SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
S.U.P.
SENTENZA 13 aprile 2016, n.15453
Ritenuto in fatto
Con ordinanza in data 17 dicembre 2014, il Tribunale di Cagliari rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di G.A. , indagato per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n.380 del 2001, 6 e 7 d.lgs. n. 152 del 2006, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del medesimo Tribunale, in data 28 novembre 2014, di un terreno e delle opere sullo stesso realizzato, consistenti nella realizzazione di un plinto di fondazione, nella esecuzione di un tratto di strada sterrata, e nella installazione di un aerogeneratore per la produzione di energia elettrica da fonte eolica.
Il Tribunale, preliminarmente, nel disattendere l’eccezione di nullità del provvedimento di sequestro, operato a norma dell’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., rilevava che l’attività eseguita dalla polizia giudiziaria non potesse formare oggetto del riesame, essendo impugnabile solo il decreto di sequestro preventivo disposto dal G.i.p. dopo la convalida.
Il contenuto del verbale era, comunque, utilizzabile perché integrante la notizia di reato.
Secondo i Giudici del riesame, poi, ricorreva il fumus del reato ipotizzato, in quanto, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 11 agosto 2014, n.116, alla disciplina applicabile agli impianti eolici, fino all’emanazione del decreto del Ministero dell’Ambiente in ordine alle soglie ed ai criteri, ogni impianto andava sottoposto a verifica preliminare di assoggettamento alla procedura di valutazione di impatto ambientale (v.i.a.).
In ogni caso, anche a voler seguire la diversa interpretazione prospettata dal ricorrente, non risultava documentato che l’impianto realizzato fosse inferiore a 1 Mw.
Sussisteva, infine, il periculum in mora in quanto l’esistenza stessa dell’impianto costituiva permanente pregiudizio all’assetto del territorio.
Ricorre per cassazione G.A. , a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3, 324, 309 e 356 cod. proc. pen., quest’ultimo in riferimento all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., nonché la mancanza di motivazione.
Assume che il Tribunale non si è pronunciato sull’eccezione di nullità del verbale di sequestro preventivo eseguito di urgenza dalla polizia giudiziaria e di tutti gli atti successivi ad esso collegati e, quindi, anche del decreto di sequestro del G.i.p..
Pur essendo inoppugnabile il decreto del giudice che convalida il sequestro preventivo d’urgenza, il Tribunale avrebbe dovuto, comunque, pronunciarsi sull’eccezione di nullità, tempestivamente dedotta con la richiesta di riesame.
Rileva che l’avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore è applicabile anche al sequestro preventivo di urgenza eseguito dalla polizia giudiziaria e che la nullità del verbale di sequestro, derivante da tale omissione, si ripercuote anche sul successivo decreto di sequestro. Ove si voglia ritenere insussistente la nullità derivata, bisognerebbe, secondo il ricorrente, ugualmente pervenire all’annullamento dell’ordinanza impugnata, in quanto, una volta ritenuto inutilizzabile il verbale di sequestro, mancherebbe qualsiasi autonomo apparato motivazionale del decreto del G.i.p..
Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione per erronea applicazione dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. e inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 324 e 309 stesso codice.
Deduce che il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del periculum in mora con formule di stile, senza considerare che si trattava di un’opera ormai realizzata (un’unica pala eolica) e che, quindi, difettava il requisito dell’attualità e concretezza del periculum medesimo.
Peraltro, nel caso di specie, non ricorreva alcun pericolo di aggravio del carico urbanistico, tenuto conto della natura e della tipologia dell’opera; ed il Tribunale non ha specificato quali ulteriori conseguenze, rispetto alla consumazione del reato, potessero derivare dall’uso del manufatto (anche perché, secondo la giurisprudenza di legittimità, sia l’utilizzo sia il funzionamento di pale eoliche non incide sulla domanda di elementi urbanistici secondari).
Con il terzo motivo deduce la inosservanza dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. e l’erronea applicazione dell’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n.380 del 2001, 6 e 7 d.lgs. n. 152 del 2006.
Assume il ricorrente che, a seguito della legge 11 agosto 2014, n.116, la lett. c) dell’Allegato IV al d.lgs. n.152 del 2006 è stata modificata nel senso che, in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale, i progetti previsti da detto allegato debbono essere sottoposti a una verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale. Per gli impianti eolici inferiori a 1 Mw, sia prima che dopo la modifica normativa, non è previsto, però, l’assoggettamento a tale verifica.
Avendo l’impianto sottoposto a sequestro una potenza inferiore a 60 Kw., non trova applicazione, secondo il ricorrente, il disposto dell’art.20 d.lgs. n.152 del 2006. Il Tribunale ha, quindi, erroneamente ritenuto che ogni impianto di produzione di energia eolica debba essere sottoposto a verifica di impatto ambientale, a prescindere dalla potenza.
Con ordinanza in data 7 luglio 2015 la Terza Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite, ravvisando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale, più volte segnalato, sulle seguenti questioni:
‘Se l’obbligo di dare avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia operi anche con riferimento al sequestro preventivo disposto di iniziativa della polizia giudiziaria; e se, in caso affermativo, la nullità conseguente determini anche quella dell’autonomo decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. dopo la convalida di quello d’urgenza disposto d’iniziativa della p.g.’.
Rileva la Sezione rimettente che, secondo un primo orientamento di legittimità (sostenuto da varie pronunce della Terza Sezione), l’obbligo, a norma dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., di dare avviso all’indagato, se presente, di farsi assistere da un difensore di fiducia, opera anche con riferimento al sequestro preventivo disposto di iniziativa della polizia giudiziaria e dalla sua violazione deriva la nullità dell’atto e della successiva ordinanza di convalida.
Secondo altro indirizzo interpretativo (espresso in pronunce sia della Terza sia di altre Sezioni penali), invece, l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. richiama espressamente soltanto le attività di polizia giudiziaria riguardanti l’assicurazione delle fonti di prova indicate dall’art. 356 cod. proc. pen. (perquisizioni e sequestri di natura probatoria).
