Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 maggio 2021| n. 19426.
In tema di procedimento di prevenzione, qualora la Corte di cassazione annulli con rinvio il decreto emesso dalla corte d’appello, per la natura del provvedimento censurato, gli atti devono essere trasmessi, ai sensi dell’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., alla stessa sezione che lo ha adottato, sia pur in diversa composizione collegiale, per l’incompatibilità, ex art. 34 cod. proc. pen., dei giudici che si sono già pronunciati sulla questione.
Sentenza|17 maggio 2021| n. 19426. In tema di procedimento di prevenzione
Data udienza 20 aprile 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Reati di bancarotta – Confisca – Quote e beni societari – Presupposti del provvedimento ablativo – Pericolosità generica e qualificata – Vizi motivazionali – Fattispecie – Annullamento per nuovo esame – In tema di procedimento di prevenzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MICCOLI Grazia – Presidente
Dott. ROMANO Michele – Consigliere
Dott. SESSA Renata – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere
Dott. MAURO Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI SALERNO;
nei confronti di:
(OMISSIS);
avverso il decreto del 27/02/2019 della CORTE APPELLO di SALERNO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. CAPUTO ANGELO;
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione Dr. Luigi Birritteri, che ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi.
In tema di procedimento di prevenzione
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto deliberato il 21/03/2014, il Tribunale di Salerno, accertata la pericolosita’ sociale di (OMISSIS) e di (OMISSIS) (nelle more deceduto) disponeva la confisca delle quote e dei beni nella titolarita’ di una serie di societa’, rigettando, nel resto, la richiesta del Pubblico Ministero. Investita del giudizio di appello, la Corte di appello di Salerno, con decreto del 17/02/2016, dichiarava la propria incompetenza, ravvisando la litispendenza rispetto a un procedimento nella cognizione della Corte di appello di Napoli. Con sentenza n. 31674 del 31/01/2017, la Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Salerno, annullava il decreto del 17/02/2016, rinviando alla Corte di appello di Salerno per nuovo esame.
Pronunciandosi in sede di rinvio, la Corte di appello di Salerno, con decreto deliberato il 27/02/2019, ha revocato la confisca relativa alle quote sociali e ai beni di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione e di (OMISSIS) S.A., nonche’ al fabbricato ubicato a (OMISSIS) (via (OMISSIS)), confermando nel resto il decreto di primo grado.
2. Avverso l’indicato decreto del 27/02/2019 della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la medesima Corte, articolando le censure di seguito enunciate nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
In tema di procedimento di prevenzione
2.1. La motivazione relativa alla revoca della confisca nei confronti di (OMISSIS) dei beni e delle quote di (OMISSIS) s.r.l. e di (OMISSIS) s.a. e’ apparente, in quanto – anche alla luce delle dichiarazioni rese nel procedimento penale per bancarotta dallo stesso (OMISSIS), nonche’ dal curatore fallimentare e del consulente del P.M. – non tiene conto della condotta distrattiva di (OMISSIS) nei confronti del fallimento della (OMISSIS) e della proporzionalita’ delle presunte spese in relazione ai beni acquisiti, ne’ della situazione della societa’ (OMISSIS) con la tenuta dei libri contabili in condizione di bancarotta documentale.
2.2. In via subordinata, la restituzione dei beni dovrebbe comunque essere effettuata in favore del fallimento della (OMISSIS) a norma del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 63, comma 7.
3. Avverso il medesimo decreto del 27/02/2019 della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso i difensori Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), articolando quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3.1. Il primo motivo denuncia inosservanza del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 4, comma 1, lettera a) e c), motivazione omessa, apparente e contraddittoria in ordine alla ritenuta appartenenza del proposto alla categoria di pericolosita’ sociale, alla sua perimetrazione cronologica, con riferimento alla determinazione del momento iniziale di manifestazione oltre che alla sua attualita’, e alla valutazione degli indizi a fondamento del giudizio.
3.1.1. Erroneamente la Corte di appello ha considerato manifestazioni di pericolosita’ anche reati depenalizzati (falsita’ in titoli di credito e assegni a vuoto) e reati non comportanti illeciti arricchimenti (somministrazione di sostanze adulterate), mentre il decreto impugnato e’ carente di motivazione li’ dove richiama il mero dato dell’iscrizione nel casellario delle condanne, senza alcuna disamina dei fatti storici.
In tema di procedimento di prevenzione
3.1.2. Erroneamente il decreto impugnato ha desunto la pericolosita’ sociale da procedimenti ancora pendenti, per fatti tutt’altro che pacifici, o da procedimenti definiti con pronunce di estinzione del reato per amnistia, quali in particolare, il processo (OMISSIS) e (OMISSIS), senza illustrare le emergenze di fatto e le fonti di prova da cui ragionevolmente desumersi la commissione dei reati e la percezione di illeciti profitti, laddove dallo stesso decreto impugnato risulta che i due miliardi di lire pervenuti a favore di (OMISSIS) tra il settembre del 1980 e il novembre del 1981 furono affidati in amministrazione fiduciaria alla societa’ (OMISSIS) di Milano, il che comprova il possesso di redditualita’ lecite nei primi anni 80.
3.1.3. Il decreto impugnato omette di scrutinare la sussistenza del giudizio di derivazione abituale di redditi da attivita’ delittuose in soggetto svolgente attivita’ di imprenditore, la cui capacita’ e’ dalla stessa Corte di appello definita fuori discussione.
3.1.4. La pericolosita’ dagli inizi degli anni 80 e’ desunta anche da due sentenze risultanti dal casellario giudiziale per fatti di bancarotta risalenti all’ottobre del 1986, in assenza di indicazioni circa l’effettiva percezione di utili o di profitti da parte del proposto.
3.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24, nonche’ della L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, e motivazione assente, apparente e contraddittoria in ordine alla ritenuta sproporzione tra redditi e patrimonio e alla connessione con attivita’ illecite, omesso esame delle doglianze difensive in ordine all’indicazione di svolgimento di attivita’ lavorativa, alla produzione di redditi da questa derivati non rientranti nel perimetro cronologico della pericolosita’, alla confluenza dei redditi leciti verso acquisti immobiliari e di quote non confiscabili, all’utilizzo di risorse finanziarie lecite affidate dai familiari per gli investimenti nelle societa’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), all’utilizzo del credito bancario per gli acquisti immobiliari pur effettuati in periodi sospetti.
