Suprema Corte di Cassazione
Sezioni Unite civile
sentenza 10 febbraio 2014, n. 2907
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Primo Presidente f.f.
Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez.
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) s.p.a. ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, e (OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI (gia’ Ministero delle politiche agricole e forestali), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliato per legge;
– resistente –
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1327 del 2007, depositata in data 27 dicembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 giugno 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito, per il resistente, l’Avvocato dello Stato (OMISSIS);
sentito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Primo Presidente f.f.
Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez.
Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere
Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) s.p.a. ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, e (OMISSIS) ((OMISSIS)), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI (gia’ Ministero delle politiche agricole e forestali), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliato per legge;
– resistente –
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1327 del 2007, depositata in data 27 dicembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25 giugno 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentito, per il resistente, l’Avvocato dello Stato (OMISSIS);
sentito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – La (OMISSIS) S.p.a. e il sig. (OMISSIS) proponevano opposizione all’ordinanza ingiunzione emessa dal Direttore dell’Ufficio di Bari, delegato dall’Ispettorato del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, per violazione di norme comunitarie relative al settore agro-alimentare.
Il Tribunale di Foggia rigettava il ricorso.
Proposto appello, la Corte territoriale lo dichiarava inammissibile in quanto formulato a mezzo di ricorso anziche’ tramite citazione e, in ogni caso, tardivo poiche’ la notifica del decreto del giudice di comparizione delle parti era avvenuta oltre il trentesimo giorno dalla notifica della sentenza stessa. In particolare, la Corte territoriale rilevava che la sentenza impugnata era stata notificata in data 15 maggio 2006, per cui l’appello avrebbe dovuto essere notificato entro il termine breve di 30 giorni ex articolo 325 cod. proc. civ., mentre entro tale scadenza la parte si era limitata a depositare il ricorso ed aveva provveduto a notificare il ricorso e il decreto presidenziale di comparizione delle parti solo in data 22 luglio 2006.
2. – Avverso questa sentenza i ricorrenti proponevano ricorso per cassazione deducendo, in primo luogo, che, per il principio dell’ultrattivita’ del rito, la forma introduttiva dell’atto di appello doveva essere quella del procedimento di primo grado, dovendosi escludere, in mancanza di una espressa previsione, che il Decreto Legislativo n. 40 del 2006 avesse inciso su detto profilo, essendosi limitato a rendere appellabili le sentenze emesse nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione.
In secondo luogo, i ricorrenti denunciavano la violazione del principio di conservazione degli effetti dell’impugnazione ex articolo 159 c.p.c., comma 3, e del principio del giusto processo ex articolo 111 Cost., atteso che, ove vi sia incertezza sul corretto strumento impugnatorio da utilizzare, deve essere evitata la pronuncia di inammissibilita’ se – come avvenuto nella specie – siano stati rispettati i termini propri del modello impugnatorio concretamente utilizzato.
2.1. – A conclusione dei motivi, i ricorrenti formulavano quindi i seguenti quesiti:
1) Accerti la Corte se vi e’ stata violazione nel negare l’applicazione dell’invocato principio di “ultrattivita’ del rito”, sia pure di creazione giurisprudenziale, in forza del quale gli appellanti, in virtu’ del piu’ generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile e dei modi e delle forme della proposizione di esso debba avvenire con riferimento alla forma dell’atto introduttivo, per una tendenziale e naturale continuita’ tra rito del procedimento di primo grado e rito d’appello, hanno ritenuto di introdurre l’atto di appello con la forma del ricorso; dica per effetto dei suddetti principi se, in materia di sanzioni amministrative, sia corretto introdurre l’atto di appello con ricorso;
2) Accerti la Corte se vi e’ stata violazione del principio di conservazione degli effetti dell’impugnazione sancito ex articolo 159 c.p.c., comma 3; dica se in forza dello stesso ai fini dell’ammissibilita’ del gravame sia ininfluente la circostanza che l’appello sia stato introdotto con ricorso o con citazione, una volta che siano stati comunque rispettati i termini per l’impugnazione propri del modello impugnatorio concretamente utilizzato.
3. – L’amministrazione intimata non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.
4. – All’esito dell’udienza del 30 maggio 2012, la Sezione Seconda di questa Corte, con ordinanza 31 luglio 2012, n. 13723, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, segnalando la questione di particolare importanza relativa alla forma dell’appello (ricorso o citazione) nei confronti della sentenza emessa a seguito del rito speciale Legge n. 689 del 1981, ex articolo 23, nonche’, ove si ritenga che l’impugnazione debba essere effettuata con citazione e sia stata, invece, proposta con ricorso, se, ai fini della tempestivita’ dell’opposizione, debba farsi ricorso alla data della notifica del ricorso o a quella del deposito del medesimo in cancelleria.
L’ordinanza ha rilevato che su questi profili la Suprema Corte si e’ variamente pronunciata: nei procedimenti in cui l’appello va proposto con citazione, in particolare, si e’ ritenuto (Cass. sez. 3, n. 4498 del 2009 e n. 23412 del 2008) che il deposito del ricorso, anche se tempestivo, non e’ idoneo alla costituzione di un valido rapporto processuale che richiede che l’atto recettizio venga portato a conoscenza della parte nel termine perentorio di cui all’articolo 325 c.p.c. o articolo 327 cod. proc. civ.; correlativamente, nei procedimenti in cui l’appello va proposto con ricorso, la giurisprudenza consolidata esclude la sufficienza della notificazione dell’atto di citazione irregolarmente adottato, essendo necessario, per l’ammissibilita’ del gravame, che l’atto sia anche depositato nei termini.
4.1. – Nell’ordinanza di rimessione si e’, peraltro, rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8491 del 2011 in tema di condominio degli edifici, hanno ritenuto che l’impugnazione delle delibere di assemblea, in applicazione delle regole generali, debba essere proposta con atto di citazione ma hanno ugualmente considerato valida l’impugnazione presentata con ricorso alla sola condizione che l’atto risulti depositato tempestivamente in cancelleria e, dunque, senza necessita’ di estendere al compimento della notificazione l’osservanza del termine prescritto poiche’ tale ultima estensione non risponderebbe ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto e finirebbe per addossare sull’attore incombenti sottratti alla sua possibilita’ di azione.
L’ordinanza, nel ricordare tale affermazione di principio, sottolinea che la stessa sembra attenere ad una diversa e specifica fattispecie, la cui generalizzazione appare suscettibile di un effetto espansivo su un’ampia pluralita’ di fattispecie, rispetto alle quali, peraltro, verrebbe ribaltato l’attuale diverso e consolidato orientamento giurisdizionale.
5. – Il ricorso e’ stato assegnato alle Sezioni Unite ed e’ stato trattato alla pubblica udienza del 25 giugno 2013.
Il Tribunale di Foggia rigettava il ricorso.
