Testa di legno

Suprema Corte di Cassazione

sezione V
sentenza 6 marzo 2014, n. 10893

Ritenuto in fatto

Il difensore di C.D’I. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata nei confronti del suddetto imputato dal Tribunale di Teramo il 14/06/2007; i fatti si riferiscono al fallimento della Geo Progect s.r.l., dichiarato nel 2002, società di cui il D’I. era stato amministratore unico. In primo grado il prevenuto era stato condannato alla pena di anni 2 di reclusione (oltre a pene accessorie di legge e con il beneficio della sospensione condizionale), in ordine all’addebito di bancarotta fraudolenta documentale, per avere sottratto le scritture contabili o comunque per averle tenute in modo tale da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari dell’impresa; all’esito del giudizio di appello veniva riconosciuta al D’I. l’attenuante di cui all’art. 219, comma terzo, legge fall., con conseguente riduzione della pena ad anni 1 e mesi 4 di reclusione.
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta:
1. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 216 legge fall.
Nell’interesse del ricorrente si segnala che da un lato viene addebitato al D’I. di non avere tenuto le scritture di cui alla rubrica, dall’altro viene esclusa la prova di un danno concreto per i creditori (tanto da riconoscere l’attenuante speciale sopra ricordata): a riguardo, il difensore evidenzia la necessità «che il danno, rappresentato dalla impossibilità di ricostruire il patrimonio dei fallito, si concretizzi effettivamente. Se danno non v’è, perché comunque il patrimonio è facilmente ricostruibile o viene facilmente ricostruito, non ricorre il reato». Inoltre, si rappresenta che l’ipotizzata condotta di sottrazione dei libri contabili non avrebbe comunque trovato alcun riscontro concreto, dovendosi tenere presente che le risultanze processuali avevano fatto emergere che a gestire la ditta erano in effetti persone diverse dall’imputato, all’epoca dei fatti appena 22enne
2. carenza di motivazione, nonché inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 216 legge fall.
Secondo la difesa, la mera consapevolezza dell’imputato circa la tenuta irregolare delle scritture non dovrebbe intendersi sufficiente per ritenere provato l’elemento soggettivo dei delitto contestato (dal momento che per la bancarotta fraudolenta documentale si richiede comunque il dolo, per quanto generico), mentre la mancanza dei libri contabili comporta in linea di principio la configurabilità di un addebito di bancarotta semplice. A riguardo, il ricorrente evidenzia che «il profilo oggettivo della responsabilità dell’amministratore di diritto può essere certamente ancorato all’art. 40 cod. pen., ma il profilo soggettivo della sua responsabilità va accertato caso per caso, valutando il significato probatorio dell’intero contesto della sua azione […], accertando se l’amministratore di diritto era consapevole delle altrui pratiche sottrattive e delle finalità ulteriori perseguite con tali condotte, ovvero semplicemente avesse accettato il rischio – omettendo ogni controllo – che l’amministratore di fatto sottraesse i libri contabili»; secondo la difesa, l’amministratore di diritto sarebbe «garante del bene giuridico penalmente tutelato dagli artt. 216 e 217 della legge fallimentare», ma egli potrebbe rispondere del reato commesso dall’amministratore di fatto solo una volta acquisita prova certa del dolo, ponendosi conseguentemente un problema di «compatibilità del dolo eventuale con il dolo specifico, id est se il dolo eventuale possa essere solo generico (e cioè la mera accettazione del rischio che si verifichi un determinato evento), ovvero se possa caratterizzare anche un reato di dolo specifico». Problema che, in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità, non potrebbe che meritare soluzione negativa.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Va innanzi tutto chiarito che nel capo d’imputazione l’ipotesi della sottrazione delle scritture contabili (in ordine alla quale, in effetti, sarebbe stata necessaria la prova di un dolo specifico) non è presa in considerazione come unica modalità della condotta contestata, giacché al D’I. si addebita “comunque” di avere tenuto le scritture de quibus in modo da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari della Geo Progect s.r.l.: e questa è, all’esito del processo di primo grado, la condotta di cui il Tribunale di Teramo ritenne fosse stata raggiunta la prova, stando a quanto si legge già a pag. 1 della sentenza emessa il 14/06/2007. I giudici di prime cure rilevarono che l’imputato, nella veste di amministratore unico della predetta società, aveva «sostanzialmente omesso di tenere, dal 1997 in poi, i libri e le scritture contabili obbligatorie», precisando subito dopo che la documentazione era stata regolarmente tenuta ed aggiornata solo nel primo anno di vita della Geo Progect, quando peraltro l’amministratore era persona diversa dal D’I.: in seguito, malgrado la società risultasse avere operato fino a pochi mesi prima del fallimento, era stato possibile rinvenire soltanto documenti “sporadici” (tra cui alcune fatture emesse, quasi nessuna di acquisto, ed un libro giornale in bianco).
Ergo, come peraltro lo stesso ricorrente si premura di segnalare illustrando le peculiarità del delitto in rubrica, l’elemento soggettivo richiesto ai fini della ravvisabilità della bancarotta fraudolenta documentale – per omessa tenuta, e non già per sottrazione, delle scritture contabili – si limita al dolo generico, ed a nulla rilevano le digressioni su cui il ricorso si sofferma, con qualche confusione concettuale, in tema di rapporti fra dolo eventuale e specifico.
A questo punto, non è chi non veda come una contabilità sostanzialmente inesistente, parzialmente aggiornata solo fin tanto che amministratore formale della società non era il D’I., costituisca ipso facto fattore ostativo alla ricostruzione della consistenza patrimoniale dell’impresa e derivi da una scelta consapevole del soggetto preposto alla gestione: non si ravvisano contraddittorietà di sorta, peraltro, nell’affermazione dei giudici di merito secondo cui non emergerebbe la prova effettiva di un danno subito dai creditori (da riferire evidentemente alla mancata contestazione di condotte distrattive), né può assumere rilievo la circostanza che l’amministratore di diritto di una società possa o meno intendersi titolare di una posizione di garanzia in ordine ad eventuali condotte criminose di un amministratore di fatto.
La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affermare che, nei confronti di una presunta “testa di legno” (peraltro, nel caso di specie, non risulta in alcun modo dimostrato che il D’I. meritasse tale qualifica) non può trovare «automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto»; tuttavia, ciò vale soltanto per i casi di bancarotta fraudolenta per distrazione, «mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita […], atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture» (Cass., Sez. V, n. 19049 del 19/02/2010, Succi, Rv 247251).
2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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