Cassazione 12

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 7 ottobre 2015, n. 20159

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) GbmH (gia’ (OMISSIS)) – (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore e del direttore finanziario, (OMISSIS) AG, (gia’ (OMISSIS)) – P.I. (OMISSIS) – in persona dei consiglieri di amministrazione e legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende, in virtu’ di procure speciali rilasciate il 22 dicembre 2009 e 5 gennaio 2010;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SRL, in persona del procuratore speciale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), come da procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2560/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/2015 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS) e gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che si riportano agli atti e alle conclusioni assunte;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Patrone Ignazio, che conclude per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1. Sulla base della sentenza impugnata lo svolgimento del processo puo’ cosi’ riassumersi.

1.1 – Con atto di citazione del 14 dicembre 1994 la (OMISSIS) conveniva in giudizio la (OMISSIS) Gmbh e la (OMISSIS), chiedendo la risoluzione del contratto di vendita per fatto e colpa delle venditrici, nonche’ la condanna alla restituzione del prezzo ed al risarcimento dei danni. A tal fine, chiariva: a) “di aver acquistato due macchine denominate Titus Nutsch TRocher 3/4.0, aventi la funzione di filtrare ed essiccare intermedi chimici per antibiotici, oltre ad alcuni accessori, per il presso globale di 2.254.346 DM”; b) che “i beni acquistati erano stati montati nello stabilimento di (OMISSIS) e nel settembre 91 era stato avviato il funzionamento”; c) che “fin dall’inizio le macchine acquistate presentarono difetti di funzionamento, non eliminati nonostante i vari interventi della societa’ venditrice; d) che “per i gravi difetti e vizi di costruzione era stata manifestata con lettera la volonta’ di sciogliersi dal contratto”.

1.2 – Le convenute eccepivano “il difetto di giurisdizione del giudice italiano e nel merito la prescrizione dell’adone essendo limitata ad un anno la garanzia, termine ormai trascorso”.

Nel corso del giudizio interveniva sentenza della Corte di Cassazione che affermava la giurisdizione del giudice italiano.

1.3 – Acquisiti gli accertamenti tecnici preventivi, documenti, espletata ctu e prova testimoniale, la causa era decisa dal Tribunale Latina che dichiarava prescritto il diritto ex articolo 1495 c.c..

1.4 – L’appello proposto dalla (OMISSIS) veniva accolto con risoluzione del contratto, restituzione del prezzo e risarcimento del danno.

1.4.1 – La Corte locale, in primo luogo, affermava che “nella fattispecie concreta trova applicazione la legge sostanziale italiana, in relazione a quanto affermato dal primo giudice (il giudice italiano non puo’ che applicare, nel decidere, le leggi italiane”) e non oggetto di censura”. Osservava la Corte locale che “le societa’ appellate sebbene vittoriose in primo grado, avevano l’onere, ove avessero voluto mantenere l’eccezione che la lite dovesse essere decisa secondo il diritto tedesco di riproporla ai sensi dell’articolo 346 c.p.c.”. Aggiungeva che “tale eccezione doveva essere contenuta nella comparsa di costituzione … Nel caso di specie alcun argomento specifico e’ stato sviluppato dalle appellate nella comparsa di costituzione circa l’applicabilita’ della legislazione straniera”.

1.4.2 – Dopo aver esposto analiticamente la vicenda in fatto, la Corte locale rilevava che “tenuto conto degli interventi effettuati dalla (OMISSIS), degli accordi presi, intervenuti nel tempo, nell’aver la venditrice fornito un nuovo accessorio, deve necessariamente ritenersi come la impresa venditrice abbia riconosciuto i difetti (a dimostrazione della gravita’ del difetto vi e il dato oggettivo che si reco’ presso la (OMISSIS) lo stesso amministratore delegato a cui fu notificato in quella sede il ricorso per accertamento tecnico preventivo)”. Di qui l’errato rigetto della domanda per intervenuta prescrizione, posto che “il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata, unito all’impegno di eliminare i difetti mediante riparazione, sostituzione diparti della cosa medesima e la predisposizione di un’attivita’ diretta al conseguimento al ripristino della piena funzionalita’ dell’oggetto della vendita come e’ avvenuto nel caso in esame, fa sorgere l’obbligazione che, sebbene collegata alla vendita, e’ svincolata, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall’articolo 1495 c.c. rimanendo soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale”. Rilevava la Corte territoriale che “vi fu un primo accordo documentato dalla scrittura del 4-2-1992 (documento 11 fascicolo di parte (OMISSIS) in cui la (OMISSIS) riconosceva che parte della macchina non era conforme al disegno originale), ulteriore lettera del 28 febbraio 1993, svolgimento di ben tre accertamenti tecnici preventivi in cui la (OMISSIS) nominava suoi consulenti di parte, ed infine varie lettere di diffida allorche’ la (OMISSIS) riteneva che H difetto era congenito, non eliminato ne’ eliminabile”. Osservava la Corte, in conclusione, che “ravvisandosi l’esistenza di un accordo nuovo di riparare e/o sostituire gli elementi difettosi (Cass. 12.5.2000, n. 6089; 19.6.2000, n. 8294), sia pure collegato al contratto originario, non puo’ piu’ farsi riferimento ai termini di decadenza e di prescrizione previsti dal legislatore per la vendita restando soggetta tale nuova obbligazione alla ordinaria prescrizione decennale (Cass. 125.2000, n. 6089)”.

Rilevava ancora la Corte locale che “mentre il semplice riconoscimento dei vizi rende superflua la denuncia del compratore, il riconoscimento dei vizi che il venditore faccia, e l’impegno che egli assuma di eliminarli, da luogo ad una nuova obbligazione (Cass. 13.1.1995, n. 381; 5.9.1994, n. 761) che avendo ad oggetto un facere, non rientra nella previsione di cui all’articolo 1490 c.c.”, con conseguente “inapplicabilita’ della disciplina dettata in tema di decadenza e di prescrizione dall’articolo 1495 c.c.”. Aggiungeva la Corte che “in ogni caso l’obbligazione del venditore di eliminare i difetti della cosa e’ svincolata, dai termini di cui all’articolo 1395 c.c. (Cass. 13.12. 2001, n. 15758)”.

1.4.3 – La Corte locale riteneva poi fondate le domande avanzate.

Rilevava che “il etti ha evidenziato come il processo produttivo non avveniva in conformita’ di quanto pattuito, essendo il tempo ciclico ben superiore a quello promesso e con risultati diversi rispetto a quelli previsti dalle parti infatti, oltre alla discrasia dei tempi di produzione il ctu ha anche evidenziato che alla fine del ciclo produttivo il residuo di solvente era di 1,25% rispetto all’1% promesso. Proprio perche’ si trattava di macchine da inserire nella produzione industriale di medicinali era essenziale che le caratteristiche del prodotto finito fossero quelle pattuite, essendo intuitivo come per siffatti prodotti le caratteristiche devono essere precise potendo interferire nei processi per la guarigione”.

Osservava ancora che le disfunzioni e i difetti erano stati “verificati in sede di tre accertamenti tecnici (addirittura il secondo accertamento tecnico evidenziava come la stessa (OMISSIS) avesse deciso di modificare e riprogettare i perni di supporto dei cuscinetti essendo sottodimensionati rispetto alle funzioni da svolgere)”.

2. Impugnano tale decisione le ricorrenti che articolano quattro motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.

Le parti hanno depositato memorie.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

A. I motivi del ricorso.

1. Col primo motivo di ricorso si deduce: “violazione o falsa applicazione degli articoli 112, 189, 345, 346 e 352 c.p.c., nonche’ degli articoli 1362 e 1363 c.c.; nullita’ della sentenza o del procedimento; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

1.1 – La Corte locale ha errato nell’affermare “l’applicazione della legge italiana, come gia’ statuito dal giudice di primo grado”, giustificando “tale conclusione in base al fatto che (OMISSIS) non avrebbe espresso alcuna censura avverso l’identica decisione contenuta nella sentenza di primo grado, censura che, per contro, avrebbe dovuto essere eventualmente contenuta “nella comparsa di costituzione che al pari dell’appello segna irreversibilmente il iberna decidendum del giudizio sul gravame” (sentenza, pag. 4)”. Le ricorrenti osservano quanto alla “omessa riproposizione dell’eccezione di applicazione del diritto sostanziale tedesco”, di aver “nel corso dell’udienza di prima comparizione in appello del 13.1.2005” richiesto l’applicazione di tale normativa, rilevando che “nello specifico si ritiene debba applicarsi la legge tedesca, cosi’ come ampiamente dedotto negli scritti difensivi di primo grado, dal momento che e incontestabile che “la volonta’ delle parti” risultante dalla corrispondenti contrattuale in ordine all’applicazione della legge tedesca, e cio’ sia che si applichi alla fattispecie l’articolo 25 preleggi, sia che si applichi la Legge n. 218 del 1995, articolo 57 che rimanda alla Convenzione di Roma (articolo 33). Ebbene, in base alla legge tedesca la prescrizione del diritto e’ di sei mesi, come gia’ chiarito. (…)”. Aggiungono che “la difesa di controparte accettava pienamente il contraddittorio sulla questione”. Di qui la violazione degli articoli 112 e 346 c.p.c. nonche’ altresi’ gli articoli 1362 e 1363 c.c. “dal momento che la medesima Corte non ha interpretato rettamente, e cioe’ secondo il criterio di esegesi letterale e totalita’ sistematica imposto dagli articoli 1362 e 1363 c.c., il significato delle dichiarazioni a verbale rese dalla (OMISSIS) all’udienza del 13.1.2005, le quali rappresentavano chiaramente nient’altro che riproposizione dell’eccezione di applicazione del diritto tedesco”.

1.2. Osservano poi le ricorrenti che, nella vigenza della normativa anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 353 del 1990, applicabile ratione temporis per essere iniziato il giudizio con citazione del dicembre 1994, era sufficiente riproporre l’eccezione gia’ avanzata in primo grado, potendosi comunque “modificare le conclusioni sino all’udienza di relativa precisazione”.

1.3. Rilevano ancora che, in ogni caso, la legge tedesca (che prevede all’articolo 477 (OMISSIS) un termine prescrizionale di sei mesi) era applicabile sulla base dell’articolo 25 preleggi (ratione temporis applicabile essendo la Conv. di Roma entrata in vigore in Italia il 1 aprile 1991, ex Legge 18 dicembre 1984, n. 975, e l’articolo 17 della Conv. prevede che essa si applichi solo ai contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore; la Legge 31 maggio 1995, n. 218 si applica a tutti i giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore, articolo 72).

E cio’ sia con riguardo alla volonta’ delle parti (“le parti avevano scelto di applicare al proprio contratto di compravendita, la legge tedesca”), sia con riguardo al luogo di conclusione del contratto (“e’ infatti pacifico che l’ordinativo della societa’ acquirente in data 16.12.1988 pervenne regolarmente alle convenute (cfr. in proposito la lettera del 28.7.1989, nella quale viene dato riscontro dell’ordine inviato dalla (OMISSIS) il 16.12.1988), cosicche’ il luogo della conoscenza della accettazione e’ quello della sede della proponente (Germania)”. Osservano ancora le ricorrenti che la Corte di cassazione, nel regolare la giurisdizione, ha “correttamente … ritenuto di dover far riferimento ai criteri (articolo 5) stabiliti dalla Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale), affermando che “il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente puo’ essere citato in un altro stato contraente: 1) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio e’ stata o deve essere eseguita”. “Tale luogo” ha proseguito la Corte “va determinato in conformita’ con la legge applicabile al rapporto, sulla base del diritto internazionale privato del giudice adito””. Rilevano ancora le ricorrenti che “proprio questa affermazione della Suprema Corte ha evidenziato peraltro l’errore (revocatorio) che ha condotto alle conclusioni errate della sentenza 58/2000 sia sulla legge applicabile che sulla giurisdizione”, posto che “la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (ex Legge 18 dicembre 1984, n. 975 entrata in vigore in Italia il 1 aprile 1991) prevede all’articolo 17 che essa si applica ai contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore”, mentre “i contratti sottesi al rapporto contrattuale dedotto in giudizio sono stati conclusi tutti incontrovertibilmente nell’arco temporale 1988-1989”. Di conseguenza, proseguono le ricorrenti, la Corte di cassazione ha “affermato l’applicabilita’ della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 (in luogo dell’articolo 25 preleggi), supponendo erroneamente che la conclusione dei contratti sottesi all’obbligazione dedotta in giudizio fosse avvenuta in data successiva all’entrata in vigore della Convenzione di Roma (1 aprile 1991), mentre quei contratti erano stati tutti sottoscritti entro il 1989 e con essi si era perfezionato (rectius, concluso) il rapporto dedotto in giudizio”.

Per questo, concludono le ricorrenti, “la legge applicabile al rapporto in esame rilevante per la determinazione del luogo di esecuzione della obbligazione dedotta in giudizio … avrebbe dovuto essere ricercato ratione temporis nell’articolo 25 preleggi”, secondo cui “le obbligazioni nascenti da un contratto siano regolate dalla legge del luogo di conclusione del contratto, salva la prevalente della diversa volonta’ delle parti”. Rilevano ancora le ricorrenti che “e’ pacifico che la (OMISSIS), dando esecuzione alla vendita, abbia accettato (tacitamente, non essendo prevista la forma scritta)” la clausola che individuava la legge applicabile in quella scelta dalle parti.

In ogni caso “l’ordinativo della societa’ acquirente in data 16.12.1988 pervenne regolarmente alla (OMISSIS) in Germania, sicche’ il luogo della conoscenza della accettazione (e quindi di conclusione del contratto) e’ stato quello della sede della (OMISSIS), in Germania”. Aggiungono ancora che “anche a voler ritenere nello specifico applicabile la Legge n. 218 del 1995 e dunque, ex articolo 57, la Convenzione di Roma, la conclusione in ordine alla legge applicabile non viene a mutare, visto che il primo e principale criterio di collegamento alla stregua del quale individuare la legge applicabile e’ costituito dalla “volonta’ delle parti” e la relativa scelta puo’ essere compiuta oltreche’ in forma espressa, anche in maniera tacita purche’ in tal caso tale scelta risulti in modo ragionevolmente certo, come accadde nello specifico”.

