Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46765.

La massima estrapolata:

Nel reato di estorsione, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche “silente”, cioe’ privo di una esplicita richiesta, qualora l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia.
La configurabilita’ dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203), non e’ necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa
Ai fini della configurabilita’ dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203), e’ sufficiente – in un territorio in cui e’ radicata un’organizzazione mafiosa storica – che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell’associazione, in quanto esso e’ di per se’ noto alla collettivita’

Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46765

Data udienza 27 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente

Dott. VERGA Giovanna – Consigliere

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/05/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa RECCHIONE SANDRA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. DALL’OLIO MARCO che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ di tutti i ricorsi.
L’avv. (OMISSIS) difensore di fiducia e sostituto processuale del Comitato (OMISSIS) e di deposita conclusioni e nota spese con richiesta di distrazione.
L’avv. (OMISSIS), nell’interesse del (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso;
l’avv. (OMISSIS) nell’interesse di (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso;
l’avv. (OMISSIS) nell’interesse del (OMISSIS) insiste per l’accoglimento del ricorso nell’interesse del suo assistito.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Palermo, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, confermava la responsabilita’ dei ricorrenti per il reato di estorsione loro contestato e li condannava alle pene di giustizia. Segnatamente: veniva confermata la responsabilita’ dell’ (OMISSIS) e del (OMISSIS) per l’estorsione di 2000 Euro ai danni di (OMISSIS) e del (OMISSIS) e del (OMISSIS) per la successiva estorsione di 5000 Euro, ai danni della stessa persona offesa.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del (OMISSIS) che deduceva:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione: le fonti di prova raccolte sarebbero inidonee a provare la condotta contestata; segnatamente: si deduceva che la motivazione della sentenza impugnata non darebbe rilievo alla posizione, invero marginale, del ricorrente accomunandola a quella dell’ (OMISSIS); inoltre non sarebbero state adeguatamente valutate le emergenze processuali che indicavano l’interessamento del (OMISSIS) per la posizione del (OMISSIS); in sintesi: si riteneva che la sentenza impugnata non avesse dimostrato l’esistenza ne’ dell’elemento oggettivo, ne’ di quello soggettivo del reato contestato; si rilevava inoltre che non erano state considerate le emergenze che indicavano che il (OMISSIS) aveva agito “in nome e per conto dell’ (OMISSIS)” attivandosi, nell’interesse della persona offesa per “cercare colui che avrebbe dovuto svolgere effettivamente l’attivita’ di intermediazione con coloro che avrebbero formulato e quantificato la richiesta estorsiva” (pag. 8 del ricorso);
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7: non sarebbe stato considerato che non vi era prove della commissione di azioni intimidatorie riferibili all’imputato, ne’ elementi indicativi della sua partecipazione al consorzio criminale al quale sarebbe riferibile la richiesta estorsiva;
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: la reticenza dell’imputato sarebbe giustificata dal timore per le conseguenze delle accuse, mentre il precedente vantato non sarebbe indicativo di una particolare capacita’ criminale; entrambe le circostanze non sarebbero dunque ostative alla concessione dell’invocato beneficio sanzionatorio.
3. Ricorreva per cassazione il difensore del (OMISSIS):
3.1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dibattimentale della testimonianza della persona offesa: la motivazione offerta a sostegno del rigetto sarebbe meramente apparente e non terrebbe conto degli argomenti proposti dalla difesa;
3.2. violazione di legge e vizio di motivazione: si ribadiva la carenza di motivazione che aveva caratterizzato il rigetto della richiesta di rinnovazione dibattimentale, si rilevava che l’assenza di elementi di conferma alle dichiarazioni della persona offesa avrebbe reso necessaria la rinnovazione, ovvero l’unica attivita’ processuale che avrebbe consentito un approfondito scrutinio della attendibilita’ del dichiarante e della credibilita’ dei contenuti accusatori.
3.3. Violazione di legge: le dichiarazioni della persona offesa sarebbero inutilizzabili; il contributo fornito dal (OMISSIS) all’aggressione agita nei confronti del (OMISSIS) avrebbe dovuto indurre i giudici di merito ad assegnare al dichiarante la veste processuale di indagato di reato connesso; la mancata assegnazione di tale statuto processuale renderebbe inutilizzabile il relativo contributo testimoniale;
3.4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione di credibilita’ dei contenuti provenienti dalla persona offesa: si deduceva che, nonostante il (OMISSIS) si fosse costituito parte civile, le sue dichiarazioni venivano poste a sostegno dell’accertamento di responsabilita’ in assenza di conferme; a cio’ si aggiungerebbe che non sarebbe stata valutata la discrasia tra le diverse dichiarazioni rese con riguardo alla presenza del (OMISSIS) all’incontro con il (OMISSIS) conclusosi con la aggressione; si deduceva inoltre che dalle prove raccolte non sarebbe emersa alcuna condotta intimidatoria riconducibile al (OMISSIS), al quale sarebbe attribuibile solo una attivita’ di mediazione svolta nell’interesse della persona offesa;
3.5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7: non sarebbe stata raggiunta la prova “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” dei fatti integrativi della circostanza; si deduceva infatti che la prova dell’uso del metodo mafioso non avrebbe potuto indursi dal fatto che era stato richiesto al (OMISSIS) denaro in occasione dell’apertura di un nuovo esercizio commerciale, ovvero dalla correlazione della richiesta con un evento che, nella prospettiva del ricorrente, sarebbe “neutro” ai fini della valutazione dell’aggravante in contestazione; quanto alla condotta agevolatrice: non risulterebbe provata la componente soggettiva dell’aggravante e non sarebbe stato individuato il destinatario della condotta agevolatrice;
3.6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche che avrebbero dovuto essere concesse in ragione del comportamento processuale tenuto dal (OMISSIS) e della contenuta gravita’ del fatto.
