Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 marzo 2024| n. 8248.

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

In tema diffamazione a mezzo stampa, al fine di garantire un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto ed un’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno non patrimoniale deve essere liquidato, in via equitativa, secondo i criteri elaborati dal Tribunale di Milano, che prevedono, salva la possibilità di applicare dei correttivi alla luce della specifica situazione, parametri oggettivi e largamente diffusi, tra i quali: la notorietà del diffamante, la carica pubblica o il ruolo istituzionale o professionale eventualmente ricoperti dalla persona diffamata, la natura della condotta diffamatoria, l’esistenza di condotte diffamatorie singole o reiterate, lo spazio occupato dalla notizia diffamatoria, l’intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione, il mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e la sua diffusione, la risonanza mediatica suscitata dalle notizie, la natura e l’entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato, la rettifica successiva o lo spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato.

Ordinanza|27 marzo 2024| n. 8248. Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

Data udienza 21 marzo 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Stampa – Diritto di cronaca diffamazione a mezzo stampa – Liquidazione equitativa del danno non patrimoniale – Tabelle di milano – Sussistenza – Finalità – Criteri.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott.ssa MELONI Marina – Consigliere

Dott.ssa TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso n. 18546/2023 r.g. proposto da:

Me.Ra., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Prof. Vi.An. e dagli Avvocati Gi.Go., St.In. e Pa.Pa., con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla (…).

– ricorrente –

contro

SOCIETÀ’ (…) Spa, con sede in Milano, alla (…), in persona del legale rappresentante dott. An.Gi., Fe.Vi., Sa.Al. e Zu.St., tutti rappresentati e difesi, in virtù di procure speciali allegate al controricorso, dall’Avvocato Prof. Al.Mu. e dall’Avvocato Br.Fo., presso il cui studio elettivamente domiciliano in Roma, alla (…).

– controricorrenti –

e

(…) Spa, con sede in Roma, al (…), in persona del procuratore speciale Avv. St.Lo., rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocato St.Pr., con cui elettivamente domicilia presso lo Studio Previti – Associazione Professionale in Roma, alla (…).

– controricorrente –

e

(…) Spa), con sede in Amsterdam (Paesi Bassi), in persona del procuratore speciale dott. Pasquale Straziota, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocato Fa.Le., presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla (…).

– controricorrente –

e

Br.Cl. e Sp.An.

– intimati –

avverso la sentenza, n. cron. 275/2023, della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA pubblicata il giorno 17/02/2023;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 21/03/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese.

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 24 luglio 2012, Me.Ra. , giudice civile presso il Tribunale di Milano ed estensore di una sentenza nota anche come “Sentenza Lodo Mondadori”, citò dinanzi al Tribunale di Brescia, previo esperimento del tentativo di mediazione ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, Br.Cl., Sp.An. , Zu.St., Sa.Al.e Fe.Vi., nonché le società (…) Spa, (…) Spa e Società (…) Spa, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni per il pregiudizio subito in conseguenza di dichiarazioni offensive alla propria persona ed al proprio prestigio di magistrato contenute in una articolo di stampa a firma di Zu.St. e richiamate da una trasmissione televisiva diretta da Br.Cl., a corredo della quale era stato utilizzato un servizio giornalistico di Sp.An. parimenti connotato da contenuti diffamatori.

1.1. Costituitisi tutti i convenuti, che proposero eccezioni pregiudiziali e contestarono il merito dell’avversa pretesa, l’adito tribunale, con sentenza del 30 settembre/5 ottobre 2016, n. 2881, così decise: «Dichiara la propria incompetenza per territorio a decidere in merito alla domanda di risarcimento del danno per violazione del diritto alla riservatezza, essendo competente il Tribunale di Roma; accertata, nei termini di cui in motivazione, la responsabilità di Zu.St., Br.Cl., Sp.An. , Sa.Al., Fe.Vi., (…) – Società (…) Spa e (…) Spa, in ordine agli illeciti diffamatori oggetto di causa, condanna i medesimi convenuti al pagamento, in solido, in favore di Me.Ra. della somma di euro 160.000; condanna Zu.St. e Fe.Vi. al pagamento in favore di Me.Ra. della somma di euro 20.000 a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 L. 47/48; rigetta la domanda proposta nei confronti di (…) Spa; rigetta la domanda di rimozione degli articoli pubblicati on-line sul sito internet ilgiornale.it; condanna i convenuti Zu.St., Br.Cl., Sp.An. , Sa.Al., Fe.Vi., (…) – Società (…) Spa e (…) Spa, in solido, a rifondere a Me.Ra. le spese processuali, liquidate in motivazione; condanna Me.Ra. a rifondere le spese processuali sostenute da (…) Spa liquidate in motivazione; rigetta la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. proposta da (…) Spa; indica in Zu.St., Br.Cl., Sp.An. , Sa.Al., Fe.Vi., (…) – Società (…) Spa e (…) Spa, le parti tenute al pagamento dell’imposta ex artt. 59 e 60 l. n. 131/86; ordina la pubblicazione della presente sentenza, per estratto (intestazione e dispositivo) su “Il Giornale”, in caratteri doppi del normale, per una sola volta, a spese e cura dei convenuti Zu.St., Br.Cl., Sp.An. , Sa.Al., Fe.Vi., (…) – Società (…) Spa e (…) Spa, entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della presente sentenza, con diritto dell’attore di procedervi a sue spese e di ripetere le spese dagli obbligati».