Rileva ancora che “alla medesima conclusione si giungerebbe, infine, anche applicando alla fattispecie qui in esame le disposizioni di diritto internazionale privato relative alla vendita internazionale previste dalla Convenzione dell’Aja del 1955 sulla legge applicabile ai contratti di compravendita a carattere internazionale di cose mobili corporee (resa esecutiva in Italia con Legge 4 febbraio 1958, n. 50 ed entrata in vigore il 1 settembre 1964)”. La Convenzione dell’Aja del 1955, proseguono le ricorrenti “e’ una convenzione di unificazione del diritto internazionale privato, le cui norme hanno lo scopo di determinare la legge applicabile ai contratti di vendita internazionali di cose mobili. Detta convenzione ha carattere universale o erga omnes, ovvero si applica per il solo fatto di aver adito il giudice di uno Stato contraente quale e’ l’Italia – in quanto essa si sostituisce, nel suo ambito di applicazione ratione materiae, alle norme interne di diritto internalo naie privato (articolo 7)”. 1.4 – Quesiti di diritto ex articolo 366 bis c.p.c. “1. la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre espressamente nel giudizio di appello le domande e le eccezioni che risultino superate o assorbite. Tale riproposizione, nella vigenza della normativa processuale anteriore alla Legge n. 353 del 1990, puo’ considerarsi tempestiva – con conseguente obbligo del giudice di appello di esaminare tali deduzioni – se fatta entro il momento della precisazione delle conclusioni, anche attraverso deduzioni d’udienza, non dovendo essa necessariamente risultare dalla comparsa di costituzione e risposta in appello”; “1.3. – in applicazione della disciplina vigente anteriormente all’ingresso in vigore della Legge n. 353 del 1990, le domande, le eccezioni e le produzioni, purche’ effettuate entro la precisazione delle conclusioni devono essere prese in considerazione dal giudicante se su di esse le controparti hanno accettato il contraddicono”.

2. – Col secondo motivo di ricorso si deduce: “applicazione degli articoli 1230, 1231, 1362, 1363, 1490, 1495, 2697, 2727, e 2729 c.c., nonche’ degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c.; nullita’ della sentenza o del procedimento; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”. Le ricorrenti lamentano che la Corte locale ha escluso l’applicazione dei termini di prescrizione di cui agli articoli 1490 e 1495 c.c. in ragione di “un “riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata, unito all’impegno di eliminare i difetti mediante riparazioni”, indicando tuttavia elementi del tutto inidonei a sostanziare un tale riconoscimento dei vizi e speculare impegno di eliminarli da parte di (OMISSIS)”. Le ricorrenti osservano che la Corte locale ha errato nel ritenere integrato il “riconoscimento dei vizi e contestuale impegno di loro rimozione da parte di (OMISSIS)” in conseguenza: a) degli interventi effettuati dalla (OMISSIS); b) dell’aver la venditrice fornito un nuovo accessorio; c) per il fatto che si reco’ presso la (OMISSIS) lo stesso Amministratore delegato di (OMISSIS), al quale fu in quella sede notificato il ricorso per accertamento tecnico preventivo. Infatti, “l’intervento in garanzia – comprensivo della fornitura di un nuovo accessorio – effettuato dalla (OMISSIS) in favore di (OMISSIS) non fu motivato da alcun riconoscimento di difetti delle macchine fornite, ma solo dall’intenzione della (OMISSIS) di non incrinare i rapporti commerciali con la (OMISSIS)”. Inoltre, la “visita effettuata dall’Amministratore Delegato di (OMISSIS) presso (OMISSIS) … in nessun modo puo’ indurre a rivelare il riconoscimento di un vizio degli impianti ne’ tanto meno un impegno sostitutivo o riparatorio da parte della stessa (OMISSIS)”. Quanto poi alla “erronea enucleazione di un negozio novativo inter partes”, osservano le ricorrenti che “l’impugnata sentenza riconduce il (presunto) effetto novativo rispetto al contratto originario ad “un primo accordo documentato dalla scrittura del 4-2-1992”, alla “ulteriore lettera del 28 febbraio 1993”, allo “svolgimento di ben tre accertamenti tecnici preventivi in cui la (OMISSIS) nominava suoi consulenti diparte”, nonche’ “infine (a) varie lettere di diffida allorche’ la (OMISSIS) riteneva che il difetto era congenito, non eliminato ne’ eliminabile” (sentenza, pag. 8)”. Peraltro, il “richiamo alle “varie lettere di diffida allorche’ la (OMISSIS) riteneva che il difetto era congenito, non eliminato ne’ eliminabile” risulta, sempre secondo parte ricorrente, “gravemente insufficiente, dacche’ non e’ dato in alcun modo evincere quali siano le “varie lettere di diffida” evocate dalla Corte di merito”. In ogni caso, “le semplici “lettere di diffida” … non sono per nulla idonee ad indurre effetti nomativi ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 1230 c.c., il quale postula l’aliquid novi e l’animus novandi”. Ne’ puo’ assumere “qualsivoglia effetto novativo … lo “svolgimento di ben tre accertamenti tecnici preventivi in cui la (OMISSIS) nominava suoi consulenti diparte””, posto che tali accertamenti hanno “la sola finalita’ di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualita’ o la condizione di cose”. Ne’ rileva “il richiamo rivolto dalla sentenza al “primo accordo documentato dalla scrittura del 4-2-1992″”, posto che tale accordo “risultava volto a risolvere le problematiche insorte sui macchinari esclusivamente … “alfine di superare il predetto disaccordo”, sicche’ esso non costituisce in alcun modo un riconoscimento di vizi”. Cosi’ operando la Corte territoriale “e’ incorsa in una grave violazione e/o falsa applicazione di legge, interpretando il predetto contratto in contrasto con gli articoli 1362 e 1363 c.c., e in particolare vulnerando il criterio esegetico di interpretazione letterale e di totalita’ sistematica dei contratti, dacche’ e’ giunta ad assegnare al contratto stesso un senso (riconoscimento del vizio e conseguente assunzione di obbligazione novativa da parte di (OMISSIS)) del tutto difforme da quello che emerge dal tenore letterale delle integrali pattuito in inter partes”. In ogni caso la sentenza “ha del tutto disatteso il principio inforca del quale il semplice riconoscimento dei vizi, unito all’impegno del venditore di eliminarli … “non da luogo ad un accordo novativo se non sia in concreto provata la volonta’ delle parti di sostituire al rapporto originario un nuovo rapporto con diverso oggetto o titolo …” (Cass., Sez. Un., 21.6.2005, n. 13294). Ne’ infine l’effetto novativo poteva derivare dalla “ulteriore lettera del 28 febbraio 1993”, posto che di essa “non risulta … alcuna traccia tra la documentazione in atti”. Quanto poi alla “illegittima ed erronea valutazione del materiale probatorio” le ricorrenti osservano che la “Corte di merito ha valutato in modo illegittimo i documenti e gli elementi sottopostile, cosi’ violando e/o falsamente applicando gli arti. 115 e 116 c.p.c., con contestuale nullita’ della sentenza e/o del procedimento, oltreche’ di carente e contraddizioni motive in ordine al nesso logico-giuridico tra il materiale probatorio utilizzato (accertamenti tecnici preventivi, accordo del 4.2.1992, lettera del 28.2.1993 – in realta’ inesistente – visita dall’ (OMISSIS) di (OMISSIS) presso (OMISSIS)), i fatti (riconoscimento del vizio da parte di (OMISSIS) e assunzione di impegni riparatori) e gli effetti (novativi rispetto all’originario contratto) enucleati dalla sentenza”. Rilevano, infine, le ricorrenti che la Corte locale ha errato nell’applicare una prescrizione piu’ lunga di quella annuale, venuta a scadere per la macchina 8017, la cui messa in opera e’ avvenuta nell’ottobre 1991, nell’ottobre 1992, “non avendo la (OMISSIS) ricevuto, prima di quella data, alcun atto idoneo ad interrompere la prescrizione”. Aggiunge che “alla stessa conclusione dovrebbe giungersi anche nell’ipotesi in cui dovesse ammettersi … che la sottoscrizione dell’accordo (avvenuta, come noto, il 4 febbraio 1992) fosse stata determinata da un riconoscimento dei vizi da parte della (OMISSIS), con conseguente decorrenza ex novo del termine annuale di prescrizione, come statuito dalle Sezioni Unite con sentente n. 13294/05. La domanda della (OMISSIS) doterebbe, infatti, ritenersi comunque tardiva per la decorrenda di un periodo superiore all’anno tra la data di stipula del suddetto accordo e il primo atto di messa in mora formale avvenuto in data 11 novembre 1993”. Infine, rilevano le ricorrenti che la Corte locale ha omesso di considerare le “clausole contrattuali inter partes relative alla limitazione della responsabilita’ di (OMISSIS)”. Le parti avevano convenuto la specifica esclusione di reclami o contestazioni per danneggiamento anche eventualmente ricollegabili a difetti dei beni forniti. Per la garanzia di buon funzionamento, “le parti ne avevano espressamente limitato la durata al momento dell’avvenuta regolare e soddisfacente messa in opera (c.d. “start-up”) delle macchine oggetto della vendita”. Inoltre le parti “avevano escluso la possibilita’ di domandare il risarcimento degli eventuali danni”.

