cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II
sentenza 7 febbraio 2014, n. 2858

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente
Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere
Dott. BIANCHINI Luisa – Consigliere
Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2208-2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS) in proprio e in qualita’ di erede della Sig.ra (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5298/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- (OMISSIS) esponeva che: aveva acquistato da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) un locale negozio della superficie calpestabile di mq. 100, di cui soltanto la porzione di mq. 35, censita in catasto come bottega, era risultata destinabile ad esercizio commerciale all’esito di lavori effettuati dall’istante;
aveva presentato domanda di condono, sostenendo la spesa di lire 12.744.270 per ottenere la regolare destinazione a negozio di mq. 80.
Pertanto, l’istante conveniva in giudizio i predetti davanti al tribunale di Roma, chiedendo il risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni contrattuali ovvero delle spese sostenute per rendere l’immobile conforme alla destinazione di uso dichiarata dai venditori oltre al lucro cessante.
Si costituivano i convenuti, i quali eccepivano la decadenza e la prescrizione dell’azione ex articolo 1495 cod. civ.; nel merito, chiedevano il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 7765/03 il tribunale – ritenuta la responsabilita’ ex articolo 2043 cod. civ. dei convenuti – li condannava al risarcimento dei danni nella misura di 9.296,22 per spese e euro 20658,20 per lucro cessante.
Con sentenza dep. il 30 novembre 2006 la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione impugnata dai convenuti con appello principale e dall’attore con quello incidentale, rigettava la domanda proposta da quest’ultimo.
In accoglimento del primo motivo dell’impugnazione principale, i Giudici ritenevano la violazione da parte del tribunale dell’articolo 112 cod. proc. civ. per avere fondato l’accoglimento della domanda sulla responsabilita’ ex articolo 2043 cod. civ., quando l’attore aveva chiesto il risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto intercorso fra le parti.
Nell’esaminare l’appello incidentale con il quale l’attore a sua volta aveva denunciato l’omessa pronuncia in ordine alla domanda fondata sulla responsabilita’ contrattuale, la sentenza rigettava la domanda sul rilievo che l’azione era prescritta ai sensi dell’articolo 1495 cod. civ., dovendo trovare applicazione tale norma alla specie in cui in sostanza era denunciata e accertata la mancanza delle qualita’ promesse del bene alienato e non, come invece sostenuto dall’attore, l’ipotesi dell’aliud pro alio, configurabile anche nel caso in cui il bene sia privo della capacita’ di soddisfare i bisogni dell’acquirente. Infatti, il locale ad uso bottega rientrava nella categoria catastale C1, che corrisponde ai negozi e botteghe, e dal certificato catastale risultava la superficie di mq. 50, mentre d’altra parte ottenne la licenza per l’attivita’ commerciale per una superficie ridotta di mq. 35: pertanto, l’immobile era destinabile ad attivita’ commerciale seppure in misura ridotta, avendo rilevato che la mancanza di autorizzazione alla fogna era un ostacolo agevolmente rimuovibile (di fatti rimosso) e che la licenza edilizia non era necessaria, trattandosi di immobile costruito nel 1920.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di tre motivi. Resistono con controricorso gli intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che, a stregua dei principi al riguardo elaborati dalla S.C., avrebbe erroneamente ritenuto la violazione da parte del giudice di primo grado della norma di cui all’articolo 112 citato.
2.- Il motivo va disatteso.
La sentenza ha correttamente ritenuto che quella promossa dall’attore era un’azione di inadempimento contrattuale, posto che – a stregua dei fatti allegati a fondamento della domanda (causa petendi) – era stata dedotta la violazione delle obbligazioni derivanti dal contratto di compravendita intercorso fra le parti ovvero la non conformita’ delle caratteristiche del bene consegnato rispetto a quello pattuito, di guisa che correttamente la Corte di appello ha ritenuto la violazione da parte del giudice di primo grado del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato per avere accolto la domanda in base a una causa petendi diversa (illecito extracontrattuale ex articolo 2043 cod. civ.) da quella azionata.
3.- Il secondo motivo, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo, censura la sentenza impugnata che non aveva considerato la circostanza, accertata nel corso del giudizio, che l’immobile alienato era privo del certificato di abitabilita’, previsto anche per gli immobili destinati a uso diverso da di abitazione, secondo quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 425 del 1994 di guisa che si configurava l’ipotesi dell’aliud pro alio.
4.- Il motivo e’ infondato.
Secondo quanto accertato dai Giudici l’immobile in oggetto era stato edificato prima del 1920 per cui non trovavano applicazione ne’ il testo unico delle leggi sanitarie di cui al Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 che aveva previsto il certificato di abitabilita’ per le nuove costruzioni (articoli 220 e 221) ne’ la legge urbanistica del 17-8-1942 n.1150 che aveva introdotto la licenza edilizia.
5.- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli articolo 1476 e 1490 cod. civ. e conseguente inapplicabilita’ dei termini di decadenza e prescrizione di cui all’articolo 1495 cod. civ., censura la sentenza la quale, nell’escludere l’ipotesi dell’aliud pro alio, non aveva ritenuto che il bene de quo fosse inidoneo ad assolvere la funzione economico sociale, tenuto conto che il bene era privo delle qualita’ essenziali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente ovvero di rendere possibile la destinazione alla quale il compratore intendeva adibirla: il ricorrente aveva acquistato un locale commerciale per utilizzare la totalita’ della superficie calpestabile e destinarla a tale finalita’ per fini commerciali; soltanto sostenendo tutti i relativi oneri, aveva potuto regolarizzare la posizione dell’immobile adibendo l’intera superficie del locale ad area commerciale.
6.- Il motivo e’ infondato.
In tema di vendita e’ configurabile la consegna di “aliud pro alio” non solo quando la cosa consegnata e’ completamente difforme da quella contrattata, appartenendo ad un genere del tutto diverso, ma anche quando e’ assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente, o abbia difetti che la rendano inservibile, ovvero risulti compromessa la destinazione del bene all’uso che abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto. Nella specie, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, l’immobile era idoneo ad essere usato per la destinazione (negozio) pattuita, seppure per dimensioni ridotte rispetto alla superfice dell’immobile: il che esclude l’assoluta inidoneita’ del bene ad essere adibito all’uso per il quale era stato acquistato, essendo nella specie configurabile piuttosto un minore sfruttamento dell’immobile suscettibile eventualmente di azione di risarcimento del danno derivante dalla mancanza delle qualita’ promesse (articolo 1497 cod. civ.), che pero’ soggiace ai termini di prescrizione e di decadenza prescritti dall’articolo 1495 cod. civ.; addirittura, a stregua di quanto ancora affermato dal ricorrente, e’ stato possibile adeguare l’immobile ed ottenere le necessarie licenze per rendere l’immobile utilizzabile per l’intera superficie sfruttabile: gli oneri sostenuti avrebbero potuto assumere rilevanza sempre sotto il profilo risarcitorio di cui si e’ detto. Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 2.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre accessori di legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *