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4.1. Sotto il primo profilo, ritengono le Sezioni Unite che la ricerca della eventuale esistenza di un rapporto di specialita’ nei sensi di cui all’articolo 15 cod. pen. – per come intesa tradizionalmente dalla giurisprudenza di legittimita’ – e quindi la individuazione di un nucleo comune presente in entrambe le discipline in questione, con aggiunta di uno o piu’ elementi specializzanti in assenza dei quali la norma speciale torni ad essere integralmente sostituibile dalla norma generale, non sia l’operazione ermeneutica in grado di dare una risposta soddisfacente ed una chiave di lettura utile al rapporto fra il Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34 e l’articolo 131-bis cod. pen..
E’ da escludere infatti che tra l’articolo 34 e l’articolo 131-bis c.p. sia ravvisabile un rapporto di tal fatta, essendo, ognuno dei due precetti, portatore di elementi specializzanti che valgono, semmai, a qualificarlo come rapporto di “interferenza”; d’altra parte, neanche il ricorso alla nozione di “specialita’ reciproca” fornirebbe un criterio risolutivo per il superamento di un ipotetico concorso apparente di norme, tenuto conto che essa non risulta elaborata, dalla giurisprudenza, per la selezione della fattispecie da far prevalere sull’altra ma per sostenerne la coesistenza.
Piuttosto, l’articolo 16 cod. pen. mostra che si debba applicare il principio generale di espansivita’ delle disposizioni codicistiche alle materie regolate da altre leggi penali – cioe’ quelle speciali, come recita la rubrica della norma – con l’espresso limite derivante dal fatto che queste ultime, sulle stesse materie, abbiano gia’ stabilito altrimenti: un limite che ha la natura di una clausola di salvaguardia della disciplina speciale, complessivamente richiamata.
Il rapporto da istituire, per verificare l’operativita’ in concreto di tale limite, e’ cioe’ quello che riguarda non gia’ singoli precetti che compongono l’intero disegno del procedimento o della legge speciale, bensi’ quegli stessi istituti nel ruolo e nella funzione che svolgono all’interno del sistema di riferimento.
In altri termini, posto che al decreto in materia di processo penale dinanzi al giudice di pace si addice il carattere di “legge penale speciale” ai sensi e per gli effetti dell’articolo 16 cod. pen., la ricerca dell’interprete a fronte dell’introduzione di un nuovo modello normativo – quale l’articolo 131-bis cod. pen. -, avente ad oggetto la stessa materia gia’ regolata in modo completo dall’articolo 34 del detto decreto, non puo’ limitarsi al raffronto fra quest’ultimo e il precetto successivo, ma deve elevare il proprio orizzonte fino a verificare se la legge penale speciale nel suo complesso non contenesse gia’ un’autonoma disciplina della materia, mirata rispetto alle finalita’ del procedimento e tale percio’ da precludere, a priori, l’operazione del confronto fra singole leggi o disposizioni sulla stessa materia, espressamente disciplinata dall’articolo 15 cod. pen., con riferimento al rapporto fra piu’ leggi penali.
Quella da ritenere prescritta e’ invero una operazione ermeneutica prevista dal codice penale, per le discipline sostanziali, i cui principi ispiratori sembrano, oltretutto, evocare indirettamente quelli cui si e’ rifatto il legislatore delegato del 2000 con riferimento alla sola disciplina processuale, prevedendo, tra i principi generali del procedimento davanti al giudice di pace (articolo 2 c.p.), che anche le norme del codice di rito dovessero operare per esso – salvo le espresse eccezioni formulate – in quanto applicabili.
Ma, soprattutto, incide, ai fini della individuazione della soluzione da adottare, l’attivita’ interpretativa sollecitata dalla Corte costituzionale la quale, nella ord. n. 47 del 2014 – con cui e’ stata riconosciuta la compatibilita’ costituzionale della norma (articolo 60) sulla esclusione della sospensione condizionale in relazione alle pene per reati di competenza del giudice di pace ha posto in evidenza come il precetto in esame non potesse essere valutato isolatamente, anche solo nell’ottica della delineazione di eventuali ingiustificate disparita’ di trattamento ai sensi dell’articolo 3 Cost., senza cioe’ tenere conto delle connotazioni complessive del “microcosmo punitivo” in cui si inserisce e da cui ripete la propria giustificazione. Con la conseguenza che non e’ dato tentare di istituire una correlazione tra singole componenti della costellazione punitiva, sostanziale e processuale, del giudice di pace, isolatamente considerate, quanto piuttosto e’ doveroso valutarle in ragione del loro inserimento in un sistema diversamente strutturato nel suo complesso, quale, appunto, quello dinanzi al giudice di pace.
Il criterio della tendenziale osmosi fra il procedimento comune e quello dinanzi al giudice di pace, con il limite pero’ della concreta “applicabilita’” delle norme dell’uno nel perimetro dell’altro e viceversa, e’ quello ribadito anche nel Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 63, ove e’ previsto che, quando i reati di competenza del giudice di pace siano giudicati da un giudice diverso, anche dinanzi a questo si applicano una serie di norme attinenti agli epiloghi decisori tipici dello speciale procedimento, “in quanto applicabili”.
In tale prospettiva, il precetto sulla esclusione della sospensione condizionale della pena contenuto nel Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 60 per i reati di competenza del giudice di pace, viene ordinariamente interpretato dalla giurisprudenza di legittimita’, con riferimento al caso in cui il reato in questione sia giudicato da giudice diverso, nel senso che vale la medesima esclusione, a meno che il giudizio non abbia ad oggetto anche altri reati che non siano di competenza del giudice di pace e che, per connessione, abbiano attratto dinanzi al diverso giudice, il reato del giudice di pace (Sez. 5, n. 3198 del 28/09/2012, dep. 2013, Gentili, Rv. 254382; conforme, Sez. 5, n. 13807 del 21/02/2007, Meoli, Rv. 236529).
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