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1.2.- In altre occasioni (Cass. 1 aprile 2016, n. 6373; conf., 5 dicembre 2016, n. 24795) si e’ convenuto, sia pure in obiter, che la mancata tempestiva impugnazione in giudizio della delibera di esclusione preclude qualsiasi statuizione che riguardi il licenziamento; ma si e’ riconosciuta, pure a fronte dell’omessa impugnazione della prima, la tutela normale che discende dal giudizio sul secondo, in considerazione dell’inefficacia della delibera di esclusione, che in quel caso non era stata comunicata.
Emergono, inoltre, dalle sentenze richiamate nell’ordinanza di rimessione ulteriori impostazioni di fondo destinate a condurre a soluzioni ancora diverse.
La divergenza di principi e’ quindi certamente sintomo del fatto che ci si trova in presenza di una questione di massima e particolare importanza, appunto perche’ chiama in causa profili di principio.
E’ dunque dalla ricostruzione dei principi che occorre partire.
2.- Il cospicuo contenzioso alimentato dalla progressiva sottoprotezione cui si sono trovati esposti i soci lavoratori, e l’espansione del fenomeno della cooperativa spuria o fraudolenta hanno evidenziato l’insufficienza dell’impostazione tradizionale (che si trova espressa in Cass., sez. un., 28 dicembre 1989, n. 5813), secondo la quale in relazione alle prestazioni di un socio di societa’ cooperativa di produzione e lavoro, in conformita’ delle previsioni del patto sociale ed in correlazione con le finalita’ istituzionali della societa’, non e’ configurabile non solo un rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, ma nemmeno un rapporto di collaborazione.
Le prestazioni del socio lavoratore, si riteneva, integrano adempimento del contratto di societa’, per l’esercizio in comune dell’impresa societaria, di modo che non sono riconducibili a due distinti centri di interessi; lo scopo dei soci, i quali partecipano direttamente al rischio d’impresa, si specificava, e’ comune e trascende la mera collaborazione, proprio perche’ e’ connotato dall’associazione.
2.1.- La tesi era avallata anche dalla Corte costituzionale, la quale -nel dichiarare infondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non prevede(va) la tutela del fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto anche in favore dei soci delle cooperative di produzione e lavoro, ai quali il diritto a tale trattamento sia attribuito dall’atto costitutivo della societa’ o da una delibera successiva di modificazione del medesimo – aveva osservato che “a differenza del prestatore di lavoro definito dall’articolo 2094 c.c., il socio lavoratore di una cooperativa di lavoro e’ vincolato da un contratto che, se da un lato lo obbliga a una prestazione continuativa di lavoro in stato di subordinazione rispetto alla societa’, dall’altro lo rende partecipe dello scopo dell’impresa collettiva e corrispondentemente gli attribuisce poteri e diritti di concorrere alla formazione della volonta’ della societa’, di controllo sulla gestione sociale e infine il diritto a una quota degli utili” (Corte cost. 12 febbraio 1996, n. 30; la sentenza e’ stata poi richiamata a sostegno della successiva ordinanza d’inammissibilita’ 28 dicembre 2006, n. 460, a sua volta ripresa dall’ordinanza 15 aprile 2014, n. 95).
3.- Ne era, tuttavia, evidente l’inadeguatezza, in quanto l’egemonia della qualita’ sociale sacrificava la rilevanza della prestazione di lavoro, che, nella sostanza economica, e’ coessenziale al contratto sociale ed allo sviluppo del rapporto che ne deriva.
La cooperazione e’ contrassegnata dall’utilita’ della prestazione lavorativa; e l’esigenza di protezione del socio lavoratore, contraente debole, ha innestato la tendenza espansiva del diritto del lavoro, che ha permeato il lavoro cooperativo di istituti e discipline propri di quello subordinato: e cio’ perche’ anche colui che lavora per un profitto comune, come ogni prestatore di lavoro, e’ impegnato con la sua stessa persona nell’esecuzione dell’attivita’.
La dimensione del lavoro ha dunque acquisito risalto e visibilita’, di modo che, si e’ stabilito (Cass., sez. un., 30 ottobre 1998, n. 10906), il rapporto tra socio lavoratore e cooperativa va si’ qualificato come associativo, ma appartiene ad una “categoria contigua e interdipendente a quella del lavoro subordinato o parasubordinato”; sicche’ esso e’ equiparabile ai vari rapporti previsti dall’articolo 409 c.p.c..
3.1.- Coerentemente il legislatore, nel costruire la riforma della cooperazione di lavoro, ha disegnato il lavoro cooperativo come combinazione del rapporto associativo con “un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi rapporti di collaborazione coordinata non occasionale” (L. n. 142 del 2001, articolo 1).
4.- Il raggiungimento dello scopo sociale della cooperativa di lavoro si realizza, quindi, con una attivita’ di impresa nel cui ambito si inscrivono, appunto, i rapporti di lavoro.
4.1.- La combinazione dei due rapporti, associativo e di lavoro, assume la veste di collegamento necessario, perche’ e’ animata dallo scopo pratico unitario dell’operazione complessiva, al perseguimento del quale entrambi sono indirizzati: il legame dei due rapporti innerva per volonta’ del legislatore la funzione del lavoro cooperativo.
4.1.1.- La categoria del collegamento negoziale si rivela piu’ adeguata dello schema del contratto normativo, preferito da una parte della dottrina.
Cio’ in quanto la causa della cooperativa di lavoro tende alla realizzazione dello scopo mutualistico e non gia’ alla stipulazione di contratti particolari, come avviene nel caso del contratto collettivo di lavoro (giusta gli articoli 2071 e 2077 c.c.) o anche in quello del contratto collettivo di consorzio (secondo gli articoli 2602 e 2603 c.c.).