2. Pronunciando sui gravami promossi, rispettivamente, da Società (…) Spa, Fe.Vi., Sa.Al.e Zu.St. (in via principale), da (…) Spa, Br.Cl. ed Sp.An. (in via incidentale) e da Me.Ra. (in via incidentale), l’adita Corte di appello di Brescia li decise con sentenza dell’8 novembre 2022/17 febbraio 2023, n. 275, resa nel contraddittorio con (…) Spa, che così dispose: «In parziale riforma della sentenza appellata: dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto Me.Ra. , come in parte motiva; condanna Zu.St., Br.Cl., Sp.An. , Sa.Al., Fe.Vi., (…) – Società (…) Spa e (…) Spa, in ordine agli illeciti diffamatori consumati il 15.10.2009 oggetto di causa, al pagamento, in solido, in favore di Me.Ra. della somma di euro 60.000, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo; conferma, per il resto, l’appellata sentenza. Spese di lite del grado interamente compensate tra le parti. Sussistono i presupposti di legge per condannare Me.Ra. al pagamento del doppio del contributo unificato».

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

2.1. Per quanto di residuo interesse in questa sede, quella corte, ritenuto inammissibile l’appello incidentale del Me.Ra. quanto alla dichiarata incompetenza territoriale del tribunale bresciano sulla domanda, ivi formulata dal primo, di risarcimento del danno da lesione del diritto alla riservatezza, ritenne «Per il resto, gli appelli, principale ed incidentali, […], parzialmente fondati per quanto di ragione». In particolare, richiamati i principi di Cass. n. 23072 del 2022 circa la necessità, affinché possa intendersi rispettata la condizione di procedibilità dell’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, di esatta corrispondenza tra il petitum e la causa petendi dell’istanza di conciliazione e quelli della successiva domanda giudiziale: i) rilevò, innanzitutto, che «l’oggetto della domanda svolta dall’attore in prime cure deve essere ritenuto quello indicato nell’istanza di mediazione in atti e cioè: ” … La presente controversia ha ad oggetto la diffamazione a mezzo stampa/tv operata nei confronti del dott. Me.Ra. , attualmente giudice presso la Corte di Appello civile di Milano, dai vari soggetti citati. Tale unitario processo diffamatorio si è concretizzato durante la trasmissione Mattino 5 del 15 ottobre 2009, condotta dal Dott. Br.Cl. e con ospite il Dott. Sa.Al., e per mezzo dell’articolo de “Il Giornale”, anch’esso del 15 ottobre 2009 e in tale trasmissione ripreso, a firma Zu.St. e a titolo “Il CSM promuove il giudice anti-Fininvest”, e sottotitolo “Elogi sperticati e aumento di stipendio per Me.Ra. a soli 10 giorni dalla stangata sul Lodo Mondadori – di lui non si ricordano sentenze ma stravaganze in giro per Milano e proclami contro il Premier al ristorante”. Il contenuto dell’articolo a firma Zu.St., i commenti svolti in trasmissione dall’ospite Sa.Al., nonché e soprattutto il servizio in essa trasmesso firmato dalla dott.ssa Sp.An., hanno leso e continuano a ledere il diritto del dott. Me.Ra. alla riservatezza all’immagine ed alla propria personalità e producono effetti diffamatori gravemente lesivi per l’istante […]”. Il giudice, quindi, chiamato ad accertare l’esatta corrispondenza sia, dal punto di vista soggettivo, fra i soggetti dell’azione giudiziale e della conciliazione stragiudiziale, che, dal punto di vista oggettivo, fra le domande presentate innanzi al giudice e quelle indicate in sede di conciliazione, non può che ritenere la causa petendi del presente giudizio limitata ai fatti denunciati verificatisi il 15.10.2009, con esclusione, pertanto, dall’oggetto dello scrutinio, degli altri episodi indicati nella sentenza appellata, commessi dal 16.10.2009 al 22.10.2009, che, pertanto, qui non potranno venire in rilievo neppure come episodi di reiterazione delle condotte allegate come diffamatorie»; ii) affermò, poi che «non appare revocabile in dubbio che il contenuto degli articoli di stampa e gli interventi televisivi sopraindicati del 15.10.2009 abbiano inteso rappresentare un collegamento “premiale” tra la sentenza sul cd. “Lodo Mondadori” e la valutazione positiva del percorso professionale di magistrato Me.Ra. , offrendo al pubblico, nel contempo, una screditata immagine personale e professionale del medesimo, tanto da implicitamente ribadire la non meritevolezza di tale progressione di carriera. È evidente, quindi, che tali affermazioni costituiscono una rappresentazione deformata dei fatti con cui gli organi di stampa in questione hanno inteso imputare comportamenti scorretti del magistrato, così ledendo il suo onore personale e professionale, la sua reputazione e credibilità, che costituiscono per il magistrato il primo strumento di lavoro e la precondizione per proseguire serenamente e proficuamente la sua attività. Il limite della continenza, entro il quale deve svolgersi un corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica, deve ritenersi ampiamente superato nel caso in esame, poiché le informazioni giornalistiche trasmesse, prima facie inconferenti rispetto all’attività di magistrato dell’attore, si risolvono – per il lessico impiegato, per l’uso strumentale delle medesime, per la sostanza e la forma dei giudizi che le accompagnano – in un attacco personale e gratuito al soggetto cui si riferiscono: realizzando una lesione del bene all’onore personale tutelato, attraverso il modo stesso in cui la cronaca e la critica vengono attuate. Ribadisce la Corte regolatrice che: “In conformità alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ogni provvedimento giudiziario può essere oggetto di critica anche aspra, purché questa non si risolva in un attacco alla stima di cui gode il magistrato criticato” [Cfr. Cass. Pen., Sez.V, n. 8208/2022]. Deve, quindi, affermarsi la responsabilità degli autori dei fatti illeciti a contenuto diffamatorio qui scrutinati che debbono individuarsi nel giornalista Zu.St. (autore dell’articolo di stampa) e del direttore responsabile del giornale quotidiano sul quale è stato pubblicato “Il Giornale”, Fe.Vi. (art. 185, c. 2, c.p.), nonché di tutti coloro i quali hanno, nel corso della trasmissione televisiva “Mattino 5” del 15.10.2009, approfondito e commentato l’articolo di stampa del giornalista Zurlo, Sa.Al., Br.Cl., Sp.An. , con interventi in studio e servizi giornalistici che viepiù hanno evidenziato aspetti della vita privata del magistrato certamente avulsi da qualsiasi riferimento con il provvedimento giudiziale cd. “Lodo Mondadori” e, in generale, con l’attività professionale sin lì dal medesimo svolta, ed infine del proprietario editore R.T.I. (art. 11 l. 8.2.1947, n. 47)»; iii) precisò che «Nella diffamazione a mezzo stampa vige, poi, la regola della responsabilità solidale che estende l’obbligazione civile da reato oltre che al soggetto che direttamente l’ha commesso, anche al direttore responsabile, al proprietario della pubblicazione ed all’editore» e che «Il Collegio, inoltre, aderisce all’insegnamento della Suprema Corte che, con indirizzo univoco e consolidato, ritiene che “in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, la pubblicazione di una rettifica ai sensi dell’art. 8 della l. n. 47 del 1948 non determina, quale conseguenza automatica, la riduzione del danno, dovendosi procedere a una valutazione in concreto della relativa incidenza sullo specifico pregiudizio già verificatosi quale conseguenza delle dichiarazioni offensive” [Cfr. Cass. Civ. n. 1152/2022]»; iv) opinò, infine, circa il quantum debeatur, che, «in tema di diffamazione commessa mezzo stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa, l’applicazione dei criteri orientativi per la quantificazione equitativa del danno, basati su un livello crescente di intensità della lesione arrecata, approvati dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano con individuazione di cinque categorie di diffamazione, comporta che il danno sia collegato, tra l’altro, all’oggettiva portata offensiva della notizia che è stata diffusa, alla notorietà del diffamante, alle ricadute negative sulla reputazione nella sfera personale, professionale e sociale nonché al grado di disagio e sofferenza che inevitabilmente ne è conseguito per l’offeso, alla risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie, al mezzo con il quale è stata diffusa la notizia, all’accertamento circa la reiterazione delle condotte offensive.

