Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 17 marzo 2016, n. 11441
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/02/2015 della Corte di appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore dell’imputato (OMISSIS), avv. Botasso Paolo, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso;
udito il difensore dell’imputato (OMISSIS), avv. Salvalaggio Catia, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata in data 22 febbraio 2015, la Corte di appello di Trieste, decidendo in sede di rinvio in seguito ad annullamento disposto dalla Corte di cassazione per sentenza del 17 luglio 2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone del 4 maggio 2010 appellata da (OMISSIS), da (OMISSIS) e dalle Cooperative a responsabilita’ limitata Produttori Latte Savoia Cinque e Latte 2003:
– ha rideterminato la pena nei confronti dei prevenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) in quella di tre anni di reclusione e 1.500,00 euro di multa;
– ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della Societa’ Cooperativa Latte 2003 per estinzione dell’illecito imputato dovuta a cessazione della societa’;
– ha rideterminato la sanzione pecuniaria a carico della Cooperativa Produttori Latte Savoia Cinque, in duecento quote del valore di 800 ciascuna;
– ha disposto la confisca per la somma di euro 21.138.701,00 dei crediti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e della Cooperativa Produttori, salvi, per quest’ultima, i diritti della procedura concorsuale.
2. Secondo originaria imputazione erano stati contestati agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), in concorso, i reati di truffa e di peculato, aggravati e continuati (articolo 61 codice penale, n. 7, articoli 81 cpv. e 110 codice penale, articolo 640 codice penale, comma 2, n. 1 e articolo 314 codice penale), per avere i primi, quali legali rappresentanti ed amministratori delle Cooperative Produttori Latte Savoia Cinque e Latte 2003, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ed al fine di procurare a se’ e/o alle indicate cooperative un ingiusto profitto, posto in essere, mediante artifici e raggiri, condotte in frode alla normativa, comunitaria e nazionale (Reg. (CEE) n. 3950 del 28 dicembre 1992 e Legge n. 468 del 1992; Reg. (CE) n. 1788 del 29 settembre 2003 e Legge n. 119 del 2003), dettata in materia di produzione del latte eccedente le quote da riservarsi ai singoli produttori.
Per l’attribuito meccanismo fraudolento, i prevenuti avrebbero costituito le indicate societa’, nel tempo succedutesi negli svolti compiti, come realta’ fittizie, prive di strutture e beni, perche’ le stesse figurassero in modo simulato quali Primi Acquirenti.
Per siffatta dizione sarebbero stati individuati, secondo legislazione nazionale, i soggetti a cui in via esclusiva avrebbero potuto vendere i produttori di latte e che, come tali, sarebbero stati chiamati, dietro autorizzazione regionale, a svolgere il ruolo di intermediari nei rapporti tra produttori-soci ed acquirenti finali-trasformatori.
In tale veste gli imputati, avrebbero provveduto ad inserire nel sistema informatizzato SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) i dati di simulate compravendite, in realta’ illecitamente stipulate in via diretta tra produttori ed acquirenti.
I prevenuti nell’indicata veste avrebbero poi omesso di versare all’Agea, organismo nazionale preposto al recupero, la quota parte del prezzo di cessione corrispondente ai cdd. prelievi supplementari, dovuti dagli allevatori sull’eccesso di produzione rispetto ai contingenti di quote-latte loro assegnati nelle varie campagne.
Eluso il regime delle quote latte, il relativo flusso finanziario, spettante all’Erario, sarebbe stato deviato per distribuzione ai singoli soci, produttori oltre quota e simulati venditori, con alterazione del relativo dato di bilancio, di un fittizio anticipo su future compensazioni (ai sensi della Legge n. 119 del 2003, articolo 9), comprensivo dell’importo non versato all’Agea per l’esubero di produzione, relativo al prelievo supplementare.
In tal modo gli imputati avrebbero sottratto ad Agea la possibilita’ di conoscere tempestivamente i propri debitori e l’entita’ del credito maturato per poi procederne alla riscossione, e avrebbero conseguito, inducendo in errore l’ente regionale che aveva riconosciuto alle cooperative la veste di Primo Acquirente, un ingiusto profitto.
Correlativamente i prevenuti avrebbero cagionato un rilevante danno patrimoniale all’Agea, all’Erario ed all’Unione Europea, nei cui confronti lo Stato italiano sarebbe rimasto inadempiente.