Opportunamente si e’ sottolineato che, tra gli altri, lo statuto della cooperativa rappresenta un contratto normativo apparente, perche’ esso, pur ponendo una serie di norme, e’ destinato a disciplinare non gia’ futuri rapporti, sibbene rapporti che sono in atto.
5.- L’equilibrio del peso dei due rapporti in seno alla combinazione e’ stato, tuttavia, intaccato dalla novella della L. n. 142 del 2001, dovuta alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.
La L. n. 30 del 2003, ha disposto l’eliminazione dalla L. n. 142 del 2001, articolo 1, comma 3, dell’aggettivo “distinto”, lasciando, in riferimento al rapporto di lavoro, soltanto la qualificazione di “ulteriore”; ha aggiunto inoltre l’articolo 5, comma 2, il quale prescrive che:
“2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformita’ con gli articoli 2526 e 2527 c.c. (oggi, con l’articolo 2533 c.c.). Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”.
5.1.- Il collegamento, quindi, nella fase estintiva dei rapporti, ha assunto caratteristica unidirezionale.
La cessazione del rapporto di lavoro, non soltanto per recesso datoriale, ma anche per dimissioni del socio lavoratore, non implica necessariamente il venir meno di quello associativo.
Cio’ perche’ il rapporto associativo puo’ essere alimentato dal socio mediante la partecipazione alla vita ed alle scelte dell’impresa, al rischio ed ai risultati economici della quale comunque egli partecipa, a norma della L. n. 142 del 2001, articolo 1, comma 2.
Ne’ la figura del socio inerte, che emerge anche per mano del legislatore, con riguardo alla cooperativa a mutualita’ non prevalente, entra in frizione con le regole costituzionali, in quanto l’articolo 45 Cost., riconosce funzione sociale alla cooperazione a carattere di mutualita’ e senza fini di speculazione privata, alla quale il socio inerte non e’ estraneo.
5.2.- La cessazione del rapporto associativo, tuttavia, trascina con se’ ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicche’ il socio, se puo’ non essere lavoratore, qualora perda la qualita’ di socio non puo’ piu’ essere lavoratore.
Lo si legge nella L. n. 142 del 2001, articolo 5, comma 2, il quale esclude che il rapporto di lavoro possa sopravvivere alla cessazione di quello associativo.
Regola, questa, espressione di quella generale fissata in tema di esclusione del socio di cooperativa dall’articolo 2533 c.c., in virtu’ della quale “qualora l’atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti” (discorre di dipendenza dell’estinzione del rapporto di lavoro da quella del rapporto sociale, tra le ultime, Cass., ord. 18 maggio 2016, n. 10306).
6.- Non puo’, quindi, essere condiviso l’orientamento (espresso da Cass. 23 gennaio 2015, n. 1259; 11 agosto 2014, n. 17868; 6 agosto 2012, n. 14143) secondo il quale qualora l’esclusione di un socio lavoratore di cooperativa si fondi esclusivamente sul suo licenziamento, non si configura l’ipotesi propria della L. n. 142 del 2001, articolo 5, comma 20, che prevede, si e’ visto, l’automatica caducazione del rapporto di lavoro alla cessazione del rapporto associativo.
In base a questa tesi quel che rileverebbe sarebbe la natura delle ragioni addotte a fondamento dell’espulsione del lavoratore.
Sicche’, in caso di declaratoria di illegittimita’ del licenziamento che ha costituito motivo determinante l’esclusione, anche quest’ultima risulterebbe illegittima.
Verrebbe in tal caso a trovare attuazione l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, perche’, nel caso di delibera di esclusione fondata sul licenziamento, non ricorrerebbero i presupposti di applicazione della L. n. 142 del 2001, articolo 2, il quale prevede l'”esclusione dell’articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo”.
6.1.- Quest’impostazione determina il capovolgimento della relazione di dipendenza prefigurata dal legislatore tra l’estinzione del rapporto associativo e quella del rapporto di lavoro, che deriva dal collegamento tra essi.
E’ la caratteristica morfologica dell’unidirezionalita’ del collegamento fra i rapporti, difatti, a determinare la dipendenza delle loro vicende estintive, non gia’ l’indagine, necessariamente casistica, sulle ragioni che sono poste a fondamento dell’espulsione del socio lavoratore.
7.- Il nesso di collegamento tra rapporto associativo e rapporto di lavoro, tuttavia, per quanto unidirezionale, non riesce ad oscurare la rilevanza di quello di lavoro, anche nella fase estintiva.
Basta l’aggettivo “ulteriore”, tuttora contenuto nel testo novellato della L. n. 142 del 2001, articolo 1, ad evidenziarla ed a sottolinearne l’autonomia.
7.1.- Non mostra di tener conto di tale autonoma rilevanza l’orientamento, di segno opposto al precedente, in base al quale, al cospetto di condotte che ledano nel contempo il rapporto associativo e quello di lavoro, sarebbe unico il procedimento volto all’estinzione di entrambi; di modo che, adottata la delibera di esclusione, risulterebbe ultroneo un distinto atto di recesso datoriale dal rapporto di lavoro (Cass. 13 maggio 2016, n. 9916; 12 febbraio 2015, n. 2802; 5 luglio 2011, n. 14741).
Orientamento del quale rappresenta logico corollario quello, gia’ richiamato, secondo il quale l’omessa impugnazione della delibera di esclusione preclude l’esame dell’impugnazione del licenziamento.
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