I rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale sono utilizzabili nell’ambito dei contratti delle società cooperative

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 14850.

I rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale sono utilizzabili nell’ambito dei contratti delle società cooperative

Il principio in base al quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale non sono utilizzabili nell’ambito dei contratti societari, in quanto caratterizzati dalla comunione di scopo, non si applica alle società cooperative, nelle quali il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio da parte del socio si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione alla vita sociale e non è caratterizzato dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra le prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. (Principio affermato in una controversia tra socio e società cooperativa agricola e zootecnica, in cui il conferimento del prodotto agricolo da parte del primo è stato qualificato come l’adempimento di una prestazione contrattuale autonoma e diversa dal rapporto societario, sebbene originata all’interno di una relazione di natura associativa ed in base ad accordi negoziali, aventi come fonte anche il contratto sociale).

 

Sentenza|| n. 14850. I rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale sono utilizzabili nell’ambito dei contratti delle società cooperative

Data udienza 9 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Societa’ – Di capitali – Societa’ cooperative (nozione, caratteri, distinzioni, tipi: a responsabilita’ limitata e non limitata) – In genere società cooperative – Principi generali in tema di inadempimento – Applicabilità – Fondamento – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere – rel.

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 198/2020 R.G. proposto da:

Ma.Gi., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Gi.Sa., presso il cui studio elettivamente domicilia in Cagliari, (…).

– ricorrente –

contro

(…) – COOP. AGRICOLA A R.L., con sede in M, alla Via M, in persona del presidente Su.Gi., rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Do.Bo. di Patti, presso il cui studio elettivamente in Roma, (…).

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 266/2019 del TRIBUNALE DI ORISTANO, pubblicata il 16/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 09/04/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale De.St., che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. G. Sa., che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avv. D. Bo. di Patti, che ha chiesto rigettarsi l’avversa impugnazione;

lette le memorie ex art. 378 cod. proc. civ. depositate dalle parti.

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FATTI DI CAUSA

1. La (…) – Coop. Agricola a r.l. propose opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso il decreto ingiuntivo emesso, nei suoi confronti, dal Giudice di pace di Oristano, su istanza del socio Ma.Gi., con cui era stato ad essa intimato il pagamento di Euro 1.226,10, oltre interessi, a fronte del conferimento, da parte del primo, di latte. Espose di svolgere, con scopo mutualistico, attività di raccolta e di trasformazione del latte conferito dai soci, nonché attività di commercializzazione dei formaggi ottenuti, e di avere subito una perdita di esercizio, nel 2010, a causa di una grave crisi del settore lattiero-caseario.

Il Ma.Gi., benché a conoscenza di tale situazione, aveva interrotto i conferimenti del latte in favore della cooperativa per venderlo ad altre imprese, così contravvenendo agli obblighi statutari, tanto che, con delibera del consiglio di amministrazione del 20 settembre 2012, era stata disposta la sua cancellazione dal libro dei soci. Contestò la sussistenza del credito azionato da controparte in sede monitoria, rimarcando che, a fronte del risultato negativo della gestione societaria nel 2010, i soci non avevano maturato crediti, in conformità a quanto previsto dall’art. 9 del Regolamento, in forza del quale “il valore definitivo dei conferimenti” doveva essere stabilito in base ai risultati di gestione desumibili ” “a chiusura dell’esercizio sociale, nel bilancio consuntivo della cooperativa”.

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1.1. Costituitosi il Ma.Gi., che eccepì la tardività dell’opposizione e sostenne che la cooperativa, pur avendo scopo mutualistico, in ogni caso perseguiva una finalità lucrativa, cosicché i soci conferitari avevano il diritto di vedersi retribuito il prodotto versato, il menzionato Giudice di pace, con sentenza n. 145 del 2017, respinse l’opposizione, confermando il decreto opposto.

2. Pronunciando sul gravame promosso dalla (…) – Coop. Agricola a r.l. contro detta sentenza, l’adito Tribunale di Oristano, l’accolse integralmente con sentenza del 16 maggio 2019, n. 266, con cui revocò il decreto opposto e compensò le spese di entrambi i gradi.

2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, muovendo dalla considerazione che era preferibile la tesi che qualificava i conferimenti annuali di prodotti da parte dei soci di cooperative agricole non già alla stregua di adempimenti di separati contratti di scambio (sub specie di vendita, somministrazione o di fornitura), bensì quali prestazioni dovute in esecuzione di un unico rapporto di durata che trovava la sua causa nel medesimo contratto sociale, affermò che “la remunerazione, da parte della cooperativa, dei conferimenti eseguiti dai singoli soci non può (poteva) avvenire (se non sotto un profilo meramente formale) attraverso il pagamento di un “prezzo”, inteso in senso tecnico quale corrispettivo per una prestazione effettuata dal socio sulla base di un contratto di scambio, ma avviene (avveniva) piuttosto attraverso l’attribuzione pro quota ai soci del profitto generato dalla vendita dei prodotti, e, dunque, dipende(va) dai risultati più o meno brillanti dell’esercizio”. Rilevò, sulla base delle risultanze istruttorie, che il regime statutario e regolamentare della cooperativa comprovavano che non sussisteva un diritto del socio di ottenere il pagamento del prezzo del prodotto conferito a prescindere dall’andamento della gestione sociale; con la conseguenza che, essendosi la campagna per l’anno 2010 conclusa in perdita per la società, in ragione della natura del rapporto intercorrente tra il socio e la cooperativa non poteva riconoscersi il diritto alla remunerazione del conferimento effettuato dal socio.

3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso Ma.Gi., affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. . Ha resistito, con controricorso, illustrato da analoga memoria, la (…) Coop. Agricola a r.l. .

3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 21 aprile/16 giugno 2023, n. 17398, ha ritenuto “necessario il rinvio del presente ricorso in pubblica udienza, in considerazione della questione di diritto, non ancora affrontata dalla giurisprudenza di legittimità relativa alla qualificazione giuridica dei conferimenti obbligatori effettuati dai soci di una cooperativa, di conferimento e trasformazione, confrontandosi la tesi della cessione onerosa dei beni conferiti che si affianca al contratto sociale con obbligo di pagamento del corrispettivo sinallagmaticamente spettante al socio per il conferimento periodico, con quella del conferimento direttamente derivante dal contratto sociale il cui valore attribuito è costituito, dalla differenza fra ricavi e proventi e costi della gestione, rispetto al quale il socio può avere delle anticipazioni, se statutariamente previsto senza i diritti che conseguono ad un negozio traslativo”. Pertanto, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone la trattazione in pubblica udienza, in occasione della quale entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. .

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: “Ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione degli artt. 1173, 2423, 2423-bis, 2423-ter e 2512 c.c. laddove il Tribunale di Oristano ha ritenuto che nelle cooperative agricole il socio non abbia diritto alla remunerazione del prodotto conferito e debitamente fatturato se non quando il bilancio consuntivo annuale presenti un saldo positivo”. Assume il ricorrente che, nel caso di conferimento di prodotti agricoli a cooperativa di cui il coltivatore diretto è socio, è ravvisabile un rapporto di scambio fra socio conferitore e società cooperativa, per cui “la compravendita viene a innestarsi su di un autonomo contratto associativo che, da un lato, obbliga il coltivatore diretto al conferimento dei prodotti per il perseguimento dello scopo sociale e, dall’altro, lo rende partecipe dello scopo dell’impresa collettiva facendogli assumere una quota del rischio d’impresa e attribuendogli correlativamente una serie di poteri, diritti… e specifici vantaggi, fra cui in particolare quello di poter collocare la propria merce sul mercato in condizioni più favorevoli”. Deduce, inoltre, che il conferimento del latte alla cooperativa è riferibile esclusivamente allo schema della cessione di beni e non è assimilabile alla dotazione di capitale, tanto che “gli importi stabiliti come anticipo della remunerazione per il latte conferito, oltreché essere soggetti alla emissione di fattura, rappresentano necessariamente un debito della cooperativa nei confronti del socio”, e che la soluzione adottata dal tribunale sarebbe contraddittoria perché dal contratto sociale deriva l’obbligo dei conferimenti annuali da parte dei singoli associati, ma ciò non incide sul titolo, oneroso o gratuito, degli stessi, perché l’onerosità dei conferimenti è prevista dallo stesso Statuto e dal Regolamento della Cooperativa.