Proposto appello, la Corte territoriale lo dichiarava inammissibile in quanto formulato a mezzo di ricorso anziche’ tramite citazione e, in ogni caso, tardivo poiche’ la notifica del decreto del giudice di comparizione delle parti era avvenuta oltre il trentesimo giorno dalla notifica della sentenza stessa. In particolare, la Corte territoriale rilevava che la sentenza impugnata era stata notificata in data 15 maggio 2006, per cui l’appello avrebbe dovuto essere notificato entro il termine breve di 30 giorni ex articolo 325 cod. proc. civ., mentre entro tale scadenza la parte si era limitata a depositare il ricorso ed aveva provveduto a notificare il ricorso e il decreto presidenziale di comparizione delle parti solo in data 22 luglio 2006.
2. – Avverso questa sentenza i ricorrenti proponevano ricorso per cassazione deducendo, in primo luogo, che, per il principio dell’ultrattivita’ del rito, la forma introduttiva dell’atto di appello doveva essere quella del procedimento di primo grado, dovendosi escludere, in mancanza di una espressa previsione, che il Decreto Legislativo n. 40 del 2006 avesse inciso su detto profilo, essendosi limitato a rendere appellabili le sentenze emesse nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione.
In secondo luogo, i ricorrenti denunciavano la violazione del principio di conservazione degli effetti dell’impugnazione ex articolo 159 c.p.c., comma 3, e del principio del giusto processo ex articolo 111 Cost., atteso che, ove vi sia incertezza sul corretto strumento impugnatorio da utilizzare, deve essere evitata la pronuncia di inammissibilita’ se – come avvenuto nella specie – siano stati rispettati i termini propri del modello impugnatorio concretamente utilizzato.
2.1. – A conclusione dei motivi, i ricorrenti formulavano quindi i seguenti quesiti:
1) Accerti la Corte se vi e’ stata violazione nel negare l’applicazione dell’invocato principio di “ultrattivita’ del rito”, sia pure di creazione giurisprudenziale, in forza del quale gli appellanti, in virtu’ del piu’ generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile e dei modi e delle forme della proposizione di esso debba avvenire con riferimento alla forma dell’atto introduttivo, per una tendenziale e naturale continuita’ tra rito del procedimento di primo grado e rito d’appello, hanno ritenuto di introdurre l’atto di appello con la forma del ricorso; dica per effetto dei suddetti principi se, in materia di sanzioni amministrative, sia corretto introdurre l’atto di appello con ricorso;
2) Accerti la Corte se vi e’ stata violazione del principio di conservazione degli effetti dell’impugnazione sancito ex articolo 159 c.p.c., comma 3; dica se in forza dello stesso ai fini dell’ammissibilita’ del gravame sia ininfluente la circostanza che l’appello sia stato introdotto con ricorso o con citazione, una volta che siano stati comunque rispettati i termini per l’impugnazione propri del modello impugnatorio concretamente utilizzato.
3. – L’amministrazione intimata non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.
4. – All’esito dell’udienza del 30 maggio 2012, la Sezione Seconda di questa Corte, con ordinanza 31 luglio 2012, n. 13723, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite, segnalando la questione di particolare importanza relativa alla forma dell’appello (ricorso o citazione) nei confronti della sentenza emessa a seguito del rito speciale Legge n. 689 del 1981, ex articolo 23, nonche’, ove si ritenga che l’impugnazione debba essere effettuata con citazione e sia stata, invece, proposta con ricorso, se, ai fini della tempestivita’ dell’opposizione, debba farsi ricorso alla data della notifica del ricorso o a quella del deposito del medesimo in cancelleria.
L’ordinanza ha rilevato che su questi profili la Suprema Corte si e’ variamente pronunciata: nei procedimenti in cui l’appello va proposto con citazione, in particolare, si e’ ritenuto (Cass. sez. 3, n. 4498 del 2009 e n. 23412 del 2008) che il deposito del ricorso, anche se tempestivo, non e’ idoneo alla costituzione di un valido rapporto processuale che richiede che l’atto recettizio venga portato a conoscenza della parte nel termine perentorio di cui all’articolo 325 c.p.c. o articolo 327 cod. proc. civ.; correlativamente, nei procedimenti in cui l’appello va proposto con ricorso, la giurisprudenza consolidata esclude la sufficienza della notificazione dell’atto di citazione irregolarmente adottato, essendo necessario, per l’ammissibilita’ del gravame, che l’atto sia anche depositato nei termini.
4.1. – Nell’ordinanza di rimessione si e’, peraltro, rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8491 del 2011 in tema di condominio degli edifici, hanno ritenuto che l’impugnazione delle delibere di assemblea, in applicazione delle regole generali, debba essere proposta con atto di citazione ma hanno ugualmente considerato valida l’impugnazione presentata con ricorso alla sola condizione che l’atto risulti depositato tempestivamente in cancelleria e, dunque, senza necessita’ di estendere al compimento della notificazione l’osservanza del termine prescritto poiche’ tale ultima estensione non risponderebbe ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto e finirebbe per addossare sull’attore incombenti sottratti alla sua possibilita’ di azione.
L’ordinanza, nel ricordare tale affermazione di principio, sottolinea che la stessa sembra attenere ad una diversa e specifica fattispecie, la cui generalizzazione appare suscettibile di un effetto espansivo su un’ampia pluralita’ di fattispecie, rispetto alle quali, peraltro, verrebbe ribaltato l’attuale diverso e consolidato orientamento giurisdizionale.
5. – Il ricorso e’ stato assegnato alle Sezioni Unite ed e’ stato trattato alla pubblica udienza del 25 giugno 2013.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – L’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione di questa Corte pone due questioni di particolare importanza: la prima, concernente la individuazione di quale debba essere la forma dell’appello avverso sentenze emesse in un giudizi di opposizione a sanzione amministrativa, introdotti con il rito di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, e segnatamente se il gravame debba essere proposto con ricorso o con citazione; la seconda, prospettata per l’eventualita’ in cui si ritenga che l’impugnazione debba essere effettuata con citazione e sia stata, invece, proposta con ricorso, se, ai fini della tempestivita’ dell’opposizione, debba farsi ricorso alla data della notifica del ricorso o a quella del deposito del medesimo in cancelleria.
2. – Occorre premettere che il ricorso oggetto del presente giudizio deve essere deciso sulla base della formulazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, quale risultante all’esito delle modificazioni introdotte dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26, che ha reso appellabili le sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006 (nonche’ le ordinanze di cui all’articolo 23, comma 5, della medesima legge, mentre sono rimaste ricorribili per cassazione le sole ordinanze emesse, inaudita altera parte, ai sensi dell’articolo 23, comma 1).
E’ noto, tuttavia, che il Decreto Legislativo n. 150 del 2011 ha disposto l’abrogazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 22, commi da 2 a 7 e articoli 22-bis e 23, e ha stabilito che i giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, introdotti dopo la data di entrata in vigore del citato decreto legislativo (6 ottobre 2011), siano regolati dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del medesimo Decreto Legislativo.