Quanto alla seconda questione, assume la Sezione rimettente che, nello stesso indirizzo favorevole all’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. al sequestro preventivo di iniziativa della polizia giudiziaria, si registrano due diverse opzioni interpretative in ordine alle conseguenze derivanti dall’omissione dell’avviso.
Per alcune decisioni la nullità del sequestro e del provvedimento di convalida non ha alcuna incidenza sul decreto di sequestro emesso dal G.i.p., trattandosi di provvedimento del tutto autonomo ed il solo impugnabile con richiesta di riesame.
Secondo altre decisioni, invece, la nullità del sequestro, derivante dall’omesso avviso all’indagato, determina la nullità derivata del sequestro preventivo emesso dal G.i.p..
Considerato in diritto
Come già precisato, le questioni di diritto sottoposte all’esame delle Sezioni Unite sono le seguenti:
‘Se l’obbligo di dare avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia operi anche con riferimento al sequestro preventivo disposto di iniziativa della polizia giudiziaria; e se, in caso affermativo, la nullità conseguente determini anche quella dell’autonomo decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. dopo la convalida di quello d’urgenza disposto d’iniziativa della p.g.’.
Va esaminata, innanzitutto, la prima questione che, ove risolta negativamente, rende superfluo l’esame della seconda.
Gli indirizzi interpretativi che si confrontano in proposito, come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, sono due, anche se con sfumature diverse.
Alcune delle sentenze richiamate non sono, però, pertinenti al tema oggetto di esame, in quanto riguardano il sequestro preventivo disposto dal G.i.p. ed eseguito dalla polizia giudiziaria. Tra queste vanno ricordate: Sez. 3, n. 13605 del 19/02/2015, Cavallaro, Rv. 262862; Sez.1, n. 25849 del 04/05/2012, Bellinvia, Rv. 253082; Sez. 3, n. 40970 del 04/10/2002, Calcagni, Rv. 222789.
Il problema, invero, si pone soltanto per il sequestro eseguito di iniziativa della polizia giudiziaria, nelle ipotesi di urgenza che non consentono l’intervento dell’autorità giudiziaria. Infatti, nel caso in cui si limiti a dare esecuzione ad un decreto di sequestro, la p.g. opera su delega ed il controllo del suo operato avviene preventivamente.
Del resto l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., in ordine al quale va accertata l’applicabilità anche al sequestro preventivo, fa esclusivo riferimento ad atti compresi nel Titolo IV del Libro V, vale a dire ad ‘Attività a iniziativa della polizia giudiziaria’.
2.1. Si occupano, invece, espressamente del sequestro preventivo di urgenza, eseguito di propria iniziativa dalla p.g., le seguenti sentenze: Sez. 3, n. 45321 del 17/10/2013, Messina, Rv. 257421; Sez. 3, n. 45850 del 23/10/2012, Abrogato, Rv. 253854; Sez. 4, n. 37937 del 07/07/2010, Marchi, Rv. 248443; Sez. 3, n.1266 del 07/04/1999, Carletti, Rv. 213751.
Tali pronunce escludono l’applicabilità delle disposizioni previste dall’art. 114 cit. al sequestro preventivo di iniziativa della polizia giudiziaria, sulla base di argomenti che possono così sintetizzarsi: a) la norma fa esclusivo riferimento al sequestro probatorio. Il legislatore, se avesse voluto estendere le garanzie in essa previste anche al sequestro preventivo, avrebbe dovuto, nell’introdurre il comma 3-bis nell’art. 321 cod. proc. pen., modificare in tal senso anche l’art. 114; b) il sequestro probatorio è atto di indagine ed attiene alla formazione della prova, per cui è necessario l’eventuale presidio delle garanzie difensive; il sequestro preventivo, invece, corrisponde all’esigenza di evitare che la libera disponibilità del bene possa protrarre o aggravare le conseguenze del reato; in ordine allo stesso, pertanto, non può trovare applicazione una norma prevista in relazione alle indagini preliminari; c) le attività per le quali ricorre l’obbligo di avviso ex art. 114 disp. att. prevedono la convalida da parte del p.m.; per il sequestro preventivo, invece, vi è un controllo immediato da parte del giudice (organo in posizione di terzietà), che deve procedere, in tempi stretti, alla convalida: stante siffatto immediato controllo sull’operato della polizia giudiziaria, dalla mancanza del presidio difensivo, al momento della esecuzione della misura, non deriva alcuna violazione del diritto di difesa.
2.2. Secondo altro indirizzo interpretativo (Sez. 3, n. 40361 del 11/03/2014, Montagno Bozzone, Rv. 261358; Sez. 3, n. 36597 del 04/04/2012, Giarletta, Rv. 253569; Sez. 3, n. 20168 del 27/04/2005, Fazzio, Rv. 232244; Sez. 3, n. 18049 del 03/04/2007, Piras, non massimata; Sez. 3, n. 42512 del 16/07/2009, Olivieri, Rv. 245778), invece, le disposizioni contenute nell’art. 114 disp. att., in ordine all’avvertimento all’indagato, se presente, di farsi assistere da un difensore, vanno applicate anche al sequestro preventivo eseguito di iniziativa della polizia giudiziaria.
Per tale orientamento alla interpretazione letterale della norma va preferita quella sistematica e fondata sulla ratio e le finalità di garanzie difensive, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.. I rilievi evidenziati nel diverso orientamento vengono ritenuti non decisivi. L’omessa esplicita menzione del sequestro preventivo è attribuita al fatto che questo è atto normalmente del giudice e non della polizia giudiziaria, nonché al fatto che l’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen. è stato inserito successivamente (con l’art. 15 del d.lgs. n. 15 del 1991): si tratta, quindi, di un difetto di coordinamento tra norme. Irrilevanti sono, poi, le diversità funzionali, in quanto, nel caso del sequestro preventivo eseguito d’urgenza dalla polizia giudiziaria, si verifica la stessa situazione prevista per il sequestro probatorio; sicché l’esclusione del presidio difensivo sarebbe incongrua.