1.1. Tale doglianza si rivela infondata, sebbene dovendosi procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., nei sensi ed alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.

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1.2. La questione che pone la censura può riassumersi nell’interrogativo se l’obbligo di conferimento incombente sul socio di una cooperativa agricola di conferimento o di trasformazione, quale è pacificamente la società controricorrente, costituisca oggetto di un separato ed autonomo contratto di scambio intercorrente tra il socio conferitario e la società cooperativa o se, piuttosto, esso trovi titolo direttamente nel contratto sociale.

1.3. Il Collegio dà atto, innanzitutto, che la recente ordinanza resa da Cass. 9 agosto 2023, n. 24242 (pronunciata in una controversia, tra un altro socio della medesima cooperativa qui controricorrente e quest’ultima, assolutamente identica a quella oggi in esame), ha risposto al suddetto quesito affermando che “I conferimenti annuali di prodotti, eseguiti dal socio imprenditore agricolo alla cooperativa agricola di conferimento o di trasformazione, trovano titolo nel contratto sociale che prevede la relativa obbligazione e non costituiscono oggetto di una prestazione accessoria ex art. 2345 c.c.; ne consegue che la consegna dei prodotti non determina l’operatività del principio di corrispettività e non fa sorgere in capo al socio il diritto a un corrispettivo, ma una mera aspettativa alla remunerazione del proprio conferimento, che può anche mancare e che è integrata dall’attribuzione “pro quota” ai soci del profitto conseguito dalla cooperativa tramite l’attività di impresa”. In applicazione di tale principio, dunque, in quella sede è stata confermata la sentenza impugnata, la quale aveva escluso il diritto alla remunerazione del conferimento di latte effettuato da un socio alla (…) Coop. Agricola a r.l., che, a causa di una grave crisi del settore lattiero-caesario, aveva subito una perdita di esercizio.

1.3.1. In estrema sintesi, secondo la riportata ordinanza, l’obbligo di conferimento del prodotto che grava sui soci di una cooperativa agricola di trasformazione, obbligo essenziale per il funzionamento della società, è riconducibile ad un contratto di durata ad esecuzione periodica, contratto che, però, non ha una sua autonomia risultando essere parte integrante del contratto sociale. Conseguentemente, la consegna, da parte del socio, del prodotto non determina l’operatività del principio di corrispettività, ma una mera aspettativa alla remunerazione del conferimento. In particolare, non essendo la remunerazione un “prezzo” in senso tecnico, ma soltanto l’attribuzione al socio/imprenditore pro quota del profitto generato dalla vendita dei prodotti trasformati, non è configurabile in capo al socio un diritto di credito al percepimento di un corrispettivo.

1.3.2. Nella specie, questa conclusione trovava conferma, secondo la Corte, anche nel Regolamento approvato dalla cooperativa, in cui si affermava che il valore definitivo dei conferimenti dovesse essere stabilito in base ai risultati di gestione desumibili alla chiusura dell’esercizio sociale.

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1.3.3. Giusta la pronuncia in esame, dunque, il socio viene remunerato dei suoi conferimenti attraverso il profitto della cooperativa, mancando il quale non ha diritto ad alcun corrispettivo in quanto si sostiene essere socio/imprenditore.