4. Ricorreva per cassazione anche il difensore di (OMISSIS) che deduceva:
4.1. vizio di motivazione e violazione di legge: non sarebbe stata fornita alcuna risposta in ordine al motivo di appello con il quale si invocava il riconoscimento della inutilizzabilita’ delle dichiarazioni della persona offesa; inoltre non sarebbero state valutate le emergenze processuali che indicavano come l’ (OMISSIS) avesse volto un ruolo di intermediazione a favore dell’offeso, senza fornire alcun contributo rilevante alla consumazione dell’estorsione; invero allo stesso non sarebbe stata consegnata nessuna somma, ne’ sarebbe stato dimostrato alcun suo collegamento con l’associazione mafiosa;
4.2. vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7: l’ (OMISSIS) sarebbe estraneo ai fatti contestati dato che non avrebbe posto in essere alcuna azione intimidatoria e non avrebbe ricevuto alcuna somma di denaro; mancherebbe ogni prova della condotta agevolatrice e, segnatamente, del profilo soggettivo necessario per il riconoscimento dell’aggravante; inoltre non vi sarebbe la prova di alcun collegamento tra l’ (OMISSIS) e la compagine mafiosa cui sarebbe riferibile l’estorsione.
5. Ricorreva per cassazione anche il difensore di Giudice, avv. (OMISSIS) che deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilita’ della persona offesa ed alla credibilita’ dei contenuti accusatori riversati nel processo, con specifico riguardo alla genuinita’ del riconoscimento fotografico posto alla base dell’accertamento di responsabilita’.
6. Nell’interesse del Giudice ricorreva anche l’avv. (OMISSIS) che deduceva:
6.1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilita’ della persona offesa: vi sarebbe contraddizione tra la parte della sentenza che assolveva l’imputato in relazione alla fase genetica della estorsione e quella che concludeva per l’accertamento di responsabilita’ in relazione alla fase successiva; inoltre non sarebbe stato chiarito il ruolo avuto dal ricorrente nella vicenda, anche tenuto conto delle dichiarazioni della (OMISSIS);
6.2. vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche;
6.3. vizio di motivazione in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7: si deduceva che non sarebbe stato considerato il fatto che non era emerso alcun elemento indicativo della partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa; inoltre si deduceva che era assente la motivazione in ordine alla dimostrazione del profilo soggettivo necessario per integrare l’aggravante contestata nella dimensione agevolatrice;
6.4. violazione di legge in relazione al riconoscimento della recidiva che sarebbe stata trattata come una aggravante obbligatoria senza valutare l’eventuale aggravamento della pericolosita’ correlato alla consumazione del reato per cui si procede;
6.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla definizione del trattamento sanzionatorio che sarebbe stato calcolato in violazione dell’articolo 63 c.p., comma 4.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) e’ inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso si risolve nella richiesta di rivalutazione di emergenze processuali valutate nelle fasi di merito ed e’ pertanto inammissibile in quanto richiede alla Corte di legittimita’ un accertamento che esula dalla sua competenza.
Il collegio in materia di vizio di motivazione ribadisce che il sindacato del giudice di legittimita’ sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perche’ sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita’ logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass. sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Rv. 251516); Segnatamente: non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Cass. sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Le doglianze del (OMISSIS) si appuntano principalmente sulla mancata rilevazione del ruolo marginale che lo stesso avrebbe avuto nell’ambito dell’attivita’ estorsiva e sul mancato riconoscimento della sua funzione di intermediario nell’interesse della vittima.
In materia il collegio ribadisce che assume la veste di intermediario fra gli estorsori e la vittima, anche se per incarico di quest’ultima, non risponde di concorso nel reato di estorsione solo se agisce nell’esclusivo interesse della stessa vittima e per motivi di solidarieta’ umana (Cass. Sez. 2, n. 2833 del 27/09/2012 – dep. 18/01/2013, P.C., Adamo e altri, Rv. 254298; Sez. 5, n. 13520 del 21/01/2015 – dep. 30/03/2015, Quatrosi e altri, Rv. 262896).
Nel caso di specie, tuttavia, il (OMISSIS) ha agito per un interesse non interamente coincidente con quello della vittima (lo stesso ricorrente a pag. 8 dell’atto di impugnazione rappresenta che il (OMISSIS) si era attivato per nome e per conto dell’ (OMISSIS)).
Si osserva, infine, che il ricorso si presenta ripetitivo rispetto al primo atto di impugnazione e non si confronta in modo specifico con la motivazione della sentenza impugnata che, contrariamente a quanto dedotto, ha fornito risposta a tutti gli argomenti proposti con l’atto di appello.
In particolare: la Corte territoriale prendeva in esame non ritenendole significative, le emergenze processuali che rivelano come il (OMISSIS) avesse mostrato interesse per la situazione economica nella quale versava la persona offesa ritenendo che tale atteggiamento non fosse incompatibile con l’azione estorsiva; a contrariamente a quanto dedotto, venivano anche analizzate le prove indicative del comportamento tenuto dal (OMISSIS) in seguito all’aggressione patita, che venivano interpretate, come indicative del disappunto del ricorrente in ordine alla raggiunta consapevolezza del fatto che la persona offesa si era rivolta ad altri intermediari: anche in questo caso la Corte territoriale offre una interpretazione coerente con le prove raccolte e priva di vizi logici che non si presta ad alcuna rivisitazione o censura in questa sede (pag. 33 della sentenza impugnata).
Infine i giudici di merito rilevavano che le prove raccolte indicavano un diretto impegno del (OMISSIS) nell’estorsione contestata evidenziando che lo stesso aveva espressamente manifestato il suo accreditamento presso gli ambienti mafiosi dai quali era partita la richiesta estorsiva (pag. 34 della sentenza impugnata). Tale comportamento, nella lettura del Tribunale, aveva le caratteristiche della “minaccia”: si tratta di interpretazione coerente con le consolidate linee ermeneutiche tracciate dalla Cassazione secondo cui nel reato di estorsione, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche “silente”, cioe’ privo di una esplicita richiesta, qualora l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Cass. Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018 – dep. 07/06/2018, Pizzimenti e altri, Rv. 272884; Cass. Sez. 2, n. 20187 del 03/02/2015 – dep. 15/05/2015, Gallo e altro, Rv. 263570).
Si tratta di una motivazione priva di vizi logici manifesti e decisivi che si sottrae ad ogni censura in questa sede.
1.2. Manifestamente infondato e’ anche il motivo di ricorso (secondo) che deduce il vizio della motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso rilevando l’assenza di azioni intimidatorie riferibili all’imputato e rimarcando che non vi era prova della sua appartenenza ad alcun sodalizio criminale di tipo mafioso.
1.2.1. Invero la Corte territoriale, assegnando piena credibilita’ alle dichiarazioni della persona offesa rileva come questa abbia dichiarato che il (OMISSIS), insieme all’ (OMISSIS) si era accreditato come persona inserita negli ambienti mafiosi della zona dell’Ospedale civico di (OMISSIS) e pertanto in grado di “mettere a posto” il (OMISSIS) in relazione al “doveroso” pagamento del pizzo correlato all’apertura di un nuovo esercizio commerciale. (pag. 34 della sentenza impugnata).
Sul punto il collegio ribadisce, in via preliminare, che per la configurabilita’ dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203), non e’ necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa (Cass. sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018 – dep. 15/05/2018, Spada, Rv. 27302501).
A cio’ si aggiunge che ai fini della configurabilita’ dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203), e’ sufficiente – in un territorio in cui e’ radicata un’organizzazione mafiosa storica – che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell’associazione, in quanto esso e’ di per se’ noto alla collettivita’ (Cass. Sez. 2, n. 19245 del 30/03/2017 – dep. 21/04/2017, Paiano e altro, Rv. 269938).
1.2.2. Deve essere rilevato che il capo di imputazione e’ strutturato in modo da contestare l’aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1992, articolo 7 non nella dimensione agevolativa, ma con esclusivo riferimento all'”uso del metodo mafioso”.
Ebbene: dal compendio motivazionale integrato emergente dalle due sentenze di merito emerge proprio il ricorso al metodo tipico dell’azione criminale mafiosa, individuato nella chiara evocazione dell’appartenenza ad un gruppo criminale storico, oltre che nella “tipica” imposizione del pizzo in relazione all’apertura di un nuovo esercizio commerciale, azione criminale notoriamente riconducibile alle mafie storiche e, nello specifico alla mafia siciliana.
La richiesta al nuovo esercente del pagamento di una somma alle associazioni criminali che controllano il territorio in occasione dell’apertura del suo esercizio commerciale, non e’ una attivita’ “neutra”, ma piuttosto una azione riconducibile alla tipica e notoria attivita’ estorsiva posta in essere dalle mafie storiche, in specie nei territori di origine, dove la forza di intimidazione esercitata nel corso degli anni ha generato la piena consapevolezza da parte della societa’ civile della pressione estorsiva delle organizzazioni criminali sulle attivita’ produttive.
Si tratta di un dato di conoscenza confermato da consolidate massime di esperienza, che consente di utilizzare l’elemento di prova contestato, ovvero la correlazione tra richiesta estorsiva ed apertura di un esercizio commerciale, anche ai fini del riconoscimento dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso.
La utilita’ della conoscenza esperienziale delle dinamiche e della struttura delle associazioni mafiose trova conforto nel fatto che la stessa fattispecie prevista dall’articolo 416-bis c.p.e’ stata “costruita” dalla L. n. 646 del 1982 proprio facendo ricorso alla conoscenza che si aveva (in allora) delle modalita’ di funzionamento delle mafie, prima fra tutte quella denominata “(OMISSIS)”. Tali paradigmi esperienziali hanno una matrice in parte sociologica, in parte “giudiziaria”, laddove i dati di conoscenza circa la struttura ed il funzionamento di tali associazioni sono ricavati dai processi che ne hanno svelato le dinamiche, anche attraverso il fondamentale contributo proveniente dai collaboratori di giustizia. Il ricorso a tale patrimonio cognitivo e’ indispensabile per evitare un approccio “cieco” alla valutazione delle condotte di partecipazione alle associazioni mafiose storiche, ovvero a quei consorzi criminali che come “(OMISSIS)” (ma analoghe caratteristiche hanno la ‘ndrangheta, la camorra, la Sacra corona unita e, financo, alcune risalenti associazioni mafiose straniere) hanno una articolata struttura organizzativa, un profondo radicamento ed una singolare stabilita’, che impedisce di considerarli fenomeni transeunti o episodici, dato che le stesse non sono orientate alla esecuzione di un programma criminoso “a termine”, ma perseguono un piu’ ampio e temporalmente indefinito obiettivo antisociale.
Nella prassi giudiziaria le massime di esperienza sono state impiegate, per esempio, nella valutazione della responsabilita’ dei capi mandamento, dei componenti della “cupola” o della “commissione provinciale” di “(OMISSIS)”, relativamente ai c.d. omicidi “eccellenti” (cfr. Cass. sez. 1, 14 luglio – 14 settembre 1994, Buscemi, rv. 199305; Cass. sez. 6, 2-27 maggio 1995, n. 1758, Madonia, rv. 201829; Cass. sez. 6, 19 dicembre 1997 – 2 aprile 1998, n. 4070, Greco, rv. 210209; Cass. sez. 5, 27 aprile – 6 giugno 2001, n. 22897, rv. 219435; Cass. sez. 5, 30 maggio 2002 – 18 aprile 2003, n. 18845, rv. 226423) o per assegnare rilevanza probatoria all’attribuzione della qualifica di uomo d’onore conseguente all’affiliazione rituale (Cass. Sez. 1, 30 settembre – 21 novembre 1994, n. 4148, Di Martino, rv. 199943; Sez. 1, 18 aprile-12 maggio 1995, n. 5466, Farinella, rv. 201649; Cass. sez. 5, 23 ottobre – 6 dicembre 1996, n. 4478, Maglie, rv. 206549; Sez. 2, 28 gennaio – 6 maggio 2000, n. 5343, Oliveri, rv. 215907).
In passato la giurisprudenza della Corte di cassazione si e’ dimostrata favorevole al ricorso a dati di conoscenza esperienziali, sul presupposto che la mafia e’ dotata di una precisa identita’ sociologica (Cass. sez. 1, 30 gennaio 1992, Abbate ed altri, in Foro it., 1993, 2, 15; Cass. sez. 1 25 marzo 1982, Di Stefano ed altri, in Foro it., 1983, 2, 360; Cass. sez. 1, 24 gennaio – 21 maggio 1977, n. 162, Condelli, rv. 135978); a tale apertura si era contrapposto (in epoca altrettanto risalente) un orientamento che considerava arbitraria l’enunciazione di criteri generali e di massime di esperienza per la ricostruzione dei fenomeni mafiosi (Sez. 6, 16 dicembre 1985 – 27 febbraio 1986, n. 1760 Spatola, rv. 171998; Sez. 1, 29 maggio – 21 luglio 1989, n. 10477, Ollio, rv. 181886).
In tempi piu’ recenti la Cassazione ha invece affermato, convalidando il ricorso sistematico alle massime di esperienza nella interpretazione delle condotte riconducibili mafie storiche che ai fini della valutazione dei fatti di criminalita’ di stampo mafioso, il giudice deve tener conto delle indagini storico sociologiche, sebbene con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione; tali dati sono infatti utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, ogni volta che ne sia stata l’effettiva idoneita’ ad essere assunti ad attendibili massime di esperienza senza che cio’, peraltro, lo esima dal dovere di ricerca delle prove indispensabili per l’accertamento della fattispecie concreta oggetto del giudizio (Cass. Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016 – dep. 10/11/2016, Falco, Rv. 268403; Cass. sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007 – dep. 11/01/2008, P.G. in proc. Addante e altri, Rv. 238838, Cass. Sez. 1, 5 gennaio – 18 febbraio 1999, n. 84, P.M. in proc. Cabib, rv. 212579). Si tratta di giurisprudenza che il collegio condivide e ribadisce, rilevando come la giurisprudenza contraria all’utilizzo delle massime di esperienza relativa alla struttura ed al funzionamento delle mafie storiche si e’ formata in un periodo in cui la conoscenza del fenomeno era ancora imperfetta, poiche’ precedente allo sviluppo dei processi che hanno contribuito in modo determinante alla conoscenza delle modalita’ di funzionamento di tali associazioni criminali.
1.2.3. Ribadita la necessita’ del ricorso alle massime di esperienza nella valutazione delle manifestazioni criminali riconducibili a fenomeni mafiosi radicati e strutturati, si rileva come nel caso di specie tali massime consentono di ritenere tipicamente mafiosa la richiesta di pagare il “pizzo” alla associazione che controlla il territorio in occasione della apertura di un esercizio commerciale.
Si osserva da ultimo che non rileva, ai fini della correttezza del riconoscimento dell’aggravante, che la Corte territoriale abbia erroneamente inquadrato la provata evocazione dell’appartenenza ad un gruppo mafioso storico come elemento di fatto rivelante anche l'”agevolazione” e non solo il ricorso al metodo mafioso (pag. 31 e 32 della sentenza impugnata): lo specifico passaggio motivazionale, ultroneo rispetto alle contestazioni, deve intendersi corretto ai sensi dell’articolo 619 cod. proc. pen..
1.3. Infine manifestamente infondato e’ anche l’ultimo motivo di ricorso che contesta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Cass. Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 Rv. 248244; Cass. Sez. 1 sent. n. 3772 del 11.01.1994 dep. 31.3.1994, rv 196880). La concessione delle attenuanti generiche richiede infatti l’apprezzamento di elementi positivi che orientino la discrezionalita’ affidata al giudice nella definizione del trattamento sanzionatorio verso la attribuzione di una sanzione meno afflittiva. In coerenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte territoriale riteneva ostative alla concessione dell’invocato beneficio sanzionatorio la gravita della condotta e la personalita’ del reo per come emergeva dalla biografia criminale emergente dal casellario giudiziale (pag 36 della sentenza impugnata).
2. E’ inammissibile anche il ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS).
2.1. I primi due motivi di ricorso che deducono sia violazione di legge che il vizio di motivazione in relazione al diniego della rinnovazione della testimonianza della persona offesa.
