Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 novembre 2017, n. 53683. La causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, prevista dall’articolo 131-bis cod. pen., non e’ applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace

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In questa ultima ipotesi, infatti, come chiarito da Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230274, si rileva la improponibilita’ di una tesi rigorista che pretenda di far prevalere il regime processuale del reato meno grave su quello di competenza del tribunale o della corte di assise che ha determinato la connessione. Altrimenti detto, si rappresenta una causa di non adattabilita’ e non congruenza in concreto del precetto ideato per il procedimento dinanzi al giudice di pace, con le regole del processo ordinario.
Allo stesso modo, ancora nell’articolo 63, si enuncia il medesimo criterio con riferimento ad istituti come quello in esame (Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, unitamente a quelli ex articoli 33, 35, 43 e 44) cogenti per il giudice diverso solo, come gia’ rilevato, “in quanto applicabili”. Con il che viene a chiarirsi che dinanzi al giudice diverso che giudichi per connessione il reato astrattamente di competenza del giudice di pace, e’ operativa la speciale causa di non punibilita’ di cui all’articolo 34 con i suoi presupposti e requisiti, a meno che per il reato attraente non risulti applicabile l’articolo 131-bis c.p., in tale caso operando la norma in questione per tutti i reati giudicati mentre nei confronti dell’articolo 34 rimane integrata la “causa di non applicabilita’” in concreto.
La salvaguardia dell’autonomia dei connotati specializzanti del procedimento penale dinanzi al giudice di pace, d’altra parte, sembra indirettamente confermata anche dal piu’ recente intervento legislativo del 2017 (L. 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”) laddove e’ stata prevista, per il codice penale, una nuova disciplina dell’istituto della estinzione del reato per condotte riparatorie, evocativo di quello disciplinato dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 35. Una novella che, pur preceduta dall’ampio dibattito, di cui qui si e’ dato atto, sulla opportunita’ del coordinamento fra norme del codice penale o di procedura penale e quelle operative dinanzi al giudice di pace in possibile conflitto tra loro, ha mantenuto sul punto un silenzio che si presta ad essere interpretato come conferma della volonta’ di tenere distinti i due ambiti giuridici.
4.2. Sotto l’ulteriore profilo – invero centrale nella argomentazione della giurisprudenza che qui si disattende – della natura sostanziale del nuovo istituto nonche’ della conseguente attitudine a soggiacere alla disciplina intertemporale prevista in particolare dall’articolo 2 c.p., comma 4, con obbligo di operativita’ in quanto lex mitior, va poi rimarcato che si tratta di osservazione, in se’, sicuramente da ribadire, a conferma di quanto sul punto gia’ osservato dalla sentenza, sopra citata, delle Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593.
Tuttavia essa non comporta, quale necessario corollario, la cedevolezza delle ragioni fin qui esposte.
Le caratteristiche proprie del novello istituto potrebbero venire in considerazione nei sensi anzidetti, infatti, solo se si superassero le obiezioni mosse alla possibilita’ di costruire il rapporto fra l’articolo 34 e l’articolo 131-bis c.p. come concorso (apparente) fra norme in rapporto di specialita’ oppure se si ammettesse la eventualita’ di una “convivenza” operativa, per i reati di competenza del giudice di pace, tra l’istituto previsto per il processo comune e quello specifico plasmato per il procedimento penale dinanzi a tale organo di giustizia; non anche nella diversa ipotesi, che e’ quella fatta propria dalle Sezioni Unite, che quest’ultimo rimane insensibile alle discipline presenti o introdotte nei codici, che abbiano ad oggetto materie gia’ regolamentate dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000.
Va ribadito che, da un lato, come dottrina e giurisprudenza concordemente riconoscono, e’ da escludere che tra l’articolo 34 e l’articolo 131-bis c.p. possa configurarsi un rapporto di genere a specie per la sostanziale diversita’ dei presupposti e degli effetti riconducibili ai due istituti, con l’ulteriore corollario che non viene in considerazione neppure il tema della possibile abrogazione tacita del primo ad opera del secondo, ai sensi dell’articolo 15 preleggi. Infatti, il requisito fondante di tale precetto, e cioe’ la incompatibilita’ tra le nuove disposizioni e le precedenti, e’ negato in radice proprio dai tratti differenziali delle due fattispecie, che invece non impediscono, in linea di principio, la convivenza di esse nell’ordinamento.
Per converso, la considerazione dell’articolo 34 non in se’, ma come elemento del complesso sistema previsto per la trattazione della materia penale dinanzi al giudice di pace, obbliga – per quanto concerne la soluzione del problema riguardante tale ambito giurisdizionale – a porre in rapporto con quest’ultimo il novum normativo che si propone in apparente conflitto e a ragionare in termini non di compatibilita’/incompatibilita’ fra istituti ma di “concreta applicabilita’” all’interno del sistema speciale, come previsto dall’articolo 16 cod. pen. che infatti tutela la integrita’ di tale sistema quando la materia su cui ha innovato la norma codicistica risulti gia’ “coperta” da una disciplina ad hoc, anche funzionalmente orientata.
Per tale ragione ritengono le Sezioni Unite che gli argomenti spesi da parte della giurisprudenza e della dottrina, correlati alla natura sostanziale del nuovo istituto e ai suoi peculiari connotati di “legge sostanziale sopravvenuta piu’ favorevole”, non possano dispiegare effetti nello specifico ambito che qui interessa, ove al dato della impossibilita’ di far operare la causa di proscioglimento di cui all’articolo 131-bis c.p. – seppure in relazione a reati di minima gravita’ quali quelli selezionati per il giudizio dinanzi al giudice di pace – fanno da contrappeso e da bilanciamento altri valori di pari dignita’. Anche, cioe’, nell’ottica del rispetto del valore costituzionale della uguaglianza di trattamento a fronte di posizioni equiparabili, deve ritenersi decisivo il rilievo che si e’ fatto luogo alla costruzione di un procedimento speciale per il quale sono previsti specifici epiloghi decisori, modulati in termini tali da porre il giudice in una ottica operativa volta a realizzare la conciliazione delle parti – quando una persona offesa e’ individuabile – antecedentemente alla conclusione del processo (sarebbe questo, peraltro, un tratto non differenziale essendo, lo stesso intento conciliativo, previsto anche in sede di processo ordinario dinanzi al giudice monocratico, dall’articolo 555 c.p.p., comma 3).
In piu’, tale finalita’ e’ rafforzata con la previsione (Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, comma 3) di un potere potestativo della persona offesa, riferito ai reati perseguibili a querela, idoneo a precludere la conclusione del processo per minima offensivita’ del fatto, accompagnato dalla previsione (articolo 35) che le condotte riparatorie o risarcitorie dell’imputato siano atte a determinare l’estinzione del reato. Il tutto, nella prospettiva che al mancato raggiungimento dell’obiettivo della ricomposizione sociale segua l’affermazione di un diritto penale mite, non soggetto a sospensione di esecuzione ma caratterizzato dall’abbandono delle pene detentive.
4.3. Ne’ a diversa conclusione conduce il rilievo che per effetto del Decreto Legislativo n. 28 del 2015 si e’ registrata la variazione di taluni precetti processuali applicabili anche al giudice di pace (quali l’articolo 411 e l’articolo 469 cod. proc. pen.), recanti ora esplicitamente la menzione dell’articolo 131-bis cod. pen..
Non vi e’ ragione per non ritenere, in coerenza con quanto sopra evidenziato sulla tendenziale autonomia del procedimento penale per il giudice di pace, che, ad esempio, il rinvio operato all’articolo 411 cod. proc. pen. dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 17, in tema di archiviazione richiedibile dal pubblico ministero presso il giudice di pace, sia di tipo “fisso”, e cioe’ da ricondurre al testo dell’articolo 411 c.p.p. in essere al momento della entrata in vigore del decreto sul giudice di pace. Tesi, questa, avvalorata dal rilievo che nell’articolo 17, assieme al richiamo dell’articolo 411 c.p.p., vi e’ quello all’articolo 34, commi 1 e 2, del decreto stesso, con cio’ mostrando il legislatore che la evocazione dei casi generali di archiviazione non avrebbe potuto ulteriormente estendersi su un terreno gia’ coperto dalla menzione della speciale causa di non punibilita’ di cui all’articolo 34.
5. In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto:
“La causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, prevista dall’articolo 131-bis cod. pen., non e’ applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace”.
6. La decisione adottata comporta, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale, l’annullamento della sentenza impugnata che ha disatteso il principio di diritto qui enunciato, con l’effetto che il Giudice di pace di Verona, in diversa composizione, sara’ tenuto alla celebrazione del giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Giudice di pace di Verona per nuovo giudizio.

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