1.4. È doveroso rimarcare, poi, che la sentenza resa da Cass. 2 agosto 2023, n. 23606, pure pronunciata in una controversia tra una cooperativa agricola ed un suo socio tenuto al conferimento di latte, e pressoché coeva all’ordinanza finora descritta, ha espressamente opinato (cfr. pag. 6-7 della relativa motivazione) che, nelle società cooperative, “il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società si palesa ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all’organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo (Sez. 1, Sent. n. 26222 del 2014, RV. 633871; Sez. 1, Sentenza n. 694 del 2001). Tale principio, che si è affermato nell’ambito delle cooperative edilizie, è applicabile anche al caso in esame di società cooperativa agricola e zootecnica in quanto anche in questo caso il conferimento del latte dal socio (…) alla cooperativa (…) caratterizza il rapporto economico come relazione di tipo contrattuale e di natura corrispettiva (sia pure originata all’interno di un rapporto di natura associativa) tra l’obbligo di conferimento dell’intera produzione di latte da parte del socio e il corrispondente obbligo di pagamento da parte della società cooperativa per la quantità di latte di volta in volta conferito, in base agli accordi negoziali aventi come fonte il contratto sociale (statuto e atto costitutivo). Di conseguenza, nella specie, ciò che rileva non è il rapporto associativo volto allo scopo comune ma prevale il rapporto di scambio che determina l’insorgere, a carico del socio, dell’obbligo di provvedere al conferimento del latte e, in capo alla società, dell’obbligo di pagamento del suddetto conferimento, prestazione queste ultima che rappresenta il corrispettivo della consegna del latte, la cui causa, dunque, risulta del tutto omogenea a quella della compravendita (v. Cass. 9-5-2013 n. 11 015; Cass. 28-3-2007 n. 7646; Cass. 16-4-2003 n. 6016; Cass. 18-1-2001 n. 694)”.

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1.4.1. Si tratta, come appare evidente, di una conclusione diametralmente opposta, sullo specifico punto, rispetto a quella di cui all’ordinanza resa da Cass. n. 24242 del 2023.

1.4.2. Le due pronunce esaminate, peraltro, bene fotografano il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito al rapporto tra mutualità e scambio nelle società cooperative, storicamente diviso tra due differenti ricostruzioni giuridiche: quella che riconduce i rapporti mutualistici interamente al contratto sociale (cd. tesi monista) e quella che li configura alla stregua di ulteriori e distinti rapporti giuridici, ascrivibili, di volta in volta, a contratti a prestazioni corrispettive tipici o atipici (cd. tesi dualista).

1.4. 2.1. Stando alla prima, il rapporto mutualistico rappresenterebbe una fattispecie a contenuto complesso, caratterizzata da una pluralità di prestazioni tutte riconducibili al contratto sociale, rispetto al quale i singoli atti di scambio costituirebbero meri momenti esecutivi. Sulla base di tali argomentazioni, viene così esclusa la natura contrattuale dei rapporti mutualistici intercorrenti tra i soci e la società, cui non sarebbero applicabili le norme dei contratti di scambio. È stato opportunamente messo in evidenzia, in dottrina, come le origini di una simile impostazione siano da ascrivere alle teorie ottocentesche negatrici della personalità giuridica delle società commerciali, e, dunque, dell’alterità soggettiva di queste ultime rispetto ai soci, con la conseguente asserita impossibilità di configurare rapporti di scambio ulteriori rispetto a quello sociale; tale conclusione – nonostante il consolidarsi della teoria della personalità giuridica delle cooperative – è stata ulteriormente prospettata da quanti hanno ritenuto insussistente una vera e propria contrapposizione di interessi fra le parti, tale da escludere la configurabilità di un rapporto di scambio tra il socio e la società. Da qui la raffigurazione del rapporto obbligatorio società-soci come diritto del socio e obbligo della società a dare le prestazioni mutualistiche quale conseguenza dell’appartenenza del socio della compagine sociale.

1.4. 2.2. Questo modo di intendere la mutualità, tuttavia, è stato superato, successivamente, a fronte della necessità della cooperativa di poter competere sul mercato e, quindi, di poter liberamente operare anche con non soci, arrivandosi ad escludere, nelle tesi più estreme, l’esistenza di un obbligo della cooperativa di operare con il socio e, per converso, un obbligo del socio ad avere rapporti con la cooperativa.

1.4. 2.3. In questo contesto, gli interpreti, in modo pressoché unanime, hanno riconosciuto che lo scopo mutualistico si realizza attraverso rapporti contrattuali di scambio con il socio, discutendosi solo se si tratti di contratti tipici, o meno, ovvero se tali negozi, pur autonomi e distinti rispetto al contratto sociale, subiscano, come è stato autorevolmente affermato, una sorta di curvatura causale in ragione degli scopi mutualistici della cooperativa. Curvatura causale comunque pacificamente inesistente nelle cooperative di produzione e lavoro per le quali, ai sensi della legge n. 142/2001, il contratto di lavoro della cooperativa con il socio deve essere un contratto di lavoro autonomo o subordinato nelle forme previste dalla legge.