L’articolo 2 del medesimo Decreto Legislativo, infatti, dispone, al comma 1, che “nelle controversie disciplinate dal Capo 2 (rubricato “Delle controversie regolate dal rito del lavoro”), non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, l’articolo 413 c.p.c., articolo 415 c.p.c., comma 7, articoli 417, 417-bis e 420-bis c.p.c., articolo 421 c.p.c., comma 3, articoli 425, 426 e 427 c.p.c., articolo 429 c.p.c., comma 3, articolo 431 c.p.c., commi da 1 a 4 e comma 4, articolo 433 c.p.c., articolo 438 c.p.c., comma 2 e articolo 439 c.p.c.”; il che comporta che alle medesime controversie siano invece applicabili le disposizioni del codice di rito concernenti la disciplina dell’appello, ad eccezione di quelle di cui all’articolo 433, concernente la individuazione del “giudice d’appello”, all’articolo 438, comma 2, contenente il rinvio all’articolo 431, in tema di esecutorieta’ della sentenza, e all’articolo 439, concernente il cambiamento del rito in appello. In particolare, l’indubbia applicabilita’ al giudizio di cui all’articolo 6 dell’articolo 434 cod. proc. civ., che, sotto la rubrica “Deposito del ricorso in appello”, individua il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di appello, che deve, appunto, essere il ricorso, implica, non solo che le sentenze emesse nei giudizi di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6 (ma analoghe considerazioni valgono per quelle di cui all’articolo 7 in tema di opposizione al verbale di accertamento
di violazione del codice della strada) siano appellabili, ma che l’appello debba essere proposto nella forma del ricorso, con le modalita’ e nei termini ivi previsti.
3. – Quanto alla prima questione, il Collegio ritiene che al quesito debba rispondersi nel senso che l’appello avverso le sentenze pronunciate nei giudizi di opposizione a sanzione amministrativa di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, deve essere proposto nella forma della citazione.
La questione, invero, e’ gia’ stata oggetto di una esame da parte della Corte che, con diverse decisioni, si e’ orientata in senso favorevole a tale interpretazione.
Con l’ordinanza n. 14520 del 2009, in un caso in cui si trattava di stabilire se la difesa personale della parte, consentita dalla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, comma 4, si estendesse al giudizio di appello, si e’ ritenuto che la disposizione riguardasse esclusivamente le modalita’ di difesa della parte nel giudizio di opposizione che si svolge dinanzi al giudice di pace poiche’ la norma disciplina solo quel grado (ossia il primo) del procedimento, in deroga alle regole ordinarie, e trova giustificazione in ragione “della semplificazione delle forme del procedimento che la Legge n. 689 del 1981 ha informato ai principi di snellezza e di speditezza, avendo inteso assicurare il diretto accesso del cittadino a una effettiva e pronta tutela giurisdizionale”. Ma – si e’ osservato – una tale deroga, in assenza di alcuna specifica previsione contraria, “non ha ragion d’essere per il giudizio di appello che, per la complessita’ del procedimento, deve svolgersi dinanzi al tribunale secondo le regole ordinarie che rendono necessaria la difesa tecnica e che si armonizzano con la disciplina dettata in materia di appello dal capo 2 del titolo 3 del codice di procedura civile”.
Nella stessa prospettiva si pongono anche le decisioni di queste Sezioni Unite n. 23285 e n. 23286 del 2010 – che hanno escluso, ai fini della competenza territoriale relativa ai procedimenti d’appello avverso le sentenze emesse dal giudice di pace in materia di opposizione a sanzioni amministrative, l’applicabilita’ della regola del foro erariale stabilita nel Regio Decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, articolo 7 – sul rilievo della non condivisibilita’ dell’assunto della ultrattivita’ del rito di primo grado, in quanto il legislatore si e’ limitato ad assoggettare ad appello le sentenze e le ordinanze in questione senza null’altro disporre in merito. Da cio’ la conseguenza che, in base all’articolo 359 cod. proc. civ., il giudizio di gravame deve ritenersi retto dalle disposizioni che regolano il processo di primo grado innanzi al tribunale, con il solo limite della loro applicabilita’ e compatibilita’.
Di fronte a queste esplicite prese di posizione assumono quasi un valore di logico corollario le successive decisioni che hanno investito la specifica problematica qui in esame.
Con l’ordinanza n. 5826 del 2011, infatti, la Corte, nell’esaminare la questione della forma dell’appello contro le sentenze pronunciate all’esito di una opposizione Legge n. 689 del 1981, ex articolo 23, ha esplicitamente affermato che “il procedimento di secondo grado relativo all’impugnazione di una pronuncia del tribunale riguardante un’opposizione ad ordinanza ingiunzione si deve svolgere, dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26, secondo le regole generali del processo ordinario, sicche’ il procedimento stesso deve essere introdotto mediante atto di citazione tempestivamente notificato alla parte appellata e non con ricorso”; principio, questo, che e’ stato ribadito con le successive decisioni n. 2430 del 2012 e n. 3058 del 2012, quest’ultima pronunciata con un chiaro riferimento all’articolo 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1.
Si puo’ concludere, pertanto, che, allo stato, l’orientamento di legittimita’ conduce univocamente a ritenere che la forma dell’appello (per il periodo anteriore al 6 ottobre 2011, data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011), per le decisioni qui in esame, debba consistere nella citazione.
3.1. – Il Collegio condivide un simile approdo.
Militano a sostegno di tale conclusione i seguenti rilievi: a) la sicura natura di “rito generale ordinario” della disciplina dell’appello di cui agli articoli 339 e seguenti cod. proc. civ., cui va riconosciuta una naturale attitudine a regolare tutti i gravami di merito; b) il primato del rito ordinario sui riti speciali anche in secondo grado, enucleabile dal combinato disposto dell’articolo 40 c.p.c., comma 3 e articolo 359 cod. proc. civ., tanto piu’ che quest’ultima disposizione, nel rinviare alle norme del giudizio di primo grado, limita espressamente il richiamo al solo rito davanti al tribunale, e non anche ai riti speciali, con il solo limite di compatibilita’ delineato dagli articoli 339-358 cod. proc. civ.; c) il fatto che l’articolo 359 cod. proc. civ. opera come una norma di chiusura saldamente collocata all’interno del modello processuale generale, da cui la necessita’ di una lettura della norma coerente al sistema cui inerisce, caratterizzato da una rigorosa omogeneita’ tecnica (in particolare, sin dall’identita’ del momento dialettico iniziale: atto di citazione e comparsa di risposta); d) il fatto che, ove il legislatore ha voluto disegnare una disciplina speciale anche per il giudizio di secondo grado, lo ha fatto espressamente, come, ad esempio, per il rito del lavoro.
3.2. La possibilita’ che il giudizio di appello sia introdotto con ricorso viene invece affermata sul rilievo che l’articolo 359 cod. proc. civ. non sarebbe decisivo, atteso che il rito speciale sarebbe applicabile anche innanzi al tribunale (nelle ipotesi di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 22-bis), per cui troverebbe applicazione, in via riflessa, anche in appello. Tale soluzione, inoltre, si coniugherebbe con il principio della ultrattivita’ del rito, per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile e dei modi e delle forme della proposizione di esso dovrebbe avvenire con esclusivo riferimento alla qualificazione (anche implicita) dell’azione e del provvedimento del giudice. In tal modo, si realizzerebbe una omogeneita’ tra il primo e il secondo grado di giudizio che sarebbero uniti da una “identita’ strutturale”, dovendosi ritenere, quanto alle regole di rito inapplicabili sotto un profilo logico, che non venga in questione un problema di validita’ della procedura in appello ma solo un problema di compatibilita’, restando impregiudicati, quindi, gli specifici regimi processuali previsti per particolari riti.
