Cassazione 15

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 30 ottobre 2015, n. 22301

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6265/2011 proposto da:

(OMISSIS) SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 516/2010 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 02/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2015 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensori dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con sentenza in data 23-4-2007 il Tribunale di Fermo, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti della s.r.l. (OMISSIS), dichiarava risolto per inadempimento di quest’ultima il contratto di compravendita stipulato con l’attore ed avente ad oggetto la fornitura di tessuto destinato alla fabbricazione di tomaie, ritenendo, sulla scorta delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo e della consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa, che i predetti materiali fossero assolutamente inidonei all’uso contrattualmente stabilito, essendo privi delle caratteristiche minime di accettabilita’ (le tomaie, realizzate con il tessuto fornito dal venditore, tendevano a lacerarsi nel giro di pochi giorni). Nella specie, secondo il giudice di primo grado, si configurava l’ipotesi dell’aliud pro alio, anziche’ la semplice ipotesi di vizi della cosa venduta; con la conseguenza che doveva ritenersi superata ogni questione relativa alla eventuale decadenza dell’azione per vizi per la mancanza di una tempestiva denuncia, o alla eventuale prescrizione breve ex articolo 1495 c.c., potendo invece operare solo il normale termine prescrizionale. Con la stessa sentenza il Tribunale condannava la convenuta al risarcimento del danno in favore dell’attrice, quantificati in euro 16.005,00 ed inteso come limitato al valore della merce restituita ed alle spese di restituzione, oltre che di ATP, con esclusione invece del maggior danno preteso dall’attore per discredito commerciale, ritenuto non provato.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la s.r.l. (OMISSIS) e appello incidentale (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), titolare della ditta ” (OMISSIS)”.

Con sentenza in data 2-9-2010 la Corte di Appello di Ancona rigettava il gravame principale; in accoglimento dell’appello incidentale, condannava la convenuta al pagamento in favore degli eredi (OMISSIS) dell’ulteriore somma di euro 10.000,00, oltre interessi legali dalla data di tale pronuncia, a titolo di risarcimento del danno da discredito commerciale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la s.r.l. (OMISSIS), sulla base di sei motivi.

(OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), titolare della ditta ” (OMISSIS)”, hanno resistito con controricorso.

In prossimita’ dell’udienza le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte di Appello, nel ritenere certo che la merce resa era stata fabbricata con il tessuto fabbricato dalla s.r.l. (OMISSIS), non ha tenuto conto delle gravi incertezze emerse al riguardo in sede di ATP e di CTU.

Il motivo e’ privo di fondamento.

La Corte di Appello ha motivatamente disatteso la deduzione dell’appellante, secondo cui non sarebbe stato dimostrato che i materiali esaminati in sede peritale, e ritenuti gravemente difettosi, provenissero effettivamente da una fornitura effettuata dalla s.r.l. (OMISSIS). Essa ha spiegato che tale assunto appariva di per se’ contraddittorio, dal momento che Io stesso appellante aveva affermato, in principalita’, che i materiali in questione avevano dato Luogo a difetti non dovuti alle loro caratteristiche intrinseche, bensi’ ad errore di lavorazione da parte dell’acquirente (a causa del taglio nel senso della trama anziche’ nel senso dell’ordito); il che presupponeva come ammesso e scontato che i materiali di cui trattasi fossero quelli forniti dalla societa’ appellante, e non da altri.

Si tratta di argomentazione sufficiente e congrua, che vale a sorreggere la valutazione espressa sul punto dal giudice del gravame, rendendola immune dai vizi denunciati.

2) Con il secondo motivo la ricorrente, dolendosi ancora dell’insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che il giudice di appello, nel dare per scontata l’apodittica affermazione del C.T.U. circa l’inidoneita’ del materiale fornito dalla s.r.l. (OMISSIS) ad assolvere la sua funzione, e cioe’ ad essere utilizzato per Le tomaie delle scarpe, non ha considerato che il materiale reso dall’attore rappresenta una minima parte del materiale fornito dal (OMISSIS) ai propri clienti e del quantitativo di tessuto acquistato dalla ditta (OMISSIS), che e’ servito per fabbricare circa 5.500 paia di scarpe.

Il motivo deve essere disatteso, proponendo meri assunti in fatto, basati su una elencazione riassuntiva del quantitativo di tessuto asseritamente fornito e reso, senza nemmeno specificare se i dati esposti siano stati desunti da documenti ritualmente prodotti nel corso del giudizio di merito.

3) Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 e 1490 c.c.. Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, nella specie non ricorre un’ipotesi di aliud pro alio, non potendosi parlare ne’ di cosa di genere diverso ne’ di cosa totalmente inservibile ne’ di inidoneita’ della stessa ad assolvere la sua funzione economico-sociale, in quanto il tessuto e’ stato utilizzato per fabbricare scarpe e il (OMISSIS) ha contestato un minimo quantitativo di merce rispetto alle paia di scarpe vendute e di quelle realizzate con il quantitativo di tessuto acquistato.

