valutata in altre sedi; non risulta censurabile neppure il computo della durata dell’illecito, né la contestazione della recidiva, stante la sussistenza di un precedente provvedimento sanzionatorio.
4.2 – Appaiono invece condivisibili gli ulteriori rilievi dell’appellante.
Come già rilevato, è indubbia la sussistenza della responsabilità della Banca, che non ha svolto il ruolo di mero segnalatore. Tuttavia, è altrettanto pacifico che il meccanismo nel quale si è concretizzata la pratica illecita sanzionata è stato ideato ed implementato dalle società di vendita dei diamanti, le quali hanno altresì predisposto la relativa documentazione e che si ponevano quali controparti dirette nella compravendita dei preziosi.
Il ruolo della Banca assume, invece, una valenza meno marcata rispetto a quello della società di vendita, essendosi risolto nell’agevolare la vendita dei preziosi (e, come già detto, per tale ragione la stessa è stata giustamente sanzionata).
Ai fini sanzionatori, il contributo, illecito ma comunque secondario, della banca non pare poter giustificare l’applicazione di una sanzione prossima al massimo edittale e quasi doppia a quella inflitta alla società di vendita, che è l’autrice principale dell’illecito, e ciò anche tenuto conto degli ulteriori parametri valorizzati dall’Autorità ed innanzi ricordati.
In tali termini, la sanzione inflitta all’appellante risulta irragionevole rispetto alla responsabilità alla stessa effettivamente ascrivibile, tenuto conto della sanzione, di gran lunga inferiore, inflitta all’autore principale dell’illecito.
Alla luce di tali considerazioni, ciò che risulta violato è il principio di proporzionalità nella modulazione dell’entità della sanzione; ne consegue che la sanzione deve essere ridotta del 30% rispetto a quella complessivamente irrogata.
5 – L’esito della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta accoglie in parte l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie – limitatamente alla determinazione dell’importo della sanzione e nei sensi di cui in motivazione – il ricorso di primo grado.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Andrea Pannone – Presidente FF
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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