2.1 – Quesiti di diritto ex articolo 366 bis c.p.c.: “1. chi vuoi far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Il giudice deve fondare la propria decisione sulle prove proposte dalle parti”; puo’ far riferimento a presunzioni semplici soltanto nel caso in cui esse risultino gravi, precise e concordanti; 2. l’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano la cosa inidonea all’uso cui e’ destinata, ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico, non da luogo di per se’ ad una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva, ai sensi dell’articolo 1230 c.c., dell’originaria obbligazione di garanzia, ne’ conseguentemente da un siffatto accordo deriva di per se’ il decorso di un nuovo periodo ordinario di prescrizione decennale in ordine al diritto alla rimozione del vizio; 3. nell’interpretare i contratti e gli aliti atti privati (ivi incluse le comunicazioni rese nell’ambito di un rapporto negoziale) occorre fare riferimento innanzitutto al significato letterale delle espressioni usate, ed interpretare le clausole del testo le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto”.

3 – Col terzo motivo di ricorso si deduce: “violazione o falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1453 e 2697 c.c., nonche’ articoli 61, 112, 115, 116, 145, 191, 696 e 697 c.p.c.; nullita’ della sentenza o del procedimento; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudico in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”. Lamentano le ricorrenti che sia stata accolta la domanda di risoluzione del contratto con l’affermata responsabilita’ della venditrice senza l’esame delle “eccezioni sollevate dalla (OMISSIS) in relazione all’illegittimita’ della risoluzione operata dalla (OMISSIS), nonche’ all’irregolarita’ delle attivita’ istruttorie espletate preventivamente alla causa e delle conseguenti risultante probatorie, come recepite dai giudici di merito”. In particolare, le ricorrenti osservano quanto alla “illegittima e immotivata pronuncia di risoluzione del contratto”, di aver “chiaramente rilevato la circostanza per cui i malfunzionamenti dei macchinari de quibus erano dipesi dal fatto che il prodotto sottoposto a processo dalla (OMISSIS) non era identico a quello per cui i macchinari risultavano testati, cio’ che esponeva i macchinari medesimi a rischio guasti”. Era stato, quindi, “posto chiaramente in risalto nel giudizio di merito che i disguidi con la macchina acquistata da (OMISSIS) erano stati causati da un non corretto utilizzo della macchina da parte di (OMISSIS), sia per la capacita’ di carico sia per la consistenza del prodotto ritrovata all’interno della macchina, “non compatibile” con quella prevista per il suo utilizzo”. Inoltre, rilevano le ricorrenti, di aver richiamato “la sussistenza di previsioni contrattuali inter partes che rendevano illegittima qualsivoglia lagnanza da parte di (OMISSIS) in riferimento ai malfunzionamenti denunciati”, posto che “sulla base degli accordi contrattuali, cioe’, l’utilizzo delle macchine compravendute sarebbe dovuto avvenire in conformita’ alle specifiche tecniche previste”.

Era stato evidenziato che “i macchinari ad elevatissimo contenuto tecnologico; il loro uso doveva essere pertanto perfettamente corrispondente a quello per il quale erano stati progettati, in particolare, per quanto riguarda la natura, la quantita’ nonche’ le caratteristiche chimico-fisiche dei prodotti oggetto delle lavorazioni). Ebbene, come rilevato in fase di merito da (OMISSIS) (v. supra, pag. 46) i macchinari in questione erano stati progettati per la lavorazione di tre classi di cefalosporine (un tipo di antibiotico), con l’uso di specifici solventi, quali il metanolo, l’acetone e il metilenchride. La (OMISSIS), invece, utilizzo’ – ed e’ documentalmente provato (v. supra, pag. 46) – i macchinari per altri tipi di prodotti farmaceutici, impiegando altri solventi, quale l’isopropanolo; utilizzo’ cioe’ sostante e materiali del tutto differenti, da quelli prescritti, con una attitudine sicuramente superiore, tra l’altro, alla formazione di incrostazioni, creando cosi’ danni ai macchinati e, comunque, rendendo imperativa la garanzia prestata, che espressamente era condizionata al rispetto delle specifiche tecniche indicate in contratto (specifiche (OMISSIS))”. Tali specifiche erano state recepite nelle pattuizioni con l’ordine di acquisto del 16.12.1988, indicato come “parte fondamentale dell’ordine”. La corte locale, quindi, ha violato e/o falsamente applicato “le disposizioni di cui agli articoli 1362 e 1363 c.c., dal momento che, in violazione del canone ermeneutico letterale, la Corte giunge ad una conclusione palesemente contraria alle succitate previsioni negoziali che circoscrivono la responsabilita’ della (OMISSIS) a specifiche ipotesi, escludendola del tutto nel caso in cui i macchinari vengano utilizzati in relazioni a materiali differenti da quelli previsti”.