In tema di procedimento di prevenzione
I motivi di appello avevano denunciato il mancato adempimento dell’onere probatorio in capo al P.M. relativo alla dimostrazione della sproporzione della consistenza patrimoniale rispetto tanto all’attivita’ svolta, quanto ai redditi dichiarati; si erano cosi’ dedotte tre direttrici ed esposte le relative censure circa: la ricostruzione, in virtu’ di lecite risorse finanziarie, degli acquisti di immobili dalla meta’ degli anni âEuroËœ70 al 1986; la confluenza delle risorse degli espropri di (OMISSIS) messe a disposizione dai congiunti del proposto per la costituzione di tre societa’ ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)); l’utilizzo al credito bancario per alcune significative iniziative ricadenti nei periodi sospetti.
3.2.1. Quanto al primo punto, la Corte di appello e’ incorsa in una svista in quanto sembra che sia stato ignorato che le somme, indicate dal consulente di parte e documentate, furono percepite nel 1980 e nel 1981, ben prima della presunta commissione di fatti reato, ricompresi tra i 1982 e il 1986. La Corte di appello non si e’ confrontata con il dato storico che alcune acquisizioni avvennero alla fine degli anni âEuroËœ70, ancor prima della percezione dei redditi dalla (OMISSIS) (i cinque appartamenti a (OMISSIS), l’unita’ immobiliare sede dell’albergo (OMISSIS), i terreni “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”).
3.2.2. L’atto di appello aveva ricostruito la vicenda delle somme provenienti dagli espropri di (OMISSIS), di cui nel giudizio di appello sono stati prodotti i decreti di esproprio riguardanti il ricorrente, dai quali si ricava che questi incasso’ la somma di 3 miliardi e Lire 731 milioni, oltre all’indennita’ per miglioramenti di 226 milioni, mentre le sorelle incassarono la somma di Lire 4 miliardi e 700 milioni (detratte le indennita’ di Lire 226 milioni erogate al germano (OMISSIS)), per un totale di Lire 8 miliardi e mezzo di lire. La Corte di appello non ha preso in considerazione le deduzioni difensive fondate sulle emergenze documentali richiamate.
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3.2.3. Il decreto impugnato ha omesso di verificare che le societa’ effettuarono operazioni di investimento in acquisti immobiliari – pur ricompresi nel periodo sospetto – con il ricorso al credito bancario.
Per quanto riguarda (OMISSIS), al di la’ delle iniziali sottoscrizioni delle quote riconducibili ai capitali derivanti dagli espropri di (OMISSIS), la difesa aveva dedotto, anche sulla base della consulenza, le vicende relative alla provenienza dei successivi investimenti immobiliari dal ricorso al credito.
Analoghe considerazioni valgono per la societa’ Cooperativa (OMISSIS), per la quale si era dedotto che la sottoscrizione delle quote da parte (non dei familiari di (OMISSIS), ma) di centinaia di soci escludeva la riferibilita’ al ricorrente dell’intero pacchetto azionario e si era evidenziata la confluenza del
credito bancario e dei finanziamenti agevolati del settore conserviero, tanto piu’ che la Corte di appello di Napoli ha assolto il proposto dalle imputazioni ascritte.
A proposito di (OMISSIS), erano chiari la provenienza del capitale sociale dagli espropri di (OMISSIS) e il ricorso al credito bancario (in quanto l’immobile fu acquistato con l’accollo di un mutuo).
Quanto all'(OMISSIS), la Corte di appello ha accolto l’appello di (OMISSIS) quale acquirente dei beni dell’Hotel, cosi’ implicitamente accogliendo i motivi di appello circa l’estraneita’ di (OMISSIS), ma e’ stata confermata la confisca dei beni che furono retrocessi da (OMISSIS) al gruppo (OMISSIS), senza dare risposta ai motivi di appello circa la sottoscrizione iniziale delle quote societarie (1980) e l’acquisto di alcuni beni anteriormente anche alla prima ipotizzata percezione di possibili utili illeciti.
In relazione a (OMISSIS), il decreto impugnato ha trascurato il motivo di appello relativo alla cessata convivenza dei figli all’epoca della costituzione della societa’, all’erronea valutazione delle dichiarazioni di (OMISSIS) e all’epoca di acquisizione della consistenza immobiliare soggetta a confisca.
3.3. Il terzo motivo denuncia inosservanza del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 e della L. n. 575 del 1965, articoli 3 e 6, in relazione al mancato scorporo dei presunti accrescimenti illeciti e mancata restituzione del patrimonio riconosciuto di lecita provenienza.
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3.4. Il quarto motivo denuncia inosservanza del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 27. Erroneamente la Corte di appello ha considerato sospeso il procedimento in pendenza della dichiarazione di ricusazione, in quanto la sospensione viene disposta da una sezione diversa da quella cui appartiene il giudice ricusato, ne’ il mero rinvio puo’ rilevare come sospensione, sicche’ la confisca era perenta al momento della pronuncia.
4. Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di Salerno hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), con un unico atto e attraverso il difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), articolando le censure di seguito enunciate nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con riferimento a (OMISSIS) s.r.l., la Corte di appello non ha considerato che (OMISSIS) ha riferito di non essersi esclusivamente
interessata a detta societa’ e che i coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) avevano un’autonoma disponibilita’ di fondi, tanto piu’ che i cespiti derivanti dall’esproprio, cosi’ come ricostruiti dal consulente, erano di provenienza lecita. Il decreto fa riferimento a un’inesistente ” (OMISSIS)”, laddove in atti risulta che e’ stato contratto un debito con una banca, il che conferma che non puo’ trattarsi di intestazione fittizia. Quanto a (OMISSIS), la disponibilita’ di fondi per l’acquisto delle quote di tale societa’ esclude il carattere fittizio dell’intestazione.
5. Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), articolando le censure di seguito enunciate nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. La Corte di appello valorizza il rapporto della ricorrente con il padre (OMISSIS), ma non tiene conto che l’acquisto e’ avvenuto nel 1992 quando non sussisteva alcuna manifestazione del prospettato rapporto tra questi e associazioni illegittime, svolgendo anzi attivita’ nel campo edilizio e in quello industriale. I giudici di merito non spiegano perche’ le somme nella disponibilita’ della ricorrente per l’acquisto dell’appartamento provenissero da attivita’ illecita di (OMISSIS) e non da attivita’ lecita, mentre doveva essere accertata la coincidenza temporale dell’epoca dell’accumulazione dei beni e la manifestata pericolosita’ del proposto, nonche’ la sproporzione rispetto ai redditi leciti. Non e’ stata effettuata una seria analisi delle attivita’ imprenditoriali svolte in epoche risalenti da (OMISSIS) e dal fratello, tanto da essere destinatari di richieste estorsive. Quanto alle quote della societa’ (OMISSIS) e alle azioni della (OMISSIS), la Corte di appello ha omesso di motivare e non ha tenuto conto che la formazione della prima doveva ritenersi pienamente lecita, che le somme per l’acquisto delle seconde erano nella disponibilita’ dell’intero nucleo familiare, destinatario delle somme per l’esproprio del fondo di (OMISSIS).
6. Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), articolando le censure di seguito enunciate nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. La Corte di appello ha disposto la confisca nonostante non sussistesse l’attualita’ della pericolosita’ del proposto, mentre la disciplina ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 20 non poteva applicarsi al ricorrente. Quanto alla societa’ (OMISSIS), costituita nel 1997, la Corte motiva in ordine all’asserita fittizieta’ dell’intestazione esclusivamente sulla base della giovane eta’ del ricorrente e della pericolosita’ sociale di (OMISSIS) in quel momento, ma nessun elemento e’ emerso in grado di per ritenere l’interesse di quest’ultimo per la societa’.
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7. Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), articolando le censure di seguito enunciate nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. La Corte di appello ha disposto la confisca nonostante non sussistesse l’attualita’ della pericolosita’ del proposto, mentre la disciplina ex Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 20 non poteva applicarsi alla ricorrente, i cui genitori avevano gestito per molti anni un’attivita’ economica. La Corte di appello si limita a esaminare le quote di (OMISSIS) di cui la ricorrente e’ titolare e a denunciare la sperequazione tra le possibilita’ economiche e le importanti provviste necessarie per far nascere e gestire la societa’, omettendo, pero’, di considerare l’attivita’ svolta dai genitori quando erano in vita.
8. Avverso il medesimo decreto della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), articolando le censure di seguito enunciate nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
8.1. Violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 27, in quanto, per escludere l’effetto estintivo del superamento del termine di un anno e sei mesi, la Corte di appello invoca una sospensione del procedimento conseguita a dichiarazione di ricusazione che e’ solo eventuale e deve essere disposta dal giudice della ricusazione e non da quello ricusato.
8.2. Motivazione inadeguata, in quanto la Corte di appello ha annullato la statuizioni ablatorie nei confronti di altri acquirenti dei beni della societa’ (OMISSIS), sicche’ anche nei confronti del ricorrente doveva essere disposta la restituzione.
8.3. Violazione dell’articolo 649 c.p.p., in relazione al procedimento pendente dinanzi alla Corte di appello di Napoli.
8.4. Inosservanza degli articoli 623, 627 e 628 c.p.p., in quanto la Corte di appello non ha tenuto conto di quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza del 13/02/2019 e con quella del 24/02/2011.
8.5. Inosservanza del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 e della L. n. 575 del 1965, articoli 2-ter e 6, in relazione al mancato scorporo dei presunti accrescimenti illeciti e mancata restituzione del patrimonio riconosciuto di origine lecita, nonche’ motivazione apparente in ordine alle risultanze del procedimento connesso.
9. Il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Birritteri Luigi ha presentato requisitoria scritta, concludendo per l’inammissibilita’ dei ricorsi.
10. Nell’interesse di (OMISSIS), quale legale rappresentante di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione e di (OMISSIS) S.A., i difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS) hanno presentato una memoria con la quale chiedono che il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno sia dichiarato inammissibile. Il primo motivo, ad avviso della memoria, non individua vizi denunciabili nel presente giudizio, mentre il secondo si fonda sull’erronea considerazione della portata del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 63, che disciplina l’ipotesi della confisca applicata a beni di un’impresa dichiarata fallita, laddove nel caso di specie i beni sono nella titolarita’ della due societa’ rappresentate da (OMISSIS).
11. Anche il difensore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ha presentato una memoria, con la quale richiama la sentenza n. 11666 del 2019 della Sesta Sezione di questa Corte, nel procedimento rispetto al quale era stata sollevata la questione della litispendenza, e, ribadendo le doglianze articolate nei ricorsi, conclude per il loro accoglimento.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Procuratore generale deve essere dichiarato inammissibile, mentre, nel resto, il decreto impugnato deve essere annullato, per le ragioni e nei termini di seguito indicati.
2. In ordine di priorita’ logico-giuridica, devono essere esaminati il quarto motivo del ricorso nell’interesse di (OMISSIS) e la prima censura del ricorso nell’interesse di (OMISSIS). Le doglianze sono inammissibili in quanto aspecifiche e manifestamente infondate.
Sez. U, n. 31421 del 26/06/2002, Conti, Rv. 222046 ha ravvisato nel sistema “un aspetto del tutto peculiare che ripropone l’automatismo dichiarazione di ricusazione – sospensione del processo: e’ il caso in cui la dichiarazione di ricusazione interviene, all’esito di ogni adempimento istruttorio e processuale, nel momento immediatamente precedente la deliberazione finale, quando cioe’ al ricusato e’ inibito ex lege (articolo 37 c.p.p., comma 2), in assoluto, adottare o concorrere ad adottare tale deliberazione, senza neppure disporre di alcun potere di preventiva valutazione in ordine alla pretestuosita’ o meno dell’istanza proposta”; e’ del tutto evidente, in tale ipotesi, che “diventa ineludibile ed automatica la sospensione del processo, perche’ imposta dal dettato normativo e non certo effetto, come di norma accade, di una valutazione di merito del giudice di cui all’articolo 40 c.p.p.”.
I ricorrenti muovono dal duplice assunto che la sospensione del giudizio non sia mai automatica e non sia mai “decisa” dal giudice ricusato, ma, nell’ipotesi appena richiamata, entrambi i rilievi, nella loro assolutezza, sono manifestamente infondati. Ne’ i ricorsi deducono che nel caso di specie non si versasse nell’ipotesi indicata, sicche’, sotto questo profilo, essi risultano del tutto aspecifici.
3. Sempre in limine, deve essere esaminata la terza doglianza del ricorso nell’interesse di (OMISSIS), anch’essa manifestamente infondata in considerazione della preclusione collegata alla decisione assunta da questa Corte con la sentenza n. 31674 deliberata il 31/01/2017.
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4. Passando ora all’esame del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno, esso e’ inammissibile.
4.1. Il primo motivo e’ inammissibile, per plurime, convergenti ragioni.
4.1.1. Il decreto impugnato ha puntualmente e diffusamente motivato la parziale riforma del decreto di primo grado, giungendo alla conclusione dell’effettivita’ dei trasferimenti operati da (OMISSIS) a (OMISSIS) sulla base delle risultanze offerte dai contributi conoscitivi offerti dal Maresciallo (OMISSIS) della Guardia di Finanza, del rag. (OMISSIS) e di (OMISSIS), commercialista dello studio di (OMISSIS). Il primo ha riferito di aver accertato l’effettivita’ dei pagamento da parte della societa’ del gruppo (OMISSIS) per l’acquisto delle quote di alcune societa’ riconducibili a (OMISSIS), acquisto effettuato con la corresponsione di 510 milioni di lire. Il secondo ha riferito che (OMISSIS) e (OMISSIS) si conobbero per il suo tramite nel 1996, su iniziativa del secondo che gli aveva chiesto se conoscesse qualche imprenditore che trattasse “il pomodoro”; (OMISSIS) gli presento’ (OMISSIS), che aveva interesse ad alcune dismissioni; (OMISSIS), sottolinea la Corte distrettuale, e’ stato fermo nel dichiarare che i due non si conoscevano prima e che fu lui a metterli in contatto. Il terzo ha dichiarato di avere curato la contabilita’ delle societa’ dopo il loro acquisto da parte di (OMISSIS) e di non essersi mai imbattuto, a partire da tale epoca, in (OMISSIS), ne’ in via diretta, ne’ in via indiretta. La Corte di appello si e’ quindi soffermata sulle dichiarazioni di (OMISSIS), secondo cui la societa’ erano sempre nella disponibilita’ di (OMISSIS), rimarcandone il carattere generico e assertivo, giungendo quindi alla conclusione che (OMISSIS), non appartenente alla cerchia familiare del proposto, aveva acquistato i beni per finalita’ di espansione della propria attivita’ e non allo scopo di consentire a (OMISSIS) un trasferimento solo fittizio.
4.1.2. Nei termini, in estrema sintesi indicati, la motivazione resa sul punto dal decreto impugnato e’ tutt’altro che apparente, laddove, come e’ noto, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione e’ ammesso soltanto per violazione di legge, sicche’, in tema di sindacato sulla motivazione, e’ possibile esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246). Le censure del ricorrente all’evidenza, non danno corpo a vizi sindacabili in questa sede. Esse valorizzano essenzialmente alcune dichiarazioni, ma, nei termini in cui sono dedotte, risulterebbero inammissibili anche in caso di denunciabilita’ del vizio di motivazione, posto che, lungi dall’offrire un quadro esaustivo delle testimonianze prese in considerazione dai giudici di merito e svolgere, in riferimento a tale analitico e completo quadro di riferimento, le critiche alla decisione impugnata, il ricorso si limita a segnalare, in modo del tutto frammentario, alcuni profili di tali testimonianze, cosi’ rimettendo, in buona sostanza, al giudice di legittimita’ una inammissibile rivalutazione generale e complessiva del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito: il ricorso si e’ quindi sottratto all’onere di completa e specifica individuazione degli atti processuali che intende far valere, non essendo sufficiente, per l’apprezzamento del vizio dedotto, “la citazione di alcuni brani” dei medesimi atti (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011, dep. 2012, Rv. 252349). Nel caso di specie, dunque, deve ribadirsi che e’ inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimita’ frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziche’ al controllo sulle modalita’ con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica dell’interpretazione che ne e’ stata fornita (Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774). D’altra parte, il ricorso si sottrae alla disamina critica dei dati conoscitivi valorizzati dal decreto impugnato, risultando, sotto questo profilo, del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).
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4.1.3. Anche la richiesta formulata in via subordinata dal ricorrente e’ inammissibile. Essa muove esplicitamente dall’assunto che (OMISSIS) “e’ responsabile di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale”, assunto sostenuto dal riferimento a una sentenza di primo grado. Sotto questo profilo, il ricorso e’ del tutto aspecifico, non dando conto delle sorti della sentenza invocata, e, comunque, li’ dove richiama una pronuncia non indicata come definitiva, teso sostanzialmente a rimettere a questa Corte inammissibili questioni di merito.
5. Sempre in ordine di priorita’ logico-giuridica, lo scrutinio di questa Corte deve ora investire le doglianze relative al giudizio di pericolosita’ sociale di (OMISSIS) (primo motivo del ricorso nell’interesse del proposto); al riguardo, va rilevato che lo stesso e’ stato iscritto in due categorie di pericolosita’ in tre diverse fasi temporali.
Secondo la Corte di appello, nella prima fase (dalla fine degli anni âEuroËœ70 del secolo scorso alla meta’ degli anni âEuroËœ80), (OMISSIS) deve essere inquadrato nella categoria della pericolosita’ generica.
Nella fase successiva (dalla meta’ degli anni’80 fino a circa la meta’ degli anni âEuroËœ90) – ossia nel periodo della sua partecipazione, accertata con sentenza irrevocabile, all’organizzazione camorristica denominata “(OMISSIS)”, facente capo a (OMISSIS) – a (OMISSIS) e’ riconosciuta una pericolosita’ qualificata, avendo asservito la struttura imprenditoriale a lui riconducibile alla realizzazione, in particolare, di truffe in danno dell’AIMA.
Dalla meta’ degli anni âEuroËœ90, (OMISSIS), nella ricostruzione della Corte distrettuale, ha espresso una pericolosita’ generica, da ricondurre, anche alla luce delle univoche indicazioni rinvenibili sia nel decreto di primo grado (ove si descrive un soggetto che viveva “in tutto o in parte dei proventi di delitti, tutti commessi al fine di ricavarne un lucro illecito”), sia in quello di appello, nel “tipo” delineato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b).
L’esame delle doglianze del ricorrente, peraltro, deve essere preceduto dalla ricognizione dei principi delineati dalla giurisprudenza di legittimita’ su un duplice terreno. Una prima ricognizione deve riguardare i temi concernenti la natura e la valenza degli elementi fattuali posti a sostegno del giudizio di pericolosita’ e del loro rapporto con gli accertamenti svolti con riguardo ad essi in sede penale (e con i relativi esiti). In secondo luogo, e’ necessario soffermarsi sulla specifica qualificazione di pericolosita’ generica, che viene in rilievo nel caso in esame, quella delineata dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), anche alla luce delle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019.
6. Sotto il primo profilo, mette conto osservare che, come questa Corte ha gia’ avuto modo di rilevare, “il giudizio di pericolosita’ espresso in sede di prevenzione va scisso – nelle sue componenti logiche – in una prima fase di tipo “constatativo” rapportata alla importazione di dati cognitivi idonei a rappresentare l’avvenuta condotta contraria alle ordinarie regole di convivenza tenuta – in passato – dal soggetto proposto (tra cui, ovviamente, ben possono rientrare i pregiudizi penali derivanti dall’accertamento di fatti costituenti reato) cui si unisce una seconda fase di tipo essenzialmente prognostico, per sua natura alimentata dai risultati della prima, tesa a qualificare come “probabile” il ripetersi di condotte antisociali, inquadrate nelle categorie criminologiche di riferimento previste dalla legge”; con particolare riferimento alla “fase constatativa” e, dunque, ricostruttiva del giudizio di pericolosita’, essa “si alimenta in primis dall’apprezzamento di “fatti” storicamente apprezzabili e costituenti a loro volta “indicatori” della possibilita’ di iscrivere il soggetto proposto in una delle categorie criminologiche previste dalla legge”, posto che il soggetto coinvolto nel procedimento di prevenzione e destinatario del giudizio di pericolosita’ “non viene ritenuto “colpevole” o “non colpevole” in ordine alla realizzazione di un fatto specifico, ma viene ritenuto “pericoloso” o “non pericoloso” in rapporto al suo precedente agire (per come ricostruito attraverso le diverse fonti di conoscenza) elevato ad “indice rivelatore” della possibilita’ di compiere future condotte perturbatrici dell’ordine sociale costituzionale o dell’ordine economico e cio’ in rapporto all’esistenza di precise disposizioni di legge che “qualificano” le diverse categorie di pericolosita’ (attualmente il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 1 e 4″ (Sez. 1, n. 23641 del 11/02/2014, Mondini, Rv. 260103 – 4).
6.1. E’ in questa prospettiva che deve essere ricostruito il quadro composito dei rapporti tra accertamento in sede penale e accertamento nel procedimento prevenzione. Muovendo dall’ipotesi della sentenza assolutoria in sede penale, e’ stato puntualmente rilevato che “se e’ vero che l’autonomia del procedimento di prevenzione – rispetto a quello penale – consente in termini generali la valutazione del “fatto” comunque accertato, quale eventuale sintomo di pericolosita’ e’ pur vero che tale affermazione esige da un lato la “effettivita’” di una autonoma valutazione, (…) ma soprattutto va rapportata alla tipologia di pericolosita’ “prevenzionale” che si ipotizza sussistente”; invero, “il principio della “autonoma valutazione” (di fatti accertati o comunque desumibili da decisioni di assoluzione emesse in sede penale) si e’ (…) affermato, quasi in via esclusiva, nel settore della contiguita’ mafiosa ed in riferimento ad una descrizione della categoria criminologica (il soggetto indiziato di appartenenza all’organismo mafioso) che tollera, per la sua diversita’ ontologica dalla prova della condotta partecipativa in senso pieno (articolo 416 bis), la diversita’ di apprezzamento, nei due settori dell’ordinamento, delle medesime circostanze di fatto (le frequentazioni stabili con il soggetto mafioso, ad esempio, ben possono rappresentare indice rivelatore di contiguita’ – ove accertate – pur se ritenute insufficienti a fondare una decisione affermativa di penale responsabilita’)”, laddove “nel settore della pericolosita’ “semplice” (come con riguardo alla categoria di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), che viene in rilievo nel caso di specie: n.d.r.) molto minore, per non dire assente, e’ la possibilita’ di porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla mediata osservanza del principio di tassativita’ (…), una simile operazione”, posto che “se la realizzazione del delitto e’ esclusa in sede penale – e cio’ sia in rapporto all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo – manca uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della fattispecie”; di qui il principio di diritto secondo cui “in sede di verifica della pericolosita’ di soggetto proposto per l’applicazione di misura ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), il giudice della prevenzione non puo’ ritenere in via autonoma rilevante il fatto coperto da giudicato di assoluzione, stante la testuale formulazione della norma di riferimento che richiede la constatazione di ricorrenti attivita’ delittuose produttive di reddito” ed ostandovi il “principio di tassativita’ e di quello, ancor piu’ generale, di unitarieta’ dell’ordinamento e di non contraddizione” (Sez. 1, n. 31209 del 24/03/2015, Scagliarini, Rv. 264319 – 22).
Il principio di diritto appena richiamato ha trovato conferme nella successiva giurisprudenza di legittimita’, che ha rimarcato come in sede di verifica della pericolosita’ generica del soggetto proposto, il giudice della prevenzione possa ricostruire in via autonoma la rilevanza penale dei fatti accertati in sede penale che non abbiano dato luogo ad una sentenza di condanna a condizione che non sia stata emessa una sentenza irrevocabile di assoluzione in quanto la negazione penale di un fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosita’, sicche’ detto potere di autonoma valutazione sussiste anche nel caso di emissione di una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione purche’ il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti, laddove l’unico limite all’autonomia del giudizio di prevenzione e’ quello dell’esclusione, in sede penale, con pronunce irrevocabili, di determinati fatti, posto che “la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e quindi di assumerlo come elemento del giudizio di prevenzione” (Sez. 2, n. 11846 del 19/01/2018, Carnovale, Rv. 272496; conf. Sez. 5, n. 48090 del 08/10/2019, Ruggeri, Rv. 277908; Sez. 2, n. 26774 del 30/04/2013, Chianese, Rv. 256820, secondo cui l’unico limite posto all’autonomia valutativa del giudice della prevenzione e’ che “i fatti storici ritenuti sintomatici della pericolosita’ del proposto non devono essere stati smentiti in sede di cognizione penale”).