Il collegio ribadisce che la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per Cassazione, previsto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), puo’ essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione, anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, a norma dell’articolo 495 c.p.p., comma 2, (cfr. Cass., sez. 2, 18/12/2012, n. 841), sicche’ il suddetto motivo non puo’ essere validamente invocato nel caso di giudizio abbreviato non condizionato ad integrazione probatoria, come nel caso in esame (Cass. sez. 5, n. 27985 del 05/02/2013, Rv. 255566) la mera sollecitazione probatoria non e’ idonea a far sorgere in capo all’istante quel diritto alla prova, al cui esercizio ha rinunciato formulando la richiesta di rito alternativo non condizionato. Ne consegue che il mancato accoglimento di tale richiesta non puo’ costituire vizio censurabile ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) (Cass. sez. 5, n. 5931 del 07/12/2005 dep. 2006, Rv. 233845).
Nel caso di specie, nonostante si procedesse con le forme del rito abbreviato, la Corte territoriale prendeva comunque in esame la doglianza rilevando come la rinnovazione non si profilasse in alcun modo necessaria tenuto della valutazione di piena attendibilita’ della persona offesa e della presenza di numerose conferme alle dichiarazioni accusatorie rese dalla stessa (pagg. 36 e 37 della sentenza impugnata).
2.2. Anche il motivo di ricorso che deduce la inutilizzabilita’ delle dichiarazioni della persona offesa che, nella prospettiva avrebbero dovuto essere raccolte applicando lo statuto del dichiarante “coinvolto nel fatto” e’ manifestamente infondato.
2.2.1. Quanto all’inquadramento del dichiarante come indagato/imputato di reato connesso la Corte di legittimita’ si e’ piu’ volte pronunciata nel senso, condiviso dal collegio, secondo cui le dichiarazioni della persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita nella qualita’ di indagata sono inutilizzabili “erga omnes” e la verifica della sussistenza di tale qualita’ va condotta non secondo un criterio formale (esistenza di “notizia criminis”, iscrizione nel registro degli indagati) ma secondo il criterio sostanziale della qualita’ oggettivamente attribuibile al soggetto in base alla situazione esistente nel momento in cui le dichiarazioni sono state rese (Cass. sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Rv. 243417; Cass. Sez. 6, 20 maggio 1998, dep. 15 giugno 1998, n. 7181; Cass. Sez. 4, 10 dicembre 2004, dep. 6 febbraio 2004, n. 4867).
Tale approdo interpretativo valorizza la funzione di controllo dell’organo giudicante sulla discrezionalita’ che il pubblico ministero esercita attraverso l’iscrizione nel registro delle notizie di reato, evidenziando la necessita’ che lo statuto della prova dichiarativa corrisponda alla qualifica sostanziale del dichiarante identificabile anche in carenza del requisito formale della iscrizione nel registro. La Corte di cassazione ha chiarito che “quanto al tipo e alla consistenza degli elementi apprezzabili dal giudice al fine di verificare l’effettivo status del dichiarante, devono ritenersi rilevanti i soli indizi non equivoci di reita’, sussistenti gia’ prima dell’escussione del soggetto e conosciuti dall’autorita’ procedente (in tal senso, oltre a Sez. Unite, 23 aprile 2009, n. 23868, Fruci, vedi anche Sez. 5, 15 maggio 2009, n. 24953, Costa ed altri; Sez. Unite, 22 febbraio 2007, n. 21832, Morea; Sez. 2, 2 ottobre 2008, n. 39380, Galletta; Sez. 5, 5 dicembre 2001, n. 305/02, La Placa)”.
In assenza di indici formali, come l’iscrizione, cui ancorare la definizione dello statuto di prova testimoniale diventa centrale la valutazione delle emergenze processuali eventualmente indicative del coinvolgimento nel fatto per cui si procede di chi dichiara.
Il collegio condivide, in materia, quanto affermato dalla Corte di cassazione a sezioni unite secondo cui spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di la’ del riscontro di indici formali la possibilita’ di attribuire al dichiarante della qualita’ di indagato, ma “il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimita’” (Cass. sez. un. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246584).
La valutazione della qualifica di indagato si inquadra, dunque, nell’area delle valutazioni di merito e “costituisce accertamento in punto di fatto che, in caso di congrua motivazione da parte del giudice di merito, e’ sottratto al sindacato di legittimita’” (Cass. sez. un. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246584; Cass. Sez. 3, 30 settembre 2003, n. 43135, Marciante e altri). Puo’ dunque affermarsi che in assenza di iscrizione nel registro delle notizie di reato la valutazione della posizione processuale del dichiarante e la attribuzione del relativo statuto rappresentano un valutazione di merito, che se offerta con motivazione logica ed aderente alle emergenze processuali, si sottrae al sindacato di legittimita’.
2.2.2. Nel caso di specie la Corte territoriale rilevava che non era emerso alcun elemento di prova che indicasse un concerto tra la persona offesa ed il (OMISSIS) finalizzato a consumare l’aggressione ai danni del (OMISSIS) (pag. 22 della sentenza impugnata); ne’ era emerso alcun elemento in grado di inficiare le dichiarazioni del (OMISSIS), che aveva dichiarato di avere indotto il (OMISSIS) a recarsi all’appuntamento con il (OMISSIS) senza immaginare che l’incontro si sarebbe concluso con un’aggressione e senza avere la possibilita’ di intervenire se non mettendo in pericolo la propria incolumita’ (pag. 22 sentenza impugnata).
Si tratta di una motivazione priva di vizi logici ed aderente alle emergenze processuali che giustifica la mancata applicazione al (OMISSIS) dello statuto processuale del dichiarante coinvolto nel fatto e che non risulta incisa dai rilievi difensivi che, invero, si presentano ripetitivi rispetto doglianze avanzate con il primo atto di impugnazione.