La sentenza poi fa erronea applicazione dell’istituto della risoluzione “in carenza di un effettivo inadempimento contrattuale sulla base di quanto pattuito in ter partes”. Ancora, “la sentenza viola le disposizioni processuali di cui agli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. – cosi’ incorrendo anche in nullita’ procedurale – nella parte in cui trascura del tutto le eccezioni sollevate da (OMISSIS) in riferimento alla domanda risolutoria avanzata da (OMISSIS), nonche’ illegittimamente apprezza il materiale probatorio – cosi’ violando anche le disposizioni sulla ripartizione dell’onere della prova”. Quanto all’erroneo recepimento dei risultati degli accertamenti tecnici preventivi, le ricorrenti osservano di aver “ampiamente rappresentato la non utilizzabilita’ delle risultanze di cui all’accertamento tecnico preventivo si’ come non regolarmente e formalmente acquisite in giudizio”, eccezione sulla quale “la Corte di merito ha omesso del tutto di pronunciarsi, cosi’ incorrendo in una violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., con contestuale nullita’ procedurale”. In ogni caso, aggiungono le ricorrenti, “gli accertamenti tecnici preventivi de quibus risultano a loro volta illegittimi … perche’ privi di riferimento all’adone di merito cui essi tendevano, sicche’ non e’ dato riscontrare alcuna coincidenza tra gli accertamenti medesimi e il giudico di merito qui in considerazione”. Si trattava di procedimenti di istruzione preventiva, che, nella pur sommaria esposizione dei fatti, dovevano almeno indicare “il contenuto della futura (ed eventuale) azione di merito”.

Rilevano le ricorrenti che “nel caso specifico, tali indicazioni sono mancate del tutto”, indicazioni tanto piu’ necessarie perche’ “in materia di vita della cosa venduta, la legge appronta una serie piuttosto varia di rimedi e di tutele … Di conseguenza, l’attivita’ svolta nell’ambito dei relativi procedimenti si e’ inutilmente svolta, in quanto non collegata a nessun giudizio di merito”.

Per questo erroneamente “i Giudici di merito hanno ritenuto ammissibili e rilevanti gli ATP, disponendone l’acquisizione degli atti al giudizio”, cosi’ violando gli articoli 115, 116 e 696 c.p.c..

Inoltre, gli accertamenti espletati risultavano del tutto irrituali per essersi svolti “con il rito dell’eccezionale urgenza previsto dall’articolo 697 c.p. e, ossi’a con dispensa depistante dalle notificazioni prescritte e con nomina di un procuratore d’ufficio per la parte resistente””. Rilevano ancora le ricorrenti che “le notificazioni previste non sono avvenute validamente, ovvero non sono avvenute affatto”, posto che: a) per il primo sussistevano profili di invalidita’ relativi al soggetto notificante, al luogo di notifica e al notificato; b) per il secondo era risultata accertata l’assenza di qualsiasi’ notifica; c) per il terzo risultava una notifica a mezzo posta ad un indirizzo inesistente, accompagnata da un avviso di ricevimento con firma illeggibile e non riconducibile alla notificata. Rilevano altresi’ le ricorrenti che, in ogni caso, tali nullita’ e/o irritualita’ di notifica non sono sanabili per effetto della “presenza, alle operazioni peritali, di soggetti che il C.T.U., nel verbale di svolgimento di tali operazioni, ha denominato “consulenti di fiducia” delle societa’ convenute e che la sentenza impugnata indica come “consulenti di parte” (sentenza, pag. 6)” trattandosi di “vicende estranee al processo, non equiparabili alla costituzione del convenuto (Cass. 17.9.1992 n. 10647)”. Quanto, infine, alla “illegittima e immotivata omessa considerazione della richiesta di rinnovazione di CTU formulata da (OMISSIS) e omessa nomina del CTU medesimo”, le ricorrenti lamentano che sia stata disattesa la loro richiesta di rinnovazione della CTU, necessaria proprio “a fronte dell’inutilizzabilita’ delle risultante degli A.T.P.”. La Corte, quindi, ha violato e falsamente applicato l’articolo 112 c.p.c., nonche’ gli articoli 61 e 191 c.p.c., perche’ (pur in presenta di chiare esigente di valutazioni tecniche ai fini della risoluzione della controversia … ha immotivatamente omesso di ordinare lo svolgimento dei necessari accertamenti tecnici e di nominare il CTU per il relativo espletamento”.

3.1 – Quesiti di diritto ex articolo 366 bis c.p.c.: “1. nell’interpretare i contratti occorre fare riferimento innanzitutto al significato letterale delle espressioni usate, ed interpretare le clausole del testo le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto; 2 – nel rilevare l’inadempimento contrattuale e pronunciare la risoluzione del contratto occorre aver riguardo al contenuto del contratto medesimo e, in particolare, alle obbligazioni assunte dalle parti come desumibili dall’interpretazione del contratto secondo il principio sub 3.1, considerando espressamente le circoscrizioni e limitazioni di responsabilita’ convenute dalle parti; 3. il giudice puo’ porre a fondamento della propria decisione le risultanze dell’accertamento tecnico preventivo solo se esso risulta ritualmente acquisito agli atti e regolarmente svolto; 4. l’accertamento tecnico preventivo condotto con le modalita’ d’urgenza di cui all’articolo 697 c.p.c. non puo’ essere ritenuto ritualmente e legittimamente svolto, conseguentemente non potendo essere posto a fondamento della decisione del giudice di merito, se esso non risulta ritualmente notificato entro i termini e nelle forme di legge, ovvero se fondato su decisione – nella vigenza della normativa anteriore all’ingresso in vigore del Decreto Legislativo n. 51 del 1998 – del Presidente del Tribunale anziche’ del Pretore, ovvero se il relativo ricorso non indica il riferimento all’azione di merito cui esso prelude; 5. nel caso in cui sia necessario ai fini della decisione di merito svolgere accertamenti tecnici relativi alle circostanze di fatto poste alla base della controversia, il giudice deve ordinare lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, all’uopo procedendo alla nomina del relativo CTU”. 4. Col quarto motivo di ricorso si deduce: “violazione o falsa applicazione degli articoli 112, 115, 116, 184 e 188 c.p.c.; nullita’ della sentenza o del procedimento – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudico in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”.