Per dare risposta alla questione controversa sottoposta all’esame delle Sezioni Unite vanno, in primo luogo, individuate le ragioni che hanno indotto il legislatore a prevedere, con l’art. 114 disp att. cod. proc. pen., che la polizia giudiziaria, nel procedere al compimento degli atti indicati nell’art. 356 del codice di procedura penale, avverta la persona sottoposta alle indagini, se presente, della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia.
Vengono in rilievo, sotto tale profilo, tre elementi enucleabili dalla lettera e dalla lettura sistematica della norma: 1) ‘soggetto’ che compie l’atto (polizia giudiziaria), 2) ‘oggetto’ verso cui si esplica l’atto (libertà personale, diritto di proprietà, domicilio), 3) ‘finalità’ dell’atto.
3.1. Quanto al ‘soggetto’, vanno, innanzitutto, ricordati i poteri riconosciuti dal codice di procedura penale alla polizia giudiziaria e, conseguentemente, i limiti ed i controlli cui essi risultano sottoposti.
Si legge nella Relazione al Progetto preliminare del codice di procedura penale vigente che ‘nel quadro delle attività ad iniziativa della polizia giudiziaria da compiersi prima dell’intervento del pubblico ministero, si è inteso distinguere una attività ‘informale’, diretta ad assicurare le fonti di prova mediante un’azione di ricerca, individuazione e conservazione, sostanzialmente libera nei modi del suo svolgimento, e taluni atti ‘tipici’ soggetti ad una più rigorosa disciplina. Tali atti, enunciati nel comma 2, lett. c), trovano dettagliato svolgimento normativo nei successivi articoli da 349 a 354′.
In relazione agli atti definiti nella relazione ‘tipici’ il legislatore ha previsto dei meccanismi di controllo, affinché l’attività della polizia giudiziaria si mantenga in ambiti di stretta legalità e non trasmodi, quindi, in arbitrio.
E, ad assicurare il rispetto del principio di legalità nello svolgimento di quella attività, sono apprestati degli strumenti che si esplicano in via preventiva (attraverso la presenza del difensore) o in via successiva (attraverso la convalida dell’operato da parte del p.m. o del giudice).
Sotto il primo aspetto (che qui interessa), il legislatore ha previsto che, durante il compimento di determinati atti, l’indagato possa essere assistito dal difensore.
Il principio è enunciato espressamente nell’art. 356 cod. proc. pen., secondo cui il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli artt. 352 e 354, oltre che all’immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell’art. 353, comma 2.
Ed è significativo, in proposito, che il presidio difensivo, apprestato dall’art. 114 disp. att., riguardi soltanto gli atti posti in essere, di propria iniziativa, dalla polizia giudiziaria, come emerge dal riferimento ‘al compimento degli atti indicati nell’art. 356 del codice’.
È stato, pertanto, ineccepibilmente chiarito (Sez. 3, n. 40530 del 05/05/2015, Pagnin, Rv. 264827) che le disposizioni di cui all’art. 114 disp. att. non si applicano al sequestro probatorio eseguito dalla p.g. su delega del p.m..
Militano in tal senso, oltre indiscutibili argomenti di ordine letterale (gli atti cui fa riferimento la norma riguardano quelli di iniziativa della polizia giudiziaria Titolo IV del Libro V -), anche ragioni di carattere logico-sistematico: l’attività di indagine del p.m. è disciplinata dal titolo V ed il p.m., pur essendo parte del procedimento, è dotato sul piano costituzionale di ampie garanzie di indipendenza ed è inserito nell’ambito dell’ordine giudiziario (art. 107, comma 5, Cost.). La polizia giudiziaria, invece, è in generale sottoposta al potere esecutivo (pur essendo nella disponibilità dell’a.g.).
Non offrendo la polizia giudiziaria le stesse garanzie di indipendenza del p.m., sono previsti dal legislatore gli strumenti per esercitare il controllo difensivo. Il che spiega il motivo per cui l’art. 114 cit., attraverso il richiamo degli atti indicati nell’art. 356 cod. proc. pen., faccia riferimento soltanto all’attività di iniziativa della polizia giudiziaria.
3.2. In ordine all’’oggetto’, gli artt. 352-354 cod. proc. pen., attuando la direttiva 31, quarto periodo, della legge-delega, prevedono il potere-dovere della polizia giudiziaria di procedere, in casi predeterminati di necessità e di urgenza, quando non sia possibile un intervento tempestivo del p.m., a perquisizioni (personali o locali) e sequestri.
Si tratta di atti che incidono su diritti costituzionalmente garantiti (e quindi meritevoli di particolare tutela), quali la libertà personale (art. 13 Cost.), il domicilio (definito dall’art. 14 Cost. come inviolabile) e la proprietà privata (art. 42 Cost.).
3.3. Infine, quanto alla ‘finalità’, gli atti posti in essere dalla polizia giudiziaria (artt. 352-354 cod. proc. pen.) riguardano, come si vedrà in seguito, la formazione della prova: atti, cioè, che potranno assumere valore probatorio in sede dibattimentale.
3.4. Va, per completezza, evidenziato che, una volta previsto dall’art. 356 cod. proc. pen. il diritto del difensore ad assistere (senza essere preventivamente avvisato, trattandosi di atti a sorpresa) agli atti di cui agli artt. 352-354, e non avendo la norma precisato alcunché, l’art. 114 disp. att. provvede a colmare la lacuna per rendere concretamente esercitabile quel diritto (attraverso l’avvertimento all’indagato, se presente, della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia).
Riconosciuto il diritto di nomina di un difensore, al fine di esercitare i poteri di assistenza e di rappresentanza, costituisce un corollario necessario l’avvertimento in questione.
Nel codice di rito si rinvengono una pluralità di norme che depongono univocamente in tal senso.
Così delineati ambito e finalità della disposizione contenuta nell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., bisogna verificare se l’avvertimento, previsto dalla norma in relazione al sequestro probatorio, possa trovare applicazione anche in ordine al sequestro preventivo, eseguito di iniziativa della polizia giudiziaria.