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1.4. 2.4. In ogni caso, sull’abbrivio degli orientamenti dottrinari e di legge a favore dell’esistenza di un contratto di scambio distinto dal contratto sociale, la riforma del 2003 ha eliminato ogni residua incertezza, atteso che ha imposto a tutte le cooperative lo svolgimento di attività mutualistica a vantaggio dei soci (cfr. artt. 2511, 2515, comma 2, e 2521, comma 2, cod. civ.), ad eccezione dei casi in cui, per espressa deroga legislativa, il beneficio possa essere indirizzato anche a soggetti terzi, come accade, ad esempio nelle cooperative sociali (cfr. art. 2520, comma 2, c.c.); peraltro, il rafforzamento della mutualità ad opera della riforma del diritto societario è testimoniato, altresì, dall’obbligo di previsione statutaria dei ristorni, la cui ripartizione è proporzionata alla quantità e qualità degli scambi mutualistici (artt. 2521, n. 8, e 2545-sexies, comma 1, cod. civ.). E, sebbene il codice civile difetti di una puntuale definizione di mutualità, dal complesso della disciplina dedicata alle società cooperative – e soprattutto dal combinato disposto degli artt. 2512, 2516, 2544, comma 1, e 2545-sexies, comma 1, cod. civ. – si desume che l’essenza dello scopo mutualistico risiede nella stipula di contratti di scambio intercorrenti tra la società ed i soci, ulteriori e distinti rispetto al contratto sociale.

1.5. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio di dover rispondere all’interrogativo di cui al precedente Par. 1.2. di questa motivazione dando seguito alla ricordata conclusione rinvenibile nella citata sentenza pronunciata da Cass. n. 23606 del 2023.

1.5.1. Invero, benché il legislatore non offra una puntuale definizione di cooperativa agricola, dall’art. 2135 cod. civ., relativo alla nozione di imprenditore agricolo, si desume, tuttavia, che sono qualificabili come agricole quelle cooperative che svolgono una delle seguenti attività: I) la coltivazione del terreno e la silvicoltura; II) l’allevamento di animali, con le prescrizioni ivi imposte; III) l’attività diretta alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali; IV) un’attività concernente la prestazione di beni o servizi a favore dei soci imprenditori agricoli.

1.5.2. Si possono individuare, poi, due macrocategorie di cooperative agricole: a) quelle di produzione, che si occupano della coltivazione e dell’allevamento di cui ai punti precedenti; b) quelle di conferimento, in cui la società cooperativa ha il compito di concentrare in capo a sé alcune fasi del processo di lavorazione o trasformazione dei prodotti conferiti dai soci al fine di consentire il loro collocamento sul mercato. In questo caso, i produttori agricoli conferiscono i propri prodotti affinché essi vengano conservati, manipolati, trasformati e venduti tramite l’organizzazione collettiva, con gestione comune di impianti, stabilimenti e magazzini.

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1.5.3. In questa seconda tipologia rientra, evidentemente, la Cooperativa agricola oggi controricorrente, nella quale (trattasi di circostanza assolutamente pacifica), in attuazione del rapporto mutualistico, il socio si impegna a trasferire periodicamente alla cooperativa una quantità di merce (latte) perché la società la trasformi in un prodotto derivato (formaggio), successivamente dalla stessa commercializzato.

1.6. Orbene, la menzionata sentenza resa da Cass. n. 23606 del 2023, nel sancire la necessità di “considerare che, nelle società cooperative, il rapporto ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all’organizzazione alla vita sociale – attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società, ed avente ad oggetto sia prestazioni di collaborazione sia prestazioni di scambio tra socio e società, è innegabilmente connotato non dalla comunione di scopo, che forma il primo rapporto (tra i soci) bensì dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo”, ha fatto applicazione di un principio da tempo invalso (giusta le riportate posizioni della più recente dottrina) nella giurisprudenza relativa alle società cooperative edilizie, utilizzandolo, affatto condivisibilmente, anche nell’ipotesi delle cooperative agricole e zootecniche sul presupposto che quello che, atecnicamente, viene definito dallo statuto come “conferimento” del prodotto agricolo da parte del socio rappresenta, invece, l’adempimento di una prestazione contrattuale autonoma e diversa dal rapporto societario, sebbene originata all’interno di una relazione di natura associativa ed in base ad accordi negoziali aventi come fonte anche il contratto sociale (statuto e atto costitutivo).