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

 

Sulla scorta di tali parametri, l’Osservatorio individua poi cinque categorie di diffamazione, che consentono di indicare criteri orientativi per la liquidazione del danno. In linea con i rilevamenti compiti da tale osservatorio, che ha verificato gli importi in concreto applicati in subiecta materia, si stima equo, ritenuti i fatti diffamatori di gravità superiore alla media, di liquidare il danno nella misura di Euro60.000. Non si evidenzia l’esigenza di una appendice istruttoria, avendo acquisito il processo elementi utili per la decisione e non avendo indicato le parti la decisività dei mezzi di prova non ammessi in primo grado. Assorbito ogni altro motivo e ferme, per il resto, le altre decisioni del primo giudice, condivisibili sotto il profilo della correttezza e conformità ai parametri di legge ed adeguatamente motivate».

3. Per la cassazione dell’appena descritta sentenza ha proposto ricorso Me.Ra. , affidandosi a sei motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Hanno resistito, con distinti controricorsi: a) Società (…) Spa, Fe.Vi., Sa.Al.e Zu.St., che hanno depositato anche memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.; ii) (…) Spa; iii) MFE-Mediaforeurope N.V. (già (…) Spa). Non hanno svolto difese in questa sede, invece, Br.Cl. ed Sp.An. .