Non c’è dubbio che, in relazione al soggetto procedente (polizia giudiziaria), possano valere, anche con riferimento al sequestro preventivo, le stesse preoccupazioni in precedenza evidenziate. Anche perché, attraverso quegli interventi, si determinano limitazioni a diritti costituzionalmente garantiti (si pensi a sequestri preventivi incidenti su beni di notevole valore o sullo svolgimento di attività di impresa).
La legislazione vigente non consente, però, l’operazione ermeneutica indicata dall’orientamento giurisprudenziale, prima richiamato, che ritiene di poter ricorrere ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. per estenderne l’applicazione anche al sequestro preventivo.
4.1. Il dato letterale e sistematico risulta assolutamente insuperabile.
L’art. 114, significativamente inserito nel Capo VIII delle Norme di attuazione e quindi tra le ‘Disposizioni relative alle indagini preliminari’, richiama soltanto gli atti di cui all’art. 356, vale a dire quegli atti posti in essere dalla polizia giudiziaria, nel corso delle indagini preliminari, in sede di acquisizione della prova.
Tali atti di p.g. sono contemplati dal Titolo IV (Attività a iniziativa della polizia giudiziaria) del Libro V (Indagini preliminari).
Già la collocazione sistematica rende, quindi, ardua di per sé, in mancanza di una disposizione espressa, la possibilità di applicare l’art. 114 disp. att. al sequestro preventivo eseguito di iniziativa della polizia giudiziaria, disciplinato invece dall’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., vale a dire da una norma inserita nel Libro IV (Misure cautelari), Titolo II (Misure cautelari reali), Capo II (Sequestro preventivo).
È vero che il comma 3-bis dell’art. 321 è stato introdotto (con l’art. 15 del d.lgs. n. 12 del 1991) solo successivamente all’approvazione del codice di rito, ma il legislatore avrebbe ben potuto richiamare, nella nuova disposizione, la previsione dell’art. 114 o modificare in tal senso quest’ultima.
Né ci si può limitare ad ipotizzare un difetto di coordinamento di norme, in mancanza di qualsiasi elemento che possa avvalorare la tesi dell’applicabilità delle garanzie difensive di cui all’art. 114 cit. anche al sequestro preventivo.
Certo è che di una presunta volontà, in tal senso, del legislatore non vi è traccia neppure nei lavori preparatori.
Nella Relazione al d.lgs. n. 12 del 1991, dopo essersi evidenziato che alcuni inconvenienti emersi dalla applicazione della disciplina codicistica avevano reso necessario intervenire sul sequestro preventivo (essendosi profilati nella pratica ‘ragioni di urgenza tali da rendere opportuna la previsione di poteri precautelari in capo al pubblico ministero ed alla stessa polizia giudiziaria, al fine di soddisfare tempestivamente le funzioni preventive’), il sequestro preventivo di urgenza viene espressamente descritto come modellato sulla falsariga dell’art. 384 cod. proc. pen..
Si afferma in proposito che ‘si è ritenuto opportuno delineare per la fase delle indagini preliminari una sorta di fermo reale (…) tenuto conto della sostanziale analogia di presupposti e della identica funzione di precautela rispetto alla adozione delle misure riservate al giudice. Al pubblico ministero viene pertanto consentito di disporre il sequestro preventivo qualora la situazione si presenti in termini di urgenza tali da non consentire di attendere il provvedimento del Giudice e, negli stessi casi un identico potere è riconosciuto alla polizia giudiziaria prima che il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini’.
Oltre all’assenza di qualsiasi, sia pure indiretto, richiamo alle garanzie difensive di cui all’art. 114 cit., vi è, quindi, l’espressa equiparazione del sequestro preventivo di iniziativa della p.g. (indicato come ‘fermo reale’) al fermo di indiziato di delitto, ribadendosi la natura cautelare della misura, con accentuazione della differenziazione con il sequestro a finalità probatoria.
Con la conseguenza che risulta arbitrario estendere i presidi difensivi previsti per quest’ultimo ad una misura avente tutt’altra natura e finalità.
4.2. L’art. 356 cod. proc. pen. (richiamato dall’art. 114 disp. att.) fa riferimento agli atti previsti dagli artt. 352 e 354.
Trattasi di perquisizioni, di accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone e di sequestri.
Delle perquisizioni e dei sequestri effettuati la polizia giudiziaria redige verbale che va trasmesso entro quarantotto ore al pubblico ministero che, se ne ricorrono i presupposti, nelle quarantotto ore successive procede alla convalida (art. 352, comma 4, e 355, commi 1 e 2, cod. proc. pen.).
Si è in presenza, pertanto, come risulta anche dalla collocazione sistematica delle norme sopra richiamate, di attività della polizia giudiziaria concernente la formazione della prova.
I verbali di perquisizione e sequestro redatti, essendo relativi ad atti non ripetibili, trovano collocazione nel fascicolo per il dibattimento a norma dell’art. 431, comma 1 lett. b), cod. proc. pen..
Ed assumono valenza probatoria in dibattimento. L’art. 511 cod. proc. pen. prevede, infatti, che il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data lettura, integrale o parziale, degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (comma 1), ovvero, in luogo della lettura, indichi gli atti utilizzabili ai fini della decisione (comma 5).
La possibilità per il difensore di assistere agli atti compiuti dalla polizia giudiziaria, prevista dall’art. 356 cod. proc. pen., è, quindi, palesemente finalizzata ad assicurare un presidio difensivo a garanzia della regolarità e genuinità di atti destinati ad assicurare le fonti di prova e ad essere poi utilizzati in dibattimento.
Il legislatore ha voluto, cioè, assicurare, stante la natura e la finalità di detti atti, un immediato controllo difensivo sull’operato della polizia giudiziaria.
E di tanto si dà espressamente atto nella Relazione al codice: ‘la norma di cui all’art. 356 attua la direttiva 31, settima parte (previsione specifica di garanzie difensive tra le quali devono essere comprese quelle relative agli atti non ripetibili). Tale assistenza è di natura eccezionale in quanto avviene nel corso di un’attività endoprocessuale, svolta da soggetti che dovrebbero trovarsi in posizione dialettica rispetto all’indiziato. Essa trova giustificazione – per le perquisizioni, l’apertura del plico, gli accertamenti urgenti – nel fatto che le fonti di prova, così assicurate, saranno acquisite al dibattimento attraverso la lettura del verbale se si tratta di atti non ripetibili (art. 304, comma 1, e 427) e la consultazione del verbale e la testimonianza dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria se si tratta di atti ripetibili’.