Il motivo e’ infondato.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di compravendita, vizi redibitori e mancanza di qualita’ (le cui relative azioni sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione ex articolo 1495 c.c.) si distinguono dall’ipotesi della consegna di aliud pro alio – che da luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale svincolata dai termini e dalle condizioni di cui al citato articolo 1495 c.c. -, la quale ricorre quando la diversita’ tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualita’, consistenza e destinazione di quest’ultima, si’ da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziali dalle parti (c.d. inidoneita’ ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie dei tutto diversa da quella dedotta in contratto (Cass. 19-12-2013 n. 28419; Cass. n. 10916 del 2011; Cass. n. 26953 del 2008; Cass. n. 9227 del 2005, Cass. n. 13925 del 2002; Cass. n. 2712 del 1999).

Lo stabilire se si versi in tema di consegna di aliud pro alio o di cosa mancante di qualita’, di cosa affetta da vizi redibitori, involge un giudizio di fatto devoluto al giudice del merito: pertanto, in sede di legittimita’, il controllo della Corte deve limitarsi a stabilire se il giudice di appello, nell’esprimere il proprio giudizio di fatto, si sia attenuto ad un corretto criterio di distinzione tra le accennate diverse ipotesi (Cass. 19-12-2013 n. 28419).

Nella specie, la Corte di Appello, nel ritenere che non si era in presenza di un vizio della cosa venduta, ma di un’ipotesi di vendita di aliud pro alio, non si e’ discostata dagli enunciati principi, avendo accertato, con motivazione immune da vizi logici, basata sulle risultanze delle indagini tecniche esperite, la radicale ed assoluta inidoneita’ dei tessuti forniti dalla ditta (OMISSIS), per la loro intrinseca struttura, ad essere utilizzati per l’uso contrattuale convenuto, cioe’ la fabbricazione delle tomaie; tant’e’ che, come evidenziato in sentenza, le tomaie stesse, per la intrinseca incompatibilita’ con le sollecitazioni flessive caratteristiche dell’uso delle calzature, si laceravano in pochi giorni.

4) Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1495 c.c., sostiene che il giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto irrilevante la prova testimoniale articolata dalla convenuta, dapprima ammessa e poi revocata, volta a dimostrare il mancato rispetto dei termini di prescrizione e di decadenza.

Il quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., e articolo 1224 c.c., per avere il Tribunale, in assenza di prova, quantificato in euro 24.914,60 il danno per calzature rese e in lire 5.000.000 le spese di spedizione, e riconosciuto il risarcimento del maggior danno ex articolo 1224 c.c..

Entrambi i motivi sono inammissibili, in quanto le censure mosse investono le statuizioni adottate dal Tribunale e non quelle rese dal giudice di appello.

Con il ricorso per cassazione, infatti, non possono essere proposte censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado, anziche’ contro quella di appello, che costituiscono l’unico oggetto del giudizio di legittimita’ (cfr. Cass. 21-3-2014 n. 6733; Cass. 15-3-2006 n. 5637; Cass. 20-6-1996 n. 5714).

5) Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 1226 c.c., e la mancanza di motivazione, per avere la Corte di Appello liquidato in via equitativa il danno da discredito commerciale in euro 10.000,00, in assenza di prova dell’esistenza di tale danno.

Anche tale motivo non e’ meritevole di accoglimento.

La Corte di Appello ha ritenuto certa l’esistenza dei danno da discredito commerciale sulla base di argomenti logici, legati al notorio ed all'”id quod plerumque accidit”, spiegando, con motivazione sufficiente e non incongruente, che la commercializzazione di prodotti radicalmente inidonei alla usuale funzione delle calzature (le tomaie si rompevano in pochi giorni), quale conseguenza dell’impiego di tessuti assolutamente inadatti alla funzione della tomaia, non poteva non determinare un grave discredito commerciale del calzaturificio (OMISSIS) di fronte alla propria clientela e di fronte a segmenti di mercato in fase di acquisizione; discredito (con conseguente necessita’ di cambiare il marchio) che, pertanto, ha sentenza impugnata ha ritenuto in rapporto di causa-effetto con la disfunzionalita’ del prodotto fornito dalla ditta (OMISSIS).

Il giudice del gravame ha altresi’ fornito adeguata giustificazione dei parametri utilizzati nella quantificazione del danno in questione in via equitativa in euro 10.000,00, avendo tenuto conto del volume di affari attuale e virtuale della ditta acquirente e della colpa concorrente, ex articolo 1227 c.c., di quest’ultima, che avrebbe potuto accorgersi per tempo delle radicali deficienze qualitative del materiale fornito, ed astenersi dal commercializzare i prodotti realizzati con quel materiale.

Si tratta di apprezzamenti in fatto che, in quanto sorretti da argomentazioni immuni da vizi logici, si sottraggono al sindacato di questa Corte.

E, in realta’, le deduzioni svolte dalla ricorrente per negare la configurabilita’ di un danno da discredito commerciale subito dalla controparte, attraverso la formale denuncia di violazione di legge e di vizi di motivazione, si risolvono in sostanziali censure di merito, che mirano ad ottenere, sul punto, una diversa e piu’ favorevole valutazione delle risultanze probatorie rispetto a quella compiuta dal giudice territoriale. In tal modo, peraltro, viene sollecitato a questa Corte l’esercizio di poteri di cognizione che non le competono, rientrando nei compiti istituzionali del giudice di merito l’accertamento dei fatti oggetto della controversia e la valutazione delle prove.

6) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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