Alcune pronunce di questa Corte danno conto di una parziale diversita’ nell’impostazione di fondo, ritenendo che, in tema di misure di prevenzione, il giudice, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, possa valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosita’ generica del proposto, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettivita’ quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosita’ (Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Simply Soc. Coop, Rv. 27722505; in analoga prospettiva, Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266364).
In tema di procedimento di prevenzione
Al riguardo, pero’, va ribadito che il principio della “autonoma valutazione” si e’ affermato, quasi in via esclusiva, nel settore della partecipazione mafiosa e in riferimento a una descrizione della categoria criminologica (il soggetto indiziato di appartenenza all’organismo mafioso) che tollera, per la sua diversita’ ontologica dalla prova della condotta partecipativa in senso pieno, “la diversita’ di apprezzamento, nei due settori dell’ordinamento, delle medesime circostanze di fatto”, mentre nel settore della pericolosita’ generica di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1 “molto minore, per non dire assente, e’ la possibilita’ di porre in essere, sul piano interpretativo ed in rapporto alla mediata osservanza del principio di tassativita’ prima descritta, una simile operazione”, posto che la norma di riferimento “impone di constatare la ricorrente commissione di un delitto (attivita’ delittuose) produttivo di reddito”, sicche’ “se la realizzazione del delitto e’ esclusa in sede penale – e cio’ sia in rapporto all’elemento materiale che a quello psicologico, non potendosi certo sostenere una sopravvivenza del disvalore di un delitto in assenza di dolo – manca uno dei presupposti su cui lo stesso legislatore articola la costruzione della fattispecie” (Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018, Rv. 273976). Come e’ stato rilevato, “una diversa definizione dei rapporti tra accertamento assolutorio in sede penale e accertamento dei presupposti del giudizio di pericolosita’ nel procedimento di prevenzione, oltre a ledere il principio di unitarieta’ e di non contraddizione dell’ordinamento, svilirebbe indebitamente la pregnanza cognitiva dell’accertamento proprio del giudizio penale” (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 28014501 – 2). Del resto, la diversita’ strutturale ravvisabile tra la fattispecie incriminatrice e la “corrispondente” fattispecie di pericolosita’ si apprezza pienamente proprio sul terreno della pericolosita’ qualificata, alla luce del rilievo che la nozione di “appartenenza” ad un’associazione mafiosa, rilevante per l’applicazione delle misure di prevenzione, comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguita’ o di vicinanza al gruppo criminale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512), laddove analoga diversita’ strutturale non e’ riconoscibile con riguardo alle “categorie” di reato che, come si vedra’, rappresentano il nucleo essenziale della fattispecie di pericolosita’ di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b).
6.2. Naturalmente, il giudice della misura di prevenzione puo’ valorizzare, nella fase “constatativa”, dati conoscitivi non presi in considerazione in alcun procedimento penale, cosi’ come quelli valutati in procedimenti penali non definitivi (cfr. Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, Schiraldi, Rv. 271372) ovvero, nei termini sopra indicati, in procedimenti definiti con declaratorie di estinzione del reato per prescrizione (e anche, come nel caso di specie, per applicazione dell’amnistia), sostenendo, naturalmente, il relativo giudizio con congrua motivazione, anche alla luce delle deduzioni e delle allegazioni eventualmente introdotte dalla difesa.
Un cenno particolare merita la questione della valutabilita’, ai fini del giudizio di prevenzione, di elementi acquisiti nell’ambito di un procedimento penale archiviato; muovendo dal rilievo che “soltanto una sentenza irrevocabile di assoluzione comporta un limite al giudice della prevenzione di rivalutare autonomamente i fatti in essa accertati, in quanto la negazione penale di un fatto impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosita’”, si e’ sostenuto che, in tema di misure di prevenzione, il giudice puo’ valutare autonomamente anche i fatti oggetto di un procedimento archiviato (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Diotallevi, Rv. 27743802). Fermo restando che, in presenza di dati conoscitivi tratti da un procedimento archiviato, il giudice della prevenzione e’ chiamato ad un’attenta disamina del provvedimento di archiviazione, al fine di verificare se da esso emergano accertamenti ostativi alla trasmigrazione dei dati in sede di prevenzione, la regola di giudizio che governa l’archiviazione, invero, rende ragione dell’irriducibile diversita’ del “contenuto cognitivo” associabile ad una sentenza assolutoria.
6.3. Concludendo sul punto, e fermo restando quanto appena rilevato in ordine agli elementi desunti da un procedimento archiviato, il quadro dei rapporti tra accertamento in sede penale e accertamento in sede di prevenzione e’ stato cosi’ efficacemente sintetizzato:
“a) nel giudizio cognitivo di prevenzione, l’applicazione delle previsioni di legge di cui all’articolo 1 comma 1 lettera (…) b Cod. Ant. richiede adeguata motivazione circa la esistenza pregressa delle condotte delittuose commesse dal proposto, aderenti ai contenuti della previsione astratta, declinata – quest’ultima – in termini tassativi, trattandosi della base logica e normativa del giudizio di pericolosita’ soggettiva;
b) il giudice della misura di prevenzione puo’ fare riferimento, in tale parte della motivazione, a provvedimenti emessi in sede penale che abbiano affermato (anche in via provvisoria) la ricorrenza dei delitti in questione, esprimendo argomentata condivisione e confrontandosi con gli argomenti contrari introdotti dalla difesa;
c) il giudice della misura di prevenzione puo’ ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione – anche in assenza di procedimento penale correlato – in virtu’ della assenza di pregiudizialita’ e della possibilita’ di azione autonoma di prevenzione (articolo 29 Cod. Ant.);
d) il giudice della misura di prevenzione e’ tuttavia vincolato a recepire l’eventuale esito assolutorio non dipendente dall’applicazione di cause estintive sul fatto posto a base del giudizio di pericolosita’ – prodottosi nel correlato giudizio penale (articolo 28 Cod. Ant.) con le sole eccezioni che seguono: 1) il segmento fattuale oggetto dell’esito assolutorio del giudizio penale si pone come ingrediente fattuale solo concorrente e minusvalente rispetto ad altri episodi storici rimasti confermati (o non presi in esame in sede penale); 2) il giudizio di prevenzione si basa su elementi cognitivi autonomi e diversi rispetto a quelli acquisiti in sede penale; 3) la conformazione legislativa del tipo di pericolosita’ prevenzionale e’ descritta in modo sensibilmente diverso rispetto ai contenuti della disposizione incriminatrice oggetto del giudizio penale (ipotesi di pericolosita’ qualificata)” (Sez. 1, n. 43826 del 2018, cit.).
