Suprema Corte di Cassazione 

sezione VI

sentenza del 7 novembre 2012, n. 19265

Premesso in fatto

È stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“con la sentenza impugnata il Tribunale di Mondovì ha accolto i primi due motivi dell’appello proposto da T.E. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Mondovì del 21 marzo 2007, e, per l’effetto, ha condannato i convenuti appellati R. , B. e G. alla restituzione in favore dell’attrice appellante della somma di Euro 2.403,87, riscossa da questi ultimi per l’intervento di chirurgia plastica cui la E. avrebbe dovuto essere sottoposta presso la clinica del primo e con la partecipazione dei collaboratori, dottori B. e G. , ma poi non effettuato, per recesso della cliente; ha compensato le spese del primo grado ed ha condannato gli appellati al pagamento delle spese di secondo grado, previo rigetto del loro appello incidentale di condanna della controparte al risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ.
Il ricorso è affidato a quattro motivi:
– con il primo, si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 1988 cod. civ., per avere il giudice di merito fatto mal governo della prima norma, quanto all’onere della prova gravante sull’attrice, che aveva agito per la ripetizione di indebito, e per avere trascurato la seconda norma, quanto alle conseguenze della promessa di pagamento in tema di inversione dell’onere della prova; – con il secondo si deduce il vizio di omessa motivazione in ordine alla mancata conclusione di un accordo transattivo inter partes ed in ordine alla nullità dell’accordo per indeterminatezza od indeterminabilità dell’oggetto, nonché violazione delle norme degli artt. 2233 e 2337 cod. civ.;
– con il terzo, si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 345 cod. proc. civ., per avere il Tribunale deciso su un motivo di appello mai proposto, e comunque attinente ad eccezione tardivamente formulata;
– con il quarto, si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda che l’attrice avrebbe formulato di quantificazione dell’importo del compenso corrisposto a ciascuno dei sanitari, e quindi della misura dell’obbligazione restitutoria di ciascuno.
2.- I primi due motivi vanno trattati congiuntamente, in quanto involgono questioni connesse, avuto riguardo alle ragioni della decisione impugnata.
Infatti, il Tribunale ha ritenuto che, a fronte della mancata prestazione d’opera professionale, non fossero stati stipulati né una transazione né alcun altro accordo tra le parti che prevedesse la corresponsione della somma, invece versata ai sanitari, di Euro 2.403,87, corrispondente al 50% del compenso prestabilito per l’intervento chirurgico non eseguito, e che la sottoscrizione da parte della E. della dichiarazione contenuta nella cartella clinica, con la quale si impegnava a pagare gli onorari dovuti fosse una promessa di pagamento improduttiva di effetti obbligatori. Ha quindi applicato il disposto dell’art. 2237 cod. civ., escludendo il diritto dei sanitari al mancato guadagno, e comunque ad ogni compenso, non avendo eseguito l’intervento chirurgico programmato.
2.1.- Quanto al riparto dell’onere della prova nell’azione di ripetizione di indebito oggettivo, quale è la presente, va richiamato il principio, più volte affermato da questa Corte, per il quale grava sul solvens la prova del pagamento e della mancanza di causa debendi, gravando invece sull’accipiens la prova di altra fonte di debito (cfr., da ultimo, Cass. n. 22872/10, n. 1734/11).
Orbene, nel caso di specie, la E. ha dedotto e provato di aver corrisposto, per il tramite del marito, la somma di Euro 2403,87 e di essere receduta dal contratto di prestazione d’opera, senza che questa fosse stata prestata, nemmeno in parte: così, tenuto conto del disposto dell’art. 2237, comma primo, cod. civ., e di quanto detto relativamente all’art. 2033 cod. civ., ha assolto all’onere della prova riguardante l’azione esperita ai sensi di tale ultima norma. Sarebbe stato, pertanto, onere dei sanitari convenuti provare che vi era stato un accordo derogatorio del disposto dell’art. 2237 cod. civ. o, comunque, transattivo, tale da costituire valida fonte alternativa del debito concernente la prestazione del compenso. Corretta è pertanto la statuizione di merito che ha fatto conseguire alla mancanza di prova di tale accordo, l’obbligo restitutorio dei convenuti.
Parimenti, infondato è il riferimento che il ricorrente fa alla norma dell’art. 1988 cod. civ. Questa, infatti, esonera il destinatario della promessa di pagamento soltanto dall’onere di provare il rapporto fondamentale. Nel caso di specie, la dichiarazione resa dalla paziente in calce alla cartella clinica è riferita all’accettazione del pagamento degli onorari dovuti: pertanto, non è in discussione il rapporto fondamentale, ma la determinazione di quanto effettivamente dovuto in forza del recesso ex art. 2237 cod. civ.. Sul punto, la dichiarazione sottoscritta dalla E. è di contenuto tale che lascia impregiudicata tale determinazione, l’onere della prova della quale è pertanto regolato secondo i principi generali.
Il primo motivo di ricorso è perciò infondato sotto entrambi i profili.
2.2.- Quanto detto sul rinvio alla norma dell’art. 2237 cod. civ. per la determinazione dei compensi ai sanitari e sull’onere della prova su di questi gravante in punto di dimostrazione dell’opera svolta ovvero di stipulazione di un accordo transattivo importa la valutazione di infondatezza anche del secondo motivo di ricorso, per la parte in cui denuncia il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ..
La motivazione della sentenza impugnata relativamente alla mancanza di prova di un accordo siffatto e relativamente all’impossibilità di desumerne l’esistenza e la portata dalla dichiarazione unilaterale della paziente risultante dalla cartella clinica è congrua, logica e coerente con le risultanze di cui si è detto. Lamentando il vizio di omessa motivazione in ordine alla mancata conclusione dell’accordo ed in ordine alla nullità di esso per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, il ricorrente sollecita questa Corte ad un nuovo esame di tali risultanze, non ammissibile in sede di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso è perciò inammissibile, quanto al profilo di censura fin qui esaminato.
2.3.- Quanto al profilo di censura relativo alla violazione degli artt. 2233 e 2237 cod. civ., il motivo appare manifestamente infondato.
È vero che la prima delle due norme richiamate dal ricorrente impone al giudice di determinare il compenso dovuto al professionista, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene, se tale compenso non è convenuto dalle parti e se non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi. La norma, tuttavia, presuppone che il compenso sia, comunque, dovuto, a fronte di una prestazione d’opera effettuata, in tutto o in parte (cfr., da ultimo, Cass. n. 15206/11, relativa al caso di prestazione parziale).

Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto, in applicazione dell’art. 2237, comma primo, cod. civ., che  dell’art. 2237 cod. civ., la statuizione del giudice di merito che, avendo escluso il diritto dei sanitari ad un compenso, non ha fatto applicazione dell’art. 2233 cod. civ..nessun compenso fosse dovuto ai sanitari, poiché questo, in mancanza di un’opera svolta e da retribuire, sarebbe stato commisurabile soltanto al mancato guadagno e non potrebbe trovare applicazione l’art. 2227 cod. civ. (così già Cass. n. 14702/07). Si tratta di un apprezzamento in fatto, circa il mancato svolgimento, eventualmente anche parziale, di una prestazione d’opera professionale da retribuire, riservato al giudice di merito e, per di più, nel caso di specie, non contestato dal ricorrente, nemmeno sotto il profilo del vizio di motivazione. Dato ciò, è corretta in diritto e conforme al disposto
3.- Il terzo motivo di ricorso non è meritevole di accoglimento.
Il giudice di appello non si è pronunciato su alcuna domanda nuova proposta dall’appellante. Avuto riguardo agli oneri di allegazione e di prova di cui si è detto trattando del primo motivo di ricorso, l’appellante, già attrice in primo grado per ripetizione di indebito oggettivo, ha ribadito con l’atto di appello i fatti costitutivi posti a fondamento della sua domanda.
Quanto alla eccezione di mancanza di prova scritta dell’accordo transattivo, così come ritenuto dal primo giudice, il motivo è inammissibile perché non da conto del momento in cui, nel primo grado di giudizio, sarebbe stata dedotta l’esistenza di una transazione, e quindi del momento in cui l’attrice avrebbe dovuto tempestivamente contrastare tale deduzione eccependo la mancanza di prova scritta dell’accordo transattivo. In mancanza, e risultando dagli atti che questo venne ritenuto per la prima volta dalla sentenza di primo grado, risulta altresì tempestiva la relativa eccezione formulata dall’appellante con l’atto di appello.
Giova aggiungere che l’accoglimento dell’appello non risulta fondato esclusivamente sull’affermazione del giudice a qua della mancanza della prova scritta della transazione, ma rinviene la sua rado deciderteli principale nella ritenuta mancanza di prova di un qualsiasi accordo raggiunto tra le parti in ordine alla debenza di un compenso ai sanitari.
4.- Nemmeno il quarto motivo di ricorso è meritevole di accoglimento.
Il giudice d’appello si è pronunciato sulla domanda dell’appellante così come risulta formulata e riprodotta alla pagina 10 del ricorso e l’ha accolta negli stessi termini in cui è stata formulata. Il dispositivo, per il capo che qui rileva, così statuisce: dichiara tenuti e condanna i convenuti R.A. , B.C. , G.L. all’immediata restituzione in favore dell’attrice delle somme indebitamente e rispettivamente percepite a seguito del mancato intervento del 4.06.2004, pari a complessivi Euro 2.403,87.
Non vi è quindi omessa pronuncia sulla misura della prestazione corrispondente all’obbligo restitutorio gravante su ciascuno dei convenuti, avendo la sentenza impugnata espressamente fatto riferimento alle somme rispettivamente percepite da ciascuno degli appellati.
L’omessa determinazione dei singoli importi non comporta il vizio della sentenza così come denunciato”.
La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.
Non sono state presentate conclusioni scritte.

La resistente E. ha depositato memoria.

Ritenuto in diritto

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida, in favore di T..E. , nell’importo complessivo di Euro 1.800,00, di cui Euro 200, 00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Depositata in Cancelleria il 07.11.2012

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