Il ricorso per cassazione presentato personalmente dall’imputato

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|4 marzo 2021| n. 8899.

Il ricorso per cassazione presentato personalmente dall’imputato successivamente alla modifica dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen. ad opera dell’art. 1, comma 63, della legge 23 giugno 2017 n. 103, pur se inammissibile, ove sia tempestivo consente, a differenza di quello tardivo, la formazione del rapporto processuale, determinando l’irrevocabilità della sentenza solo alla data in cui è pronunciata la decisione che ne dichiara l’inammissibilità o che lo rigetta, con la conseguenza che è possibile rilevare d’ufficio l’illegalità della pena. (Fattispecie relativa alla pena accessoria, di cui all’ultimo comma dell’art. 216 legge fall., irrogata nella misura fissa di dieci anni).

Sentenza|4 marzo 2021| n. 8899

Data udienza 19 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Bancarotta fraudolenta distrattiva – Ricorso per cassazione – Sottoscrizione personale dell’atto – Esclusione ex art. 613 cpp e Legge n. 103/2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. DE MARZO Giusep – rel. Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/09/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE DE MARZO;
lette le conclusioni dei Procuratore Generale, Dott. EPIDENDIO TOMASO, il quale ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) propone personalmente ricorso avverso la sentenza del 25/09/2017, con la quale la Corte d’appello di Venezia, per quanto ancora rileva, ha confermato: a) la sua affermazione di responsabilita’, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta distrattiva; b) l’entita’ della pena principale, inflitta nel minimo edittale di due anni di reclusione, per effetto della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, nonche’ di quelle accessorie fallimentari, nella misura di dieci anni; c) la condanna al risarcimento dei danni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile, dal momento che la L. n. 103 del 2017, riformulando l’articolo 613 c.p.p., comma 1, con decorrenza dal 03/08/2017, ossia da data antecedente a quella della sentenza impugnata, ha soppresso la possibilita’ di proporre ricorso personalmente in cassazione.
Tuttavia, il ricorso per cassazione presentato personalmente dall’imputato successivamente alla modifica dell’articolo 613 c.p.p., comma 1, ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 63, pur se inammissibile, ove sia tempestivo, consente, a differenza di quello tardivo, la formazione del rapporto processuale, determinando l’irrevocabilita’ della sentenza solo alla data in cui e’ pronunciata la decisione che ne dichiara l’inammissibilita’ o che lo rigetta, con la conseguenza che e’ possibile rilevare d’ufficio l’illegalita’ della pena (Sez. 3, n. 38018 del 17/05/2019, Rv. 277835 01).
Siffatta conclusione – che il Collegio condivide – riposa sulla riconducibilita’ all’imputato del diritto di impugnare, ancorche’ esso possa, per quanto riguarda il ricorso per cassazione, essere esercitato solo a mezzo di difensore iscritto nell’albo di cui all’articolo 613 c.p.p., comma 1. Ne discende che l’ipotesi del ricorso proposto dall’imputato personalmente non puo’ essere giuridicamente equiparata all’iniziativa processuale assunta da soggetto assolutamente estraneo al rapporto processuale definito con la sentenza impugnata.
Ora, nel caso di specie, la materia delle pene accessorie fallimentari e’ stata investita innanzi tutto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 05/12/2018, che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 216, u.c., L. Fall., nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziche’: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”. In coerenza con tali indicazioni, con la sentenza del 28/02/2019, Suraci, le Sezioni Unite hanno affermato che “Le pene accessorie previste dall’articolo 216 L. Fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte costituzionale, cosi’ come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”.
In tale contesto, il termine di prescrizione e’ spirato in data 09/09/2019, in data successiva alla sentenza di secondo grado.
Cio’ posto, la sentenza va annullata, agli effetti penali, per essere il reato estinto per prescrizione.
Agli effetti civili, tenuto conto della assoluta non interferenza del tema della pena con quello delle statuizioni civili, non resta che prendere atto dell’inammissibilita’ dell’impugnazione, per le ragioni sopra ricordate.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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