Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 13 maggio 2019, n. 20539.
La massima estrapolata:
In tema di riesame cautelare, il tribunale della libertà non può dichiarare l’inammissibilità dell’istanza di riesame proposta personalmente dall’indagato solo perché successiva a quella già depositata dal suo difensore, in ragione sia del disposto di cui all’art. 309 cod. proc. pen., che conferisce ad entrambi la facoltà di adire il tribunale della libertà, prevedendo una differenziata decorrenza dei termini per impugnare, sia del tendenziale superamento del principio di unicità dell’impugnazione.
Sentenza 13 maggio 2019, n. 20539
Data udienza 22 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 12/11/2018 del TRIB. LIBERTA’ di MESSINA;
udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;
sentite le conclusioni del PG Dott. PERLA LORI che ha chiesto il rigetto del ricorso udito il difensore presente avv. (OMISSIS) che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, datato 12.11.2018, il Tribunale del Riesame di Messina ha dichiarato inammissibile il riesame proposto personalmente da (OMISSIS) in data 3.11.2018 avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Messina, con la quale gli e’ stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di lesioni personali volontarie ai danni di (OMISSIS).
In data 8.11.2018, il Tribunale del Riesame aveva rigettato l’istanza di riesame avverso la predetta ordinanza del GIP di Messina proposta dal difensore dell’indagato in data 30.10.2018.
2. Contro il citato provvedimento propone ricorso (OMISSIS) tramite il proprio difensore avv. (OMISSIS), deducendo un unico motivo con cui si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione a piu’ profili.
Anzitutto, sarebbe stata erroneamente dichiarata l’inammissibilita’ dell’istanza di riesame proposta personalmente dall’indagato, per essere gia’ stata decisa quella proposta dal difensore, sebbene le due iniziative difensive siano compatibili ai sensi dei commi 1 e 3, nonche’ dell’articolo 309 c.p.p., comma 9.
Il Tribunale del Riesame avrebbe dovuto riunire i procedimenti e trattarli unitariamente, magari rinviando, e non decidere l’istanza del difensore pur consapevole dell’udienza gia’ fissata per la trattazione del riesame proposto personalmente dall’indagato, alla luce anche della diversita’ delle argomentazioni proposte.
Si deduce, pertanto, la violazione del diritto di difesa dell’indagato e, mancando una decisione dovuta sulla istanza legittimamente da lui proposta, la perdita di efficacia della misura coercitiva per violazione dei termini stabiliti dall’articolo 309 c.p.p., comma 10.
Inoltre, si rappresenta che le esigenze cautelari, individuate nel pericolo di reiterazione del reato, sono basate sulle minacce del ricorrente alla vittima, dimenticandosi che il titolo custodiale, tuttavia, e’ per il reato di lesioni volontarie e che e’ decorso un notevole lasso di tempo (sei mesi) tra i fatti di reato e l’ordinanza cautelare, periodo nel quale l’indagato non ha minacciato in alcun modo la persona offesa.
Infine, si rappresenta che (OMISSIS) ha sporto denuncia contro (OMISSIS) dopo i fatti di reato a lui contestati e che di cio’ il Riesame non ha tenuto conto; si contestano, altresi’, i riferimenti giurisprudenziali in conferenti utilizzati dalla motivazione di inammissibilita’ del Tribunale del Riesame di Messina.
2.1. In udienza dinanzi al Collegio, il difensore dell’indagato ha anche fatto questione di mancanza o erronea motivazione con riferimento al presupposto dell’attualita’ della misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato quanto alla dedotta illegittimita’ della declaratoria di inammissibilita’ dell’istanza di riesame proposta personalmente dall’indagato, in ragione del precedente rigetto di altra analoga istanza del suo difensore da parte dello stesso Tribunale del Riesame.
2. La ricostruzione giurisprudenziale che svolge il Riesame ruota intorno a considerazioni logiche e giuridiche che oramai devono ritenersi superate nelle loro premesse generali e nei loro approdi, la’ dove affermano il principio di unicita’ del diritto all’impugnazione, citando i precedenti delle sentenze Sez. 1, n. 36745 del 16/9/2008, Sposito, Rv. 241137 – in termini esattamente corrispondenti alla fattispecie oggi in esame – e Sez. U, n. 6026 del 7/2/2008, Huzuneanu, Rv. 238472, senza confrontarsi con l’elaborazione successiva sul tema.
Le due pronunce suddette, infatti, hanno stabilito, la prima, l’inammissibilita’ dell’istanza di riesame di misura cautelare personale proposta dall’indagato gia’ latitante, dopo la definizione di analoga istanza proposta dal difensore di fiducia; la seconda, che l’impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato contumace o dell’indagato (nella specie latitante), preclude a quest’ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilita’ di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione, poiche’ l’astratta configurabilita’ di una duplicazione di impugnazioni, promananti l’una dal difensore e l’altra dall’imputato rappresenta una opzione palesemente incompatibile con la esigenza di assegnare una ragionevole durata al processo, in linea con quanto imposto dall’articolo 111 Cost. e dall’articolo 6 della CEDU.
