Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 18 ottobre 2017, n. 47970. Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva, il tribunale del riesame non puo’ disporre, nel caso di particolare complessita’ della motivazione, il deposito dell’ordinanza in un termine non eccedente il quarantacinquesimo giorno

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Pertanto la differenza del “casi” presi in considerazione dalle due norme giustifica ulteriormente la differente disciplina.
5. Occorre, infine, chiedersi se la prorogabilita’ del termine per il deposito della motivazione sia o meno espressione di un principio generale.
Sul punto va evidenziato che la disciplina dei termini contenuta nel Titolo VI del Libro II del codice di procedura penale enuncia il principio di tassativita’ dei termini stabiliti a pena di decadenza (articolo 173, comma 1) e dei casi in cui ne e’ consentita la proroga (articolo 173, comma 2).
Con specifico riferimento al riesame, il legislatore ha espressamente disciplinato i casi in cui e’ consentita la proroga dei termini previsti per la decisione del tribunale, ricollegandoli ad una situazione personale dell’imputato o ad una sua richiesta.
L’articolo 101 disp. att. c.p.p., prevede due ipotesi di proroga legale del termine per la decisione del tribunale del riesame: il primo caso (comma 1) attiene al rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dell’imputato che ha chiesto di essere sentito personalmente e non si trova detenuto o internato in un luogo diverso da quello in cui si trova il giudice (articolo 127 c.p.p., comma 4). In tale ipotesi, la norma stabilisce che il termine per la decisione decorre nuovamente dalla data in cui il giudice riceve la comunicazione della cessazione dell’impedimento o, comunque, ne accerta la cessazione. Con riferimento, invece, alla diversa ipotesi in cui l’imputato sia detenuto o internato in un luogo diverso da quello in cui si trova il giudice ed abbia chiesto di essere sentito, e’ previsto (comma 2) che il termine per la decisione di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 10, decorra dal momento in cui pervengono al tribunale gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza a norma dell’articolo 127, comma 3.
Con la L. n. 47 del 2015, e’ stato inserito l’articolo 309 c.p.p., comma 9 bis, che consente il differimento dell’udienza dinanzi al tribunale del riesame. Tale norma, ispirata all’esigenza di assicurare un’adeguata preparazione della difesa dell’imputato, subordina, tuttavia, il differimento dell’udienza ad una specifica richiesta, che deve essere formulata personalmente dall’interessato, ed alla sussistenza di “giustificati motivi”. L’ultima parte di tale norma prevede, infatti, che l’accoglimento della richiesta comporta la proroga del termine per la decisione e di quello per il deposito dell’ordinanza nella medesima misura del differimento (da un minimo di cinque giorni ad un massimo di dieci).
Il legislatore ha, dunque, inteso rimettere alla volonta’ dell’imputato la scelta in ordine al differimento che, inevitabilmente, finisce per prolungare nella stessa misura anche la sua condizione di restrizione.
Va, inoltre, considerato che, nonostante nel testo approvato dal Senato in prima lettura fosse stato inserito il potere del tribunale di differire d’ufficio la data dell’udienza, in ragione della complessita’ del caso e del materiale probatorio, tale previsione e’ stata eliminata nel testo definitivo della legge. Il legislatore, pur avendo presente la possibilita’ che lo stesso giudice del riesame necessiti di un tempo piu’ lungo per approfondire l’esame degli atti, ha scelto di subordinare il differimento alla sola volonta’ dell’imputato, l’unico a subirne gli effetti in conseguenza del prolungamento dei termini per la decisione e per il deposito della motivazione.
Tali specifiche diposizioni normative, valutate alla luce della tassativita’ dei termini perentori, depongono per ritenere il carattere eccezionale delle disposizioni in tema di proroga del termine per il deposito della motivazione, escludendo qualunque forma di interpretazione estensiva o analogica (articolo 14 preleggi) che, di fatto, si risolverebbe in un’interpretazione in malam partem con pregiudizio per la liberta’ personale dell’imputato. Va considerato, infatti, che il ricorrente il quale si sia visto accogliere il ricorso, rimane ancora sottoposto alla misura coercitiva, la cui esecuzione non viene sospesa dalla decisione di annullamento con rinvio; di talche’ l’applicazione analogica di una norma che consenta l’ulteriore prolungamento dei termini per il deposito della motivazione si risolverebbe, in malam partem, in una protrazione della limitazione della liberta’ personale.
L’articolo 13 Cost., laddove stabilisce che la liberta’ personale e’ inviolabile e che non e’ ammessa alcuna forma di detenzione, se non nei casi e modi previsti dalla legge, impone in materia l’applicazione del principio di stretta legalita’ che non consente estensioni analogiche.
Sul punto la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che i diritti inviolabili dell’uomo, primo tra tutti quello alla liberta’ personale, sono espressione di valori fondamentali, per cui le norme che ne prevedono la loro limitazione, nei casi e modi previsti dalla Costituzione, avendo carattere derogatorio ad una regola generale e presentando natura eccezionale, non possono essere applicate per analogia e vanno interpretate in modo rigorosamente restrittivo (Corte cost., sentt. n. 298 del 1994 e n. 349 del 1993).
La Corte di cassazione ha piu’ volte ribadito tale principio affermando che “non e’ consentita alcuna estensione analogica delle norme limitative della liberta’ personale sul piano sostanziale o su quello processuale” (Sez. 3, n. 3269 del 22/10/1971, dep. 1972, Gerace, Rv. 120090; Sez. 1, n. 1341 del 30/4/1979, Biasi, Rv. 142487; Sez. 1, n. 4119 del 15/12/1986, dep. 1987, Musto, Rv. 174927). L’articolo 111 Cost., pretende il rispetto del principio di stretta legalita’ quale criterio direttivo di tutta la disciplina del processo penale, il che giustifica il divieto di interpretazione analogica in malam partem.
Pertanto puo’ affermarsi che la previsione di un termine perentorio per il deposito dell’ordinanza costituisce la regola generale e la previsione della sua prorogabilita’ un’eccezione, come tale non applicabile analogicamente.
6. In considerazione di quanto detto va affermato il seguente principio di diritto:
“Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva, il tribunale del riesame non puo’ disporre, nel caso di particolare complessita’ della motivazione, il deposito dell’ordinanza in un termine non eccedente il quarantacinquesimo giorno, in analogia a quanto previsto dall’articolo 309 c.p.p., comma 10, ma deve depositare il provvedimento nel termine di trenta giorni previsto dall’articolo 311 c.p.p., comma 5 bis, a pena di perdita di efficacia della misura”.
7. Nel caso in esame il Tribunale, all’esito del giudizio di rinvio, deliberando la decisione il 29 novembre 2016 e facendo erroneamente applicazione dell’articolo 309 c.p.p., comma 10, ha depositato l’ordinanza in data 12 gennaio 2017, quindi oltre il trentesimo giorno previsto dalla legge a pena di perdita di efficacia.
Si impone pertanto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e la declaratoria di perdita di efficacia della misura coercitiva, con conseguente immediata scarcerazione della ricorrente se non detenuta per altra causa, mandando alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 626 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata per la sopravvenuta inefficacia della misura coercitiva. Ordina l’immediata scarcerazione della ricorrente se non detenuta per altra causa.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 626 c.p.p..

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