L’operazione con la quale si estrometta un bene dal patrimonio dell’impresa senza che l’equivalente entri nei patrimonio acquisito al fallimento è idonea a configurare l’ipotesi di fallimento per distrazione di cui all’art. 216 comma 1, n.1 legge fall., ovvero, qualora ad essa non faccia seguito alcuna attività intesa al recupero, persino quella della causazione dolosa del fallimento di cui all’art. 223, comma 2, n.2 stessa legge (Sez. 5, Sentenza n. 5408 del 26/11/1997 Cc. (dep. 20/01/1998) Rv. 209883).
Va stessa linea si è rilevato che integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale la cessione di un ramo d’azienda che renda non più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società (Sez. 5, Sentenza n. 10778 del 10/01/2012 Ud. (dep. 19/03/2012) Rv. 252008).

Il delitto di bancarotta per distrazione è qualificato dalla violazione del vincolo legale che limita, ex art. 2740 cod. civ., la libertà di disposizione dei beni dell’imprenditore che li destina a fini diversi da quelli propri
dell’azienda, sottraendoli ai creditori.

L’elemento oggettivo è realizzato, quindi, tutte le volte in cui vi sia un ingiustificato distacco di beni o di attività, con il conseguente depauperamento patrimoniale che si risolve in un danno per la massa dei creditori. L’ablazione è attività astrattamente legittima e lecita se mira alla realizzazione delle finalità dell’impresa.

La liceità, però, è un valore che va accertato in concreto. L’elemento di differenziazione tra attività lecita ed attività illecita va individuato nella natura gratuita o onerosa della cessione, di guisa che, nel primo caso, il distacco del bene e dell’attività, con adeguata contropartita, si risolve in una finalità aziendale e viene conservata, con l’acquisizione della controprestazione, l’integrità del patrimonio sociale.

Il rapporto sinaliagmatico deve ovviamente essere integrale, effettivo e non fittizio, perché diversamente, la bancarotta per distrazione si configura pienamente nelle ipotesi sia di apparente cessione del bene, occultato a proprio vantaggio dall’imprenditore, sia di apparente acquisizione del corrispettivo, rimasto nella propria o nell’altrui disponibilità e mai entrato nella cassa della società fallita, sia, infine, di acquisizione di un corrispettivo parziale.

 

Il testo integrale

Corte di Cassazione, sezione V, sentenza n. 35597 del 17 settembre 2012

 

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