Le ricorrenti rilevano di aver riservato la formulazione della prova testimoniale e di altri mezzi istruttori, “all’esito dell’espletamento della CTU ovvero – in denegata ipotesi – all’esito di un eventuale provvedimento negativo del Giudice istruttore sull’ammissibilita’ della CTU”. Cio’ malgrado “il G.I. … ammetteva la prova per testi articolata dalla (OMISSIS) pur con alcune limitazioni, ammetteva la CTU, e riguardo alla richiesta di ammissione della (OMISSIS) a prova contraria e con riserva di articolazione di prova per testi all’esito della CTU, cosi’ disponeva: “rilevato che parte convenuta all’udienza del 13.6.1996 non ha insistito nella richiesta di prova contraria sulle circostante articolate dall’attrice all’udienza del 16.1.1996 e quindi da tale comportamento deve desumersi un’implicita rinuncia come si rileva anche dalla mancanza di ogni richiesta di prova testimoniale nelle note autorizzate (vi e solo una riserva di articolazione di prova diretta nell’ipotesi di un provvedimento di diniego della richiesta CTU)”. Aggiunge che malgrado “l’immediata opposizione all’ordinanza sul punto appena illustrato, alla successiva udienza del 14.10.1997, il Giudice di primo grado riteneva non ricorrere i presupposti per la revoca e/o modifica dell’ordinanza riservata”, cosi’ determinando una “istruttoria testimoniale amputata di tutta la parte relativa alla prova della parte convenuta”. Rileva ancora di aver “rinnovato la propria richiesta di ammissione delle prove testimoniali anche in appello, censurando le valutazioni del Tribunale”. Rileva ancora che “l’elencazione dei testimoni, sotto il vigore del codice di rito ante-novella” poteva aver luogo “fino ali’inizio dell’assunzione della prova (Cass. 96/3770; Cass. 86/6603.)” e che nemmeno poteva “desumersi … un’implicita rinuncia da parte delle societa’ convenute ad altre deduzioni istruttorie, per le quali esse si erano riservate l’eventuale articolazione all’esito della CTU”. La Corte sul punto nulla ha detto.

4.1 – Vengono formulati i seguenti quesiti: “1 – il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e sulle richieste istruttorie avanzate dalle parti, motivando sul loro eventuale rigetto; 2 – in caso di applicazione delle disposizioni del c.p.c. anteriore all’ingresso in vigore della Legge n. 353 del 1990, le richieste istruttorie possono essere formulate sino al momento della rimessione della causa al Collegio, e l’elencazione dei testimoni puo’ avvenire fino all’inizio dell’assunzione della relativa prova, senza che alcuna rinuncia possa essere desunta dalla mera riserva di una parte di articolare l’istanza di istruttorie avanzate dalle parti, motivando sul loro eventuale rigetto; 2. in caso di applicazione delle disposizioni del c.p.c. anteriore all’ingresso in vigore della Legge n. 353 del 1990, le richieste istruttorie possono essere formulate sino al momento della rimessione della causa al Collegio, e l’elencazione dei testimoni puo’ avvenire fino all’inizio dell’assunzione della relativa prova, senza che alcuna rinuncia possa essere desunta dalla mera riserva di una parte di articolare l’istanza di prova testimoniale indicando i relativi testi, entro i predetti termini, all’esito dell’espletamento di altre attivita’ istruttorie, quali la CTU”.

B. Il ricorso e’ infondato e va rigettato, per quanto di seguito si chiarisce.

1. Quanto al primo motivo, occorre in primo luogo rilevare che vengono formulate diverse censure, nonche’ denunciato vizio di motivazione. L’esposizione del motivo si conclude con due quesiti di diritto (riportati a pagina 29) e indicati rispettivamente con i numeri “1.1” e “1.3”. La errata numerazione e’ certamente frutto di un refuso. L’esame delle censure va comunque limitato a quanto specificamente indicato nei due quesiti. Non viene indicato il necessario momento di sintesi per il dedotto vizio di motivazione.

1.1 – Tanto premesso il motivo e’ inammissibile per la censura formulata con riguardo al vizio di motivazione, per mancanza del necessario momento di sintesi, di cui all’articolo 366 bis c.p.c., ratione temporis applicabile, (che svolge l’omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’articolo 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4). Tale momento di sintesi ha la funzione di circoscrivere puntualmente i limiti della censura, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (v. S.U. sent. n. 20603/2007 e, successivamente, le ordinanze della sez. 3 n. 4646/2008 e n. 16558/2008, nonche’ le sentenze delle S.U. nn. 25117/2008 e n. 26014/2008).

1.2 – Le altre censure sono infondate. Infatti, la sentenza impugnata al riguardo ha affermato quanto segue: “le societa’ appellate, sebbene vittoriose in primo grado, avevano l’onere, ove avessero voluto mantenere l’eccezione che la lite dovesse essere decisa secondo il diritto tedesco, di riproporla ai sensi dell’articolo 346 c.p.c. Chiaramente tale eccezione doveva essere contenuta nella comparsa di costituzione che al pari dell’appello segna irreversibilmente il thema decidendum del giudizio di gravame.

Nel caso di specie alcun argomento specifico e’ stato sviluppato dalle appellate nella comparsa di costituzione area l’applicabilita’ della legislazione straniera”.

Tale decisione e’ corretta. Deve essere solo chiarito che le appellate non erano interamente vittoriose in primo grado, perche’ la loro richiesta di ritenere applicabile la giurisdizione tedesca, finalizzata anche a potersi giovare del piu’ breve termine di prescrizione vigente in quell’ordinamento, era stata sostanzialmente respinta. Sicche’ sul punto erano soccombenti e non potevano, quindi, giovarsi della mera riproposizione delle relative eccezioni, dovendo invece proporre ritualmente appello incidentale. Il che non e’ avvenuto, posto che, anche nella disciplina processuale vigente anteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 353 del 1990, l’appello incidentale doveva essere proposto con la comparsa di costituzione in appello, mentre la sola eccezione sul punto e’ stata avanzata in sede di conclusioni. Infatti, la Corte locale ha correttamente osservato che “nel caso di specie alcun argomento specifico e’ stato sviluppato dalle appellate nella comparsa di costituzione circa l’applicabilita’ della legislazione straniera” (pag. 4, ultime righe sentenza impugnata). La questione dell’eventuale, in tesi, accettazione del contraddittorio, a seguito della proposizione della relativa eccezione nel corso del giudizio, non e’ sufficiente a sanare l’irrituale proposizione dell’appello incidentale. La pronuncia d’inammissibilita’ dell’appello incidentale assorbe le altre questioni avanzate, essendo intervenuto il giudicato sul punto, anche con riguardo alla legge applicabile. E cio’ anche alla luce della sentenza della Corte di cassazione (58/2000), che ha regolato la giurisdizione, la cui decisione si fonda proprio sulle questioni al riguardo avanzate dalle ricorrenti, nonche’ della successiva sentenza sempre di questa Corte, che ha respinto la richiesta revocazione delle precedente pronuncia (9882/2001).