In tema di procedimento di prevenzione
6.4. Chiarito il quadro delle “fonti” alle quali il giudice della prevenzione puo’ attingere e dei diversi criteri che devono governare la circolazione dei dati conoscitivi dal procedimento penale al procedimento di prevenzione, un’ulteriore puntualizzazione si rende necessaria al fine di meglio chiarire i contenuti argomentativi che devono connotare il giudizio di pericolosita’ basato sulla menzionata circolazione di dati conoscitivi. Piu’ in particolare, come rimarcato dalla giurisprudenza di legittimita’, il giudice, nella motivazione riguardante la prognosi di pericolosita’, non puo’ integralmente demandare la valutazione dei fatti posti a fondamento della stessa all’esito di un procedimento penale, in quanto il principio della “autonomia valutativa” del giudice della misura di prevenzione rispetto al giudice penale “e’ ricollegabile alla diversa tipologia del giudizio espresso in sede di prevenzione (attualita’ della pericolosita’ soggettiva derivante dall’inquadramento del proposto in una delle categorie criminologiche previste dalla legge) rispetto al giudizio penale classico (accertamento della colpevolezza su una specifica contestazione di fatto costituente reato) per cui, in assenza di pregiudizialita’ (come ribadito dall’attuale Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 29), e’ consentito al giudice della prevenzione utilizzare gli elementi di fatto accertati nell’ambito di un giudizio penale o anche discostarsi dall’esito di tale giudizio, li’ dove i fatti emersi (e sottoposti ad autonoma valutazione) consentano in ogni caso l’inquadramento della persona in una delle “categorie” normative di riferimento (…). Ma il postulato di tale principio e’ che una “valutazione effettiva” dei fatti emersi nell’ambito del procedimento penale, sia pure presi in considerazione a fine parzialmente diverso, vi sia. Cio’ perche’ nessun provvedimento giudiziario che sia soggetto ad obbligo di motivazione puo’ essere validamente emesso attraverso la mera “indicazione” di una decisione emessa in altra sede non assistita da una – sia pur sintetica – considerazione autonoma della rilevanza dimostrativa dei dati in tale diversa sede emersi, considerazione tale da far comprendere al destinatario della decisione l’iter logico seguito” (Sez. 1, n. 7585 del 22/01/2014, Bonavota, Rv. 259672).
In tema di procedimento di prevenzione
7. Quanto alla categoria di pericolosita’ generica delineata dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), va ricordato che, con la sentenza n. 24 del 2019, la Corte costituzionale ha ritenuto detta figura – a differenza di quella di cui alla lettera a) della medesima disposizione – costituzionalmente legittima, in quanto la locuzione “coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita’ delittuose” e’ oggi suscettibile di essere interpretata come espressiva della necessita’ di predeterminazione non tanto di singoli “titoli” di reato, quanto di specifiche “categorie” di reato, il che “permette di ritenere soddisfatta l’esigenza – sulla quale ha da ultimo giustamente insistito la Corte Europea, ma sulla quale aveva gia’ richiamato l’attenzione la sentenza n. 177 del 1980 di questa Corte – di individuazione dei “tipi di comportamento” (“types of behaviour”) assunti a presupposto della misura”; in questa prospettiva, il giudice delle leggi ha puntualizzato che “le “categorie di delitto” che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtu’ del triplice requisito – da provarsi sulla base di precisi “elementi di fatto”, di cui il tribunale dovra’ dare conto puntualmente nella motivazione (articolo 13 Cost., comma 2) – per cui deve trattarsi di a) delitti commessi abitualmente (e dunque in un significativo arco temporale) dal soggetto, b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui, c) i quali a loro volta costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito”.
In linea con le indicazioni del giudice delle leggi, la giurisprudenza di legittimita’ si e’ assestata sul principio di diritto in forza del quale, in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le “categorie di delitto” legittimanti l’applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosita’ generica, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b), devono presentare il triplice requisito – da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione – per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo (Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, Germano’, Rv. 275827; conf. Sez. 6, n. 21513 del 09/04/2019, Coluccia, Rv. 275737; Sez. 1, n. 27696 del 01/04/2019, Immobiliare Peonia s.r.l., Rv. 275888; Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 28014503).
8. Il decreto impugnato, nelle valutazioni afferenti la prima e la terza fase della ritenuta pericolosita’ generica di (OMISSIS), non e’ sempre in linea con i principi richiamati. In premessa, mette conto osservare che il decreto impugnato richiama un decreto del 10/05/2013 della Corte di appello di Napoli, divenuto irrevocabile il 25/03/2015, applicativo al ricorrente della misura di prevenzione personale: rispetto a tale decreto, tuttavia, non sono specificamente indicati ne’ la categoria di pericolosita’ nella quale e’ stato iscritto il proposto (profilo, questo, decisivo, soprattutto dopo la declaratoria di illegittimita’ costituzionale di cui alla citata sentenza n. 24 del 2019), ne’ il relativo periodo, indispensabile al fine delle valutazioni circa la perimetrazione temporale della pericolosita’, soprattutto generica, rispetto agli acquisti (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605).
