Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 26 novembre 2015, n. 24144

Svolgimento del processo

Con citazione del 3/12-7-1994 P.R. conveniva dinanzi al Tribunale di Nicosia R.C., S.F. e S.S., quali eredi di S.P., affermando che con due scritture private non autenticate, redatte il 25-6-1984 e il 28-10-1985, S.P. gli aveva alienato due appezzamenti di terreno, e che alcune delle particelle oggetto della scrittura del 28-10-1985 erano cointestate a S.P. e al figlio S.S.. L’attore chiedeva, pertanto, che venisse accertata la validità ed efficacia dei due contratti e il conseguente acquisto del diritto dominicale, con ordine al Conservatore di procedere alla trascrizione dei titoli, e che venisse dichiarata non dovuta la residua somma di lire 3.000.000 prevista in contratto quale parte del prezzo.
Si costituiva soltanto S.S., contestando la fondatezza della domanda e chiedendo in via riconvenzionale la divisione della parte di fondo comune al genitore alienante.
Con sentenza in data 12-2-1997 il Tribunale adito dichiarava il P. proprietario esclusivo dei fondi; ordinava al Conservatore dei Registri Immobiliari di trascrivere i due contratti; condannava il P. al pagamento della somma di lire 3.000.000 quale residuo prezzo delle compravendite, oltre agli interessi dalla domanda;
dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale di divisione.
Avverso la predetta decisione proponeva appello S.S..
Con sentenza in data 31-3-2000 la Corte di Appello di Caltanissetta rigettava il gravame e dichiarava inammissibile, in quanto nuova, la domanda di interessi compensativi sulla somma di lire 3.000.000, avanzata da S.S..
Quest’ultimo ricorreva per cassazione, deducendo che la Corte di Appello aveva posto a fondamento della decisione il rogito del 1-8-1986, che non era stato ritualmente prodotto in giudizio e che, comunque, nulla dimostrava in ordine alla proprietà esclusiva in capo a S.P. dei terreni da questi venduti al P..
Con sentenza in data 21-1-2004 la Corte di Cassazione, accogliendo il motivo relativo alla non rituale produzione del documento di cui sopra, cassava per quanto di ragione la sentenza impugnata, con rinvio anche per le spese alla Corte di Appello di Catania.
A seguito della riassunzione del giudizio ad opera di S.S. , con sentenza in data 7-1-2009 la Corte di Appello di Catania, pronunciando quale giudice di rinvio, rigettava l’appello, confermando la sentenza resa dal Tribunale di Nicosia in data 12-2-1997 e disponendo la correzione dell’errore materiale relativo alla indicazione della particella catastale. La Corte territoriale, nel premettere che, alla luce di quanto statuito dalla Corte di Cassazione, ai fini della decisione si doveva prescindere dal rogito del 1-8-1986, e nel far presente che lo stesso attore aveva dato atto nella citazione introduttiva che l’immobile vendutogli da S.P. apparteneva in comproprietà al figlio S.S. , rilevava che nel caso in esame si verteva in un’ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui; fattispecie che produce immediati effetti traslativi per la parte soggetta al potere di disposizione dell’alienante, ed ha effetti obbligatori per la quota relativa ai diritti altrui, ai sensi dell’art. 1478 c.c.. Orbene, secondo il giudice del gravame, poiché la fattispecie acquisitiva automatica prevista nel capoverso dell’art. 1478 c.c. – secondo cui nell’ipotesi di vendita di cosa altrui il compratore ne diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa – si verifica in tutti i casi nei quali vengano a coincidere nello stesso soggetto, successivamente alla vendita, la posizione di venditore e quella di proprietario della cosa venduta, nella specie la pacifica qualità di S.S. di unico erede di S.P. aveva comportato il trasferimento in capo al primo dell’obbligazione ex art. 1478 comma 1 c.c. contratta dal secondo e il conseguente trasferimento automatico in favore del P. anche della proprietà della quota indivisa del terreno che in origine era di proprietà dell’appellante.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.S., sulla base di due motivi.
P.C., S., P., Sa., F. e M.R., quali eredi di P.R., hanno resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a un unico motivo.
In prossimità dell’udienza del 27-2-2015 il ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
Nella predetta udienza la Corte ha dato termine al ricorrente per la rinotifica del ricorso a S.F. e agli eredi di R.C..

Motivi della decisione

1) Preliminarmente va revocata l’ordinanza con cui è stata disposta la rinotifica del ricorso a R.C. , evincendosi dalla documentazione prodotta dal ricorrente che quest’ultima ha rinunciato all’eredità del coniuge S.P. sin da epoca anteriore alla instaurazione del presente giudizio.
2) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 565 e 1478 c.c., nonché l’insufficiente motivazione. Deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto che l’acquisto automatico della proprietà previsto dal capoverso dell’art. 1478 c.c. si verifichi anche nell’ipotesi, ricorrente nel caso in esame, in cui il terzo proprietario del bene (o di quota indivisa di esso) oggetto dell’alienazione divenga erede dell’alienante obbligato a procurare all’altro contraente l’acquisto della proprietà del bene. Sostiene, inoltre, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’estensione di un obbligo di fare nei confronti del successore a titolo universale va esclusa ove si tratti di un fare infungibile, qual è quello concernente l’acquisto di una quota indivisa di un appezzamento di terreno.
Rileva ulteriormente che la disposizione dettata dall’art. 1478 c.c. in tema di vendita di cosa altrui non opera nel caso in cui il compratore, al momento del contratto, abbia ignorato che la cosa non era di proprietà del venditore, e che, nella specie, la scrittura privata di compravendita non contiene alcun elemento da cui possa desumersi che il compratore fosse a conoscenza che uno degli appezzamenti venduti era parzialmente di proprietà altrui.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte avuto modo di affermare che l’ipotesi di vendita di cosa solo parzialmente altrui si configura esclusivamente sulla base della situazione oggettiva della res alienata al momento della stipula del relativo negozio, indipendentemente dagli elementi soggettivi (come la scienza o l’ignoranza della parti al riguardo), che possono riflettersi unicamente sulle conseguenze: Per essa, ancorché la cosa venduta appartenga per quote indivise al venditore e ad un terzo, trova applicazione l’art. 1478 c.c., alla cui stregua il venditore è obbligato a far conseguire al compratore la proprietà del bene, acquistandolo egli stesso dal dominus o procurando, nelle forme previste, direttamente la ratifica del suo operato da parte del dominus stesso (v. Cass. 29-3-1996 n. 2892; Cass. 26-6-1984 n. 3736; Cass. 10-3-1981 n. 1341; Cass. 24-10-1978 n. 4801). Gli elementi soggettivi, al contrario, possono riflettersi unicamente sulle conseguenze di tale situazione, che sono diverse, a seconda che il compratore sia in buona o mala fede. Nel primo caso, infatti, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto nella sua interezza, oltre a rimborsi e risarcimento, quando le circostanze del caso concreto facciano ritenere che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; nel secondo caso, invece, nell’ipotesi cioè che il compratore fosse a conoscenza del fatto che il venditore era soltanto comproprietario, il compratore può ottenere soltanto una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento dei danni (Cass. 29-3-1996 n. 2892).
Nella specie, pertanto, correttamente la Corte di Appello, avendo dato atto che i beni alienati da S.P. al P. appartenevano in comproprietà al figlio S.S. , ha ritenuto applicabile la disposizione prevista dall’art. 1478 c.c., a nulla rilevando se, al momento della stipula del contratto di vendita, l’acquirente fosse o meno a conoscenza della parziale altruità dei beni vendutigli.
Sotto altro profilo, si rileva che la fattispecie acquisitiva prevista nel capoverso dell’art. 1478 c.c. – secondo cui nell’ipotesi di vendita di cosa altrui il compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore acquista la proprietà dal titolare di essa- si verifica in tutti i casi nei quali vengano a coincidere nello stesso soggetto, successivamente alla vendita, la posizione di venditore e quella di proprietario della cosa venduta, e non solo nel caso in cui tale coincidenza si verifichi in forza del successivo acquisto, per atto inter vivos, da parte del venditore, della proprietà della cosa venduta, non potendo giustificarsi in alcun modo il diverso trattamento dell’obbligato a seconda della via attraverso la quale la coincidenza predetta sia venuta in concreto a realizzarsi (nella specie il venditore, proprietario soltanto pro quota della cosa venduta, ne era divenuto intero proprietario per successione ereditaria dal comproprietario) (Cass. 24-10-1978 n. 4801).
Nel caso in esame, pertanto, avendo la Corte di Appello accertato che, a seguito del decesso del venditore S.P. , al medesimo è succeduto, quale unico erede, il figlio Sa. , comproprietario dell’immobile alienato al P. , appare immune da censure l’affermazione secondo cui, in forza della successione ereditaria, si è venuta a realizzare quella piena coincidenza della posizione di venditore e di proprietario della cosa venduta, che, ai sensi del citato art. 1478 c.c., comporta l’acquisto della proprietà del bene in capo al compratore.
Privo di pregio, d’altro canto, si palesa l’assunto del ricorrente, secondo cui l’obbligazione nascente dall’art. 1478 c.c., avendo ad oggetto un fare infungibile, non sarebbe trasmissibile all’erede.