Controllo difensivo, peraltro, soltanto eventuale (trattandosi di atti a sorpresa), dal momento che sono stati previsti l’avvertimento di cui all’art. 114 disp. att. all’indagato (se presente) e la sola assistenza del difensore (senza diritto di essere avvisato).
Si è, pertanto, ritenuto che la polizia giudiziaria non abbia alcun obbligo di avvertire il difensore indicato dall’indagato, né di procedere alla sospensione delle operazioni fino al momento dell’arrivo del difensore (a meno che non si tratti di un tempo limitato, compatibile con l’urgenza dell’atto).
4.2.1. Completamente diverse sono le finalità del sequestro preventivo.
Mentre, come si è visto, il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova, il sequestro preventivo mira ad inibire la libera disponibilità di un bene.
L’art.321, comma 1, cod. proc. pen. prevede la possibilità di disporre la misura cautelare quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati.
Tale norma è inserita nel Capo II (Sequestro preventivo), Titolo II (Misure cautelari reali) del Libro IV, vale a dire nello stesso libro in cui sono disciplinate le misure cautelari personali.
La collocazione sistematica della norma è significativa della ‘unificazione’ nella categoria delle misure cautelari, sia di quelle personali che di quelle reali.
Il legislatore ha, cioè, preso atto della rilevanza sociale ed economica di taluni interventi di cautela reale su beni materiali e su diritti costituzionalmente garantiti (proprietà, domicilio, libertà di iniziativa economica), non dissimili da quelli incidenti sulla libertà personale.
Ne è derivata una disciplina unificante che ha comportato che anche per le misure cautelari reali venissero previsti gli stessi caratteri fondamentali delle misure cautelari personali in tema di autorità competente ad emettere la misura, predeterminazione dei criteri di applicazione, garanzie dei soggetti destinatari.
E, si è visto in precedenza, come tale assimilazione sia stata ribadita ed addirittura accentuata nella introduzione del comma 3-bis dell’art. 321, laddove nei lavori preparatori si definisce la misura come ‘fermo reale’ con un evidente esplicito parallelismo con il ‘fermo personale’.
La polizia giudiziaria, nell’intervenire di sua iniziativa, in caso di urgenza, pone, infatti, in essere una misura precautelare di carattere provvisorio per impedire che la libera disponibilità del bene possa protrarre o aggravare le conseguenze del reato o determinare la commissione di altri reati.
Da quanto esposto emerge, con evidenza, la diversità ontologica e la diversa finalità delle due misure (sequestro probatorio e sequestro preventivo).
Mentre gli atti richiamati nell’art. 356 cod. proc. pen. mirano, invero, ad assicurare le fonti di prova, il sequestro preventivo ha funzioni meramente cautelari.
La differenza tra i due istituti è stata più volte affermata anche dalla Corte costituzionale. In particolare, con la sentenza n. 151 del 1993 il Giudice delle Leggi ha evidenziato: ‘Il sequestro preventivo è, invero, un atto che, per la sua finalizzazione alla prevenzione di un pericolo, ovvero alla confisca, la legge ha inteso riservare al giudice; ed è quindi logico che esso, quando venga, per ragioni di urgenza, disposto dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, costituisca una misura intrinsecamente provvisoria, destinata ad estinguersi entro brevissimo termine se non confermata dal giudice’.
4.2.2. Può, quindi, affermarsi che il legislatore abbia previsto la presenza (eventuale) del difensore, attraverso il meccanismo di avvertimento all’indagato ex art. 114 disp. att., soltanto in relazione agli atti richiamati dall’art. 356 cod. proc. pen. in considerazione della vocazione probatoria di tali atti. Di qui la necessità del presidio difensivo a controllo della regolarità dell’operato della polizia giudiziaria.
Siffatta esigenza non è ravvisabile, invece, in relazione al sequestro preventivo, anche se eseguito dalla polizia giudiziaria, trattandosi di misura cautelare a carattere provvisorio destinata ad impedire la libera disponibilità di un bene.
Peraltro, non è ricavabile dal codice di rito un principio che consenta di ritenere sussistenti per le misure cautelari (stante la loro natura) meccanismi che prevedano necessariamente l’intervento ‘preventivo’ della difesa.
A meno che il legislatore non abbia eccezionalmente (ma, in tal caso, indicandolo espressamente) previsto una sorta di contraddittorio anticipato, come nel caso della misura interdittiva di cui all’art. 289, comma 2, cod. proc. pen..
Per il sequestro preventivo operato di iniziativa della polizia giudiziaria, il legislatore non solo non ha dettato alcuna disposizione in ordine alla possibilità del presidio difensivo fin dal momento dell’esecuzione (ad es. richiamando le previsioni degli artt. 356 cod. proc. pen. e 114 disp. att.), ma ha piuttosto equiparato l’atto al fermo di indiziato di delitto di cui all’art. 384 cod. proc. pen. che non prevede certo una garanzia difensiva ‘preventiva’.
L’art. 386 cod. proc. pen. stabilisce, infatti, che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria subito dopo il fermo diano immediata notizia al pubblico ministero ed avvertano il fermato della facoltà di nominare un difensore di fiducia.
4.3. Infine, ancora più marcate sono le differenze in relazione ai meccanismi di controllo (successivo) sull’attività posta in essere dalla polizia giudiziaria.
Per gli atti richiamati dall’art. 356 cod. proc. pen. è prevista la trasmissione, entro quarantotto ore, del verbale al pubblico ministero, il quale nelle successive quarantotto ore convalida la perquisizione (art. 352, comma 4, cod. proc. pen.) o il sequestro (art. 355, comma 2, cod. proc. pen.).
Per il sequestro preventivo, invece, l’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen. stabilisce che il verbale debba essere, entro quarantotto ore, trasmesso al pubblico ministero, il quale, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, deve entro le successive quarantotto ore richiedere al giudice la convalida. Inoltre il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis ovvero se il giudice non emette l’ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta (comma 3-ter).
Dalla lettura delle due norme emerge, con chiarezza, come soltanto per il sequestro preventivo (a differenza di quello probatorio) sia previsto un controllo immediato da parte del giudice (organo terzo) sull’operato della polizia giudiziaria.
Tale controllo in tempi brevi giustifica, ulteriormente, la mancanza del presidio difensivo al momento della esecuzione della misura.
Dalla mancata previsione di tale presenza (peraltro, come si è visto, soltanto eventuale per il sequestro probatorio) non deriva, pertanto, alcuna violazione del diritto di difesa.
Le garanzie difensive vengono, infatti, tutelate attraverso meccanismi di controllo da parte del giudice, che può, con celerità, ritenere non conforme a legge l’operato della polizia giudiziaria, evitando la convalida e disponendo la restituzione di quanto sequestrato.
Il sequestro preventivo d’urgenza si caratterizza, conseguentemente, come una misura precautelare a carattere provvisorio destinata a caducarsi se non venga convalidata dal giudice nei tempi strettissimi in precedenza evidenziati.
Tale meccanismo risulta conforme a Costituzione, venendo rispettate, in proposito, le stesse garanzie previste in tema di libertà personale e di inviolabilità del domicilio (artt. 13, terzo comma, e 14, secondo comma, Cost.).
Gli interventi in casi eccezionali di necessità ed urgenza da parte dell’autorità di pubblica sicurezza hanno, invero, copertura costituzionale, purché siano indicati tassativamente dalla legge e siano convalidati dall’autorità giudiziaria nelle successive quarantotto ore (altrimenti si intendono revocati e restano privi di ogni effetto).
4.4. Va, per ultimo, ricordata, a dimostrazione di quello che è stato definito il completamento del ‘processo di autonomizzazione’ dei due istituti, la modifica apportata all’art. 104 disp. att. cod. proc. pen. (con l’art.2, comma 9, lett. a), legge 15 luglio 2009, n. 94).
La norma, nella formulazione previgente, stabiliva che per il sequestro preventivo si applicassero le disposizioni relative al sequestro probatorio contenute nel Capo VI e che si applicasse altresì la disposizione dell’art. 92.
Nella riformulazione, con la legge citata, è stato eliminato ogni riferimento alle disposizioni concernenti le modalità di esecuzione del sequestro probatorio. È stata, infatti, prevista una disciplina autonoma e separata.
Già nella rubrica si parla di ‘Esecuzione del sequestro preventivo’ (e non più quindi di ‘Norme applicabili al sequestro preventivo’); vengono, poi, stabilite delle modalità di esecuzione, tassativamente indicate e che variano a seconda dell’oggetto su cui viene ad essere applicata la misura cautelare.
Debbono quindi ritenersi, ormai, inapplicabili al sequestro preventivo le disposizioni dettate in relazione alla esecuzione del sequestro probatorio dagli artt. 81 e ss. disp. att..
Vi è, pertanto, una definitiva autonomia e distinzione delle norme di attuazione dettate in tema di ‘prove’ (Capo VI), misure cautelari (Capo VII), indagini preliminari (Capo VIII), senza più alcuna ‘interferenza’ o ‘commistione’ tra le une e le altre.
4.5. Da quanto fin qui esposto emerge, con evidenza, che le disposizioni dettate dall’art. 114 cit. in tema di sequestro probatorio non possano essere ‘estese’ al sequestro preventivo, eseguito di iniziativa della polizia giudiziaria a norma dell’art.321, comma 3-bis, cod. proc. pen..
Non attraverso una interpretazione analogica, stante la diversità strutturale e funzionale dei due istituti. Si è visto, infatti, come la ratio che giustifica la presenza del difensore alla esecuzione del sequestro probatorio (acquisizione di fonti di prova, utilizzabili poi in dibattimento) non abbia ragion d’essere in relazione al sequestro preventivo (misura cautelare volta ad impedire la libera disponibilità di un bene).
E, neppure, attraverso una interpretazione adeguatrice, sia per la diversità, più volte sottolineata dei due istituti (con conseguente non pertinenza del richiamo all’art. 3 Cost.), sia per la insussistenza di ogni violazione del diritto di difesa (sotto il profilo dell’art. 24 Cost.), risultando rispettate le garanzie difensive attraverso il controllo esercitato, in tempi brevi, dal giudice, così come previsto anche per le misure cautelari personali (art. 13 Cost.).
Va, quindi, affermato il seguente principio di diritto:
‘In caso di sequestro preventivo disposto di iniziativa della polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., non vi è obbligo di dare avviso all’indagato presente al compimento dell’atto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia ex art. 104 disp. att. cod. proc. pen.’.
Alla stregua del principio di diritto in precedenza enunciato, non è ravvisabile alcuna nullità del provvedimento di sequestro e relativa convalida (peraltro, neppure impugnati autonomamente, stante il dictum delle Sezioni Unite, sent. n. 21334 del 31/05/2005, Napolitano, Rv. 231055).
E, tanto meno, può parlarsi di nullità derivata del decreto di sequestro del G.i.p. (la risposta negativa alla prima questione, posta dalla sezione rimettente, rende superfluo esaminare la seconda).
Ne consegue la infondatezza del primo motivo di ricorso.
Vanno esaminati allora gli altri motivi.
7.1. Preliminarmente, va ricordato che, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324, può essere proposto soltanto per violazione di legge.
Secondo le Sezioni Unite (sent. n.5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710), nella nozione di ‘violazione di legge’ rientrano, però, anche la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art. 125 cod. proc. pen., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen..
Tali principi sono stati costantemente ribaditi dalla giurisprudenza successiva (tra le altre, Sez. 4, n. 5302 del 21/01/2004, Rv. 227095; Sez. 5, n. 8434 del 11/01/2007, Ladiana, Rv. 236255) e si è precisato che anche l’omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l’emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione censurabile con ricorso per cassazione (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011).
Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, pur essendo precluso sia l’accertamento del merito dell’azione penale sia il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, il giudice deve operare un attento controllo sulla base fattuale del singolo caso concreto, secondo il parametro del fumus, tenendo conto delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti (Sez. 5, n. 18078 del 26/01/2010, De Stefani, Rv. 247134; Sez. 6 n. 35786 del 21/06/2012, Buttini, Rv. 254394; Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, Macchione, Rv. 265443).
Il controllo non può, quindi, limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall’accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell’antigiuridicità penale del fatto come contestato, tenendo conto, nell’accertamento del fumus commissi delicti e del periculum in mora, degli elementi dedotti dall’accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive.
7.2. Il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus del reato, richiamando la motivazione del provvedimento di sequestro, con la quale si era evidenziato che l’art.15 del d.l. n. 91 del 2014, conv. dalla legge 11 agosto 2014, n.116, aveva modificato il comma 7 dell’art. 6 d.lgs. n.152 del 2006, rendendo necessaria, per la fase transitoria (nelle more della emanazione del decreto ministeriale), la verifica preliminare di assoggettamento alla procedura di valutazione di impatto ambientale di tutti gli impianti. Hanno rilevato, comunque, i Giudici del riesame che, anche a voler ritenere ancora applicabili le soglie di cui alla normativa precedente, non risultava che l’impianto realizzato dal ricorrente avesse una potenza pari o inferiore ad 1 Mw.
Occorre, in proposito, brevemente ripercorrere la normativa di riferimento.
In ordine alle soglie di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, la Commissione europea aveva già nel 2003 avviato una procedura di infrazione (2003/2049), per poi sospenderla con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006; la procedura veniva, quindi, nuovamente riavviata per essere ancora sospesa a seguito delle modifiche alla legislazione interna apportate dal d.lgs. n. 4 del 2008.
La Commissione europea riapriva nel 2009 (2009/2086) la procedura di infrazione, rilevando che: ‘ L’art.4, paragrafo 3 della Direttiva VIA stabilisce che, nel fissare le soglie, gli Stati hanno l’obbligo di prendere in considerazione i criteri dettati dall’allegato III della Direttiva. Lo Stato Italiano, nel determinare quali progetti di competenza regionale devono essere assoggettati a screening (allegato IV del d.lgs. n.152 del 2006) ha preso in considerazione solo alcuni criteri’.
La normativa italiana (allegati II, III e IV del d.lgs. n.152 del 2006 e succ. modif.), a parere della Commissione, prevedeva, per i progetti ai quali si applicava la direttiva, elencati nell’allegato II, delle soglie dimensionali sotto le quali si presumeva che i progetti non avessero, comunque, impatti notevoli sull’ambiente. La Commissione riteneva, invece, che gli Stati membri, pur potendo stabilire delle soglie, per facilitare la determinazione dei progetti da assoggettare a VIA, dovessero tener conto di tutti i criteri indicati nell’allegato III della direttiva.
Non essendo intervenuta alcuna modifica della normativa interna per adeguarla alla Direttiva 85/337/CEE, come modificata dalle Direttive 97/II/CE, 2003/35/CE e 2009/31/UE, e poi sostituita dalla Direttiva 2011/92/UE, la Commissione europea, in data 27/02/2012, inviava all’Italia una lettera di messa in mora.
In tale contesto, per porre rimedio alla procedura di infrazione, aperta dalla Commissione europea (2009/2086), l’art. 15 d.l. n. 91 del 2014, conv. dalla legge 11 agosto 2014, n.116, ha modificato l’art.6, comma 7, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo che: a) con decreto ministeriale, da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge n.116 del 2014, sono definiti i criteri e le soglie da applicare per l’assoggettamento dei progetti di cui all’art. IV alla procedura di cui all’art.20 sulla base dei criteri stabiliti nell’allegato V; b) tali disposizioni individuano le modalità con cui le regioni e le province autonome, tenuto conto dei criteri di cui all’allegato V e nel rispetto di quanto stabilito nello stesso decreto ministeriale, adeguano i criteri e le soglie alle specifiche situazioni ambientali e territoriali; c) fino alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, la procedura di cui all’art. 20 è effettuata caso per caso, sulla base dei criteri indicati nell’allegato V.
Il medesimo art. 15 cit. ha sostituito il comma 9 dell’art.6 d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo che, fatto salvo quanto disposto nell’allegato IV, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministero dell’Ambiente di cui al comma 7, lett. c), le soglie di cui all’allegato IV, ove previste, sono integrate dalle disposizioni contenute nel medesimo decreto.
Come si è visto, tali modifiche normative avevano lo scopo di ovviare ai rilievi della Commissione europea che, con l’apertura della procedura di infrazione, contestava che, secondo la precedente normativa, un progetto per la realizzazione di impianti per la produzione di energia dovesse o meno essere sottoposto a valutazione di impatto ambientale sulla base soltanto di criteri tecnico-dimensionali.
Ed infatti il decreto del Ministero dell’Ambiente del 30 marzo 2015 ha stabilito le linee-guida, che integrano i criteri dimensionali, già in precedenza stabiliti, con criteri aggiuntivi.
Prevede il decreto che, fatte salve le soglie già stabilite nell’allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152/2006 e i criteri utilizzati per la loro fissazione, è necessario provvedere all’integrazione di tali criteri con i seguenti ulteriori criteri contenuti nell’allegato III della direttiva VIA e nell’allegato V alla parte seconda del decreto legislativo n.152/2006, al fine di individuare i progetti da sottoporre alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA. Ed indica tali ulteriori criteri: 1) nelle caratteristiche dei progetti (cumulo con altri progetti, rischio di incidenti), 2) nella localizzazione dei progetti (sensibilità delle aree geografiche interessate ed in particolare della capacità di carico dell’ambiente naturale).
Come del resto espressamente indicato nelle linee-guida, allegate al decreto in questione, in tema di finalità ed ambito di applicazione, l’individuazione degli ulteriori criteri ‘comporterà una riduzione percentuale delle soglie dimensionali già fissate nel citato allegato IV, ove presenti, con conseguente estensione del campo di applicazione delle disposizioni in materia di VIA a progetti potenzialmente in grado di determinare effetti negativi significativi sull’ambiente’.
Se tale è la finalità della nuova normativa e cioè quella di assoggettare a VIA anche progetti che, nonostante le dimensioni (ridotte) dell’impianto, abbiano un notevole impatto ambientale in considerazione delle loro caratteristiche e localizzazione, risulta corretta l’interpretazione ‘restrittiva’ della normativa di cui alla legge 11 agosto 2014, n. 116.
È evidente, infatti, che l’obiettivo perseguito dal legislatore, per adeguare la normativa esistente alle direttive europee, era quello di integrare le soglie dimensionali con altri criteri aggiuntivi, per cui sarebbe stato contraddittorio ed illogico mantenere, per la fase transitoria ed in attesa della emanazione del decreto ministeriale, soltanto i criteri dimensionali più volte censurati dalla Commissione europea. E consentire ai progetti presentati in tale fase di ‘beneficiare’ della procedura semplificata senza essere sottoposti a verifica preliminare di assoggettabilità a VIA, pur potendo essi determinare un impatto negativo significativo sull’ambiente.
L’interpretazione, fornita dal G.i.p. prima e dal Tribunale poi, è confortata dal testo normativo (art. 6, comma 7, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dall’art. 15 legge 11 agosto 2014, n.116), nella parte in cui viene espressamente stabilito che, fino alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale, la procedura di cui all’art. 20 (verifica di assoggettabilità) è effettuata caso per caso, sulla base dei criteri indicati nell’allegato V (e quindi anche in relazione ai progetti di cui all’allegato IV e a prescindere dalle soglie ivi previste).
Il successivo comma 9 del medesimo art. 6, cui fa riferimento il ricorrente, non può che essere letto e coordinato con il comma 7, ultima parte, nel senso che il mantenimento delle soglie di cui all’allegato IV fino all’emanazione del decreto ministeriale, non esclude la sottoposizione di tutti i progetti, compresi quelli al di sotto della soglia, alla procedura di cui all’art. 20.
Il Tribunale, nondimeno, dovrà verificare, sulla base degli atti in suo possesso e, quindi, anche della documentazione prodotta dalla difesa, se, alla luce dei criteri indicati dal d.m. 30 marzo 2015 (emanato dopo l’emissione dell’ordinanza), il progetto sia o meno assoggettabile a valutazione di impatto ambientale.
7.3. La giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere che, per disporre il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato, debba sussistere un pericolo concreto ed attuale (Sez. U. n. 23 del 14/12/1994, Adelio, Rv. 200114).
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223722, nel ribadire siffatto principio, sottolineano che, in tema di reati edilizi o urbanistici, la valutazione che, al fine di disporre il sequestro preventivo di manufatto abusivo, il giudice di merito ha il dovere di compiere in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto (anche con riferimento ad eventuali interventi di competenza della p.a. in relazione a costruzioni non assistite da concessione edilizia, ma tuttavia conformi agli strumenti urbanistici) ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell’offensività.
Il giudice deve, quindi, ‘determinare, in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all’oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare. Per esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del c.d. carico urbanistico va delibata in fatto tale evenienza sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell’adozione del provvedimento coercitivo’.
La giurisprudenza successiva ha costantemente ribadito che il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche su un’opera ultimata, se la libera disponibilità di essa possa concretamente pregiudicare gli interessi attinenti alla gestione del territorio ed incidere sul carico urbanistico, il pregiudizio del quale va valutato avendo riguardo agli indici di consistenza dell’insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare, nonché della domanda di strutture e di opere collettive (Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011, Susinno, Rv. 252016; Sez. 3, n. 36104 del 22/09/2011, Rv. 251251; Sez. 2, n. 17170 del 23/04/2010, De Monaco, Rv. 246854).
Più di recente è stato, ancora una volta, ribadito che è legittimo il sequestro preventivo di un immobile abusivo anche nel caso di utilizzo dell’opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque una incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell’aumentata esigenza di infrastrutture e di opere edilizie correlate (in ragione, come si afferma in motivazione, del notevole incremento di presenza umana e di circolazione di mezzi di trasporto): Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buono, Rv. 265195.
L’accertamento delle ulteriori conseguenze rispetto alla consumazione del reato, derivanti dalla libera disponibilità del bene, risulta ancor più necessario in una fattispecie come quella oggetto di esame (realizzazione di un aerogeneratore per la produzione di energia da fonte eolica) che, di per sé, non incide sulla domanda di elementi urbanistici secondari (Sez. 3, n. 45310 del 2013, Mauriello, non massimata); sicché si rende necessario valutare in concreto se dall’uso dell’impianto derivi un aumento del carico urbanistico, tenendo conto della ‘mole complessiva dell’insediamento in rapporto allo stato dei luoghi, l’aggravio per il traffico veicolare, il trasferimento nella zona interessata di un numero di persone tali da incidere sulla fruizioni dei servizi pubblici, l’impatto dell’insediamento sul tessuto abitativo’ (Sez. 3, n. 10101 del 15/11/2012, dep. 2013, Vigorito, non massimata).
7.4. Il Tribunale si è sottratto a tale accertamento, limitandosi ad affermare che l’esistenza stessa dell’impianto costituisse permanente pregiudizio all’assetto del territorio.
Tale motivazione, oltre ad essere apparente, si pone in contrasto con i principi in precedenza richiamati.
È pacifico, invero, che il reato, in relazione al quale è stata disposta la misura cautelare reale, è quello urbanistico (art. 44, comma 1, lett. b, d.P.R. n. 380 del 2001) e che l’opera, come dà atto lo stesso Tribunale, risulta già completata.
È necessario, quindi, accertare quali conseguenze negative sul regolare assetto del territorio (in termini di aggravio del carico urbanistico) derivino dalla libera disponibilità del bene.
L’ordinanza impugnata, va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Cagliari, che si atterrà ai rilievi ed ai principi in precedenza enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Cagliari.
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