3.3. Anche il quarto motivo di ricorso che contesta la valutazione di attendibilita’ dei contenuti accusatori provenienti dalla persona offesa con specifico riguardo alla posizione de (OMISSIS) e’ manifestamente infondato.
3.3.1. La Corte di legittimita’ ha infatti chiarito che le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (in motivazione la Corte ha altresi’ precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, puo’ essere opportuno procedere alla conferma di tali dichiarazioni con altri elementi: Cass. sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214).
Come si evince dal tessuto motivazionale della richiamata pronuncia delle Sezioni unite, la circostanza che l’offeso si sia costituito parte civile non attenua il valore probatorio delle dichiarazioni rendendo la testimonianza assimilabile a quella del dichiarante “coinvolto nel fatto”, che soggiace alla regola di valutazione indicata dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, ma richiede solo un controllo di attendibilita’ particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell’interesse patrimoniale vantato.
La Corte di Cassazione, peraltro, anche quando prende in considerazione la possibilita’ di valutare l’attendibilita’ estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di “conferme”, si esprime in termini di “opportunita’” e non di “necessita’”, lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalita’ di controllo della attendibilita’ nel caso concreto. Le Sezioni unite hanno infatti affermato che “puo’ essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, percio’, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilita’ dell’imputato” (nello stesso senso Cass. Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Cass. Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755). A cio’ si aggiunge che costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimita’ l’affermazione che la valutazione della attendibilita’ della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non puo’ essere rivalutata in sede di legittimita’, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv.227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
Sviluppando tali indicazioni ermeneutiche puo’ affermarsi che anche quando la persona offesa sia costituita parte civile non sussiste un obbligo del giudice di verifica dell’attendibilita’ estrinseca attraverso la necessaria individuazione di conferme esterne al dichiarato; il ricorso a tale controllo si rende tuttavia opportuno ogni volta che l’analisi di attendibilita’ intrinseca del dichiarante e la conseguente proiezione di tale valutazione su quella di credibilita’ dei contenuti dichiarativi rilevanti per la decisione non si ritenga idonea, in relazione al caso concreto, a consentire da sola l’apprezzamento della credibilita’ dei contenuti della testimonianza.
2.3.2. Nel caso di specie in coerenza con tali linee ermeneutiche la Corte territoriale valutava la linearita’ la spontaneita’ e la coerenza delle dichiarazioni della persona offesa rilevando che il fatto di avere taciuto un rapporto di pregressa conoscenza e di periodica frequentazione con il (OMISSIS) era una circostanza che non influiva sul positivo giudizio di attendibilita’, che anzi ne veniva confortato, data l’assenza di ragioni per calunniare il ricorrente (pag. 37 della sentenza impugnata).
Anche in questo caso la motivazione e’ coerente sia con le emergenze processuali, che con le linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimita’; la stessa non risulta incisa dalle doglianze difensive che, anche in questo caso, ripetono le doglianze proposte con l’atto di appello, mirando ad un diverso apprezzamento delle prove escluso dal perimetro che circoscrive le competenze della Corte di legittimita’.
2.4. E’ manifestamente infondato anche il motivo che contesta il riconoscimento dell’aggravante prevista dal Decreto Legge n. 156 del 2001, articolo 7.
Si ribadisce quanto gia’ osservato in occasione dell’esame del ricorso del (OMISSIS) circa il fatto che la struttura del capo di imputazione limita la contestazione dell’aggravante al ricorso all’uso del metodo mafioso; la dimensione “agevolatrice” risulta invece contestata al capo b) per il quale vi e’ stata assoluzione. Dunque le contestazioni riferite alla condotta “agevolatrice” sono inammissibili perche’ eccentriche rispetto alla struttura della contestazione in relazione alla quale vi e’ stata condanna.
Con specifico riferimento al “metodo mafioso” si ribadisce che la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, ha la funzione di reprimere il “metodo delinquenziale mafioso” ed e’ connessa non alla struttura ed alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza e’ contestata, quanto, piuttosto, alle modalita’ della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (Cass. Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018 – dep. 21/05/2018, Marando e altro, Rv. 273190).
Nel caso di specie sia la violenza aggressione al (OMISSIS), che aveva gia’ evocato referenti mafiosi, sia la direzione della condotta volta ad imporre il “pizzo” in relazione all’apertura di un esercizio commerciale in una zona storicamente colonizzata dalla mafia siciliana, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale (pag. 40 della sentenza impugnata) sono indici inequivoci di utilizzo del metodo mafioso, dato che e’ evidente l’uso di forza intimidatoria collegata alla volonta’ di mantenere il controllo sulle attivita’ commerciali che caratterizza l’azione di molte mafie storiche e, segnatamente, della mafia siciliana (si richiama la giurisprudenza evocata nel § 1.2.).
2.5. Infine e’ inammissibile il motivo che contesta la mancata concessione delle attenuanti generiche. La Corte di appello in coerente con le consolidate linee ermeneutiche e tracciate dalla Corte di legittimita’ (e ricordate sub § 1.3) individuava come elementi ostativi alla concessione dell’invocato beneficio i precedenti vantati dall’imputato.
La motivazione, aderente anche alle emergenze processuali, non si presta ad alcuna censura in questa sede.
3. Il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) e’ inammissibile.
3.1. Il primo motivo che denuncia la mancata considerazione del motivo d’appello relativo alla denuncia della ritenuta inutilizzabilita’ delle dichiarazioni del (OMISSIS) e’ manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto dedotto la Corte di appello analizzava la doglianza e rilevava che non vi erano elementi per ritenere che il (OMISSIS) avesse organizzato l’aggressione al (OMISSIS).
