Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 gennaio 2024| n. 1441.
I vincoli urbanistici inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile
I vincoli urbanistici inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale, una volta approvati e pubblicati, hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia “erga omnes”, come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari, sicché i vincoli così imposti, a differenza di quelli introdotti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile, ai sensi dell’art. 1489 c.c., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore quale fonte di responsabilità del venditore che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto. (Nella specie, in applicazione di detto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva qualificato come non apparente un vincolo pubblicistico gravante su di un’area destinata a parcheggio pubblico limitandosi a desumerne la non conoscenza per effetto della mancata allegazione della concessione edilizia all’atto di trasferimento, così presupponendo che detto provvedimento costituisse la fonte primaria del vincolo).
Ordinanza|15 gennaio 2024| n. 1441. I vincoli urbanistici inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile
Data udienza 13 dicembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Proprieta’ – Limitazioni legali della proprieta’ – Rapporti di vicinato – Norme di edilizia – Piani regolatori – Efficacia vincoli inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale – Effetti – Presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari – Configurabilità – Conseguenze – Natura di oneri non apparenti ex art. 1489 c.c. – Esclusione – Vincoli imposti da provvedimenti amministrativi specifici – Differenza – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7120/2019) proposto da:
Pe.Ma. (C.F.: Omissis), in qualità di erede di Pe.Ca., rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. Br. Bi., nel cui studio in Roma, via (…), ha eletto domicilio;
– ricorrente –
contro
RA. Auto Srl (C.F.: Omissis), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Pa. Co., elettivamente domiciliata in Roma, via (…), presso lo studio dell’Avv. Lu. Ma.;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4022/2018, pubblicata il 5 settembre 2018, notificata il 15 febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2023 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..
I vincoli urbanistici inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile
FATTI DI CAUSA
1. – Con atto di citazione notificato il 14 giugno 2013, la Ra. Auto Srl conveniva, davanti al Tribunale di Monza, Pe.Ca., chiedendo che il convenuto fosse condannato alla restituzione di una quota del prezzo versato, all’esito della riduzione del corrispettivo di Euro 1.250.000,00 pattuito nella vendita immobiliare ad uso commerciale conclusa tra le parti il 7 novembre 2007, nella misura di Euro 65.000,00, oltre al risarcimento dei danni.
Al riguardo, l’attrice assumeva che aveva appreso soltanto nel giugno 2008, al momento in cui aveva presentato al Comune di M la documentazione relativa alla ristrutturazione dell’immobile acquistato, al fine di destinarlo ad uso produttivo, che il bene, sin dal 1982, era gravato da un vincolo a favore del Comune sull’area antistante l’immobile e posta al confine con la pubblica via, sicché aveva dovuto proporre istanza di monetizzazione dell’area, versando al Comune la somma di Euro 64.561,20.
Si costituiva in giudizio Pe.Ca., il quale contestava la fondatezza, in fatto e in diritto, delle domande avversarie, chiedendone il rigetto.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1860/2015, depositata il 25 giugno 2015, accertava il diritto dell’attrice alla riduzione del prezzo e, per l’effetto, condannava il convenuto al pagamento della somma di Euro 63.920,00, respingendo la domanda risarcitoria.
2. – Proponeva appello avverso la sentenza di primo grado Pe.Ca., il quale lamentava: 1) che la qualificazione del vincolo gravante sull’area come “non apparente” era in contrasto con la sua natura pubblicistica, trattandosi di un’area di terreno destinata a “standard pubblico” secondo lo strumento urbanistico; 2) che l’esistenza del vincolo non aveva determinato alcun danno, in quanto l’onere gravante sul terreno non ne aveva limitato il godimento, atteso che anche dopo la monetizzazione dell’area, da parte dell’acquirente, sussisteva ancora la limitazione della destinazione a parcheggio; 3) che la quantificazione della riduzione del prezzo effettuata nel giudizio di prime cure non teneva conto della circostanza che comunque l’acquirente poteva utilizzare l’area come parcheggio al servizio della propria attività commerciale anche prima della monetizzazione, sicché la riduzione era eccessiva, a fronte del valore di tutto il compendio immobiliare oggetto della compravendita; 4) che la condanna del solo convenuto alle spese di lite era illegittima, poiché, a fronte dell’accoglimento della domanda di riduzione del prezzo, era stata disattesa l’ulteriore domanda di risarcimento dei danni, sicché sussisteva una reciproca soccombenza, che avrebbe dovuto giustificare la compensazione per intero delle spese.