Per le indicate premesse in fatto, e quindi per l’appropriazione e l’indebita distribuzione delle indicate somme, era stato altresi’ contestato ai prevenuti, leggendosi nel ruolo di agenti della riscossione agli stessi riconosciuto dall’indicata normativa la veste di esercenti un pubblico esercizio (articolo 358 codice penale), il reato di peculato.
3. Il Tribunale di Pordenone, espressosi sulla vicenda in esame quale Giudice di primo grado, con sentenza del 4 maggio 2010, ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato di truffa aggravata e continuata in concorso, assolvendo i primi dalla coeva imputazione di peculato, nella ritenuta insussistenza del fatto.
Il Tribunale aveva escluso infatti nella condotta ai primi ascritta posizioni di pregresso possesso quanto al prelievo supplementare non riversato all’Agea, condannando le cooperative per le violazioni amministrative loro ascritte ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001.
La Corte di appello di Trieste, con sentenza dell’11 giugno 2012, ha assolto il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nonche’ e cooperative di cui i primi erano legali rappresentanti ed amministratori, dall’imputazione di truffa aggravata, con la formula perche’ il fatto non sussiste.
La Corte territoriale ha apprezzato l’ascrivibilita’ delle contestate condotte alla fattispecie propria di cui all’articolo 314 codice penale, giungendo all’indicata formula assolutoria dopo aver preso atto della maturata irrevocabilita’, in difetto di impugnativa ad opera del Pubblico Ministero sul punto, della pronuncia di primo grado nella parte in cui la stessa aveva assolto gli imputati dal reato di peculato.
4. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione avverso l’indicata sentenza denunciando violazione di legge (articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 640 codice penale, comma 2, lettera a)) in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale nell’aver erroneamente ritenuto la non sussumibilita’ delle condotte contestate nel reato di truffa aggravata.
Sarebbe poi mancata ad opera di quei Giudici una riqualificazione dei fatti in termini di peculato (articolo 314 codice penale), nell’erroneo maturato convincimento che la questione fosse preclusa in quanto coperta da giudicato.
5. La Corte di cassazione, con sentenza del 17 luglio 2014, in accoglimento del relativo motivo, ha annullato in punto di operata qualificazione la sentenza della Corte di Trieste, stimando ravvisabile nei fatti contestati il reato di truffa.
La Corte ha individuato nella complessiva operazione posta in essere dai prevenuti l’esistenza di quegli artifici e raggiri espressivi di un dolo diretto ad incidere sulla volonta’ di uno dei contraenti, in tal modo determinato alla stipula del contratto per alterazione del processo volitivo.
6. I Giudici di appello, in sede di rinvio, hanno ritenuto la sussistenza in capo ai prevenuti di condotte ascrivibili alla fattispecie di truffa aggravata ed hanno condannato gli stessi alla pena di giustizia, con parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Pordenone, in punto di trattamento sanzionatorio.
7. Avverso la sentenza emessa in sede di rinvio, propongono ricorso per cassazione le difese dei prevenuti.
8. Il difensore del (OMISSIS) affida il proposto mezzo a sette motivi di ricorso.
8.1. Con il primo motivo, il ricorrente fa valere violazione di legge (articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 640 codice penale, comma 1 e comma 2, n. 1) e contraddittorieta’, intrinseca ed estrinseca, della motivazione (articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera e)).
La Corte di appello, pronunciando in sede di rinvio, avrebbe erroneamente ascritto alla nozione di induzione in errore e di artifici e raggiri (articolo 640 codice penale), la condotta dei prevenuti per avere costoro ottenuto il rilascio dell’autorizzazione regionale ad operare quali Primi Acquirenti, rimanendo maliziosamente silenti quanto alle loro reali intenzioni.
Il meccanismo di costituzione in ambito nazionale di cooperative di allevatori quali Primi Acquirenti avrebbe invece risposto all’esigenza dell’Amministrazione regionale di potersi avvalere di un interlocutore, al fine di contrastare la volonta’ dei produttori di non versare le somme corrispondenti alle quantita’ di latte eccedentarie ed avrebbe sollevato le societa’ acquirenti dall’onere dei relativi adempimenti.
Deduce ancora il ricorrente il difetto dell’estremo dell’induzione in errore dei terzi, Regione ed Agea.
L’ente territoriale di controllo e l’organismo nazionale preposto ai recuperi non potevano infatti non essersi rappresentati le modalita’ operative e le finalita’ perseguite dalle cooperative, godendo i primi di accesso al SIAN, registro informatico su cui operava direttamente ogni cooperativa che annotava il superamento delle quote latte e gli importi dovuti in restituzione.