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi di ricorso sono così rubricati, rispettivamente:

I) «Con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la sentenza impugnata è nulla perché, violando e/o falsamente applicando gli artt. 4 e 5, del d.lgs. n. 28/2010 e gli artt. 162, comma 1, 348 e 354, comma 4, c.p.c., ha ingiustamente escluso dall’oggetto della cognizione talune dichiarazioni diffamatorie contestate in giudizio (1) sotto un primo profilo di censura, erroneamente ritenendo che in relazione alle stesse non fosse stato compiuto il procedimento di mediazione obbligatoria; (2) sotto un secondo profilo di censura, erroneamente ritenendo necessaria la sussistenza di una “esatta corrispondenza” tra la domanda di mediazione e la domanda svolta in giudizio; (3) sotto un terzo profilo di censura, erroneamente omettendo di considerare che il procedimento di mediazione era stato rinnovato in appello su indicazione della stessa Corte d’appello; (4) sotto un quarto profilo di censura, in subordine, erroneamente omettendo di ordinare l’integrazione del procedimento di mediazione». Il Me.Ra. lamenta che: i) la prima procedura di mediazione esperita anteriormente all’instaurazione del giudizio davanti al tribunale non sia stata valutata come esaustiva condizione di procedibilità; ii) pur avendo esperito in sede di appello – su indicazione della corte territoriale – una seconda procedura di mediazione, la medesima corte non ne abbia tenuto conto; iii) la corte distrettuale avrebbe dovuto ordinare l’integrazione della domanda, come peraltro ha fatto, per consentire che anche altri articoli trovassero ingresso in causa;

II) «Con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., la sentenza impugnata è nulla perché ha omesso l’esame del fatto, decisivo e oggetto di discussione tra le parti, relativo all’avvenuto svolgimento, nel corso del giudizio di appello, di un nuovo procedimento di mediazione disposto ex art. 5, del d.lgs. n. 28/2010 su ordine dello stesso giudice». Si contesta alla corte bresciana di essersi pronunciata sulla domanda formulata dal Me.Ra. , concludendo per la qui censurata esclusione degli episodi commessi dal 16 ottobre 2009 al 22 ottobre 2009, senza in alcun modo prendere in considerazione l’esperimento dell’ulteriore procedimento di mediazione svoltosi ex art. 5 del d.m. 28/2010 su ordine della stessa corte;

III) «Con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la sentenza impugnata è nulla per aver erroneamente quantificato il risarcimento del danno a favore del dr. Me.Ra. in violazione delle Tabelle approvate dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, da considerarsi quali disposizioni integrative di legge alla luce del costante orientamento di codesta Ill.ma Corte». Ci si duole del fatto che la sentenza impugnata ha liquidato il danno operando una drastica riduzione dell’importo dovuto al Me.Ra. , rispetto a quanto oggetto di quantificazione da parte del tribunale, e che ciò ha fatto sulla base del richiamo, puramente assertivo, alle tabelle approvate dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano;

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

IV) «Con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 111 Cost., la sentenza impugnata è nulla perché ha ingiustamente significativamente ridotto la quantificazione del danno che era stata operata dalla sentenza di primo grado, senza tuttavia in alcun modo motivare tale riduzione, ciò che ha determinato la mancanza del c.d. “minimo costituzionale” della motivazione». Si deduce che laddove la motivazione della decisione impugnata si esaurisce in un generico ed indefinito riferimento al rilievo che «i fatti diffamatori [siano] di gravità superiore alla media», essa non è idonea a far comprendere le rationes poste alla base della individuazione della ritenuta eccezionale gravità né, conseguentemente, i criteri che hanno spinto il giudice a ritenere equo lo specifico importo di Euro60.000;

V) «Con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., la sentenza impugnata è nulla perché ha ingiustamente liquidato il danno risarcibile in misura rilevantemente minore rispetto alla quantificazione operata dalla sentenza di primo grado, erroneamente omettendo ogni esame del fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’assoluta eccezionalità e gravità dell’illecito diffamatorio subito dal dr. Me.Ra. ». Si contesta alla corte territoriale di aver liquidato il danno risarcibile senza tenere in considerazione il fatto, decisivo e discusso tra le parti, dell’assoluta eccezionalità e gravità dell’illecito subito dall’odierno ricorrente;

VI) «Con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 106, comma 2, Cost., occorrendo previo rilievo della questione di costituzionalità degli artt. da 62 a 72 del d.l. 21.6.13, n. 69, conv. in l. n. 98/2013, nonché per violazione dell’art. 158 c.p.c., la sentenza è nulla perché il collegio giu inammissibilmente composto da un magistrato onorario, anche alla luce della sentenza della Corte cost. n. 41/2021, in quanto il legislatore, pur avendo posto mano a una riforma complessiva del sistema della giustizia, che coinvolge anche la disciplina dei giudici onorari, non è intervenuta sul tema dei giudici ausiliari e quindi non ha risolto il vizio di costituzionalità». Richiamata la pronuncia della Corte costituzionale n. 41/2021, si evidenzia che, successivamente ad essa, la cd. Riforma Cartabia, che ha costituito un intervento di riforma tanto della giustizia penale quanto di quella civile, introducendo nuove disposizioni di natura sia sostanziale che processuale, tuttavia «non ha posto mano in alcun modo al tema dei giudici ausiliari qui trattato, e ha pertanto mantenuto in essere il vizio già rilevato da codesta Ecc.ma Corte e poi accertato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 41/2019. Sarebbe inopportuno, a questo punto, attendere l’anno 2025, in vista di un eventuale intervento di riforma, in quanto il legislatore ordinario, non apportando alcuna modifica alla disciplina dei giudici ausiliari in sede di una riforma tanto sistemica e organica quale è stata la Riforma Cartabia, ha dimostrato di non aver alcuna intenzione di intervenire nel merito. Anzi, a questo punto, attendere il decorso del termine condizionale fissato nella sentenza n. 41/2019 determinerebbe una procrastinazione della lesione dei beni fondamentali a presidio dei quali vi è, in primis, l’art. 106 Cost., irragionevole e discriminatoria. Ne consegue che è necessario che la Corte costituzionale sia nuovamente investita della questione di costituzionalità affinché, valutato il contegno del legislatore, dichiari l’incostituzionalità, con effetto retroattivo e quindi anche rispetto alla sentenza qui impugnata, della disciplina censurata».

