Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 4 marzo 2015, n. 4435
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente
Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26600/2013 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), quale coerede di (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quale ulteriore coerede del medesimo (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso il decreto n. 219/2013 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO del 27/08/2013, depositato il 13/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Nel resistere in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze deduceva, tra l’altro, l’inammissibilita’ della domanda.
Con decreto del 13.9.2013 la Corte d’appello adita accoglieva la domanda, condannando il predetto Ministero a pagare ai ricorrenti, a titolo di equo indennizzo, la somma di euro 40.500,00, oltre accessori e spese di giudizio.
In particolare, e per quanto ancora rileva in questa sede di legittimita’, la Corte distrettuale osservava che il processo presupposto aveva avuto ad oggetto l’impugnazione, da parte di (OMISSIS) e della moglie di lui, (OMISSIS), della sanzione amministrativa, loro irrogata, della revoca Legge n. 765 del 1967, ex articolo 15, dei benefici fiscali, a causa di abusi edilizi nella costruzione di un edificio abitativo. Non trattandosi propriamente di una pretesa impositiva dello Stato, la domanda di equa riparazione doveva ritenersi ammissibile.
Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).
Sostiene parte ricorrente che la sanzione prevista dalla Legge n. 765 del 1967, articolo 15, consiste nell’escludere le agevolazioni tributarie nel caso di opere edilizie eseguite senza licenza o in contrasto con questa, e dunque concerne il potere impositivo dello Stato. Richiama, quindi, giurisprudenza di questa Corte Suprema, in base alla quale la Legge n. 89 del 2001, articolo 2, non e’ applicabile al processo tributario presupposto, salvo la controversia sia non di meno riconducibile alla materia civile, non investendo la determinazione del tributo ma aspetti a quest’ultima consequenziali, ovvero a quella penale, comprensiva, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, anche delle controversie relative all’applicazione di sanzioni tributarie, ove queste siano commutabili in misure detentive ovvero siano, per la loro gravita’, assimilabili sul piano afflittivo ad una sanzione penale.
1.1. – Il motivo e’ fondato.
1.1.1. – In base alla costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina dell’equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, quale introdotta dalla Legge 24 marzo 2001, n. 89, articolo 2 e ss., non e’ applicabile ai giudizi in materia tributaria involgenti la potesta’ impositiva dello Stato, stante l’estraneita’ e irriducibilita’ di tali vertenze al quadro di riferimento delle liti in materia civile, cui ha riguardo la citata norma pattizia (Cass. nn. 15604/06, 8035/06, 21651/05, 21404/05, 17139/04 e 11350/04).
Tale conclusione deriva dal “valore conformativo, in termini di diritto vivente, che riveste la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, relativamente alla definizione e delimitazione della portata applicativa della fattispecie disciplinata dalla norma Europea (articolo 6 par. 1 cit.)”, sicche’ la “simmetria tra i due piani (interno ed internazionale) di tutela dei diritti dell’uomo -coessenziale (…) all’attuazione del principio di sussidiarieta’ che deve ricondurli a sistema – si realizza (…) conformando la fattispecie violata, alla quale e’ ricollegata l’equa riparazione di cui alla Legge n. 89 del 2001, a quella disegnata dalla norma comunitaria di riferimento, come in concreto (quest’ultima) vive attraverso l’esegesi della Corte di Strasburgo” (cosi’, in motivazione, Cass. n. 21404/05).
E poiche’ la Convenzione EDU contempla all’articolo 6 due aree di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, quella civile e quella penale, e prevede all’articolo 1 del Protocollo addizionale che la protezione della proprieta’ non pregiudica il diritto degli Stati di applicare la disciplina necessaria ad assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi, l’equa riparazione prevista dalla legge nazionale per le violazione dell’articolo 6, paragrafo 1 CEDU non e’ riferibile ai casi di durata irragionevole di controversie che involgano l’esistenza e l’esercizio della potesta’ impositiva dello Stato.
Non e’, infatti, la natura pecuniaria delle obbligazioni a rendere sempre e comunque applicabile il richiamato articolo 6 della Convenzione, ma solo il carattere civile delle stesse, cui si contrappongono le obbligazioni di natura pubblicistica, le quali derivino dall’applicazione di tributi o traggano in ogni caso origine da doveri pubblici, onde la conclusione secondo cui, rientrando la materia fiscale “ancora nel nocciolo duro delle prerogative attinenti alla sovranita’ statale ed (essendo) sotto questo profilo tuttora dominante la qualifica pubblicistica del rapporto obbligatorio di imposta tra Stato sovrano e contribuente”, il contenzioso tributario non rientra nell’ambito dei diritti e delle obbligazioni di carattere civile, malgrado gli effetti patrimoniali che esso necessariamente produce nei confronti dei contribuenti (sentenza del 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia; v. anche, le sentenze 23 luglio 2002, Janosevic contro Svezia, e 23 novembre 2006, lussila contro Finlandia).