3.2.1. Orbene, nessuna delle argomentazioni ora succintamente riferite appare idonea a dare fondamento alla tesi della possibilita’ di introdurre il giudizio di appello con ricorso anziche’ con citazione.
Invero, in assenza di una specifica previsione da parte del legislatore del 2006 in ordine alla forma del gravame dal medesimo istituito, non puo’ non risalirsi alla qualificazione del giudizio di opposizione di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, come un ordinario giudizio di cognizione. In particolare, questa Corte ha avuto modo di precisare che “il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa, disciplinato dalla Legge n. 689 del 1981, articoli 22 e 23, e’ strutturato, nelle sue linee generali, in conformita’ al modello del giudizio civile ordinario e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d’ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all’iniziativa di parte, nonche’ ai limiti della modificazione della causa petendi, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione” (Cass. n. 1173 del 2007; Cass. n. 20425 del 2006; Cass. n. 13667 del 2003; Cass. n. 9987 del 2003; Cass. n. 4704 del 1999; Cass. n. 11045 del 1998). In sintesi, “nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della Legge 24 novembre 1981, n. 689, si applicano le regole proprie del processo civile” (Cass. n. 20700 del 2006). E’ ben vero che le richiamate pronunce non potevano riferirsi alla forma dell’atto introduttivo, esplicitamente indicata nell’articolo 23 nel ricorso, e tuttavia per tutto quanto non espressamente previsto il procedimento doveva essere disciplinato dalle regole del giudizio ordinario di cognizione; sicche’, una volta introdotto il regime dell’appellabilita’, in assenza di espresse indicazioni da parte del legislatore, non avrebbe potuto farsi riferimento altro che alle regole dell’ordinario giudizio di cognizione, e quindi giungere alla conclusione della necessaria introduzione del giudizio di appello nella forma dell’atto di citazione, potendo il principio della ultrattivita’ del rito operare solo nei casi di esplicita previsione normativa (ad integrare la quale e’ sufficiente la previsione della forma camerale di trattazione del giudizio: v. ad esempio, la Legge n. 898 del 1970, articolo 4, come sostituito dalla Legge n. 74 del 1987, articolo 8; in tal senso, vedi anche Cass., S.U., n. 22848 del 2013, di cui si dira’; mentre non puo’ costituire un utile precedente in senso contrario Cass. n. 13564 del 2003, citata in ricorso, atteso che la stessa, nel ritenere che l’appello avverso un provvedimento avente natura di sentenza, emesso ai sensi dell’articolo 669-novies cod. proc. civ., dovesse essere proposto con ricorso a prescindere da una positiva previsione normativa, richiama la disciplina di cui alla Legge n. 74 del 1987, che invece la detta esplicita previsione conteneva). Non a caso, del resto, nello stabilire che le controversie di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 22 sono regolate dal rito del lavoro, il legislatore, rendendo applicabile l’articolo 434 cod. proc. civ. alle controversie di cui all’articolo 6, ha, come gia’ rilevato, inteso individuare il ricorso quale forma dell’atto introduttivo anche del giudizio di appello.
3.3. – Alla prima questione posta dalla ordinanza di rimessione deve quindi darsi la seguente risposta: nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (e in genere a sanzione amministrativa), introdotti nella vigenza della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, come modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26, e prima della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, l’appello deve essere proposto nella forma della citazione e non gia’ con ricorso.
4. – La soluzione data alla prima questione impone di procedere all’esame della questione di quale sia la sorte dell’appello proposto, come nel caso di specie, con ricorso e non con citazione.
4.1. – La giurisprudenza di questa Corte e’ saldamente orientata nel senso che, dovendosi nel rito ordinario proporre l’appello con citazione, nel caso in cui l’impugnazione sia stata invece proposta mediante ricorso, la sanatoria e’ ammissibile solo se tale atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice competente, ma anche notificato alla controparte nel termine perentorio di cui all’articolo 325 cod. proc. civ. (Cass. n. 11657 del 1998; Cass. n. 23412 del 2008; Cass. n. 4498 del 2009; Cass. n. 6412 del 2011; Cass. n. 5826 del 2011; Cass. n. 12290 del 2011; Cass. n. 2430 del 2012; Cass. n. 3058 del 2012; da ultimo, Cass., S.U., n. 21675 e n. 22848 del 2013).
Il principio – si e’ chiarito – trova applicazione anche quando l’appello abbia ad oggetto una questione che, ratione materiae, avrebbe dovuto essere trattata in primo grado con il rito del lavoro e che, invece, sia stata assoggettata a rito ordinario. Anche in questo caso, infatti, l’appello proposto mediante ricorso in tanto e’ ritenuto ammissibile in quanto tale atto sia stato non solo depositato in cancelleria, ma tempestivamente notificato alla controparte a norma degli articoli 325 e 327 cod. proc. civ. (Cass. n. 2543 del 1990; Cass. n. 2518 del 1991; Cass. n. 7173 del 1997; Cass. n. 7672 del 2000).
4.2. – Specularmente, quando l’appello deve essere proposto mediante ricorso, la giurisprudenza di questa Corte costantemente ritiene ammissibile la sanatoria dell’impugnazione introdotta mediante citazione purche’ questa risulti non solo notificata, ma anche depositata in cancelleria nel termine perentorio di legge (Cass., S.U., n. 4876 del 1991; Cass. n. 10251 del 1994; Cass. n. 14100 del 2000; Cass. n. 1396 del 2001; Cass. n. 5150 del 2004; Cass. n. 13422 del 2004; Cass. n. 13660 del 2004; Cass. n. 8947 del 2006; Cass. n. 17645 del 2007; Cass. n. 9530 del 2010; Cass. n. 21161 del 2011).
4.3. – Il richiamato radicato orientamento presenta un ineccepibile fondamento.
La conversione, ai sensi dell’articolo 156 cod. proc. civ., di un atto introduttivo non conformato allo specifico modello legale del procedimento che intende introdurre puo’, infatti, realizzarsi solo se l’atto da convertire sia dotato di tutti i requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo dell’utile introduzione del procedimento secondo lo schema legale prescritto. Ne consegue che – in caso di impugnazione irritualmente proposta con ricorso anziche’ con citazione, la conversione si verifica soltanto in caso di tempestiva notificazione dell’improprio atto alla controparte (costituendo la notificazione dell’atto, nei giudizi da introdursi con citazione, il momento cui e’ collegata l’utile instaurazione del rapporto processuale); viceversa, nel caso di impugnazione irritualmente proposta con citazione anziche’ con ricorso, la conversione si verifica soltanto in caso di tempestivo deposito dell’atto nella cancelleria del giudice adito, posto che, nei procedimenti da iniziarsi con ricorso, e’ proprio quello l’adempimento al quale e’ subordinato il tempestivo compimento dell’atto.