Va osservato, al riguardo, che non ogni obbligazione di fare ha carattere personale e non è trasmissibile agli eredi, dovendosi escludere la trasmissione solo quando la prestazione dovuta sia collegata indissolubilmente con la persona dell’obbligato, come nelle obbligazioni personalissime e in quelle dipendenti da un intuitus personae. Orbene, l’obbligazione prevista dall’art. 1478 comma 1 c.c. non ha ad oggetto una prestazione di fare collegata necessariamente e indissolubilmente con la persona dell’obbligato; sicché, costituendo una componente del patrimonio dell’obbligato, essa è senz’altro trasmissibile iure successionis.
3) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. Deduce che la Corte di Appello è incorsa nel vizio di ultrapetizione, in quanto, a fronte della domanda introduttiva proposta nei confronti dell’erede del venditore, diretta ad ottenere il riconoscimento dell’avvenuto trasferimento della proprietà alla stregua della scrittura privata di vendita, ha accolto la domanda riconducendo la relativa causa petendi agli obblighi di cui all’art. 1478 c.c., siccome trasferiti iure successionis in capo all’erede.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
Dall’esame diretto degli atti, consentito per la natura procedurale del vizio denunciato, si evince che con la citazione introduttiva il P. ha convenuto in giudizio S.S. , sia in proprio che nella qualità di erede di S.P. , per sentir dichiarare che, in virtù dei due contratti conclusi con scritture private concluse con S.P. il 25-6-1984 e 28-10-1985, l’attore “ha acquistato l’intera proprietà degli appezzamenti di terreno che ne hanno costituito oggetto”. Nella parte espositiva, l’attore aveva evidenziato che parte del terreno alienatogli con scrittura privata del 28-10-1985 (partita 151395, particelle 110, 111, 116 e 117, e partita 11950, particelle 114, 115, 118 e 123) era cointestato al venditore S.P. e al figlio S.S. , precisando che il prezzo di L. 33.000.000 pattuito con S.P. doveva ascriversi “in ragione di sei milioni per il terreno cointestato con il di lui figlio Sa. “, e che “con lettera del 28-6-93…… il figlio Sa. ebbe a comunicare al P. di non volere vendere la sua quota di terreno……, come se non lo avesse già fatto il padre per suo conto e in ogni caso in proprio”.
Orbene, come è stato rilevato dal giudice di appello, appare evidente che il P. , nel dare atto della comproprietà in capo a S.S. dei beni alienatigli con la scrittura privata del 1985 e nel sostenere, comunque, che l’acquisto da parte sua della proprietà esclusiva discendeva dalla stipula di tale contratto, ha considerato la vendita come vendita obbligatoria per la quota di comproprietà di S.S. , divenuto già prima della instaurazione del giudizio erede dell’alienante, e come tale obbligato a farne conseguire all’acquirente tale quota.
Il giudice del gravame, pertanto, non è incorso nel denunciato vizio di ultrapetizione, avendo attribuito al P. la proprietà esclusiva degli immobili in questione sulla base del contratto di vendita invocato dall’attore, che a seguito della vicenda successoria aveva già prodotto, al momento della domanda, l’acquisto in capo al compratore anche della quota di comproprietà di S.S. ; sicché non vi è stata alcuna indebita alterazione del petitum e della causa petendi.
4) Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia l’erronea applicazione dell’art. 92 c.p.c. e la mancata applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonché la mancanza di motivazione, in relazione alla mancata condanna dello S. alle spese del giudizio di appello e di rinvio e alla disposta compensazione di tali spese.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Deve rammentarsi che, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Esula, pertanto, da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (tra le tante v. Cass. 31-3-2006 n. 17457; Cass. 16-3-2006 n. 5828; Cass. 14-11-2002, n. 16012; Cass. 2-8-2002 n. 11537).
Nella specie, di conseguenza, nel disporre la compensazione delle spese, la Corte di Appello non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge.
Né ricorrono i dedotti vizi di motivazione.
E invero, come è stato chiarito da questa Corte, nel regime anteriore a quello introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005 n. 263, pur dovendo il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” trovare un adeguato supporto motivazionale, a tal fine non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito), (v. per tutte Cass. Sez. Un. 30-7-2008 n. 20598).
Alla luce di tali principi, la statuizione di compensazione delle spese adottata nella sentenza impugnata deve ritenersi adeguatamente motivata con il riferimento alla “peculiarità e complessità della controversia” ed alle “concrete ragioni della decisione”.
5) Per le ragioni esposte entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
In ragione della sostanziale soccombenza del ricorrente principale (avendo il ricorso incidentale ad oggetto il solo capo della sentenza di appello inerente alle spese), va pronunciata la sua condanna al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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