Ebbene, tale prospettiva deve ritenersi oggi, quanto meno tendenzialmente, superata vedremo a breve i termini assoluti o meno di tale affermazione – a seguito degli interventi della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimita’ successiva ai dicta del giudice delle leggi.
Il principio della unicita’ della impugnazione – rispondente ad una lunga tradizione del panorama giurisprudenziale – e’ stato, infatti, messo in crisi dalla sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale, la quale, in contrasto con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite proprio nella sentenza Huzuneanu del 2008, ha dichiarato la illegittimita’ costituzionale dell’articolo 175 c.p.p., comma 2, nella sua previgente formulazione nella parte in cui non consentiva la restituzione dell’imputato che non avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione fosse stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato.
Il giudice delle leggi, nell’adottare tale soluzione, ha sottolineato che il bilanciamento tra il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo deve tenere conto dell’intero sistema delle garanzie processuali, per cui rileva esclusivamente la durata del processo che sia “giusto” secondo le indicazioni del legislatore costituzionale ed il complessivo tenore della sua accezione, mentre un processo che non sia “giusto”, perche’ carente sotto il profilo delle garanzie, non e’ conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata.
La Corte costituzionale, nella citata pronuncia, ha evidenziato come l’incremento di tutela indotto dal dispiegarsi della normativa della Convenzione Europea dei diritti del’uomo, e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, certamente non leda gli articoli della Costituzione posti a garanzia degli stessi diritti, ma ne espliciti ed arricchisca il contenuto, innalzando il livello di sviluppo dell’ordinamento nazionale nel settore dei diritti fondamentali. Da qui l’assunto secondo il quale la disposizione all’epoca censurata violasse ad un tempo il diritto di difesa e al contraddittorio dell’imputato contumace inconsapevole, in quanto la misura ripristinatoria della rimessione in termini, prescelta dal legislatore, per avere effettivita’, non poteva essere “consumata” dall’atto di un soggetto, il difensore, che non aveva ricevuto un mandato ad hoc e che agiva esclusivamente di propria iniziativa.
L’esercizio di un diritto fondamentale, infatti, secondo la Corte costituzionale, non puo’ essere sottratto al suo titolare, che puo’ essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilita’ di esercitarlo e non deve trovarsi di fronte all’effetto irreparabile di una scelta altrui, magari non voluta ed eventualmente non concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona.
Tali affermazioni, e la ricostruzione complessiva del sistema delle garanzie “nel” giusto processo che viene fuori dalle parole della Consulta, sono state riprese da numerose pronunce della Corte di legittimita’ – Sez. 2, n. 25778 del 5/6/2012, Menna, Rv. 253083; Sez. 2, n. 49408 del 14/12/2012, Porcino, Rv. 253917; Sez. 2, n. 44846 del 24/9/2013, Pinsoglio, Rv. 257134; Sez. 5, n. 44863 del 7/10/2014, Prudentino, Rv. 261314 – in una prospettiva di lettura che opta per una visione di ampio respiro dei principi da essa affermati, non limitata alla fattispecie decisa dalla Corte costituzionale, ma che sottende, invece, una loro capacita’ espansiva, sino ad ergersi a prisma interpretativo generale del sistema processuale delle impugnazioni.
Dubita, invece, che le affermazioni della sentenza n. 317 del 2009 Corte Cost. abbiano valenza di superamento assoluto del principio di unicita’ dell’impugnazione la pronuncia Sez. F, n. 3144 del 4/9/2014, dep. 2015, Tripodo, Rv. 262040, la quale, espressamente richiamando la citata giurisprudenza di legittimita’ successiva alla sentenza n. 317/2019 Corte Cost. e ritenendola sostenitrice di una tale interpretazione estesa dei principi affermati dai giudici delle leggi in tale pronuncia, ammette, in ogni caso, le implicazioni di ordine sistematico derivanti dai dicta di quest’ultima, soprattutto quanto alla maggior valenza di determinati diritti fondamentali, che non consentono, nel peculiare caso considerato, di ritenere preclusivo dell’autonomo ricorso del contumace la proposizione del ricorso da parte del difensore (d’ufficio).
La sentenza da ultimo citata della Sezione Feriale sembra propendere, tuttavia, per una necessita’ di bilanciamento caso per caso degli interessi in gioco, si’ da ricostruire il diritto all’impugnazione in base regole processuali complessive utilizzabili nella fattispecie concreta da decidere.