Contesta ancora la difesa il ristretto ambito di configurabilita’ del reato di truffa in forma omissiva, ritenuta dalla giurisprudenza per le diverse ipotesi in cui ricorra una posizione di garanzia, sub specie di obbligo di informazione, in capo all’agente.
Denuncia il ricorrente il difetto di spazio contrattuale, per mancanza di ogni indice di sintomatica esistenza (posizione paritaria tra le parti; mancanza di sinallagma; difetto di uno scambio di informazioni riconducibile ad una trattativa contrattuale; presenza, nella normativa di riferimento, dell’interesse pubblicistico a contenere decozioni del mercato del latte da sovraproduzioni) nei rapporti procedimentali tra la p.A. ed i soggetti che chiedono il riconoscimento della qualifica di Primi Acquirenti.
3.2. Con il secondo motivo, la difesa del (OMISSIS) fa valere violazione di legge penale (articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 640 codice penale) e contraddittorieta’ della motivazione con riferimento alla sussistenza dell’atto di disposizione patrimoniale integrativo del contestato reato di truffa.
L’atto sarebbe stato erroneamente individuato dalla Corte di appello nell’omessa richiesta, da parte di Agea, di pagamento al reale Primo Acquirente laddove a detta omissione non sarebbe legato alcun atto dispositivo del deceptus.
Agea infatti non avrebbe dovuto compiere alcuna attivita’ per ottenere il versamento del prelievo supplementare, ritrovandosi cosi’ l’organismo pagatore nella stessa situazione di fatto di cui avrebbe sofferto in caso di un mero inadempimento di un Primo Acquirente, non altrimenti connotato da illecite interposizioni.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente fa valere violazione di legge penale e vizio della motivazione, con riferimento alla sussistenza dell’elemento del danno di cui all’articolo 640 codice penale.
Il Primo Acquirente non e’ infatti gravato, denuncia la parte, dell’obbligo di pagare il prelievo supplementare, a cui e’ tenuto invece il produttore eccedentario, per il principio di corresponsabilita’ previsto dalla normativa comunitaria.
Il danno rinviene quindi sua fonte e consistenza nella condotta del produttore allorche’ egli non versi quanto dovuto, evidenza, questa, attestata dal contenzioso in essere tra Stato italiano e i produttori, e, in ogni caso, nella pessima gestione del sistema delle quote latte (Legge n. 33 del 2009).
Il danno della truffa difetterebbe poi sia nell’accezione giuridica che in quella economica che al medesimo voglia attribuirsi:
quanto al primo profilo: avendo la persona offesa, adottato ogni mezzo per ottenere il recupero delle somme;
quanto al secondo profilo: non avendo comunque l’Amministrazione sofferto di una deminutio patrimonii, estremo, quest’ultimo, che avrebbe dovuto valutarsi all’esito delle avviate procedure di recupero, ancora in corso, avverso i vari produttori.
L’interesse leso dalla condotta fraudolenta avrebbe attinto la regolarita’ delle procedure amministrative con conseguenti ricadute in punto di legittimita’ amministrativa dei provvedimenti assunti.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente fa valere la violazione della legge penale in relazione all’articolo 640 codice penale con riferimento all’elemento soggettivo.
Sarebbe ravvisabile in capo ai prevenuti un errore scusabile ricadente su norma extrapenale.
Anche ove si fosse voluto riconoscere nelle somme versate dalla cooperativa ai produttori eccedentari l’estremo obiettivo del profitto ingiusto, difetterebbe in capo ai prevenuti la consapevolezza della illiceita’ dell’assunta condotta, evidenza, questa, sostenuta dalla univoca giurisprudenza amministrativa, diretta ad individuare nel Primo Acquirente un mero sostituto del produttore rispetto agli obblighi su quest’ultimo ricadenti.
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente fa valere la violazione della legge penale in relazione all’articolo 640 codice penale, con riferimento alla sussistenza dell’elemento degli artifici e raggiri per inidoneita’ degli stessi a porsi come causa diretta dei successivi eventi necessari ad integrare il reato contestato.
Individuato poi l’indicato estremo nell’avere i prevenuti costituito societa’ cooperative fittizie e nell’avere ottenuto, in tal modo, il riconoscimento della qualifica di Primo Acquirente dalla Regione Friuli Venezia Giulia omettendo di indicare quale fosse lo scopo delle prime, avrebbero consentito ai produttori di non versare il prelievo, e nell’avere utilizzato artificiose modalita’ contabili, facendo comparire i soci quali creditori, la Corte territoriale non si sarebbe confrontata con gli ulteriori necessari estremi.