1.6.1. In ragione di questa prospettazione, nel caso di specie, il pagamento delle somme di danaro da parte della cooperativa – a titolo di acconto o di saldo – rappresenta il prezzo del latte, nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa è del tutto omogenea a quella di una compravendita e/o di una somministrazione.

1.6.2. È intuitivo, dunque, come pure affermatosi in dottrina, che il socio debba ricevere in corrispettivo il prezzo della merce trasferita alla società e, se la situazione lo consentirà, il ristorno commisurato agli scambi mutualistici posti in essere alla fine dell’esercizio sociale. Non si può trasformare, cioè, la prestazione mutualistica in donazione, né in una sorta di conferimento permanente e comunque indeterminato.

1.6.3. Si rivela significativa, del resto, l’osservazione di autorevole dottrina secondo cui, nelle società cooperative, il vero e proprio rapporto sociale avrebbe ben poco significato se ad esso non si affiancasse il rapporto mutualistico che perpetua e vivifica nel tempo e dà un senso proprio al rapporto sociale, anche perché ricorda alle cooperative dimentiche ed intente solo a produrre utili che la società si costituisce pur sempre per procurare un vantaggio ai soci diverso dal danaro, e cioè dall’interesse sull’investimento. C’è, anzi, da aggiungere che, almeno per il passato, si è sempre attribuito poco peso al rapporto sociale, da un lato, considerando il conferimento, recte l’obbligo di conferire, come strumento inteso a consentire sul piano tecnico-giuridico l’acquisto della qualità di socio, e cioè alla stregua di un mezzo tecnico per entrare in società, e, dall’altro, considerando il capitale sociale come un’entità meramente virtuale o, per meglio dire, come un’entità cui non si sarebbero potute attribuire le medesime funzioni attribuite al capitale nelle società lucrative; mentre si è insistito, pur senza che la legislazione lo avesse mai definito, sempre sullo “scambio mutualistico”, considerato alla stregua del dna della cooperazione e come pendant del vantaggio mutualistico. Del resto, come si è già riferito, il legislatore del 2003 (per la prima volta) non solo ha dato una definizione, sia pure smilza, di società cooperativa, ma ha riportato in primo piano, disciplinandoli, i caratteri marcanti della cooperazione quali devono essere considerati la gestione di servizio, il rapporto mutualistico, lo scambio mutualistico, il ristorno ed il vantaggio cooperativo, il cui meccanismo di acquisizione è stato regolato a seconda del settore – consumo, produzione e lavoro, servizi – nel quale la cooperativa opera: meccanismo di scambio per le cooperative di consumo, di credito ed edilizie e di tipo squisitamente associazionistico nel più moderno campo della cooperazione di servizi.

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1.7. Fermo quanto precede, va osservato che, frequentemente, le cooperative come quella oggi controricorrente disciplinano la materia della prestazione mutualistica in un regolamento allegato allo statuto, in cui vengono stabilite le quantità di prodotto che il socio deve periodicamente conferire alla società ed i criteri per determinare il corrispettivo che dev’essere versato dalla società ai soci.

1.7.1. In quest’ottica, allora, la configurazione del rapporto di scambio nelle cooperative agricole di conferimento e trasformazione può risultare estremamente variabile in ragione di specifiche e particolari fattispecie.

1.7.2. Detto rapporto, in altri termini, come efficacemente osservato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta rappresenta “il negozio che “veste” formalmente la fattispecie del conferimento del prodotto e questo “vestito” in una cooperativa riconducibile al modello di operatività della cooperativa in questione, a differenza di altri tipi di cooperative, può essere il più vario. E così, ad esempio, può trattarsi di una vendita con acconto salvo conguaglio in ragione del prezzo spuntato sul mercato e dove, va aggiunto, l’entità, rectius l’esistenza del conguaglio, salvo specifiche diverse disposizioni regolamentari o statutarie, è lasciata alla discrezionalità della cooperativa. Alternativo al modello precedente è la vendita a rischio della cooperativa con pagamento del prezzo ai soci in via definitiva. Può essere adottato il modello contrattuale del mandato a vendere da parte dei soci alla cooperativa a cui viene riconosciuta una sorta di provvigione o comunque a trattenere una percentuale sul prezzo ottenuto sul mercato. I conferimenti dei prodotti nelle cooperative di produzione non sono, dunque, qualificabili come conferimenti in conto capitale, e trovano il loro titolo – non già direttamente nel contratto sociale, ma, invece, – in contratti di scambio che la cooperativa, nel perseguimento dello scopo sociale, e sia pure in conformità con le previsioni dell’atto costitutivo, conclude di volta in volta con i singoli soci (Cass. n. 4455 del 2003, in motiv.)”.

1.7.3. Posto, dunque, che, in linea generale, il rapporto di scambio oscilla, in questi casi, fra la natura di un contratto di vendita, di somministrazione o di commissione, ben può essere previsto anche il riconoscimento di un acconto a cui fa seguito un eventuale conguaglio in ragione degli esiti della collocazione del prodotto nel mercato o dei risultati di gestione (ovviamente condizionati dagli esiti del mercato). Allo stesso modo, tuttavia, un regolamento della cooperativa potrebbe anche prevedere, al limite, che non venga riconosciuto provvisoriamente il pagamento di alcun anticipo.

1.8. Tanto premesso, come chiaramente emerge dalla sentenza oggi impugnata, la regula iuris disciplinante il rapporto di scambio in esame è rinvenibile nel Regolamento per il conferimento approvato dalla cooperativa (…) (al cui rispetto ciascuno dei soci è tenuto ai sensi degli artt. 6 e 11 dello Statuto), dal quale si ricava, appunto, la disciplina della remunerazione del latte conferito dai singoli soci.

1.8.1. In particolare, dall’art. 9 di detto Regolamento, si desume che “il valore definitivo dei conferimenti sarà stabilito in base ai risultati di gestione desumibili, a chiusura dell’esercizio sociale, nel bilancio consuntivo della cooperativa” e che “durante la campagna casearia, potranno essere concessi acconti sul prodotto conferito” previa delibera del Consiglio di Amministrazione.

1.8.2. Ciò significa che la remunerazione dei “conferimenti” non sarebbe dovuta avvenire mediante il pagamento di un prezzo determinato, bensì attraverso la corresponsione ai soci di eventuali anticipi sul valore dei “conferimenti” stessi ed attraverso un conguaglio ex post, vale a dire sulla base dei risultati della gestione desumibili dal bilancio consuntivo della cooperativa.

1.8.3. La sentenza impugnata non dà conto di eventuali delibere del Consiglio di Amministrazione della cooperativa riguardanti la corresponsione, per il periodo temporale che qui interessa, di eventuali acconti, mentre ha accertato la chiusura in perdita dell’esercizio sociale 2010.

1.8.4. Da tanto consegue, allora, il rigetto della pretesa sostanziale del Ma.Gi., non avendo questi provato, come sarebbe suo onere, il fatto costitutivo del diritto, posto che, come ancora condivisibilmente osservato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta, “il vestito del rapporto di scambio adottato dalla cooperativa in questione” non prevedeva la vendita a rischio della cooperativa con pagamento del prezzo ai soci in via definitiva, bensì era una vendita con acconto salvo conguaglio in ragione dei risultati dell’esercizio. Poiché, pertanto, la campagna per l’anno 2010 si era conclusa in perdita, doveva escludersi il diritto al pagamento invocato dal ricorrente.

I rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale sono utilizzabili nell’ambito dei contratti delle società cooperative

1.8.5. In altri termini, il mancato pagamento oggi lamentato dal Ma.Gi. trova la sua giustificazione, più semplicemente, nel Regolamento in questione e non certo nella negazione dell’esistenza di un rapporto di scambio distinto dal contratto sociale, ritenuta, invece, dal tribunale a quo.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: “Ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., “per violazione o falsa applicazione di norma di diritto e, in particolare, dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione al disposto dell’art. 360, comma 1, n. 3, C.P.C., artt. 1173, 2423, 2423-bis, 2423-ter, 2512 e 2465 c.c. nell’aver ritenuto non provato il credito vantato dal socio”. Sostiene il Ma.Gi. che il giudice d’appello aveva tratto elementi di prova dalle scritture contabili con riguardo all’accertamento delle perdite, ma, allo stesso tempo, aveva ritenuto che dette scritture non potessero essere valutate quali elementi di prova con riferimento all’accertamento del diritto del socio ad essere remunerato per l’importo indicato nelle stesse scritture, in tal modo incorrendo in una affermazione affetta da illogicità.

2.1. Tale doglianza si rivela complessivamente inammissibile.

2.1.1. Da un lato, infatti, non è stata sollevata alcuna puntuale censura in relazione a quanto affermato dal tribunale circa la specifica disciplina, contenuta nel riportato art. 9 del suddetto Regolamento della cooperativa, della remunerazione del latte conferito a quest’ultima dai singoli. Il Ma.Gi., invero, si è limitato a contestare la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che dalla fattura n. (Omissis) del 2010 – erroneamente indicata a pag. 18 del ricorso come fattura n. (Omissis) del 2010, evidentemente per mero refuso – e dal bilancio si potesse ricavare un diritto certo, liquido ed esigibile in ordine alla remunerazione del conferimento per l’importo ivi indicato: questione, che, come è intuitivo, perde qualsivoglia rilievo per effetto della mancanza di critiche rivolte alla indicata disciplina regolamentare.

2.1.2. In ogni caso, ed in via assolutamente dirimente, giova ricordare che, attraverso il disposto di cui all’art. 116 cod. proc. civ., non è dato riproporre, sotto altra forma paradigmatica, la censura dei vizi di logicità eliminati dall’attuale testo normativo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, e qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 16 maggio 2019), atteso che il libero convincimento del giudice opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito allo stesso riservato in via esclusiva e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità.

I rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale sono utilizzabili nell’ambito dei contratti delle società cooperative

2.1.3. Alteris verbis, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 116 cod. proc. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, “ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, C.P.C., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione”; Cass. n. 27000 del 2016).

2.1.4. Né, d’altro canto, è configurabile illogicità nelle affermazioni contenute nella sentenza gravata, poiché il giudice d’appello, ponendo a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti e valorizzando quelle che ha considerato più attendibili ai fini del proprio convincimento, scartando quelle considerate inidonee, ha ritenuto dimostrato, in esito all’istruttoria espletata, che la campagna per l’anno 2010 si era conclusa in perdita per la società cooperativa. Circostanza, quest’ultima, che, in base a quanto si è detto respingendosi il primo motivo, è, di per sé, idonea a far concludere per l’insussistenza del diritto del Ma.Gi. alla remunerazione invocata con il ricorso monitorio, a nulla valendo la contabilizzazione del conferimento tra le poste del bilancio, considerato, peraltro, che la fattura n. (Omissis) del 2010, allegata a supporto di detto ricorso, nemmeno era idonea a determinare la nascita di un diritto di credito, certo nell’an, dell’odierno ricorrente, al percepimento di un corrispettivo, come confermato dalla stessa dicitura riportata sulla fattura (“a futura determinazione di prezzo”), che evidenziava che, in applicazione della disciplina di cui all’art. 9 del Regolamento adottato dalla cooperativa, l’indicazione contenuta in fattura aveva un valore meramente provvisorio, potendo la determinazione del prezzo essere effettuata solamente a fine esercizio, e, dunque, solo in caso di esito positivo (invece mancato, come si è detto in precedenza) dello stesso.

3. In definitiva, il ricorso di Ma.Gi. deve essere respinto.

3.1. Le spese di questo giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra le parti, stante la non univocità, sulla questione esaminata, dei precedenti di questa Corte, peraltro successivi al deposito dell’odierna impugnazione, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da Ma.Gi..

Compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.

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