Vi fanno eccezione le cause riguardanti sanzioni tributarie assimilabili a sanzioni penali per il loro carattere afflittivo (v. Cass. n. 510/14), che sia a tal punto significativo da farle apparire alternative a una sanzione penale ovvero a una sanzione che, in caso di mancato adempimento, sia commutabile in una misura detentiva (Cass. n. 13322/12); e quelle che pur essendo riservate alla giurisdizione tributaria sono riferibili alla “materia civile”, in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti consequenziali (v. Cass. n. 19367/08, che esemplifica richiamando il giudizio di ottemperanza ad un giudicato tributario Decreto Legislativo n. 546 del 1992, ex articolo 70, o quello vertente sull’individuazione del titolare di un credito di imposta non contestato nella sua esistenza; conforme, Cass. n. 3270/11), ovvero le richieste di rimborso di somme, rifluenti nell’area delle obbligazioni privatistiche.
1.1.2. – In nessuno dei suddetti due ambiti d’eccezione rientrano le controversie sulla revoca Legge n. 765 del 1967, ex articolo 15, dei benefici fiscali, a causa della commissione di abusi edilizi.
Nel testo in vigore all’epoca d’introduzione della controversia tributaria presupposta nel ricorso ex Legge n. 89 del 2001, la norma richiamata (che ha introdotto l’articolo 41 ter, della legge urbanistica) prevede che, fatte salve le sanzioni di cui agli articoli 32 e 41, le opere iniziate dopo l’entrata in vigore della stessa Legge n. 765 del 1967, senza la licenza o in contrasto con la stessa, ovvero sulla base di una licenza successivamente annullata, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, ne’ di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici.
Tale revoca delle agevolazioni fiscali, infatti, per quanto abbia carattere sanzionatorio di un illecito, non per questo e’ assimilabile ad una sanzione dotata di un’afflittivita’ rapportabile a quella di una pena.
Le agevolazioni fiscali costituiscono delle deroghe, previste in favore di determinate categorie di contribuenti, alle regole ordinarie che presiedono all’applicazione dei vari tributi. Tali deroghe, che possono tradursi in una molteplicita’ di specie (esenzioni, dilazioni di pagamento, detrazioni d’imposta, bonus ecc), assolvono una funzione extra fiscale. Costituendo una modalita’ d’intervento mirato e selettivo nelle economie dei privati, esse si traducono nel finanziamento pubblico di determinati settori produttivi, esprimendo una funzione prettamente finanziaria piuttosto che puramente fiscale.
Attraverso le agevolazioni lo Stato aziona la leva fiscale non per procurarsi le entrate necessarie al proprio fabbisogno (almeno non direttamente), ne’ per adeguare il prelievo all’effettiva capacita’ contributiva, ma per attuare forme indirette di finanziamento pubblico di attivita’ ritenute socialmente ed economicamente rilevanti, ora incentivandone lo sviluppo, ora fronteggiandone le crisi congiunturali.
La revoca delle agevolazioni fiscali per il venir meno delle relative condizioni sanziona la condotta del contribuente attraverso il recupero della dimensione originaria dell’obbligo tributario, l’accertamento del quale costituisce oggetto di un giudizio in cui viene in rilievo la potesta’ impositiva dello Stato. La relativa controversia, pertanto, esula sia da un ambito sostanzialmente penale, essendo da ricusare la semplicistica equazione, quoad effectum, tra sanzione e pena, sia da un residuo contesto civilistico, poiche’ riguarda, appunto, la legittimita’ del provvedimento di revoca, e con essa il ripristino dell’obbligazione tributaria, e non gia’ profili civilistici puramente consequenziali.
Per la sua natura essenzialmente tributaria, la relativa causa non rientra sotto l’ombrello normativo dell’articolo 6 della Convenzione EDU, rendendo cosi’ inammissibile la domanda di equa riparazione per la durata irragionevole del processo.
2. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, e decidendo nel merito ex articolo 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la proposta domanda ex Legge n. 89 del 2001, deve essere dichiarata inammissibile.
3. – La parziale novita’ della questione costituisce eccezionale ragione per compensare integralmente le spese del grado di merito e del presente processo di cassazione, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, nel testo vigente all’epoca d’instaurazione del giudizio ed applicabile ratione temporis.
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