Non sarebbe infatti individuabile un atto dispositivo nell’autorizzazione regionale, atto dovuto all’esito della eseguita verifica dei requisiti di legge (Decreto Legge 28 marzo 2003, n. 49, articolo 4 convertito in Legge n. 119 del 2003, medio tempore applicabile, in relazione all’articolo 13 Reg. n. 1392/2001/CE).
L’Ente territoriale infatti non avrebbe potuto rifiutare il rilascio anche ove avesse saputo delle reali intenzioni dei richiedenti e non avrebbe avuto peraltro alcun potere dispositivo sul prelievo supplementare, attribuendo la legge al primo la sola possibilita’ di comminare sanzioni per mancato versamento del contributo supplementare (Legge n. 119 del 2003, articolo 5).
Non sussisterebbe alcun rapporto immediato di causa ed effetto tra il mezzo, o l’espediente fraudolentemente utilizzato dall’agente, ed il consenso ottenuto dal soggetto passivo si’ da far risultare quest’ultimo viziato nella sua libera determinazione e, in difetto di vizio del consenso, non sarebbe stata configurabile la truffa.
Il rilascio dell’autorizzazione non costituirebbe inoltre un atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica, non conseguendo in via immediata allo stesso alcuna alterazione del patrimonio della Regione, ma, al piu’, una offesa alla liberta’ di motivazione.
Risultando poi la Regione organo tenuto all’accertamento di una violazione amministrativa, la frode intentata ai danni della stessa non avrebbe potuto, in alcun modo, tradursi in un atto patrimoniale.
La diversita’ tra il soggetto raggirato, la Regione, ed il soggetto danneggiato, l’Agea, non avrebbe prodotto, di contro a quanto ritenuto dalla Corte di appello, alcun danno rilevante ad Agea.
Il rapporto tra gli enti pubblici non riveste infatti le forme qualificate proprie di una rappresentanza, legale o negoziale, fattispecie per la quale il rappresentante ha il potere di compiere libere scelte negoziali destinate a ricadere sul patrimonio del rappresentato.
L’atto dispositivo sarebbe stato poi quello delle societa’ cooperative senza alcuna partecipazione degli enti pubblici.
3.6. Con il sesto motivo, la difesa del (OMISSIS) fa valere l’erronea applicazione della legge penale (articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b)), in relazione a norma extrapenale (Legge n. 689 del 1981, articolo 9; Legge n. 468 del 1992, articolo 5 e n. 119 del 2003).
La cooperativa non avrebbe posto in essere alcun artificio o raggiro, ma si sarebbe limitata a non adempiere agli obblighi alla stessa assegnati (la trattenuta e il versamento mensile delle somme trattenute a ciascun produttore che avesse superato il limite delle “quote latte”), restando dette condotte punite, in modo esaustivo del rivestito disvalore per il principio di specialita’ (Legge n. 689 del 1981, articolo 9, comma 1), e nell’apparente concorso di norme, per applicazione di sanzione amministrativa.
La truffa avrebbe infatti richiesto per la sua esistenza quei particolari accorgimenti, o speciali astuzie, capaci di eludere le normali possibilita’ di controllo degli organi amministrativi preposti, presupposti non realizzatisi nella specie.
Il difetto di una norma all’interno del sistema (come invece accaduto in quello penal-tributario ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, per la figura del sostituto d’imposta) diretta a sanzionare penalmente le condotte del produttore e del Primo acquirente comproverebbe, dall’altro, la volonta’ del legislatore di considerare come compiuto il sistema di recupero del prelievo supplementare e sufficiente la sanzionabilita’ delle condotte in via amministrativa.
3.7. Con il settimo motivo, la difesa del (OMISSIS) fa valere la violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU in quanto affermativo del principio del ne bis in idem.
Il principio riconosciuto nella maggior parte degli ordinamenti giuridici e consacrato nell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deduce il ricorrente, andrebbe interpretato non solo con riguardo alle sanzioni formalmente penali, ma anche avendo riguardo a quelle amministrative, fiscali, doganali o disciplinari che rivestano carattere penale in senso sostanziale, per un’opera di esegesi guidata da individuati criteri (qualificazione della sanzione nel diritto interno; finalita’ dell’intervento sanzionatorio; gravita’ della sanzione).