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Si costituiva nel giudizio d’impugnazione la Ra. Auto Srl, la quale chiedeva il rigetto dell’appello.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello spiegato e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, in ordine agli oneri “non apparenti”, la responsabilità del venditore poteva essere esclusa solo ove fosse stata data la prova che il compratore ne avesse avuto conoscenza effettiva, e non la mera possibilità di conoscenza, oppure che il vincolo fosse stato espressamente menzionato nell’atto di trasferimento; b) che, nella fattispecie, il compratore non aveva conoscenza di tale vincolo ed, inoltre, non era stata allegata all’atto di trasferimento la concessione edilizia, come richiamata nell’atto, il cui contenuto – in presenza della specifica prestazione di garanzia, da parte del convenuto, circa la libertà degli immobili venduti – la società acquirente non aveva nemmeno ragionevole motivo di verificare; c) che l’area esterna, antistante l’immobile del venditore, era adibita ad uso parcheggio, ma pubblico, mentre, solo a seguito della monetizzazione, l’acquirente aveva ottenuto il mutamento di destinazione, persistendo la destinazione come parcheggio, ma non più pubblico bensì riservato ai clienti e, in genere, all’attività commerciale della società, il che evidentemente aveva una dimensione del tutto diversa, sotto ogni profilo; d) che, al fine di poter utilizzare, per sé ed in via esclusiva, l’area in questione, ceduta come del tutto libera da pesi e oneri di qualsiasi natura, la società acquirente aveva dovuto corrispondere al Comune la somma da questo determinata e, pertanto, la riduzione del prezzo, in misura
corrispondente proprio alla somma equivalente alla monetizzazione effettuata dell’area ceduta, risultava frutto di una valutazione logico-giuridica del tutto corretta; e) che la mancata compensazione delle spese di lite non era censurabile, tanto più in considerazione della circostanza che, nel liquidare le spese in favore dell’attrice, il Tribunale aveva motivato la quantificazione in ragione del minor importo oggetto della condanna.
3. – Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, Pe.Ma., in qualità di erede di Pe.Ca..
Ha resistito con controricorso la Ra. Auto Srl
4.- Le parti hanno depositato memorie illustrative.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., per avere la Corte di merito erroneamente omesso di considerare che il vincolo dedotto, in quanto derivante dallo strumento urbanistico, avesse valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo, con efficacia erga omnes, come tale assistito da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari, con l’effetto che non avrebbe potuto essere invocato dal compratore quale fonte di responsabilità del venditore che non l’avesse eventualmente dichiarato nel contratto.
L’istante obietta che l’individuazione delle aree da destinare a standards urbanistici si sarebbe potuta ricavare direttamente dallo strumento urbanistico generale, in ordine al quale vi sarebbe stata una presunzione legale di conoscenza dei destinatari (e ciò con precipuo riferimento, nel caso di specie, al mappale n. 490 gravato da standard pubblico, come da estremi della concessione edilizia richiamati nell’atto di vendita).
1.1. – Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Si premette che nella vendita di cosa gravata da onere reale, la responsabilità del venditore, ex art. 1489 c.c., è esclusa solo nel caso in cui il compratore abbia avuto effettiva conoscenza del peso gravante sulla cosa oppure si tratti di onere apparente ovvero trascritto o espressamente menzionato nell’atto di trasferimento dell’immobile al terzo, non essendo a tal fine sufficiente una clausola generica o di mero stile (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 57 del 04/01/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22363 del 26/09/2017; Sez. 2, Sentenza n. 8500 del 08/04/2013; Sez. 2, Sentenza n. 2856 del 11/03/1995).
Tanto premesso, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, i vincoli inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale, una volta approvati e pubblicati nelle forme previste, hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo, con efficacia erga omnes, come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari, sicché i vincoli in tal modo imposti, a differenza di quelli inseriti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri “non apparenti” gravanti sull’immobile, secondo l’art. 1489 c.c., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilità del venditore, che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14289 del 04/06/2018; Sez. 2, Sentenza n. 2737 del 23/02/2012; Sez. 2, Sentenza n. 4971 del 02/03/2007; Sez. 2, Sentenza n. 19812 del 04/10/2004; Sez. 2, Sentenza n. 18653 del 16/09/2004; Sez. 1, Sentenza n. 793 del 19/01/2001).