2. E inammissibile e comunque infondato anche il secondo motivo.

2.1 – Va anche in questo caso osservato che il motivo si articola in piu’ censure di violazione di legge accompagnate anche da denuncia di violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5. Il motivo si conclude con tre quesiti (vedi pag. 45 e prime righe di pag. 46) che sono pero’ in gran parte generici e quindi inammissibili. Il primo afferma, in materia di prove e di presunzioni, principi condivisibili senza alcun riferimento alla fattispecie concreta. Parimenti e’ da dire per il secondo che appare formulato con riguardo ai presupposti necessari per ritenere intervenuta una novazione e trascura la specifica vicenda, risultando invece ammissibile il motivo, per quanto si dira’, circa il rapporto tra novazione e prescrizione con riguardo all’azione di risoluzione del contratto. Il terzo e’, come il primo, generico, perche’ afferma principi condivisibili senza alcun preciso riferimento alla concreta situazione.

Per quanto riguarda poi il vizio di motivazione si richiama quanto argomentato con riguardo al primo motivo. 2.2 – In ogni caso, il motivo e’ infondato.

2.2.1 – La complessiva censura che le ricorrenti articolano si fonda, da un lato, sulla sussistenza di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla vicenda in fatto e, dall’altro, sulle conseguenti violazioni di legge che sarebbero in tesi intervenute in conseguenza della errata denunciata ricostruzione in fatto.

2.2.2 – La Corte di appello, proprio in relazione alla complessita’ in fatto ed alla specificita’ della vicenda, ha ritenuto necessario sintetizzare i fatti come segue, osservando che le relative circostanze “nelle sue linee principali non sono contestate tra le parti, divergendo solo l’interpretazione” (pag. 4, ultime righe).

“Tali macchine erano montate ed avviate (ed start-up) a cura della societa’ venditrice come previsto negli accordi nel settembre 91.

Nel dicembre 91 la macchina contrassegnata con numero km 8016, evidenzio’ l’esistenti di varie anomalie (apertura di un foro parete esterna e deformazione longitudinale nella parete cilindrica dell’Housing) da cui scaturi’ il primo accertamento tecnico.

Successivamente le parti nel febbraio 92 si accordarono nel senso che la societa’ fornitrice avrebbe eseguito le riparazioni e modificato un componente essenziale della macchina 8017. Nel febbraio 93 anche la seconda macchina presentava ulteriori difetti e dopo vari tentativi di accordo prima era inviata diffida il 18 giugno 1993 poi il 23 giugno 1993 ed in ultimo il 6 novembre 93, la (OMISSIS) dichiarava di ritenere sciolto il contratto per fatto e colpa di essa venditrice”. Ha rilevato, quindi, la Corte locale che “come e’ palese in relazione ai predetti vizi erano state effettuate ben tre accertamenti tecnici preventivi ritenuti legittimi dal g.i peraltro eseguiti alla presenta di consulenti di parte e notifica effettuata all’amm. delle societa’ tedesche nonche’ ctu, tutte negative per il venditore. In particolare la ctu concludeva nel senso che il ciclo produttivo delle macchine era di oltre 610 minuti superiore a quello delle previsioni contrattuali che prevedeva un tempo di 403 minuti, in particolare la fase piu’ lunga rispetto ai tempi indicati nella specifica era la fase di essiccamento, che era stato nel primo ciclo di 540 minuti e nel secondo ciclo di 480 minuti tempi ben superiori a quanto previsto nel contratto (208 minuti), aggiungasi che la prova era stata effettuata con meta’ del prodotto che poteva esser contenuta nella macchina il che rende chiaro che l’eventuale ottimizzazione della produzione implicava dei tempi ben piu’ lunghi.

I tempi di lavorazione rappresentano un dato essenziale visto che influiscono sulla produzione e sulla razionalizzazione del processo industriale nonche’ in ultima analisi sul costo del prodotto finale ed in definitiva sulla convenienza della operazione. Costituisce principio di comune esperienza, che pare disinvoltamente pretermesso dalla parte venditrice, come la durata del ciclo produttivo e’ essenziale per le scelte industriali incidendo direttamente sia sulla organizzazione del lavoro che sui prezzi gd in ultima analisi sul profitto a cui tendono le imprese commerciali”. Sulla base di tali elementi, la Corte locale affermava quanto segue. “Cio’ detto e tenuto conto degli interventi effettuati dalla (OMISSIS), degli accordi presi, intervenuti nel tempio, nell’aver la venditrice fornito un nuovo accessorio, deve necessariamente ritenersi come la impresa venditrice abbia riconosciuto i difetti (a dimostrazione della gravita’ del difetto vi e’ il dato aggettivo che si reco’ presso la (OMISSIS) lo stesso amministratore delegato a cui fu notificato in quella sede il ricorso per accertamento tecnico preventivo). Pertanto il rigetto della domanda per intervenuta prescrizione appare erroneo. Come e’ pacifico in giurisprudenza il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata, unito all’impegno di eliminare i difetti mediante riparazioni, sostituzione di parti della cosa medesima e la predisposizione di un’attivita’ diretta al conseguimento al ripristino della piena funzionalita’ dell’oggetto della vendita come e’ avvenuto nel caso in esame, fa sorgere un‘obbligazione che, sebbene collegata alla vendita, e’ svincolata, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall’articolo 1495 c.c. rimanendo soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale. Nel caso di specie vi fu un primo accordo documentato dalla scrittura del 4-2-1992 (documento 11 fascicolo di parte (OMISSIS) in cui la (OMISSIS) riconosceva che parte della macchina non era conforme al disegno originale), ulteriore lettera del 28 febbraio 1993, svolgimento di ben tre accertamenti tecnici preventivi in cui la (OMISSIS) nominava suoi consulenti di parte, ed infine varie lettere di diffida allorche’ la (OMISSIS) riteneva che il difetto era congenito, non eliminato ne’ eliminabile”.

Cosi’ ricostruita e valutata la vicenda, la Corte locale concludeva come segue. “In conclusione, ravvisandosi l’esistenza di un accordo nuovo di riparare e/o sostituire gli elementi difettosi (Cass. 12.5.2000, n. 6089; 19.6.2000,n.8294), sia pure collegato al contratto originario non puo’ piu’ farsi riferimento ai termini di decadenza e di prescrizione previsti dal legislatore per al vendita restando soggetta tale nuova obbligazione alla ordinaria prescrizione decennale (Cass. 125.2000, n. 6089). La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che mentre il semplice riconoscimento dei vizi rende superflua la denuncia del compratore, il riconoscimento dei vizi che il venditore faccia, e l’impegno che egli assuma di eliminarli, da luogo ad una nuova obbligazione (Cass. 13.1.1995, n. 381; 5.9.1994, n. 761) che avendo ad oggetto un facere, non rientra nella previsione di cui all’articolo 1490 c.c.: ne consegue l’inapplicabilita’ della disciplina dettata in tema di decadenza e di prescrizione dall’articolo 1495 c.c. In ogni caso l’obbligazione del venditore di eliminare i difetti della cosa e’ svincolata, dai termini di cui all’articolo 1495 c.c. (Cass. 13.12. 2001, n. 15758)”.