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

2. Il sesto motivo di ricorso, il cui esame si presenta logicamente prioritario rispetto agli altri, è manifestamente infondato.

2.1. In proposito, infatti, è sufficiente, da un lato, richiamare il dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2021 (secondo cui sono incostituzionali le norme che hanno previsto, come magistrati onorari, i giudici ausiliari presso le Corti d’appello. Le quali, tuttavia, potranno continuare ad avvalersi legittimamente dei giudici ausiliari per ridurre l’arretrato fino a quando, entro la data del 31 ottobre 2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria, nel rispetto dei principi costituzionali), alla cui esaustiva motivazione può farsi rinvio in questa sede ex art. 118, comma 1, dis. att. cod. proc. civ.; dall’altro, rimarcare che se la Corte costituzionale ha ritenuto congruo dare al conditor legum un “termine” di tolleranza fino al 2025, il ricorrente nemmeno spiega perché una sentenza ‘ quella in questa sede impugnata) resa nel febbraio 2023, circa due anni e mezzo prima, quindi, della scadenza del termine suddetto, dovrebbe essere nulla e perché vi dovrebbe essere quella illegittimità costituzionale che lo stesso giudice delle leggi ha posticipato, attraverso considerazioni di “tollerabilità” non certo sindacabili, al 2025.

3. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano fondati nei limiti di cui appresso.

3.1. Benché non ulteriormente sindacabile, in questa sede, la valutazione di corrispondenza, effettuata dalla corte di appello, tra la prima domanda di mediazione del Me.Ra. e la sua successiva domanda giudiziale, e pure volendosi prescindere da ogni altra considerazione circa la necessità di una esatta corrispondenza tra domanda di mediazione e la successiva domanda giudiziale (cfr., in tal senso, Cass. n. 16281 del 2019, resa, tuttavia, con riguardo al tentativo di conciliazione di cui all’art. 46 della legge n. 203 del 1982, che deve precedere la proposizione di una domanda giudiziale relativa ad una controversia in materia di contratti agrari, o, ancora, Cass. n. 23072 del 2022, in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche), risulta decisivo, ad avviso del Collegio, il rilievo che la corte distrettuale, comunque, ha invitato le parti ad esperire una mediazione, evidentemente avvalendosi del potere discrezionale conferitole dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010: mediazione, che, dunque, svolta a quel punto della lite, non poteva che riguardare l’intero oggetto del processo, vale a dire la complessiva domanda risarcitoria come formulata dal Me.Ra. , anche, quindi, con riferimento – quand’anche effettuato al solo fine di connotare di maggiore intensità il danno lamentato, come opinato dal tribunale («Invero, posto che nell’istanza di mediazione e nell’allegata “descrizione della controversia” erano specificamente indicati l’articolo di giornale ed il servizio televisivo del 15 ottobre 2009, quali fatti illeciti principali, lesivi dei diritti della personalità dell’attore, va osservato che, specularmente, la domanda risarcitoria proposta nell’atto di citazione si incentra essenzialmente su tali pezzi giornalistici; il richiamo agli altri articoli apparsi sul quotidiano “Il Giornale” nei giorni successivi è fatto allo scopo di connotare di maggiore intensità il danno alla persona, già arrecato dalle condotte principali, alle quali, peraltro, tutti i chiamati alla mediazione [ed odierni convenuti] hanno, direttamente o indirettamente, partecipato, ed in relazione al quale la domanda di risarcimento viene proposta in via unitaria. Non è ravvisabile, pertanto, alcun ampliamento oggettivo della domanda originariamente formulata in sede stragiudiziale [peraltro ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza di questo tribunale nel caso di stretta connessione fra le domande e, pure, di domanda riconvenzionale] né alcuna lesione del contraddittorio, posto che tutti i soggetti interessati dalla domanda risarcitoria furono comunque convocati in mediazione». Cfr. pag. 9-10 della sentenza di primo grado) – agli ulteriori articoli di stampa successivi a quello del 15 ottobre 2009.