5. – La questione ha formato di recente oggetto di esame da parte di queste Sezioni Unite, con riguardo, da un lato, al procedimento di cui alla Legge n. 749 del 1942, articoli 28 e 29 e, dall’altro, all’appello avverso il provvedimento di reiezione del reclamo proposto nei confronti della declaratoria di estinzione del processo pronunciata dal giudice istruttore.
Nel primo caso, si e’ affermato il principio di diritto per cui “ai sensi della Legge 13 giugno 1942, n. 794 (applicabile ratione temporis), l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile deve proporsi con atto di citazione, sicche’, qualora l’opponente abbia introdotto il corrispondente giudizio con ricorso, la sanatoria del vizio procedurale – operante quando, con la regolare instaurazione del contraddittorio, conseguente alla costituzione della controparte in assenza di eccezione alcuna, sia stato raggiunto lo scopo dell’atto, in virtu’ del principio di conversione degli atti processuali nulli di cui all’articolo 156 cod. proc. civ. – sussiste alla condizione che il ricorso venga notificato nel termine indicato nel decreto, analogamente a come si sarebbe dovuto procedere con l’atto di citazione” (Cass. S.U., n. 21675 del 2013, pronunciata all’esito dell’udienza in data 26 marzo 2013).
Nel secondo caso si e’ affermato il principio per cui “l’appello avverso la sentenza resa ex articolo 308 c.p.c., comma 2, reiettiva del reclamo contro la declaratoria di estinzione del processo pronunciata dal giudice istruttore, promosso con citazione anziche’ con ricorso e’ suscettibile di sanatoria, in via di conversione ex articolo 156 cod. proc. civ., a condizione che, nel termine previsto dalla legge, l’atto sia stato non solo notificato alla controparte, ma anche depositato nella cancelleria del giudice” (Cass. n. 22848 del 2013).
5.1. – In entrambe le decisioni da ultimo citate, si e’ rilevato che queste Sezioni Unite sono pervenute a una diversa soluzione in tema di sanatoria dell’impugnazione della delibera dell’assemblea condominiale.
Con la sentenza del 14 aprile 2011, n. 8491, infatti, precisato che l’impugnazione delle delibere condominiali si propone con citazione, e non con ricorso – come prevalentemente opinato dalla giurisprudenza di questa Corte -, il problema dell’ammissibilita’ della sanatoria dell’impugnazione spiegata a mezzo di ricorso e’ stato risolto ritenendo che questo puo’ essere considerato tempestivo anche all’esito del semplice deposito in cancelleria nel termine perentorio previsto dalla legge, restando cosi’ irrilevante la circostanza che la notificazione dell’atto avvenga in un momento successivo.
Nella sentenza n. 21675 del 2013, condivisa dalla successiva n. 22848 del 2013, tuttavia, queste Sezioni Unite hanno puntualizzato come la diversa soluzione adottata in tema di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea condominiale proposta con ricorso anziche’ con citazione – soluzione ispirata, sul piano funzionale (alla luce dei principi del giusto processo e dell’affidamento in buona fede su prassi interpretative processuali consolidate, come riconosciuto da questa corte con la sentenza n. 15144 del 2011), dall’intento di evitare conseguenze pregiudizievoli, sul piano delle preclusioni processuali, alle impugnazioni proposte sotto forma di ricorso – trovi giustificazione nella specificita’ morfologica e funzionale dell’atto impugnato (delibera di assemblea condominiale) e, conseguentemente, della relativa opposizione; e cio’ anche perche’ la imposizione del termine di cui all’articolo 1137 c.c., comma 3, risponde esclusivamente ad esigenze di certezza facenti capo al condominio ed attinenti a materia non sottratta alla disponibilita’ delle parti, tanto che (diversamente da quanto avviene in caso di inosservanza dei termini per la proposizione dell’appello o di altri mezzi di impugnazione di pronunzie giudiziali, che rispondono ad interessi di carattere pubblicistici) l’inosservanza del termine decadenziale in questione non e’ rilevabile d’ufficio dal giudice, ma puo’ essere eccepita, appunto, solo (e tempestivamente) dal condominio convenuto (Cass. n. 4009 del 1995; Cass. n. 15131 del 2001; Cass. n. 8216 del 2005).
In conclusione, si e’ ritenuto che il suddetto principio non possa trovare alcuna, piu’ generale applicazione al di fuori dell’ambito della impugnazione di delibere condominiali, apparendo del tutto indubitabile che, per valutare la tempestivita’ di una impugnazione da proporsi con atto di citazione, occorra fare riferimento alla data di notifica dell’atto e non alla data del suo deposito nella cancelleria del giudice ad quem, sicche’ la forma del ricorso non potrebbe mai considerarsi, in quanto tale, idonea al raggiungimento dello scopo dell’atto di citazione, in assenza di uno degli elementi essenziali a tale fine, quale la vocatio in ius.
6. – Alla seconda questione deve quindi rispondersi affermando il seguente principio di diritto: “L’appello avverso sentenze pronunciate ai sensi della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, in giudizi che abbiano avuto inizio prima della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, introdotto con ricorso anziche’ con citazione, e’ suscettibile di sanatoria, ai sensi dell’articolo 156 cod. proc. civ., alla condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma notificato alla controparte”.
7. – Venendo quindi all’esame del ricorso introduttivo del presente giudizio, lo stesso si appalesa infondato, atteso che la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che l’appello dovesse essere introdotto con citazione e non, come fatto dall’appellante, con ricorso, e che non poteva operare la conversione dell’atto, atteso che doveva aversi riguardo alla data di notificazione della impugnazione, risultando irrilevante l’avvenuto deposito del ricorso entro il termine di trenta giorni previsto per la proposizione della impugnazione stessa.
I quesiti proposti con i due motivi di ricorso trovano quindi risposta nei principi di diritto affermati in precedenza.
7.1. – Si deve solo aggiungere che non vi e’ luogo, nel caso di specie, a discorrere di rimessione in termini. Non si e’, infatti, in presenza di un mutamento di orientamento giurisprudenziale in ordine alla interpretazione di norme processuali (Cass., S.U., n. 15144 del 2011), ma unicamente di incertezze interpretative in ordine alle modalita’ introduttive del giudizio di appello in materia di opposizione a sanzioni amministrative, in assenza di un consolidato orientamento poi disatteso da un successivo pronunciamento. Si e’ quindi al di fuori dell’ambito di applicabilita’ dell’istituto della rimessione in termini.
8. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
In considerazione del fatto che, ai fini della soluzione delle questioni poste dal ricorso, e’ stato necessario l’intervento di queste Sezioni Unite, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
2. – Occorre premettere che il ricorso oggetto del presente giudizio deve essere deciso sulla base della formulazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, quale risultante all’esito delle modificazioni introdotte dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26, che ha reso appellabili le sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006 (nonche’ le ordinanze di cui all’articolo 23, comma 5, della medesima legge, mentre sono rimaste ricorribili per cassazione le sole ordinanze emesse, inaudita altera parte, ai sensi dell’articolo 23, comma 1).
E’ noto, tuttavia, che il Decreto Legislativo n. 150 del 2011 ha disposto l’abrogazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 22, commi da 2 a 7 e articoli 22-bis e 23, e ha stabilito che i giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, introdotti dopo la data di entrata in vigore del citato decreto legislativo (6 ottobre 2011), siano regolati dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dalle disposizioni del medesimo Decreto Legislativo.