2.2.3 – La motivazione della Corte, su integralmente riportata, appare, quindi, esente da vizi che possono essere denunciati in questa sede, perche’ non presenta aspetti d’illogicita’, contraddittorieta’ e di intrinseca incoerenza. Al riguardo, questa Corte ha gia’ piu’ volte avuto occasione di affermare che “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimita’ ex articolo 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non puo’ invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perche’ la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formak e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, e scegliere tra le risultante probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. 2009 n. 27162 – Rv. 611547).

2.2.4 – La ricostruzione operata dalla Corte appare adeguata ai fatti e ai documenti in atti, come correttamente interpretati alla luce del loro contenuto letterale, integrato in una lettura complessiva dell’intera vicenda (vedi in particolare per l’elencazione delle diffide, anche ai fini interruttivi, la prima parte del punto 2.2.2).

Ne’ al riguardo, possono essere trascurati i risultati dei vari accertamenti tecnici preventivi sia quanto al loro contenuto tecnico (sempre sfavorevole alla venditrice), sia per la loro valenza interruttiva della prescrizione (vedi Cass. 2007 n. 17385; Cass. 2011 n. 9066), dovendo essi, per il resto, essere anche valutati, come ha fatto il giudice dell’appello, nell’ambito del complessivo comportamento tenuto dalle parti.

2.2.5 – Quanto, invece, al punto centrale della censura, relativo alla ritenuta nascita di una nuova obbligazione tra le parti, seppure collegata o discendente dal contratto di vendita, con conseguente nuovo termine di prescrizione decennale, si osserva quanto segue.

2.2.5.1 – La Corte locale, come si’ e’ detto, ha cosi’ motivato sul punto: “mentre il semplice riconoscimento dei vizi rende superflua la denuncia del compratore, il riconoscimento dei vizi che il venditore faccia, e l’impegno che egli assuma di eliminarli, da luogo ad una nuova obbligazione (Cass. 13.1.1995, n. 381; 5.9.1994, n. 761) che avendo ad oggetto un facere, non rientra nella previsione di cui all’ari. 1490 c.c.”, con conseguente “inapplicabilita’ della disciplina dettata in tema di decadenza e di prescrizione dall’articolo 1495 c.c.” (pag. 8). La Corte locale hai poi aggiunto che “in ogni caso l’obbligazione del venditore di eliminare i difetti della cosa e’ svincolata, dai termini di cui all’articolo 1495 c.c.” (pagg. 8 in fine e 9), facendo applicazione dei principi affermati da Cass. 13.12.2001, n. 15758.

2.2.5.2 – Occorre osservare che la massima da ultimo citata (n. 15758-Rv. 551110), di cui ha fatto applicazione la Corte locale, per esteso e’ la seguente, “il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata, che puo’ avvenire anche “per facta concludentia” quali l’esecuzione di riparazioni o la sostituzione di parti della cosa medesima ovvero la predisposizione di un’attivita’ diretta al conseguimento od al ripristino della piena funzionalita’ dell’oggetto della vendita, determina la costituzione di un’obbligazione che, essendo oggettivamente nuova ed autonoma rispetto a quella originaria di garanzia, e’ sempre svincolata, indipendentemente dalla volonta’ delle parti, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall’articolo 1495 c.c. ed e’, invece, soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale”.

Al riguardo, questa Corte (Cass. SU 2012 n. 19702, rv 624018), riesaminando la questione delle azioni a disposizione dell’acquirente sulla base dell’articolo 1490 c.c. e ss. ha affermato che “in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’articolo 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di “facere”, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, anche considerati) il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’articolo 2936 c.c., l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’articolo 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale”. (Sez. U, Sentenza n. 19702 del 13/11/2012, Rv.). In tal senso, quindi, l’azione di risoluzione del contratto resta soggetta alla prescrizione annuale, che pero’ risulta, nel caso di specie, tempestivamente interrotta nelle sue successive scadenze, per quanto la Corte locale ha chiarito nel riassumere la vicenda (lettere, diffide, accordi, ATP ecc), pur attribuendo ai vari fatti ed atti (di interruzione appunto della prescrizione) un significato diverso rispetto a quello che le ricorrenti intendono dare (vedi piu’ in dettaglio il precedente punto 2.2.2). Ma sul punto la motivazione appare sufficiente.

3. Il terzo motivo riguarda l’accolta domanda di risoluzione e si lamentano mancate valutazioni da parte della Corte di appello circa le eccezioni avanzate dalla venditrice (le macchine erano state progettate per l’uso con un certo solvente, mentre ne era stato utilizzato un altro; era stato comunque fatto un uso improprio delle macchine). Il motivo e’ infondato, perche’ si riduce nella sostanza alla prospettazione di una diversa valutazione del materiale probatorio, inammissibile in questa sede (vedi quanto gia’ esposto per il secondo motivo, punto 2.2.3). Quanto alla critica rivolta all’utilizzazione dei risultati degli accertamenti tecnici preventivi, occorre osservare che essi furono riversati nella CTU e quindi oggetto di valutazione e critica delle parti, e che comunque il giudice dell’appello non ha mancato di evidenziare che, al di la’ degli aspetti formali, il contraddittorio era stato assicurato per la presenza delle parti e dei loro tecnici. In ogni caso, non risulta proposto alcun reclamo all’ordinanza del giudice istruttore (del 23 giugno 1995), che risulta aver esaminato gli aspetti dedotti e disposto l’acquisizione degli ATP al giudizio. Quanto alla mancata rinnovazione della CTU, questa Corte ha gia’ piu’ volte avuto occasione di affermare che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non e’ tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicche’ non e’ neppure necessaria una espressa pronuncia sul punto” (Cass. n. 17693 del 19/07/2013, Rv. 628711). E la motivazione complessiva al riguardo e’ sufficiente. Quanto, infine, agli aspetti relativi alla corretta interpretazione del contratto con riguardo al comportamento complessivo delle parti si e’ gia’ detto.

4. Infine, e’ infondato anche l’ultimo motivo, che riguarda la mancata pronuncia e comunque la mancata ammissione delle prove testimoniali, posto che le ricorrenti si riservarono di chiedere prova testimoniale solo all’esito della CTU. Successivamente, nelle note autorizzate dal giudice istruttore, riservarono ancora l’articolazione della prova testimoniale all’esito della CTU. Sulla base di tali clementi, il giudice istruttore, correttamente, con l’ordinanza del 6.10-7.11 del 1996, ha ritenuto di dover rilevare, da un lato, l’implicita rinuncia alla prova contraria, mai espressamente richiesta, a fronte della prova diretta articolata ritualmente dalla controparte, e, dall’altra, che la prova diretta, pure non richiesta, era stata riservata per la sola ipotesi di provvedimento di diniego di CTU, che era invece stata disposta. Ne’ a fronte di tale chiaro comportamento delle odierne ricorrenti puo’ invocarsi utilmente la maggiore elasticita’ consentita dal c.p.c. prima della novella del 1990, stante la corretta valutazione al riguardo da parte del giudice istruttore del comportamento processuale della parte.

C. Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in euro 5.000,00 (cinquemila) per compensi e euro 200,00 (duecento) per spese, oltre accessori di legge.

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