3.1.1. Una tale conclusione, del resto, si rivela pienamente coerente, sotto il profilo sostanziale, con le affermazioni, rinvenibili nella motivazione di Cass., SU, n. 3452 del 2024 (benché quest’ultima si riferisca all’ipotesi – innegabilmente diversa da quella di cui in discute in questa sede – della non necessarietà di proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione con riguardo alle domande riconvenzionali formulate una volta introdotto il giudizio), in cui si legge: i) alla pagina n. 9, che «Posto che l’istituto (il riferimento è alla mediazione obbligatoria. ha esclusive finalità di economia processuale, nel senso di evitare il proliferare di cause iscritte innanzi all’organo giudiziario, imporre un successivo, o più successivi ad ogni ulteriore domanda proposta nel giudizio, tentativi obbligatori di conciliazione, nel contempo differendo la trattazione della causa per mesi ad ogni nuova domanda proposta in giudizio, è un effetto eccessivo non voluto dalla norma rispetto allo scopo deflattivo perseguito» (cfr. pag. ); ii) alla successiva pagina n. 18, che, «Per la Corte costituzionale, […], la mediazione obbligatoria non viola il diritto di azione, sancito dalla Costituzione, soltanto laddove risulti idoneo a produrre il risultato vantaggioso del cd. effetto deflattivo, senza mai divenire tale da provocare un inutile prolungamento dei tempi del giudizio. Le indicazioni del giudice delle leggi additano, in sostanza, una linea di equilibrio fra il principio di azione di ordine costituzionale e le deroghe che possono esservi apportate in funzione di interessi di estrema rilevanza, ma confermano il carattere eccezionale delle ipotesi limitative: ne deriva che le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge non possono essere aggravate da una interpretazione che conduca ad estenderne la portata (Cass. 21 gennaio 2004, n. 967, con riguardo alla conciliazione lavoristica)»; iii) alla pagina n. 19, che «[…] se è vero che anche un ripetuto strumento conciliativo extragiudiziale potrebbe condurre, a volte, ad una soluzione favorevole della lite al secondo, al terzo o ulteriore tentativo, è pur vero che così si finirebbe per contraddire l’intento di rendere più rapida e meno onerosa per tutti la risoluzione della controversia, quando questa sia ormai comunque instaurata.

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

 

Effetto deflattivo, ragionevole durata e divieto di inutili intralci sono, dunque, principi ampiamente presenti anche innanzi al giudice delle leggi. L’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 estende a numerose materie la mediazione obbligatoria, al fine di evitare l’introduzione della lite ed assicurare una maggiore celerità al processo, non di ostacolarla oltre il ragionevole. Dovendosi dunque, piuttosto, secondo il legislatore pervenire – è la ratio sottesa – al processo ordinario, una volta infruttuosamente esperito il tentativo di mediazione in via obbligatoria senza che esso sia andato a buon fine, quale condizione di procedibilità da applicare al solo atto introduttivo, non a tutte le “domande” proposte nel processo»; iv) alle pagine 21-22, che, «In definitiva, la mediazione obbligatoria ha la sua ratio nelle dichiarate finalità di favorire la rapida soluzione delle liti e l’utilizzo delle risorse pubbliche giurisdizionali solo ove effettivamente necessario: posta questa finalità, l’istituto non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alle predette finalità ed essere trasformato in una ragione di intralcio al buon funzionamento della giustizia, in un bilanciamento dal legislatore stesso operato, secondo una lettura costituzionale della disposizione in esame, affinché, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, e dall’altro lo stesso non si determini una sorta di “effetto boomerang” sull’efficienza della risposta di giustizia. Per ogni altro profilo, sussiste il compito generale del giudice, a fini di risparmiare risorse giurisdizionali e non emettere la sentenza, di tentare e proporre egli stesso la conciliazione (artt. 185, 185-bis c.p.c.), dove il tentativo di conciliazione potrà avere svolgimento con maggiore probabilità di esito positivo. Va anche precisato che spetta al mediatore, nel diligente adempimento del suo incarico professionale, esortare le parti a mettere ogni profilo “sul tappeto”, […]».

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

3.2. A tanto deve aggiungersi, peraltro, ed in via assolutamente dirimente, che la corte bresciana, una volta ritenuto non esperito il procedimento di mediazione con riferimento alla domanda del Me.Ra. nella misura in cui quest’ultima fosse stata riferita anche a tali articoli (così opinando, dunque, in modo difforme da quanto, sul punto, sancito dal tribunale), avrebbe dovuto disporre essa stessa la mediazione. In proposito, infatti, basta ricordare quanto chiarito da Cass. n. 29695 del 2023, secondo cui, «In tema di mediazione obbligatoria, allorché il convenuto eccepisca tempestivamente l’improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione e il giudice erroneamente ritenga che la mediazione non doveva essere esperita, la conseguente nullità può essere fatta valere mediante appello; in tal caso, il giudice d’appello, dichiarata la nullità della sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice, è tenuto ad assegnare alle parti il dovuto termine per la presentazione della domanda di mediazione, per poi accettare se la condizione di procedibilità sia stata soddisfatta e trattare la causa nel merito, ovvero, in mancanza, dichiarare l’improcedibilità della domanda giudiziale» (cfr. in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 12896 del 2021).

3.2.1. Il fatto, allora, che quella corte abbia invitato comunque le parti ad una nuova mediazione, sebbene avvalendosi del potere discrezionale riconosciutole dal comma 2, dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, a maggior ragione le imponeva, per quanto si è riferito nel precedente § 3.1., di considerare come rientrante nella domanda risarcitoria, come formulata in citazione dal Me.Ra. , anche gli ulteriori articoli di stampa successivi a quello del 15 ottobre 2009.

4. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, il cui esame può essere unitario per la evidente connessione che li caratterizza, tutti investendo l’entità del risarcimento riconosciuto al Me.Ra. e le modalità della sua concreta liquidazione, si rivelano fondati alla stregua delle complessive considerazioni di cui appresso.