8.1. Premessa dunque la necessita’ di una piu’ analitica valutazione del menzionato decreto della Corte di appello di Napoli, sotto il primo dei profilo indicati, va richiamato il rilievo della Corte distrettuale in ordine alla commissione da parte del ricorrente di truffe (OMISSIS) per la annualita’ che vanno dal 1982 al 1986 per importi di rilevantissima entita’ (circa 5 miliardi di lire), con gli ulteriori reati di emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti di ingente consistenza, cui si aggiunge una correlativa, rilevante evasione fiscale realizzata da (OMISSIS) per il tramite della societa’ conserviera (OMISSIS) e dello scatolificio (OMISSIS), da lui gestite attraverso prestanomi (con evasione dell’IVA per 800 milioni di lire e indebiti rimborsi IVA pari a 2 miliardi e 570 milioni di lire per gli anni dal 1983 al 1986). Il procedimento si e’ concluso con una declaratoria di estinzione del reato per amnistia da parte del Tribunale di Salerno, che, con riferimento alla truffa in danno dello Stato per 5 miliardi di lire, ha applicato l’amnistia non potendosi pervenire a un proscioglimento nel merito. Nei termini indicati, tuttavia, il giudice di prevenzione non ha indicato l’effettivo contenuto accertativo della pronuncia richiamata, sottraendosi alla necessaria considerazione autonoma dei dati conoscitivi emersi in quella sede, anche alla luce delle eventuali impugnazioni della pronuncia stessa (alle quali fa riferimento il ricorso).
8.2. Alla stessa conclusione deve giungersi con riferimento all’ultima fase della ritenuta pericolosita’ del ricorrente, li’ dove il decreto impugnato richiama plurimi procedimenti non definiti con sentenza irrevocabile, senza, tuttavia, esprimere argomentata condivisione e puntuale confronto con gli argomenti contrari introdotti dalla difesa.
Piu’ in generale, in numerosi e significativi passaggi, il decreto impugnato si limita a menzionare procedimenti risultanti dal certificato penale o procedimenti non ancora definitivi o definiti con sentenza non di condanna (ad esempio, con applicazione dell’amnistia), senza alcune specifica “”valutazione effettiva” dei fatti emersi nell’ambito del procedimento penale”, sicche’ tali riferimenti si risolvono in una “mera “indicazione” di una decisione” – talora, come si e’ detto, neppure definitiva e in altri casi relativa a meri decreti di rinvio a giudizio “emessa in altra sede non assistita da una – sia pur sintetica – considerazione autonoma della rilevanza dimostrativa dei dati in tale diversa sede emersi, considerazione tale da far comprendere al destinatario della decisione l’iter logico seguito” (Sez. 1, n. 7585 del 2014, Bonavota, cit.). L’importazione dei dati indiziari da procedimenti penali si risolve cosi’, in tali casi, in mere “citazioni” di provvedimenti, non sorretta dall’illustrazione della valenza conoscitiva effettivamente associabile ai fatti accertati in sede penale, con conseguente connotazione della motivazione in termini di apparenza: rilievo, questo, riferibile anche alla – pur senz’altro significativa – condanna per numerosi episodi di usura ed estorsione realizzati in molteplici comprensori della Regione Campania, condanna menzionata dal giudice di appello come desunta dal certificato penale e senza ulteriori specificazioni (neppure in ordine al tempus commissi delicti). Colgono, dunque, nel segno, per questa parte, le doglianze del ricorso nell’interesse di (OMISSIS) sintetizzate ai punti 3.1.1. e 3.1.2. del Ritenuto in fatto.
8.3. Alla medesima conclusione deve giungersi con riguardo al secondo profilo, ossia con riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie di pericolosita’ di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b), che, come si e’ visto, deve far leva sul triplice requisito per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l’unica, o quantomeno una rilevante, fonte di reddito per il medesimo.
La Corte di appello, al riguardo, fa riferimento a delitti, accertati con sentenza irrevocabile, sicuramente riconducibili nel genus dei delitti espressivi della figura di pericolosita’ generica attribuita al ricorrente (ad esempio, usura, la truffa di cui alla sentenza sopra richiamata), ma associa a tale riferimento quelli afferenti a reati depenalizzati (assegni a vuoto) ovvero oggetto di parziale (non totale, come mostra di ritenere il ricorrente) aboliti crimins (il falso in titoli di credito, a proposito del quale, cfr. Sez. U, n. 40256 del 19/07/2018, Rv. 273936) oppure non necessariamente produttivi di profitti (bancarotte fraudolente, vendita di sostanze adulterate, associazione finalizzata all’intestazione fittizia di beni). Nei termini indicati, oltre a non dar conto, per alcuni dei reati presi in considerazione, della concreta ed effettivita’ produzione di redditi (ad esempio, per i fatti di usura, contestati dal ricorrente sotto questo profilo), il decreto impugnato, in particolare, non offre specifica giustificazione della sussistenza degli ulteriori requisiti della fattispecie di pericolosita’. Nei termini indicati, sono quindi, almeno in parte, fondate le censure del ricorso nell’interesse di (OMISSIS) sintetizzate ai punti 3.1.1., 3.1.3 e 3.1.4. del Ritenuto in fatto.
8.4. Si impone, pertanto, nei limiti indicati, l’annullamento del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame sulla pericolosita’ del proposto alla luce dei principi di diritto richiamati; nel quadro dei principi di diritto richiamati, il giudice del rinvio procedera’ a una complessiva rivalutazione dei fatti, conservando nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nel loro apprezzamento (Sez. 1, n. 803 del 10/02/1998, Scuotto, Rv. 210016), potendo procedere ad un nuovo esame del compendio conoscitivo con il solo limite segnato dai principi di diritto richiamati.
9. La valutazione operata dalla Corte distrettuale sugli ulteriori requisiti della confisca e’ correlata al giudizio di pericolosita’ per l’intero periodo preso in considerazione, sicche’ la diversa qualifica attribuita alla pericolosita’ ascritta ad (OMISSIS), rispettivamente, nella prima e nella terza fase (pericolosita’ generica) e nella seconda (pericolosita’ qualificata) impedisce l’esame delle ulteriori doglianze delle parti private, che devono essere ritenute assorbite, in quanto inscindibilmente collegate alle determinazioni relative alla pericolosita’ sociale del proposto; tali doglianze, invero, a differenza di quelle del Procuratore generale, si muovono nella medesima prospettiva volta a escludere i presupposti dei provvedimenti ablativi, prospettiva rispetto alla quale assume un ruolo del tutto prioritario l’accertamento dell’an, del quomodo e del quando della pericolosita’ sociale di (OMISSIS).
Pertanto, assorbite le ulteriori censure delle parti private, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Salerno; come chiarito Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, “la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera a); per contro, la natura decisoria dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilita’ dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione”.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del procuratore generale.
Annulla nel resto il provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Salerno.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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