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A fondamento della richiamata discriminazione si pone l’argomento a mente del quale gli strumenti di governo del territorio di portata generale (quali gli attuali piani di governo del territorio e, prima, i piani regolatori generali) involgono interessi diffusi e, come tali, si differenziano sensibilmente dai provvedimenti (permessi di costruire – e, prima, concessioni edilizie -, convenzioni urbanistiche) destinati a regolamentare le attività che il privato può mettere in atto, avuto riguardo ai propri beni, nei limiti contemplati dall’art. 42, secondo comma, Cost..
Sicché soltanto con riferimento ai primi è legittimamente invocabile una presunzione di conoscenza a cura della generalità dei consociati, laddove, per contro, i secondi sono rigorosamente circoscritti ad ambiti ristretti, che concernono interessi di uno o più singoli, contemperati con quelli degli altri consociati, sulla scorta di regole predefinite applicate dall’ente territoriale preposto.
Ed invero, proprio per il connotato settoriale che le contraddistingue, la normativa vigente si preoccupa anche di tutelare la riservatezza delle pratiche di natura urbanistica depositate da privati cittadini, circoscrivendo la cerchia di coloro che possono legittimamente averne conoscenza ai portatori di interessi diretti, concreti e attuali.
1.2. – Ora, la Corte distrettuale si è limitata a negare la “apparenza” del vincolo – e, dunque, la conoscenza o la conoscibilità da parte del compratore – in ragione del mero riferimento alla mancata allegazione, all’atto di trasferimento, della concessione edilizia, presupponendo implicitamente che detto provvedimento amministrativo costituisse la fonte primaria del vincolo medesimo.
Nondimeno, questa conclusione non è corroborata da alcuna indagine sull’asservimento volontario dell’area ad uso pubblico ovvero sulla ricorrenza di un obbligo urbanistico di destinazione a parcheggi (ossia sulla sua natura, quale mera assunzione di un’obbligazione a cura degli originari proprietari del fondo su cui e` stato eretto il fabbricato ovvero quale integrazione di una limitazione discendente da previsione di piano regolatore o da altra prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia erga omnes).
Orbene, nella fattispecie, il fatto che l’area in questione – di cui al mappale n. 490 – fosse destinata a standard pubblico (recte ad area soggetta all’uso di parcheggio pubblico) e` stato desunto solo dall’asettica lettura della concessione edilizia (ossia del provvedimento particolare a valle) che, sebbene richiamata nell’atto di compravendita, non era stata ad esso allegata, senza alcun accertamento della sussistenza di una prescrizione urbanistica generale (a monte).
La Corte ha altresì aggiunto che nell’atto espressamente si garantiva l’inesistenza di alcun vincolo.
Per l’effetto, non e` stata svolta alcuna verifica circa l’esistenza di un vincolo “conformativo” (in ordine alla natura variabile di tale vincolo: Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 37574 del 22/12/2022; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20457 del 05/09/2013; Sez. 1, Sentenza n. 10012 del 06/05/2011; Sez. 1, Sentenza n. 2613 del 07/02/2006) sull’area privata – per la destinazione indicata di parcheggio pubblico – sin dalla previsione degli strumenti urbanistici generali, ove siffatto vincolo avesse potuto desumersi già dal certificato di destinazione urbanistica (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16795 del 26/06/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22363 del 26/09/2017).
1.3. – Sul punto, si evidenzia che la realizzazione di parcheggi, se rientranti negli standards urbanistici, indipendentemente dalla titolarità del sedime o dalla loro collocazione a servizio di determinati esercizi commerciali, è destinata naturalmente all’uso indistinto a beneficio della collettività.
Senonchè non emerge alcun indice argomentativo da cui è stato tratto il convincimento che tale asservimento – con la relativa individuazione dell’area asservita allo scopo – fosse avvenuto solo al momento in cui è stata rilasciata la concessione edilizia per la costruzione dell’opera principale (ossia, nella fattispecie, del capannone ad uso commerciale).
Ovvero che solo con tale provvedimento, in ossequio alla disciplina regionale di riferimento e alla natura dei parcheggi (quali opere di urbanizzazione), sia stata individuata l’area, che – pur essendo privata – è stata considerata funzionale alla soddisfazione dello standard, conformemente agli interessi dell’intervento edilizio assentito.