4.1. Innanzitutto, giova rimarcare che nessuna delle parti controricorrenti costituitesi ha promosso ricorso incidentale contro la sentenza della corte bresciana oggi impugnata nella parte in cui la stessa ha accertato l’an del risarcimento invocato dall’odierno ricorrente ed ha individuato i soli soggetti (Società (…) Spa; Fe.Vi.; Sa.Al.; Zu.St.; (…) Spa; Br.Cl.; Sp.An. ) tenuti al suo pagamento.

4.1.1. Il giudicato formatosi su tali punti, dunque, da un lato, consente a questa Corte di evitare di dilungarsi ulteriormente nella descrizione dei presupposti legittimanti l’emissione di una pronuncia di condanna in fattispecie risarcitorie derivanti da diffamazione commessa con il mezzo della stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa; dall’altro, induce a ritenere ormai definitiva la esclusione di qualsivoglia responsabilità, per tutti i fatti di causa, in capo a (…) Spa (oggi (…).), non rinvenendosi alcuna pronuncia di condanna anche di quest’ultima nella sentenza in esame (come già in quella di primo grado, nella quale, anzi, vi era stato espresso rigetto della pretesa dell’attore nei suoi confronti ). Di tanto, allora, dovrà tenere conto il giudice di rinvio anche ai fini della liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità riguardanti il rapporto processuale tra il Me.Ra. e la società da ultimo indicata.

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

4.2. Tanto premesso, rileva il Collegio che la corte territoriale, riformando la decisione di primo grado, ha limitato (erroneamente, per quanto si è già detto accogliendosi i primi due motivi) ai soli fatti, denunciati dal Me.Ra. , verificatisi il 15 ottobre 2009 (escludendo gli altri episodi dal medesimo denunciati e commessi dal 16 al 22 ottobre successivo) la pronunciata condanna risarcitoria ed ha ritenuto di liquidare il corrispondente danno, in favore dello stesso, all’attualità, nell’importo di Euro 60.000,00, dichiarando di fare applicazione delle tabelle approntate dal Tribunale di Milano in materia di danno da diffamazione a mezzo stampa.

4.2.1. In particolare, ha affermato che, «in tema di diffamazione commessa mezzo stampa o con altri mezzi di comunicazione di massa, l’applicazione dei criteri orientativi per la quantificazione equitativa del danno, basati su un livello crescente di intensità della lesione arrecata, approvati dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano con individuazione di cinque categorie di diffamazione, comporta che il danno sia collegato, tra l’altro, all’oggettiva portata offensiva della notizia che è stata diffusa, alla notorietà del diffamante, alle ricadute negative sulla reputazione nella sfera personale, professionale e sociale nonché al grado di disagio e sofferenza che inevitabilmente ne è conseguito per l’offeso, alla risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie, al mezzo con il quale è stata diffusa la notizia, all’accertamento circa la reiterazione delle condotte offensive. Sulla scorta di tali parametri, l’Osservatorio individua poi cinque categorie di diffamazione, che consentono di indicare criteri orientativi per la liquidazione del danno» (cfr. pag. 18 della sentenza impugnata).

4.2.2. Quella corte, poi, ha quantificato il danno, in via equitativa, nella suddetta misura di Euro60.000,00, all’attualità, valutandolo, come di «gravità superiore alla media» (il tribunale, invece, aveva liquidato la maggior somma di Euro 160.000, tenendo conto, tuttavia, anche dei fatti denunciati successivi al 15 ottobre 2009, esclusi, invece, come si è già detto, da parte del giudice a quo), senza fornire altre indicazioni.

4.3. Le doglianze in esame, come si ricorderà, contestano l’avvenuta drastica riduzione dell’importo dovuto al Me.Ra. , rispetto a quanto oggetto di quantificazione da parte del tribunale, e ciò sulla base di un richiamo, giudicato puramente assertivo, alle tabelle milanesi suddette. Si deduce che laddove la motivazione della decisione impugnata si esaurisce in un generico ed indefinito riferimento al rilievo che «i fatti diffamatori [siano] di gravità superiore alla media», essa non è idonea a far comprendere le rationes poste alla base della individuazione della ritenuta eccezionale gravità né, conseguentemente, i criteri che hanno spinto il giudice a ritenere equo lo specifico importo di Euro60.000.

4.4. Fermo quanto precede, osserva il Collegio che, con riguardo all’utilizzo, in ambito di liquidazione equitativa del danno, di parametri elaborati dalla giurisprudenza di merito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, da tempo ed in via generale, che, «nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale – e al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono. L’applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell’applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito» (cfr. Cass. n. 12408 del 2011).

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

4.4.1. Questa Corte (cfr. Cass. n. 9231 del 2013) ha ribadito, poi, che, «Qualora il giudice, al fine di soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in applicazione delle “tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano, è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subìto da ciascun danneggiato». In particolare, rilevando che il giudice di merito «deve esplicitare se e come ha considerato tutte le concrete circostanze per risarcire integralmente il danno non patrimoniale subito da ciascuno» (cfr. Cass. n. 14402 del 2011). Sì che «va esclusa ogni liquidazione di tale pregiudizio in misura pari ad una frazione dell’importo liquidabile a titolo di danno biologico del defunto, perché tale criterio non rende evidente e controllabile l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, né permette di stabilire se e come abbia tenuto conto di tutte le circostanze suindicate (Cass. 2228 del 2012), così come è erronea una liquidazione uguale per tutti gli aventi diritto o globale con successiva ripartizione interna tra costoro (Cass. 1203 del 2007)».

