Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 15 ottobre 2015, n. 20809

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. MANNA Felice – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1533/2014 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1497/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del 26/07/2013, depositata il 01/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato (OMISSIS), per delega dell’Avv.to (OMISSIS), che chiede l’accoglimento del ricorso.

 

FATTO E DIRITTO

 

Rilevato che il Consigliere designato, Dott. A. Scalisi, ha depositato ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., la seguente proposta di definizione del giudizio: “Preso atto che con ricorso del 16 gennaio 2014, (OMISSIS) chiedeva l’annullamento della sentenza n. 1497 del 2013 della Corte di appello di Firenze riformava la sentenza del Tribunale di Siena n. 328 del 2006. In particolare, (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) al fine di sentire dichiarare la risoluzione del contratto stipulato tra gli stessi con cui nell’anno 1995 aveva acquistato la proprieta’ (insieme ad altre opere d’arte) un quadro firmato dal maestro (OMISSIS), intitolato senza propaganda, datato 1963, per il valore di lire 50.000.000, che il convenuto le aveva ceduto a titolo di datio in solutum, per essere tale dipinto falso (come emerso dal fatto che la (OMISSIS) le aveva negato la certificazione di autenticita’) e chiedeva, altresi’, la conseguente condanna del convenuto alla restituzione del prezzo, nonche’, al risarcimento dei danni nella misura del valore che l’opera avrebbe acquistato nel tempo se autentica. Il (OMISSIS), costituendosi in giudizio, negava la falsita’, salvo ammettere che, semmai, non vi era certezza sulla data “come ben noto a chi minimamente conosceva l’opera ed il percorso artistico di (OMISSIS), e comunque eccepiva la prescrizione. Il CTU, nominato in corso di causa, affermava che l’opera era autentica ma retrodatata, cosa che abitualmente negli anni 70 faceva (OMISSIS), per motivazioni economiche e personali, e che, pertanto, essa invece di valere euro 80 – 100 come se fosse stata effettivamente del 1963 ne poteva valere (all’epoca della CTU, 2004) euro. 20- 25.000. Secondo al Corte di appello di Firenze, alla luce della casistica giurisprudenziale il caso di specie risultava indubbiamente piu’ facilmente inquadrabile nell’ipotesi di mancanza di qualita’ essenziali che in quella di aliud pro alio che e’ stata ritenuta ricorrere in giurisprudenza, solo per l’opera d’arte totalmente falsa, ossia attribuita ad artista che, in realta’, non ne e’ stato l’autore.

La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta da (OMISSIS), per un solo motivo. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Considerato che:

1.- Con l’unico motivo di ricorso (OMISSIS) lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1453 c.c. e ss., articoli 1490, 1495 e 1497 c.c., in relazione al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 1, comma 2, e articolo 2, comma 2, (articolo 360 c.p.c., n. 3). Secondo la ricorrente, stando al Decreto Legislativo 42 del 2004, articolo 2, comma 2, l’opera d’arte come ogni altro bene culturale, quale testimonianza avente valore di civilta’, concorre a preservare la memoria della comunita’ nazionale per come si e’ storicamente sviluppata. In particolare, un dipinto ha un suo significato storico in quanto documenta lo sviluppo dell’autore nei suoi rapporti con la societa’. In questo senso, come apparirebbe evidente, sempre secondo la ricorrente, la retrodatazione altererebbe tali rapporti e, quindi, priverebbe l’opera del suo preciso significato storico ed artistico. Pertanto, avendo la (OMISSIS) acquistato un’opera datata agli anni 60, mentre, in realta’, era stata eseguita almeno dieci anni dopo, avrebbe acquistato una cosa identitariamente diversa da quella convenuta e la vendita doveva essere, percio’, risolta ai sensi dell’articolo 1453 c.c. e ss., e non ai sensi dell’articolo 1490 c.c. e ss..

1.1.- Il motivo e’ infondato.

Premesso che l’accertamento del vizio o difetto del bene compravenduto, al pari della sua qualificazione e della sua diretta incidenza sull’assetto degli interessi determinato dal regolamento contrattuale, costituiscono materia di indagine e di valutazione del giudice di merito, le cui conclusioni possono essere censurate nel giudizio di Cassazione soltanto per violazione delle norme di legge e per insufficienza ed incongruita’ della motivazione, si ritiene che, nel caso di specie, la Corte di merito abbia fatto un uso corretto ed esatto dei principi e delle disposizioni di legge applicabili nel caso concreto. In particolare, cio’ deve dirsi con riguardo alla identificazione dell’esatto contenuto della nozione giuridica di vendita aliud pro alio, che costituisce la figura invocata da (OMISSIS) e sulla cui ricorrenza essa incentra il presente motivo di ricorso, la cui presenza e’ stata esclusa dalla Corte di merito sulla base del rilievo che il difetto riscontrato, consistente nella retrodatazione, integrerebbe gli estremi di un’ipotesi di mancanza di qualita’ essenziali. Il ragionamento cosi’ come svolto dalla Corte Territoriale e’ senz’altro corretto e condivisibile. Invero, il criterio di distinzione tra cosa viziata o priva di qualita’ promesse, puo’ essere colto nella considerazione che si ha diversita’ radicale della cosa data rispetto a quella dovuta quando tale diversita’ e’ di importanza fondamentale e determinante nell’economia del contratto, sia perche’ la cosa appartiene ad un genere del tutto diverso, sia in quanto essa si presenta priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente (Cass. n. 9227 del 2005; n. 18757 del 2004). Nel caso di specie, la Corte Territoriale, con un ragionamento immune da vizi logici, e compiutamente motivato nel suo rapporto tra premesse e conclusioni, ha ritenuto che il bene trasferito non era una cosa radicalmente diversa posto che il quadro in questione essendo effettivamente opera dell’autore che lo ha firmato ha un valore sul mercato ancorche’ inferiore a quello stimato dalle parti al momento del trasferimento.

La decisione gravata ha quindi fatto corretta e puntuale applicazione dei principi sopra enunciati in materia di vendita aliud pro alio. Essa, pertanto, si sottrae alle censure che le sono state rivolte, le quali vanno respinte. Pertanto, si propone il rigetto del ricorso”.

In prossimita’ dell’udienza pubblica (OMISSIS) ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

Il Collegio, letta la memoria della ricorrente, condivide argomenti e proposte contenute nella relazione ex articolo 380 bis c.p.c., rilevando che le osservazioni espresse dalla ricorrente con la memoria depositata in prossimita’ della camera di consiglio non consentono di superare le argomentazioni di cui alla relazione.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex articolo 91 c.p.c., condannata al pagamento delle spese del presente giudizio che verranno liquidate con il dispositivo.

Il Collegio, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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