Come gia’ rilevato in occasione della analisi della posizione del (OMISSIS) (§ 2.2.) tale motivazione non presenta vizi logici e si sottrae ad ogni censura in questa sede.
3.2. La parte del primo motivo che contesta la tenuta logica della motivazione posta a sostegno dell’accertamento di responsabilita’ e’ inammissibile in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione delle prove, attivita’ non consentita la giudice di legittimita’.
Contrariamente a quanto dedotto, peraltro la Corte territoriale rilevava che le prove raccolte, come ritenuto anche dal Tribunale, indicavano un ruolo attivo dell’ (OMISSIS) nella consumazione dell’estorsione contestata, ruolo che non poteva essere ricondotto ad una azione di intermediazione effettuata nell’esclusivo interesse della persona offesa, dato che il compendio probatorio raccolto veniva ritenuto univocamente dimostrativo del fatto che il ricorrente non si era limitato ad eseguire un mandato ricevuto dal (OMISSIS), ma si era fatto diretto veicolo delle pretese della consorteria mafiosa e, segnatamente di soggetti che non si erano mai palesati alla vittima (pag. 26 della sentenza impugnata).
3.3. Anche il motivo che deduce l’illegittimita’ del riconoscimento dell’aggravante prevista dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 e’ manifestamente infondato.
Si rileva ancora una volta che nel capo a) di imputazione e’ stato contestato solo il ricorso al metodo mafioso e non l’attivita’ agevolatrice: le doglianze che mirano a contestare la direzione agevolatrice della condotta sono pertanto inammissibili in quanto eccentriche rispetto alla contestazione. Come gia’ rilevato in occasione della analisi della posizione del (OMISSIS) (§ 1.2.) non rileva il fatto che la Corte di appello nel corpo della motivazione abbia fatto riferimento alla (non contestata) condotta agevolatrice, anche tenuto conto del fatto che la Corte di appello ha valutato come la condotta attribuita all’ (OMISSIS) sia connotata anche dal ricorso all’uso del metodo mafioso, espresso oltre che attraverso una azione tipicamente riconducibile alle consorterie criminali riconducibili alle “mafie storiche”, come quella della imposizione del pizzo ai nuovi esercizi commerciali, attraverso il chiaro riferimento della richiesta estorsiva all’organizzazione mafiosa “competente per territorio” (pagg. 31 e 32 della sentenza impugnata).
4. Sono inammissibili anche i due ricorsi proposti nell’interesse del (OMISSIS).
4.1. E’ inammissibile il ricorso proposto dall’avv. (OMISSIS).
L’impugnazione, nella parte in cui contesta l’attendibilita’ dei contenuti accusatori provenienti dalla persona offesa e’ inammissibile in quanto generica.
Secondo l’orientamento della Corte di cassazione, che il Collegio condivide, “per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c) comporta la inammissibilita’ dell’impugnazione in caso di genericita’ dei relativi motivi. Per escludere tale patologia e’ necessario che l’atto individui il “punto” che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame” (Cass. Sez. 6 sent. 13261 del 6.2.2003, dep. 25.3.2003, rv 227195; Cass. sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Rv. 241477; Cass. sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037, Cass. sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita’, a carico dell’impugnante, e’ direttamente proporzionale alla specificita’ con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Cass. sez. un n. 8825 del 27/10/2016 Rv. 268822). Nel caso di specie la doglianza si limita a fare generico ed assertivo riferimento ad incomplete ed insufficienti valutazioni della attendibilita’ della persona offesa senza confrontarsi con la puntuale disamina della credibilita’ della testimonianza censurata che emerge dal compendio motivazionale integrato delle due sentenze conformi di merito.
La parte del ricorso che contesta la credibilita’ della identificazione fotografica e’ inammissibile in quanto proposto per la prima volta con il ricorso per cassazione, con insanabile frattura della catena devolutiva e violazione dell’articolo 603 c.p.p., comma 3.
4.2. Inammissibile e’ anche il ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS) dall’avvocato (OMISSIS).
4.2.1. Il motivo che denuncia la contraddizione tra la decisione assolutoria e’ quella di condanna e’ manifestamente infondato.
La doglianza si risolve nella proposta di una inammissibile rivalutazione delle prove non consentita al giudice di legittimita’ e non incide la tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata che evidenzia come le due fasi dell’estorsione fossero state gestite da persone differenti ( (OMISSIS) e (OMISSIS) la prima, (OMISSIS) e (OMISSIS) la seconda) che sono entrate in conflitto tra loro come e’ emerso con chiarezza attraverso le prove indicative della aggressione patita dal (OMISSIS). Non si rileva alcuna incompatibilita’ logica nel tessuto motivazionale della sentenza impugnata che, invece, ricostruisce la complessa vicenda attraverso un analitica valutazione delle fonti di prova che hanno consentito di accertare la gestione separata delle due fasi estorsive.
Anche in questo caso non si rileva alcuna frattura logica manifesta e decisiva: l’ordito motivazionale resiste, infatti, alle censure difensive che si rilevano inidonee ad incidere sulla tenuta logica delle argomentazioni offerte a sostegno della responsabilita’.
4.2.2. E’ manifestamente infondato il motivo che contesta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. In coerenza con le linee ermeneutiche richiamate al § 1.3, la Corte territoriale rilevava come la gravita’ del fatto (riconosciuta in relazione alla responsabilita’ di tutti i concorrenti) e la biografia criminale dell’imputato ostassero alla concessione dell’invocato beneficio. La motivazione, coerente con le emergenze processuali si sottrae ad ogni censura in questa sede.
4.2.3. Manifestamente infondato e’ il motivo che contesta la legittimita’ del riconoscimento dell’aggravante speciale prevista dal Decreto Legge n. 152 del 2001, articolo 7.
Si ribadisce che l’aggravante in questione, come si evince dalla struttura del capo a) di imputazione e’ contestato solo con riferimento all’uso del metodo mafioso e non in relazione alla finalita’ agevolatrice della condotta. Sono dunque inammissibili, in quanto non pertinenti, le doglianze che rilevano la mancata rilevazione del profilo soggettivo in relazione all’aggravante nella dimensione agevolatrice.
Manifestamente infondate sono invece le censure riferite al riconoscimento del ricorso al metodo mafioso. Segnatamente: e’ irrilevante in relazione alla riconoscimento della circostanza contestata la prova della appartenenza ad una consorteria mafiosa; dunque anche tale profilo di censura si rivela manifestamente infondato (si richiama sul punto la giurisprudenza evocata sub § 1.2).
4.2.4. Manifestamente infondato e’ anche il motivo che lamenta il difetto di motivazione in relazione al riconoscimento della recidiva ex articolo 99 c.p., comma 5.
Tale forma di recidiva ha perso la sua connotazione obbligatoria in seguito all’intervento della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 185 del 23 luglio 2015 ha dichiarato l’illegittimita’ della norma rilevando l’irragionevolezza del rigido automatismo applicativo previsto dal legislatore, che si risolveva in una presunzione assoluta di maggiore colpevolezza non compatibile con la Costituzione. L’automatismo sanzionatorio cui dava luogo la norma censurata stato considerato privo di ragionevolezza, “perche’ inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una piu’ accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosita’ del reo”. Irragionevolezza che, secondo il Giudice delle leggi, e’ ancora piu’ accentuata, se si considera che l’elenco dei delitti che comportano l’obbligatorieta’ della recidiva concerne reati eterogenei, collegati dal legislatore solo in funzione di esigenze processuali e in particolare del termine di durata massima delle indagini preliminari, dunque inidonei ad esprimere elemento comune significativo ai fini dell’applicazione della recidiva.
Pertanto la previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato formale del titolo del reato, senza alcun accertamento della concreta significativita’ del nuovo episodio delittuoso, e’ stato ritenuto in contrasto con il principio di proporzione tra qualita’ e quantita’ della sanzione, da una parte, ed entita’ dell’offesa, dall’altra, in quanto la preclusione dell’accertamento della sussistenza delle condizioni che dovrebbero legittimare l’applicazione della recidiva poteva rendere la pena palesemente sproporzionata.
Nel caso di specie, contrariamente a quanto dedotto, l’accrescimento della pericolosita’ viene valutato con specifico riferimento alla valutazione della ininterrotta dedizione al crimine del (OMISSIS) che si rileva, seppur implicitamente, sia dalla valutazione di gravita’ del fatto in giudizio, che dalla valutazione negativa in ordine alla personalita’ dell’imputato deducibile dai numerosi e significativi precedenti vantati (pag. 43 della sentenza impugnata). Si ribadisce sul punto che: L’applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, puo’ essere adempiuto anche implicitamente (Sez. 6, n. 14937 del 14/03/2018 – dep. 04/04/2018, De Bellis, Rv. 272803; Sez. 3, n. 4135 del 12/12/2017 – dep. 29/01/2018, P.G. in proc. Alessio, Rv. 272040).
4.2.5. Infine: e’ manifestamente infondato anche il motivo che contesta la legittimita’ del trattamento sanzionatorio con specifico riferimento alla applicazione dell’articolo 63 c.p., comma 4.
Contrariamente a quanto dedotto non emergono illegittimita’ nella definizione del trattamento sanzionatorio che vede la “pena base” calcolata sulla base della fattispecie aggravata e l’applicazione di un aumento nei limiti previsto dall’articolo 63 c.p., comma 4 in relazione al riconoscimento delle altre circostanze aggravanti (e segnatamente della sola recidiva: pag. 43 della sentenza impugnata).
5. Alla dichiarata inammissibilita’ dei ricorsi consegue, per il disposto dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00.
I ricorrenti devono essere altresi’ condannati alla rifusione in solido delle spese in favore delle parti civili comitato (OMISSIS) e (OMISSIS), che, tenuto conto dei parametri di legge ed in relazione alla attivita’ svolta sono liquidate in complessivi Euro 4212,00, oltre spese forfettarie a 15% Iva, e CPA, in favore del centro studi ed iniziative culturali (OMISSIS) Onlus che liquida in Euro 3510,00 oltre spese forfettarie al 15% Iva e Cpa da pagarsi in favore dell’avv. (OMISSIS), dichiaratosi antistatario, in favore di (OMISSIS) ed antiusura italiane, che liquida in Euro 3510, oltre spese forfettarie al 15%, Iva e CPA da pagarsi a favore dell’avv. (OMISSIS) dichiaratosi anch’egli antistatario.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende nonche’ alla rifusione in solido delle spese in favore delle parti civili comitato (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4212,00, oltre spese forfettarie al 15% Iva, e CPA, in favore del centro studi ed iniziative culturali (OMISSIS) Onlus che liquida in Euro 3510,00 oltre spese forfettarie al 15% Iva e Cpa da pagarsi in favore dell’avv. (OMISSIS), dichiaratosi antistatario, in favore di (OMISSIS) ed antiusura italiane, che liquida in Euro 3510, oltre spese forfettarie al 15%, Iva e CPA da pagarsi a favore dell’avv. (OMISSIS), dichiaratosi antistatario.

Avv. Renato D’Isa