4.4.2. Successivamente (cfr. Cass. n. 3505 del 2016), in ordine al superamento dei limiti dei parametri fissati nelle tabelle elaborate dalla giurisprudenza di merito,

si è chiarito che, «In tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle “tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'”id quod plerumque accidit”, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate».

4.4.3. I parametri delle Tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, dunque, sono stati ritenuti applicabili, da parte del giudice di merito, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si si era pervenuti e si è ritenuta «l’incongruità della motivazione che non (aveva) dato conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risult(ava) sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle “Tabelle” di Milano consent(iva) di pervenire» (cfr. Cass. n. 17018 del 2018).

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

4.4.4. In seguito, questa Corte (cfr. Cass. n. 31358 del 2021) ha affermato, in continuità con l’orientamento suddetto, che «la liquidazione in via equitativa del danno morale soggettivo – quale autonoma voce di pregiudizio non patrimoniale – è suscettibile di rilievi in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, solo se difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto» (cfr. anche Cass. n. 37009 del 2022; Cass. 13540 del 2023, con riferimento alle tabelle elaborate dal Tribunale di Roma). Secondo, altra pronuncia (cfr. Cass. n. 27562 del 2017), in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, l’omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 cod. civ., costituendo le stesse Tabelle una sorta di parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge (il principio è ripreso in Cass. n. 8508 del 2020); mentre l’omesso esame di un fatto specializzante idoneo a giustificare lo scostamento da dette tabelle deve essere denunciato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. Il principio è stato applicato anche con riferimento alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa (cfr. Cass. n. 18217 del 2023, in cui si è ravvisata la necessità che la motivazione dia conto degli elementi di fatto riferibili alla cd. “tabella Milano”, ai fini della riconduzione della fattispecie ad una delle fasce di gravità ivi contemplate).

4.4.5. Tanto premesso, ed in continuità con la recente Cass. n. 3772 del 2024, va ribadito, allora, che, «anche nella materia della diffamazione a mezzo stampa e relativamente alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno debba essere liquidato seguendo quelle tabelle, quali elaborate dal Tribunale di Milano, che prevedano parametri oggettivi e diffusamente adoperati, a cominciare dalla notorietà del diffamante, dalle cariche pubbliche e il ruolo istituzionale o professionale eventualmente ricoperti dal diffamato, dalla natura della condotta diffamatoria, dall’esistenza di condotte diffamatorie singole, reiterate o dall’orchestrazione di vere e proprie campagne stampa. E, inoltre, considerando: la collocazione dell’articolo e lo spazio che la notizia diffamatoria occupa; l’intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione; il mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e la sua diffusione; la risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie; la natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato; la limitata riconoscibilità del diffamato; la rettifica successiva e/o lo spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato ovvero il loro rifiuto. Con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione».

4.4.6. Nella odierna fattispecie, dunque, le doglianze in esame si rivelano complessivamente fondate, atteso che la corte territoriale, dopo avere richiamato le tabelle del Tribunale di Milano nella materia, pur avendo considerato quello in esame come un caso di «gravità superiore alla media» di danno non patrimoniale, non soltanto ha escluso (affatto erroneamente per quanto si è già detto) dalla propria valutazione i fatti denunciati successivi al 15 ottobre 2009 (assolutamente idonei, invece, quanto meno a connotare di maggiore intensità il danno lamentato, sostanziandosi in una prolungata campagna di stampa in danno del Me.Ra. ), ma si è anche limitata unicamente ad affermare come “equa” la liquidazione del danno nella misura di Euro60.000,00, senza nulla puntualizzare, tuttavia, in ordine alle concrete modalità di detta quantificazione, con riferimento a ciascuno degli elementi di riferimento menzionati proprio nelle citate tabelle milanesi.

4.4.7. In definitiva, la motivazione della corte di merito concernente la liquidazione del danno non patrimoniale riconosciuto all’odierno ricorrente nella misura suddetta si rivela errata, laddove non ha considerato gli articoli di stampa successivi a quello del 15 ottobre 2019, sostanzialmente apparente, perché inidonea a far comprendere realmente i criteri che hanno spinto il giudice a ritenere equo lo specifico importo di Euro60.000, ed inadeguata alla peculiarità del caso concreto.

5. In conclusione, l’odierno ricorso del Me.Ra. deve essere accolto relativamente ai suoi primi cinque motivi, rigettandosene il sesto. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame (da effettuarsi tenendo conto di quanto si è detto con riferimento al rapporto processuale tra il menzionato ricorrente e (…)., già (…) Spa) e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Diffamazione a mezzo stampa e la liquidazione equitativa del danno 

P.Q.M.

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso di Me.Ra. relativamente ai suoi primi cinque motivi, rigettandone il sesto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame (da effettuarsi tenendo conto di quanto si è precisato in motivazione con riferimento al rapporto processuale tra il menzionato ricorrente e (…)., già (…) Spa) e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 21 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.

Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.

Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti,  non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *