Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 novembre 2017, n. 53683. La causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, prevista dall’articolo 131-bis cod. pen., non e’ applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace

[….segue pagina antecedente]

3.1. L’articolo 131-bis cod. pen. (inserito dal Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, articolo 1, comma 2) ha introdotto nel codice penale, per i soli reati con pena non superiore nel massimo a cinque anni, l’istituto della esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto che consente di pervenire alla conclusione del processo mediante sentenza di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 1.
I criteri di valutazione per il giudice sono quelli della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1: criteri accompagnati da precise direttrici offerte dallo stesso legislatore per delineare in negativo l’area di non operativita’ della norma stessa, quando cioe’ l’offesa non possa, in se’, essere ritenuta di particolare tenuita’ ovvero il comportamento risulti abituale.
L’intento deflativo del legislatore si e’ peraltro manifestato mediante la modifica di una serie di norme del codice di procedura penale al fine di consentire che l’obiettivo della individuazione della particolare tenuita’ del fatto esplicasse i propri effetti anche – e soprattutto – prima della celebrazione del processo: l’articolo 411, comma 1, con l’ampliamento dei casi di archiviazione estesi anche alla predetta disciplina, sia pure col bilanciamento dato dalla estensione, nel comma 1-bis, dell’ambito dell’opposizione della persona offesa; l’articolo 469, con la introduzione, nel comma 1-bis, dell’ipotesi di proscioglimento nel merito prima del dibattimento.
In nessun caso e’ previsto un potere di paralisi della persona offesa, mantenendo quest’ultima, oltre al maggiorato potere di opposizione alla richiesta di archiviazione, un semplice diritto alla interlocuzione – se compare – nel caso di proscioglimento predibattimentale.
Infine, il legislatore ha fornito apposita regolamentazione agli interessi della persona offesa introducendo l’articolo 651-bis cod. proc. pen. che regola l’efficacia della sentenza di proscioglimento in esame nel giudizio civile o amministrativo di danno.
3.2. Come bene messo in luce nella Relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo poi divenuto il Decreto Legislativo n. 28 del 2015, l’istituto della non punibilita’ per c.d. “irrilevanza per particolare tenuita’ del fatto” non era affatto inedito ma aveva i propri antecedenti storici nell’ordinamento minorile (Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, articolo 27) e in quello relativo alla competenza penale del giudice di pace (Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34), di cui ha rappresentato il naturale sviluppo e l’estensione al sistema penale comune, pur dovendosi notare che quantomeno l’istituto concepito per il giudice di pace e’, a differenza di quello piu’ recente, di natura schiettamente processuale, essendo stato regolato come condizione di esclusione della procedibilita’.
Piu’ specificamente, peraltro, la novella del 2015 si e’ posta come disciplina che – a differenza di quella sulla inoffensivita’ del fatto, normalmente ricondotta, dalla elaborazione giurisprudenziale, all’articolo 49 c.p., comma 2, – da’ corpo alla volonta’ del legislatore delegante di realizzare, attraverso l’opera interpretativa del giudice, la depenalizzazione di un fatto tipico, e pertanto costitutivo di reato, ma da ritenere non punibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale.
Anche la Relazione di accompagnamento allo schema dei principi e criteri direttivi di delega sottolineava la vocazione deflativa dell’istituto, nato per operare “nella giustizia ordinaria” e senza che potessero prevedersi confronti e/o conflitti con istituti di mediazione e con la loro funzione conciliativa, essendo la nuova causa di non punibilita’ dichiaratamente estranea rispetto a tale ambito.
Semmai, proprio la qualificazione dell’istituto come figura di depenalizzazione in concreto, volta a realizzare il principio dell’ultima ratio, rappresentava la ragione della mancata previsione, in capo alla persona offesa, di un “potere di veto” alla dichiarazione di non punibilita’, previsto invece nella disciplina di cui all’articolo 34 dinanzi al giudice di pace e dunque soltanto nella specifica e delimitata previsione legislativa in questione: potere di veto che si sarebbe rivelato, se trasformato in un principio dispositivo generale, di ostacolo alla concreta attuazione del principio di proporzione sotteso all’istituto in esame.
Certamente, l’intento del legislatore delegante di tenere compresenti nell’ordinamento le fattispecie di irrilevanza per particolare tenuita’ del fatto, come previste nel processo comune con finalita’ deflativa e, nel processo dinanzi al giudice di pace, conciliativa, avrebbe potuto assumere una veste normativa espressa, come del resto sollecitato dalla Commissione Giustizia della Camera, in sede di redazione del proprio parere, laddove era stata avvertita l’opportunita’ di coordinare i due istituti sulla particolare tenuita’ del fatto: una sollecitazione, pero’, non osservata per ragioni attinenti alle tecniche di redazione della legge-delega.
3.3. Resta, in conclusione, il rilievo che il differente ruolo assegnato, nelle procedure in esame, alla persona offesa, rappresenta uno dei piu’ significativi, sebbene non l’unico elemento di differenziazione fra le discipline contenute negli articoli 131-bis cod. pen. e Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34, essendo da rimarcare che quest’ultimo pretende, fra gli altri, anche il requisito della “occasionalita’” del fatto e il criterio dell’eventuale pregiudizio che l’ulteriore decorso del procedimento possa recare alle esigenze dell’indagato o dell’imputato come descritte dalla norma.
La centralita’ dell’attribuzione del potere di veto alla persona offesa, contemplata solo nello speciale procedimento dinanzi al giudice di pace, si comprende rievocando la finalita’ conciliativa di esso, piu’ volte sottolineata anche dalla giurisprudenza costituzionale come il principale obiettivo della giurisdizione penale garantita attraverso tale organo di giustizia (tra le molte, ord. n. 245 del 2014; sent. n. 47 del 2014; ord. n. 349 del 2004).
Da ultimo anche l’ord. n. 50 del 2016 del Giudice delle leggi, chiaramente in linea con i precedenti (in essa sono richiamate le sentenze n. 64 del 2009 e n. 298 del 2008; le ordinanze n. 56 e n. 32 del 2010, e n. 28 del 2007), nell’escludere l’irragionevolezza del sistema speciale che non annovera tra le formule terminative del processo quella del patteggiamento, ha osservato “come il procedimento davanti al giudice di pace presenti caratteri assolutamente peculiari, che lo rendono non comparabile con il procedimento davanti al tribunale, e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario; il Decreto Legislativo n. 274 del 2000 contempla, infatti, forme alternative di definizione, non previste dal codice di procedura penale, le quali si innestano in un procedimento connotato, gia’ di per se’, da un’accentuata semplificazione e concernente reati di minore gravita’, con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo: procedimento nel quale il giudice deve inoltre favorire la conciliazione tra le parti (articolo 2 c.p., comma 2, e articolo 29 c.p., commi 4 e 5), e in cui la citazione a giudizio puo’ avvenire anche su ricorso della persona offesa (articolo 21 c.p.)”.
4. Poste tali premesse, deve darsi atto che la sostanziale diversita’ di regolamentazione dei due istituti in esame, sia pure entrambi volti a disciplinare il fenomeno giuridico della irrilevanza penale del fatto in ragione della sua particolare tenuita’, non chiama in campo automaticamente – e, cio’, in senso difforme rispetto quanto sostenuto dall’orientamento qui disatteso – ne’ il principio di specialita’ come criterio di risoluzione del concorso apparente fra due discipline riguardanti lo stesso oggetto, ne’ il principio della necessaria operativita’, anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace, del precetto introdotto dal legislatore del 2015 con riferimento al processo comune, inteso come lex mitior soggetta alla disciplina intertemporale di cui all’articolo 2 cod. pen..

[…segue pagina successiva]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *