Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza n. 14896 del 5 settembre 2012

Svolgimento del processo

1. S.C. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Campania n. 19/50/10, depositata l’1 febbraio 2010, con la quale, rigettato l’appello principale della medesima e sostanzialmente accolto l’altro incidentale dell’agenzia delle entrate contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione avverso l’avviso di accertamento relativo all’Irpef ed accessori per il 1999, emesso nei confronti di tale contribuente, veniva respinta.
In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’acquisto di un grosso immobile costituiva incremento di reddito, mentre la donazione di una consistente somma da parte della madre, peraltro nulla perchè non compiuta con atto pubblico, non era nemmeno documentata; inoltre la cessione di un ramo d’azienda era avvenuta in epoca molto successiva all’acquisto in argomento.

L’agenzia delle entrate si è solo costituita.

Motivi della decisione

2. Col primo motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione, in quanto la CTR non indicava in modo esauriente le ragioni, per le quali rigettava l’appello principale, senza considerare che le somme occorrenti per l’acquisto dell’immobile derivavano da una provvista conferita dalla madre; da una vendita precedente nonchè dall’anticipazione relativa alla successiva cessione di un ramo d’azienda.
Il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha riportato il tratto del ricorso in appello con cui avrebbe sollevato la doglianza; nè è possibile in sede di legittimità proporre una differente valutazione degli elementi probatori rispetto al vaglio operato dal giudice di merito.

3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia falsa applicazione di norma di legge, giacchè il giudice di appello non poteva ritenere privo di prova l’assunto dell’appellante, atteso che ella aveva fornito quella presuntiva, e pertanto il metodo sintetico induttivo era risultato privo di riscontro.
Il motivo è infondato, in quanto, com’è noto, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il metodo disciplinato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, – come via via modificato – consente, a fronte di circostanze ed elementi certi, che evidenzino un reddito complessivo superiore a quello dichiarato o ricostruibile su base analitica, la determinazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione al contenuto induttivo di tali circostanze ed elementi.

Pertanto, la norma esige dati certi con riguardo alla esistenza del maggiore reddito imponibile e, in presenza di dati siffatti, richiede la individuazione dell’entità del reddito stesso con parametri indiziari, in via di deduzione logica del fatto taciuto dal dichiarante da quello noto, secondo i comuni canoni di regolarità causale. Ne consegue che, in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all’obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 2, (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 327 del 11/01/2006, n. 10350 del 2003).
4. Col terzo motivo la ricorrente denunzia vizio di motivazione, giacchè il giudice del gravame mentre da un lato rigettava l’appello incidentale dell’agenzia, dall’altro riteneva legittimo l’accertamento.
La censura sostanzialmente non va condivisa, posto che si tratta di dispositivo conforme al diritto, sicchè occorre correggere solo la motivazione, nel senso che l’appello incidentale era fondato, trattandosi di elementi probatori forniti dall’agenzia, e per i quali la contribuente non aveva assolto l’onere della prova contraria su di lei incombente.
5. Col quarto motivo la ricorrente deduce omessa pronuncia in ordine al trattamento sanzionatorio.
Si tratta all’evidenza di motivo inammissibile, perchè generico, posto che la ricorrente non ha riportato il tratto di ricorso in appello con cui avrebbe prospettato la censura.
6. Ne deriva che il ricorso va rigettato.
7. Quanto alle spese del giudizio, non si fa luogo ad alcuna statuizione, stante la mancata attività difensiva dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte.
Rigetta il ricorso.

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