E tanto tenuto conto del fatto che solitamente l’obbligo della pianificazione attuativa nel comparto interessato, risultante dalle norme tecniche di attuazione del Piano delle Regole del P. G. T., si estende alla previsione secondo cui l’edificazione dello stesso comparto comporta la realizzazione di spazi e servizi pubblici al suo interno (in particolare, i parcheggi pubblici), necessari per il soddisfacimento delle necessità urbanizzative indotte dalle quote residenziali o commerciali o ad uso uffici proposte dai proprietari dei lotti.
Dal ragionamento che precede deriva che: – un’opera e` o può essere di urbanizzazione primaria anche se totalmente ed esclusivamente privata e sottratta a qualsivoglia uso pubblico, atteso che, in sostanza, l’essere opera di urbanizzazione nulla dice né quanto alla proprietà, né quanto all’uso; – i parcheggi pubblici sono standards urbanistici imposti dalla legge per mitigare il carico insediativo degli interventi edificatori aventi impatto sul territorio, che i Comuni devono pretendere e conseguire in sede convenzionale, regolandone poi l’uso nell’interesse della collettività, con un normale libero accesso al pubblico; – la proprietà del bene è indifferente rispetto alla destinazione funzionale delle opere a parcheggio.
Ove già gli strumenti urbanistici generali avessero previsto tale destinazione dell’area, dunque, si sarebbe trattato di provvedimenti di immediata portata normativa, in ordine ai quali avrebbe potuto operare la presunzione di conoscenza della collettività, con la conseguente “apparenza” del vincolo.
Solo nell’ipotesi in cui, invece, la concreta individuazione dell’area fosse stata operata solo con il provvedimento amministrativo particolare di concessione (o, comunque, con l’assunzione di una contestuale obbligazione), il vincolo sarebbe stato “non apparente”.
In ordine a tale discriminazione della fonte del vincolo nessun cenno vi è nella pronuncia impugnata, che si è limitata a recepire il dato riportato nella concessione, senza verificare che l’asservimento fosse già risalente ai precedenti strumenti di pianificazione del territorio.
Pertanto, in sede di rinvio, tale ponderazione dovrà essere rinnovata, individuando la fonte primaria del vincolo, allo scopo di farne discendere le relative conseguenze sulla sua “apparenza”.
2. – Con il secondo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la soggezione dell’area pertinenziale all’uso di parcheggio pubblico giustificasse la riduzione del prezzo per l’indebita apposizione di un onere “non apparente” non menzionato nell’atto, mentre, in realtà, l’alienante si era limitato a vendere un’area antistante al capannone, quale area destinata a parcheggio, senza garantire che tale area potesse essere idonea a diventare spazio espositivo.
Si sarebbe trattato, dunque, di un vincolo conformativo inquadrabile nella zonizzazione dell’intero territorio comunale, o di parte di esso, sì da incidere su una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadevano, in ragione delle caratteristiche estrinseche ed intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica, sicché il danno lamentato sarebbe stato inesistente, in quanto detto onere non avrebbe limitato il godimento del bene.
3. – Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., per avere la Corte distrettuale quantificato la riduzione del prezzo in corrispondenza della somma sostenuta dall’acquirente per la monetizzazione del vincolo, mentre, in realtà, la determinazione della misura della riduzione avrebbe dovuto essere rapportata al deprezzamento dell’immobile, che nella fattispecie sarebbe stato di lieve entità, considerato che l’area risultava da sempre, senza interruzione, utilizzata a parcheggio al servizio dell’utenza diretta dell’esercizio commerciale della Ra. Auto, non incidendo sul contenuto del diritto di proprietà.
E quindi il vincolo esistente non avrebbe potuto comportare un deprezzamento di tutto il compendio immobiliare compravenduto.
4. – Con il quarto motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., per avere la Corte d’appello confermato la condanna integrale alle spese di lite del solo convenuto, benché, a fronte della domanda di condanna alla riduzione del prezzo, fosse stata respinta la concorrente domanda di risarcimento dei danni.
In ragione di tale rigetto, le spese di lite avrebbero dovuto essere, quindi, compensate.
5. – Tali ulteriori motivi sono assorbiti dall’accoglimento del primo, che ha valenza pregiudiziale.
6. – In definitiva, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, mentre i rimanenti motivi sono assorbiti.
La sentenza impugnata va dunque cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi agli enunciati principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
I vincoli urbanistici inseriti nelle previsioni del piano regolatore generale non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 13 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2024.
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