A giudizio del Collegio, in verita’, le affermazioni della sentenza n. 317 del 2009 non possono che integrare una prospettiva dalle ricadute generali, al di la’ del tema specifico deciso e riferito al processo in contumacia ed al diritto all’impugnazione della sentenza contumaciale; esse riverberano i loro effetti sul sistema processuale complessivamente considerato e, per questo, anche sul procedimento cautelare e sull’impugnazione dei provvedimenti in questa fase, poiche’ la rilevanza del bene giuridico da proteggere – la liberta’ personale – diventa contrappeso “vincente” rispetto alle esigenze sottese alla corretta procedimentalizzazione della fase impugnatoria ed a quelle di evitare la duplicazione di decisioni.
In altre parole, non possono invocarsi soglie di protezione dei diritti dell’indagato o dell’imputato nel processo legate alla sua oggettivita’ in termini di durata, quando siano state, di contro, violate regole sostanziali relative alla effettivita’ del diritto di difesa, che prescindono dalla dimensione temporale del procedimento stesso.
Secondo la Corte costituzionale, il canone tradizionale dell’unicita’ del diritto alla impugnazione (come pure quello del divieto del bis in idem) non puo’ indurre a trarre conseguenze limitative sul versante del diritto dell’imputato a proporre impugnazione, apprezzato alla stregua di espressione del diritto di difesa e, per evitare l’obiezione che permeava la precedente giurisprudenza delle Sezioni Unite Huzueanu, con cui la Consulta si pone risolutamente ed esplicitamente in contrasto, la sentenza dei giudici delle leggi indica come rimedio agli effetti negativi del superamento del principio di unicita’ dell’impugnazione, in termini di possibili contrasti di giudicati o disfunzionali duplicazioni di procedimenti impugnatori, la necessita’ di razionalizzare e coordinare il concorrente e autonomo diritto alla impugnazione da parte dell’imputato e del difensore.
L’ordinamento processuale deve trovare, cioe’, al proprio interno i rimedi idonei ed adeguati a far si’ che vi sia, per quanto possibile, una reductio ad unitatem della impugnazione proposta dal difensore dell’imputato con il diritto di questi a proporre una propria autonoma impugnazione.
Tali principi non possono che trovare una eco ancor maggiore in ambito cautelare, dove, da un lato, il diritto di difesa e’ strumentale alla garanzia della liberta’ personale e, dall’altro, e’ spesso possibile, salvi casi limite, un rapido ed efficace coordinamento delle eventuali impugnazioni diversamente proposte dall’indagato e dal suo difensore.
Non si comprenderebbe, altresi’, a ragionare diversamente, la portata della disposizione di cui all’articolo 309 c.p.p., che, ai commi 1, 2 e 3, prevede la possibilita’ di proporre riesame sia per la parte indagata o imputata, personalmente, che per il suo difensore, disciplinando i termini per la proposizione e la loro decorrenza differente.
Nel caso di specie, i giudici del Riesame di Messina avrebbero potuto agevolmente soddisfare i principi affermati dalla Corte costituzionale – recepiti, sebbene con toni non univoci, dalla successiva giurisprudenza della Cassazione come canoni generali di orientamento (quanto meno tendenziali) – adottando soluzioni idonee a conciliare il diritto di difesa dell’indagato, e la sua espressione costituita dall’istanza di riesame personalmente proposta, con le esigenze di ordine organizzativo e di evitare la duplicita’ di decisioni.
L’istanza personale dell’indagato, infatti, era stata proposta il 3 novembre 2018, mentre quella del difensore, depositata pochi giorni prima (il 30 ottobre 2018), risulta essere stata decisa solo all’udienza del 8 novembre 2018; appare evidente, dunque, che si sarebbe potuto fissare la trattazione anche della successiva istanza personale in una unica udienza, piuttosto che procrastinarla al giorno 12 novembre 2018; data in cui, essendo stata gia’ decisa quella del difensore, la domanda di revisione cautelare dell’indagato e’ stata giudicata inammissibile dai giudici del riesame.
Una volta creatasi la situazione di “doppio riesame”, tuttavia, il Tribunale non poteva in ogni caso dichiarare l’inammissibilita’ dell’istanza personale proposta dall’indagato, bensi’ avrebbe dovuto deciderla nel merito, tenuto conto della precedente decisione gia’ assunta su analoga istanza del suo difensore.
In sintesi, deve affermarsi il principio secondo cui, in tema di riesame cautelare, il Tribunale della Liberta’ non puo’ dichiarare l’inammissibilita’ dell’istanza di riesame proposta personalmente dall’indagato solo perche’ successiva a quella analoga gia’ depositata dal suo difensore, in ragione sia del disposto dell’articolo 309 c.p.p. che, ai commi 1, 2 e 3, prevede espressamente la possibilita’ di adire il Tribunale della Liberta’ da parte di entrambi, con termini di decorrenza differenziati, nonche’ alla luce del superamento della logica dell’unicita’ dell’impugnazione.
3. Le altre eccezioni dedotte nel ricorso sono da ritenersi assorbite nell’accoglimento del motivo preliminare e di rito.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Messina.
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