L’articolo 2 del medesimo Decreto Legislativo, infatti, dispone, al comma 1, che “nelle controversie disciplinate dal Capo 2 (rubricato “Delle controversie regolate dal rito del lavoro”), non si applicano, salvo che siano espressamente richiamati, l’articolo 413 c.p.c., articolo 415 c.p.c., comma 7, articoli 417, 417-bis e 420-bis c.p.c., articolo 421 c.p.c., comma 3, articoli 425, 426 e 427 c.p.c., articolo 429 c.p.c., comma 3, articolo 431 c.p.c., commi da 1 a 4 e comma 4, articolo 433 c.p.c., articolo 438 c.p.c., comma 2 e articolo 439 c.p.c.”; il che comporta che alle medesime controversie siano invece applicabili le disposizioni del codice di rito concernenti la disciplina dell’appello, ad eccezione di quelle di cui all’articolo 433, concernente la individuazione del “giudice d’appello”, all’articolo 438, comma 2, contenente il rinvio all’articolo 431, in tema di esecutorieta’ della sentenza, e all’articolo 439, concernente il cambiamento del rito in appello. In particolare, l’indubbia applicabilita’ al giudizio di cui all’articolo 6 dell’articolo 434 cod. proc. civ., che, sotto la rubrica “Deposito del ricorso in appello”, individua il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di appello, che deve, appunto, essere il ricorso, implica, non solo che le sentenze emesse nei giudizi di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 6 (ma analoghe considerazioni valgono per quelle di cui all’articolo 7 in tema di opposizione al verbale di accertamento
di violazione del codice della strada) siano appellabili, ma che l’appello debba essere proposto nella forma del ricorso, con le modalita’ e nei termini ivi previsti.
3. – Quanto alla prima questione, il Collegio ritiene che al quesito debba rispondersi nel senso che l’appello avverso le sentenze pronunciate nei giudizi di opposizione a sanzione amministrativa di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, deve essere proposto nella forma della citazione.
La questione, invero, e’ gia’ stata oggetto di una esame da parte della Corte che, con diverse decisioni, si e’ orientata in senso favorevole a tale interpretazione.
Con l’ordinanza n. 14520 del 2009, in un caso in cui si trattava di stabilire se la difesa personale della parte, consentita dalla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, comma 4, si estendesse al giudizio di appello, si e’ ritenuto che la disposizione riguardasse esclusivamente le modalita’ di difesa della parte nel giudizio di opposizione che si svolge dinanzi al giudice di pace poiche’ la norma disciplina solo quel grado (ossia il primo) del procedimento, in deroga alle regole ordinarie, e trova giustificazione in ragione “della semplificazione delle forme del procedimento che la Legge n. 689 del 1981 ha informato ai principi di snellezza e di speditezza, avendo inteso assicurare il diretto accesso del cittadino a una effettiva e pronta tutela giurisdizionale”. Ma – si e’ osservato – una tale deroga, in assenza di alcuna specifica previsione contraria, “non ha ragion d’essere per il giudizio di appello che, per la complessita’ del procedimento, deve svolgersi dinanzi al tribunale secondo le regole ordinarie che rendono necessaria la difesa tecnica e che si armonizzano con la disciplina dettata in materia di appello dal capo 2 del titolo 3 del codice di procedura civile”.
Nella stessa prospettiva si pongono anche le decisioni di queste Sezioni Unite n. 23285 e n. 23286 del 2010 – che hanno escluso, ai fini della competenza territoriale relativa ai procedimenti d’appello avverso le sentenze emesse dal giudice di pace in materia di opposizione a sanzioni amministrative, l’applicabilita’ della regola del foro erariale stabilita nel Regio Decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, articolo 7 – sul rilievo della non condivisibilita’ dell’assunto della ultrattivita’ del rito di primo grado, in quanto il legislatore si e’ limitato ad assoggettare ad appello le sentenze e le ordinanze in questione senza null’altro disporre in merito. Da cio’ la conseguenza che, in base all’articolo 359 cod. proc. civ., il giudizio di gravame deve ritenersi retto dalle disposizioni che regolano il processo di primo grado innanzi al tribunale, con il solo limite della loro applicabilita’ e compatibilita’.
Di fronte a queste esplicite prese di posizione assumono quasi un valore di logico corollario le successive decisioni che hanno investito la specifica problematica qui in esame.
Con l’ordinanza n. 5826 del 2011, infatti, la Corte, nell’esaminare la questione della forma dell’appello contro le sentenze pronunciate all’esito di una opposizione Legge n. 689 del 1981, ex articolo 23, ha esplicitamente affermato che “il procedimento di secondo grado relativo all’impugnazione di una pronuncia del tribunale riguardante un’opposizione ad ordinanza ingiunzione si deve svolgere, dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26, secondo le regole generali del processo ordinario, sicche’ il procedimento stesso deve essere introdotto mediante atto di citazione tempestivamente notificato alla parte appellata e non con ricorso”; principio, questo, che e’ stato ribadito con le successive decisioni n. 2430 del 2012 e n. 3058 del 2012, quest’ultima pronunciata con un chiaro riferimento all’articolo 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1.
Si puo’ concludere, pertanto, che, allo stato, l’orientamento di legittimita’ conduce univocamente a ritenere che la forma dell’appello (per il periodo anteriore al 6 ottobre 2011, data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011), per le decisioni qui in esame, debba consistere nella citazione.
3.1. – Il Collegio condivide un simile approdo.
Militano a sostegno di tale conclusione i seguenti rilievi: a) la sicura natura di “rito generale ordinario” della disciplina dell’appello di cui agli articoli 339 e seguenti cod. proc. civ., cui va riconosciuta una naturale attitudine a regolare tutti i gravami di merito; b) il primato del rito ordinario sui riti speciali anche in secondo grado, enucleabile dal combinato disposto dell’articolo 40 c.p.c., comma 3 e articolo 359 cod. proc. civ., tanto piu’ che quest’ultima disposizione, nel rinviare alle norme del giudizio di primo grado, limita espressamente il richiamo al solo rito davanti al tribunale, e non anche ai riti speciali, con il solo limite di compatibilita’ delineato dagli articoli 339-358 cod. proc. civ.; c) il fatto che l’articolo 359 cod. proc. civ. opera come una norma di chiusura saldamente collocata all’interno del modello processuale generale, da cui la necessita’ di una lettura della norma coerente al sistema cui inerisce, caratterizzato da una rigorosa omogeneita’ tecnica (in particolare, sin dall’identita’ del momento dialettico iniziale: atto di citazione e comparsa di risposta); d) il fatto che, ove il legislatore ha voluto disegnare una disciplina speciale anche per il giudizio di secondo grado, lo ha fatto espressamente, come, ad esempio, per il rito del lavoro.
3.2. La possibilita’ che il giudizio di appello sia introdotto con ricorso viene invece affermata sul rilievo che l’articolo 359 cod. proc. civ. non sarebbe decisivo, atteso che il rito speciale sarebbe applicabile anche innanzi al tribunale (nelle ipotesi di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 22-bis), per cui troverebbe applicazione, in via riflessa, anche in appello. Tale soluzione, inoltre, si coniugherebbe con il principio della ultrattivita’ del rito, per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile e dei modi e delle forme della proposizione di esso dovrebbe avvenire con esclusivo riferimento alla qualificazione (anche implicita) dell’azione e del provvedimento del giudice. In tal modo, si realizzerebbe una omogeneita’ tra il primo e il secondo grado di giudizio che sarebbero uniti da una “identita’ strutturale”, dovendosi ritenere, quanto alle regole di rito inapplicabili sotto un profilo logico, che non venga in questione un problema di validita’ della procedura in appello ma solo un problema di compatibilita’, restando impregiudicati, quindi, gli specifici regimi processuali previsti per particolari riti.
3.2.1. Orbene, nessuna delle argomentazioni ora succintamente riferite appare idonea a dare fondamento alla tesi della possibilita’ di introdurre il giudizio di appello con ricorso anziche’ con citazione.
Invero, in assenza di una specifica previsione da parte del legislatore del 2006 in ordine alla forma del gravame dal medesimo istituito, non puo’ non risalirsi alla qualificazione del giudizio di opposizione di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 23, come un ordinario giudizio di cognizione. In particolare, questa Corte ha avuto modo di precisare che “il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa, disciplinato dalla Legge n. 689 del 1981, articoli 22 e 23, e’ strutturato, nelle sue linee generali, in conformita’ al modello del giudizio civile ordinario e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d’ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all’iniziativa di parte, nonche’ ai limiti della modificazione della causa petendi, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione” (Cass. n. 1173 del 2007; Cass. n. 20425 del 2006; Cass. n. 13667 del 2003; Cass. n. 9987 del 2003; Cass. n. 4704 del 1999; Cass. n. 11045 del 1998). In sintesi, “nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della Legge 24 novembre 1981, n. 689, si applicano le regole proprie del processo civile” (Cass. n. 20700 del 2006). E’ ben vero che le richiamate pronunce non potevano riferirsi alla forma dell’atto introduttivo, esplicitamente indicata nell’articolo 23 nel ricorso, e tuttavia per tutto quanto non espressamente previsto il procedimento doveva essere disciplinato dalle regole del giudizio ordinario di cognizione; sicche’, una volta introdotto il regime dell’appellabilita’, in assenza di espresse indicazioni da parte del legislatore, non avrebbe potuto farsi riferimento altro che alle regole dell’ordinario giudizio di cognizione, e quindi giungere alla conclusione della necessaria introduzione del giudizio di appello nella forma dell’atto di citazione, potendo il principio della ultrattivita’ del rito operare solo nei casi di esplicita previsione normativa (ad integrare la quale e’ sufficiente la previsione della forma camerale di trattazione del giudizio: v. ad esempio, la Legge n. 898 del 1970, articolo 4, come sostituito dalla Legge n. 74 del 1987, articolo 8; in tal senso, vedi anche Cass., S.U., n. 22848 del 2013, di cui si dira’; mentre non puo’ costituire un utile precedente in senso contrario Cass. n. 13564 del 2003, citata in ricorso, atteso che la stessa, nel ritenere che l’appello avverso un provvedimento avente natura di sentenza, emesso ai sensi dell’articolo 669-novies cod. proc. civ., dovesse essere proposto con ricorso a prescindere da una positiva previsione normativa, richiama la disciplina di cui alla Legge n. 74 del 1987, che invece la detta esplicita previsione conteneva). Non a caso, del resto, nello stabilire che le controversie di cui alla Legge n. 689 del 1981, articolo 22 sono regolate dal rito del lavoro, il legislatore, rendendo applicabile l’articolo 434 cod. proc. civ. alle controversie di cui all’articolo 6, ha, come gia’ rilevato, inteso individuare il ricorso quale forma dell’atto introduttivo anche del giudizio di appello.
3.3. – Alla prima questione posta dalla ordinanza di rimessione deve quindi darsi la seguente risposta: nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (e in genere a sanzione amministrativa), introdotti nella vigenza della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, come modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 26, e prima della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, l’appello deve essere proposto nella forma della citazione e non gia’ con ricorso.
4. – La soluzione data alla prima questione impone di procedere all’esame della questione di quale sia la sorte dell’appello proposto, come nel caso di specie, con ricorso e non con citazione.
4.1. – La giurisprudenza di questa Corte e’ saldamente orientata nel senso che, dovendosi nel rito ordinario proporre l’appello con citazione, nel caso in cui l’impugnazione sia stata invece proposta mediante ricorso, la sanatoria e’ ammissibile solo se tale atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice competente, ma anche notificato alla controparte nel termine perentorio di cui all’articolo 325 cod. proc. civ. (Cass. n. 11657 del 1998; Cass. n. 23412 del 2008; Cass. n. 4498 del 2009; Cass. n. 6412 del 2011; Cass. n. 5826 del 2011; Cass. n. 12290 del 2011; Cass. n. 2430 del 2012; Cass. n. 3058 del 2012; da ultimo, Cass., S.U., n. 21675 e n. 22848 del 2013).
Il principio – si e’ chiarito – trova applicazione anche quando l’appello abbia ad oggetto una questione che, ratione materiae, avrebbe dovuto essere trattata in primo grado con il rito del lavoro e che, invece, sia stata assoggettata a rito ordinario. Anche in questo caso, infatti, l’appello proposto mediante ricorso in tanto e’ ritenuto ammissibile in quanto tale atto sia stato non solo depositato in cancelleria, ma tempestivamente notificato alla controparte a norma degli articoli 325 e 327 cod. proc. civ. (Cass. n. 2543 del 1990; Cass. n. 2518 del 1991; Cass. n. 7173 del 1997; Cass. n. 7672 del 2000).
4.2. – Specularmente, quando l’appello deve essere proposto mediante ricorso, la giurisprudenza di questa Corte costantemente ritiene ammissibile la sanatoria dell’impugnazione introdotta mediante citazione purche’ questa risulti non solo notificata, ma anche depositata in cancelleria nel termine perentorio di legge (Cass., S.U., n. 4876 del 1991; Cass. n. 10251 del 1994; Cass. n. 14100 del 2000; Cass. n. 1396 del 2001; Cass. n. 5150 del 2004; Cass. n. 13422 del 2004; Cass. n. 13660 del 2004; Cass. n. 8947 del 2006; Cass. n. 17645 del 2007; Cass. n. 9530 del 2010; Cass. n. 21161 del 2011).
4.3. – Il richiamato radicato orientamento presenta un ineccepibile fondamento.
La conversione, ai sensi dell’articolo 156 cod. proc. civ., di un atto introduttivo non conformato allo specifico modello legale del procedimento che intende introdurre puo’, infatti, realizzarsi solo se l’atto da convertire sia dotato di tutti i requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo dell’utile introduzione del procedimento secondo lo schema legale prescritto. Ne consegue che – in caso di impugnazione irritualmente proposta con ricorso anziche’ con citazione, la conversione si verifica soltanto in caso di tempestiva notificazione dell’improprio atto alla controparte (costituendo la notificazione dell’atto, nei giudizi da introdursi con citazione, il momento cui e’ collegata l’utile instaurazione del rapporto processuale); viceversa, nel caso di impugnazione irritualmente proposta con citazione anziche’ con ricorso, la conversione si verifica soltanto in caso di tempestivo deposito dell’atto nella cancelleria del giudice adito, posto che, nei procedimenti da iniziarsi con ricorso, e’ proprio quello l’adempimento al quale e’ subordinato il tempestivo compimento dell’atto.
5. – La questione ha formato di recente oggetto di esame da parte di queste Sezioni Unite, con riguardo, da un lato, al procedimento di cui alla Legge n. 749 del 1942, articoli 28 e 29 e, dall’altro, all’appello avverso il provvedimento di reiezione del reclamo proposto nei confronti della declaratoria di estinzione del processo pronunciata dal giudice istruttore.
Nel primo caso, si e’ affermato il principio di diritto per cui “ai sensi della Legge 13 giugno 1942, n. 794 (applicabile ratione temporis), l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile deve proporsi con atto di citazione, sicche’, qualora l’opponente abbia introdotto il corrispondente giudizio con ricorso, la sanatoria del vizio procedurale – operante quando, con la regolare instaurazione del contraddittorio, conseguente alla costituzione della controparte in assenza di eccezione alcuna, sia stato raggiunto lo scopo dell’atto, in virtu’ del principio di conversione degli atti processuali nulli di cui all’articolo 156 cod. proc. civ. – sussiste alla condizione che il ricorso venga notificato nel termine indicato nel decreto, analogamente a come si sarebbe dovuto procedere con l’atto di citazione” (Cass. S.U., n. 21675 del 2013, pronunciata all’esito dell’udienza in data 26 marzo 2013).
Nel secondo caso si e’ affermato il principio per cui “l’appello avverso la sentenza resa ex articolo 308 c.p.c., comma 2, reiettiva del reclamo contro la declaratoria di estinzione del processo pronunciata dal giudice istruttore, promosso con citazione anziche’ con ricorso e’ suscettibile di sanatoria, in via di conversione ex articolo 156 cod. proc. civ., a condizione che, nel termine previsto dalla legge, l’atto sia stato non solo notificato alla controparte, ma anche depositato nella cancelleria del giudice” (Cass. n. 22848 del 2013).
5.1. – In entrambe le decisioni da ultimo citate, si e’ rilevato che queste Sezioni Unite sono pervenute a una diversa soluzione in tema di sanatoria dell’impugnazione della delibera dell’assemblea condominiale.
Con la sentenza del 14 aprile 2011, n. 8491, infatti, precisato che l’impugnazione delle delibere condominiali si propone con citazione, e non con ricorso – come prevalentemente opinato dalla giurisprudenza di questa Corte -, il problema dell’ammissibilita’ della sanatoria dell’impugnazione spiegata a mezzo di ricorso e’ stato risolto ritenendo che questo puo’ essere considerato tempestivo anche all’esito del semplice deposito in cancelleria nel termine perentorio previsto dalla legge, restando cosi’ irrilevante la circostanza che la notificazione dell’atto avvenga in un momento successivo.
Nella sentenza n. 21675 del 2013, condivisa dalla successiva n. 22848 del 2013, tuttavia, queste Sezioni Unite hanno puntualizzato come la diversa soluzione adottata in tema di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea condominiale proposta con ricorso anziche’ con citazione – soluzione ispirata, sul piano funzionale (alla luce dei principi del giusto processo e dell’affidamento in buona fede su prassi interpretative processuali consolidate, come riconosciuto da questa corte con la sentenza n. 15144 del 2011), dall’intento di evitare conseguenze pregiudizievoli, sul piano delle preclusioni processuali, alle impugnazioni proposte sotto forma di ricorso – trovi giustificazione nella specificita’ morfologica e funzionale dell’atto impugnato (delibera di assemblea condominiale) e, conseguentemente, della relativa opposizione; e cio’ anche perche’ la imposizione del termine di cui all’articolo 1137 c.c., comma 3, risponde esclusivamente ad esigenze di certezza facenti capo al condominio ed attinenti a materia non sottratta alla disponibilita’ delle parti, tanto che (diversamente da quanto avviene in caso di inosservanza dei termini per la proposizione dell’appello o di altri mezzi di impugnazione di pronunzie giudiziali, che rispondono ad interessi di carattere pubblicistici) l’inosservanza del termine decadenziale in questione non e’ rilevabile d’ufficio dal giudice, ma puo’ essere eccepita, appunto, solo (e tempestivamente) dal condominio convenuto (Cass. n. 4009 del 1995; Cass. n. 15131 del 2001; Cass. n. 8216 del 2005).
In conclusione, si e’ ritenuto che il suddetto principio non possa trovare alcuna, piu’ generale applicazione al di fuori dell’ambito della impugnazione di delibere condominiali, apparendo del tutto indubitabile che, per valutare la tempestivita’ di una impugnazione da proporsi con atto di citazione, occorra fare riferimento alla data di notifica dell’atto e non alla data del suo deposito nella cancelleria del giudice ad quem, sicche’ la forma del ricorso non potrebbe mai considerarsi, in quanto tale, idonea al raggiungimento dello scopo dell’atto di citazione, in assenza di uno degli elementi essenziali a tale fine, quale la vocatio in ius.
6. – Alla seconda questione deve quindi rispondersi affermando il seguente principio di diritto: “L’appello avverso sentenze pronunciate ai sensi della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, in giudizi che abbiano avuto inizio prima della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 150 del 2011, introdotto con ricorso anziche’ con citazione, e’ suscettibile di sanatoria, ai sensi dell’articolo 156 cod. proc. civ., alla condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma notificato alla controparte”.
7. – Venendo quindi all’esame del ricorso introduttivo del presente giudizio, lo stesso si appalesa infondato, atteso che la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che l’appello dovesse essere introdotto con citazione e non, come fatto dall’appellante, con ricorso, e che non poteva operare la conversione dell’atto, atteso che doveva aversi riguardo alla data di notificazione della impugnazione, risultando irrilevante l’avvenuto deposito del ricorso entro il termine di trenta giorni previsto per la proposizione della impugnazione stessa.
I quesiti proposti con i due motivi di ricorso trovano quindi risposta nei principi di diritto affermati in precedenza.
7.1. – Si deve solo aggiungere che non vi e’ luogo, nel caso di specie, a discorrere di rimessione in termini. Non si e’, infatti, in presenza di un mutamento di orientamento giurisprudenziale in ordine alla interpretazione di norme processuali (Cass., S.U., n. 15144 del 2011), ma unicamente di incertezze interpretative in ordine alle modalita’ introduttive del giudizio di appello in materia di opposizione a sanzioni amministrative, in assenza di un consolidato orientamento poi disatteso da un successivo pronunciamento. Si e’ quindi al di fuori dell’ambito di applicabilita’ dell’istituto della rimessione in termini.
8. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
In considerazione del fatto che, ai fini della soluzione delle questioni poste dal ricorso, e’ stato necessario l’intervento di queste Sezioni Unite, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimita’.
Leave a Reply