Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 13 maggio 2019, n. 20489.
La massima estrapolata:
Il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è utilizzabile ed idoneo a fondare l’affermazione di penale responsabilità, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, ma di non poterlo reiterare a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo, atteso che l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale.
Sentenza 13 maggio 2019, n. 20489
Data udienza 7 maggio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovan – Presidente
Dott. MESSINI D’AGOSTINI P – rel. Consigliere
Dott. BORSELLINO Maria – Consigliere
Dott. PACILLI G. A. – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/01/2018 della CORTE DI APPELLO DI GENOVA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24/02/2016 il Tribunale di Genova condannava (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per il furto di una carta di pagamento e per concorso nel reiterato indebito utilizzo della stessa.
La Corte di appello di Genova, con sentenza del 24/1/2018, in parziale riforma della decisione del primo giudice, assolveva l’imputato dal delitto di furto e rideterminava in due anni ed un mese di reclusione e 1.000 Euro di multa la pena per il residuo reato ex articolo 110 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231, articolo 55 (ora articolo 493 ter c.p.).
Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dai giudici di merito, l’imputato, in concorso con altro soggetto, separatamente giudicato, aveva indebitamente utilizzato la carta rilasciata alla “s.r.l. (OMISSIS)”, della quale era stato dipendente (prima sospeso dal servizio, poi licenziato), per il pagamento di almeno 47 forniture di gasolio, per la somma complessiva di 13.351,75 Euro.
2. Ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza.
2.1. Con il primo motivo si denuncia l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alle specifiche censure formulate nell’atto di appello, potenzialmente decisive per emettere una pronunzia assolutoria.
L’imputato e’ stato assolto dal delitto di furto della carta di pagamento e non e’ dato comprendere come possa averla usata senza prima averla rubata.
Inoltre, dalla deposizione del teste (OMISSIS) e’ emerso che anche altri autisti avrebbero potuto utilizzare la carta gia’ in dotazione ad (OMISSIS), essendo poi “strana” la circostanza che la societa’ si fosse accorta che il mezzo veniva fornito regolarmente, nonostante fosse sottoposto a fermo amministrativo, a distanza di due mesi dalla emissione della prima fattura.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge (articolo 192 c.p.p., comma 3) ed illogicita’ della motivazione in riferimento alle dichiarazioni rese dal coimputato.
Il fatto che quest’ultimo si sia autoaccusato del medesimo reato non e’ decisivo; il teste (OMISSIS) effettuo’ un positivo riconoscimento fotografico dell’imputato nella fase delle indagini, senza reiterarlo in dibattimento, mentre il teste (OMISSIS) non vide l’imputato nell’area del distributore; il codice PIN poteva essere noto anche ad altro autista; infine, nella memoria difensiva presentata al Pubblico Ministero – diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata – si era sollecitata l’audizione della compagna del coimputato per confutare la tesi evocata nell’atto di appello circa il “possibile movente di gelosia” che avrebbe potuto animare il chiamante in correita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile perche’ proposto con motivi manifestamente infondati.
2. Premesso che l’eventuale “insufficienza” della motivazione, pure dedotta dalla difesa con il primo motivo, non rileva laddove non trasmodi in uno dei tre vizi tassativamente indicati dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), risultano privi di ogni pregio i rilievi del ricorrente.
La Corte territoriale, infatti, ha assolto (OMISSIS) dal reato di furto ritenendo che le risultanze dell’istruzione dibattimentale svoltasi in primo grado non consentissero “di stabilire con certezza se lo stesso avesse restituito, unitamente ai documenti, anche la carta di pagamento o se l’avesse trattenuta indebitamente”; non era “stato possibile accertare a chi l’imputato avesse restituito la borsa ne’, a maggior ragione, se nella stessa fosse contenuta la carta”.
Il primo giudice, invece, aveva ritenuto che (OMISSIS), dopo avere riconsegnato il camion e la relativa carta, una volta sospeso dal servizio, se ne fosse poi impossessato quando si era recato in ditta per ritirare i propri effetti personali.
Non sussiste, dunque, alcuna carenza motivazionale nella sentenza impugnata, poiche’ la Corte di appello ha comunque confermato che l’imputato aveva mantenuto la disponibilita’ della carta e del relativo codice PIN.
Sulla presunta tardivita’ della denuncia da parte della societa’ (OMISSIS) il ricorrente ha svolto una generica illazione, definendo la circostanza quantomeno “strana”; invero, risulta dalla sentenza di primo grado che l’impiegata addetta al controllo delle fatture si accorse il 9/1/2014 degli anomali rifornimenti effettuati nei precedenti mesi di novembre e dicembre.
Gia’ il primo giudice aveva poi evidenziato l’irrilevanza dell’ipotetica disponibilita’ della carta in capo ad altri dipendenti, circostanza priva di ogni riscontro e smentita dalle prove acquisite in dibattimento, univocamente indicative dell’utilizzo della stessa da parte dell’imputato.
3. Sulla concludenza delle prove, contestata con il secondo motivo, la motivazione della sentenza impugnata e’ adeguata e priva della denunciata illogicita’.
La Corte territoriale, cosi’ come il primo giudice, ha specificamente motivato in ordine alla credibilita’ soggettiva di (OMISSIS), originario coimputato e concorrente nel reato, ed all’attendibilita’ intrinseca delle sue dichiarazioni.
Poiche’ la difesa, nell’atto di appello, aveva evocato un “possibile motivo di gelosia che puo’ aver spinto il chiamato in correita’ (come ventilato dall’imputato nella memoria difensiva depositata in fase di indagini”), nella sentenza impugnata si e’ osservato che “l’imputato non ha assunto alcuna iniziativa probatoria al riguardo, come sarebbe stato agevole chiedendo l’esame quale testimone di (OMISSIS) o di altre persone informate”.
La Corte, dunque, ha rilevato che, sul punto enunciato peraltro in modo perplesso, l’imputato non aveva richiesto l’ammissione di alcuna prova in dibattimento, iniziativa ben diversa dalla sollecitazione fatta al Pubblico Ministero nella fase delle indagini.
4. Anche in tema di riscontri, le doglianze difensive sono manifestamente infondate.
In particolare, e’ risultata decisiva – nella ricostruzione dei giudici di merito – la deposizione di (OMISSIS), che invero costituisce autonomo risultato di prova.
Il teste ha riferito di avere conosciuto (OMISSIS) presso il negozio di (OMISSIS), al quale l’imputato fece rifornimento di carburante per scalare un proprio debito; (OMISSIS) accompagno’ i due varie volte.
Chiamato ad effettuare una individuazione fotografica nella fase delle indagini, il teste riconobbe “con assoluta certezza” in (OMISSIS) l’uomo che effettuo’ il rifornimento per (OMISSIS), utilizzando la carta carburante.
Sul punto la difesa si e’ limitata ad osservare che il teste “poi non ha riconosciuto l’imputato nella sua audizione dibattimentale”, senza svolgere alcuna argomentazione in diritto.
Nella sentenza impugnata si e’ evidenziato che (OMISSIS), pur non essendo stato in grado, dato il tempo trascorso, di effettuare un positivo riconoscimento fotografico dell’imputato in dibattimento, “ha confermato di averlo riconosciuto con sicurezza in occasione dell’individuazione fotografica compiuta nel corso delle indagini preliminari, quando fu assunto a sommarie informazioni”.
In proposito, va ricordato che, secondo il diritto vivente, l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del piu’ generale concetto di dichiarazione, cosicche’ la sua forza probatoria non discende dalle modalita’ formali del riconoscimento, bensi’ dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale; pertanto anche a tale atto e’ applicabile il regime delle contestazioni ex articolo 500 c.p.p. (Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Prina, Rv. 271041; Sez. 2, n. 28391 del 27/04/2017, Cena, Rv. 270181; Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Coccia, Rv. 267562; Sez. 5, n. 43655 del 25/05/2015, Volpini, Rv. 264969; Sez. 2, n. 50954 del 03/12/2013, Corcione, Rv. 257985; Sez. 6, n. 6582 del 05/12/2007, dep. 2008, Major, Rv. 239416; Sez. 2, n. 47871 del 28/10/2003, Tortora, Rv. 227079).
Alla luce di questo principio vanno esaminati gli esiti di un riconoscimento fotografico (o di persona) effettuato da un testimone che nella fase delle indagini abbia individuato nella fotografia dell’imputato il responsabile della condotta contestata.
In una prima ipotesi (quella statisticamente piu’ frequente) il teste conferma di avere compiuto detta ricognizione informale e quindi reitera il riconoscimento positivo: e’ pacifico che in questo caso “il convincimento del giudice puo’ ben fondarsi su tale riconoscimento, seppure privo delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, trattandosi di accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudicante in base al principio della non tassativita’ dei mezzi di prova. Il momento ricognitivo costituisce invero parte integrante della testimonianza, di tal che l’affidabilita’ e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilita’ accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del decidente che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimita’” (cosi’ Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Di Stefano, Rv. 262908; in senso conforme, piu’ di recente, v. Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, cit.).
E’ altresi’ possibile che – come avvenuto nel caso di specie – il testimone confermi di avere all’epoca effettuato il riconoscimento positivo nei termini indicati nel verbale redatto dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini, ma che in ragione del tempo trascorso non sia in grado di reiterare lo stesso atto con sufficiente grado di attendibilita’.
In questa ipotesi, dunque, il teste da una parte conferma la veridicita’ di quanto affermato precedentemente in sede di individuazione fotografica e dall’altra precisa che in quel momento non e’ in grado di ripetere l’atto. Conseguentemente la suddetta dichiarazione, fatta in dibattimento, diviene pienamente utilizzabile, ferma restando la prudente valutazione del giudice: in questa situazione di non contrasto fra le due dichiarazioni, “non puo’ trovare applicazione l’articolo 500 c.p.p., comma 2, ma solo le regole generali in ordine alla valutazione dell’attendibilita’ del teste sulla dichiarazione precedente resa e dallo stesso teste veicolata nel dibattimento grazie al fatto che ha dichiarato che quello che dichiaro’ e’ vero” (cosi’ Sez. 2, n. 10483 del 21/02/2012, Russo, Rv. 252707; in senso conforme v. Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Lubine, Rv. 270091; Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, Amaddio, Rv. 264014; Sez. 2, n. 31593 del 13/07/2011, Accardi, Rv. 250913; da ultimo, fra le sentenze non massimate, v. Sez. 4, n. 9463 del 13/02/2019, Ouldhnini; Sez. 7, n. 11344 del 12/02/2019, Di Tommaso; Sez. 2, n. 1461 del 11/12/2018, dep. 2019, Miaskova).
Il principio e’ stato affermato dalla Suprema Corte in tema di dichiarazioni in senso stretto, ma puo’ essere applicato anche per l’individuazione fotografica, che – come si e’ detto – rappresenta una specie del piu’ ampio genere della dichiarazione (in questo senso, da ultimo v. Sez. 2, n. 38037 del 13/07/2018, Lapalombella, non mass.).
I giudici di merito, poi, hanno valorizzato anche la deposizione del teste (OMISSIS), altro autista della societa’ (OMISSIS), il quale, in data 8 gennaio 2014, in concomitanza con uno dei rifornimenti abusivi, mentre stava mettendo il carburante nel proprio camion presso un distributore, noto’ che il conducente di un furgone inseriva la pistola erogatrice non nel serbatoio ma in una tanica caricata sotto il telone.
Grazie alle indagini svolte dalla polizia giudiziaria con l’acquisizione anche delle videoriprese, si accerto’ che nell’orario indicato il rifornimento fu effettuato da un soggetto a bordo di un furgone di proprieta’ di una societa’ il cui amministratore unico era (OMISSIS), convivente di (OMISSIS), che nei mesi precedenti era stato controllato alla guida dello stesso veicolo.
La Corte territoriale ha spiegato in modo logico per quale ragione (OMISSIS) – ammesso che lo stesso avesse assistito alla scena da breve distanza – non riconobbe (OMISSIS): secondo quanto riferito da (OMISSIS), l’imputato “indossava il cappuccio quando utilizzava la carta”.
4. All’inammissibilita’ dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonche’, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro duemila, cosi’ equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
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