L’indicato principio, per l’ampia rivestita accezione, risulterebbe violato nel caso di specie in cui il (OMISSIS) e’ stato gia’ attinto per i fatti contestati da sanzioni solo apparentemente amministrative e sostanzialmente penali, tra le quali la misura interdittiva della revoca della qualifica di Primo Acquirente.
Nella coincidenza tra le condotte contestate in sede penale (articolo 640 codice penale) e quelle sanzionate in via amministrativa (Legge n. 468 del 1992, articoli 5 e 11 e Legge n. 119 del 2003, articolo 5) si sarebbe pertanto realizzata la violazione dell’indicato principio.
4. Il difensore del (OMISSIS) affida l’introdotto mezzo a due articolati motivi per i quali ripropone, sia pure per una diversa cronologia e attraverso una originale disamina della normativa comunitaria e di nazionale di recepimento, giusta denunciati vizi di violazione di legge e contraddittorieta’ della motivazione (articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b) e c)), le censure fatte proprie del (OMISSIS).
Solleva poi la difesa del (OMISSIS), in relazione alla denunciata violazione dell’articolo 6 CEDU e dell’articolo 4 Protocollo n. 7 CEDU sul ne bis in idem, questione di legittimita’ costituzionale in relazione all’articolo 117 Cost..
Ripercorre il ricorrente lo stato della giurisprudenza quanto ai rapporti tra ordinamento interno e norma convenzionale ed ai poteri da attribuirsi ai Giudici nazionali in caso di verificato contrasto tra norma interna e norma sovranazionale.
Esclusa la disapplicazione diretta e dedotta la praticabilita’ di un percorso interpretativo diretto ad armonizzare i principi propri dei due ordinamenti, la difesa conclude, nel caso in cui venga respinto il richiesto annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato – posizione riassuntiva delle portate contestazioni alla ritenuta, dalla Corte di appello di Trieste, ascrivibilita’ delle condotte contestate alla truffa -sollevando, giusta l’indicato parametro dell’articolo 117 Cost., comma 1, questione di legittimita’ costituzionale quanto all’articolo 649 codice procedura penale, per contrasto con gli articoli 6 della Convenzione EDU e 4 del Protocollo addizionale CEDU n. 7.
La norma processuale nazionale non prevede infatti che non possa essere sottoposto a nuovo procedimento penale per il medesimo fatto concreto, colui a carico del quale sia stata irrogata o annullata, con sentenza passata in giudicato, una sanzione definita dall’ordinamento interno come amministrativa, ma avente sostanziale natura penale (Legge n. 119 del 2003, articolo 5).
RITENUTO IN DIRITTO
1. La natura del giudizio, nell’ambito del quale la Corte di legittimita’ e’ chiamata all’esercizio del proprio sindacato, impone una premessa di metodo diretta ad individuare del sindacato medesimo contenuti e limiti.
Questa fase del giudizio resta infatti in modo univoco definita dal principio di diritto espresso dalla sentenza della Corte di legittimita’ del 17 luglio 2014, con cui su ricorso degli odierni prevenuti e’ stato disposto annullamento con rinvio (articolo 623 cod. proc.).
Nel richiesto raffronto tra il principio di cui questa Corte si e’ fatta portatrice per l’indicata sentenza e l’esito del giudizio di rinvio dinanzi alla Corte di appello di Trieste, si inseriscono le plurime ed articolate censure svolte ai sensi dell’articolo 628 codice procedura penale dalle difese degli imputati.
2. La Corte di legittimita’, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Trieste in ordine alla legittimita’ della qualificazione giuridica del fatto ascritto ai prevenuti, ha annullato con rinvio la prima sentenza della Corte territoriale di Trieste in punto di qualificazione giuridica, ritenendo “certamente ravvisabile nei fatti il reato di truffa e non quello di peculato” (p. 8 motivazione).
Muovendo dagli esiti interpretativi raggiunti dalla giurisprudenza di legittimita’ in materia di truffa contrattuale, nella parte in cui il dolo iniziale viene apprezzato come in grado di perturbare il processo di formazione della volonta’ negoziale di uno dei due contraenti (Sez. 2, n. 5801 del 08/11/2013, dep. 2014, Montalti, Rv. 258203), la Corte di cassazione ha qualificato le condotte ascritte ai prevenuti in termini di truffa aggravata.
Le difese dei ricorrenti a fronte dell’operata qualificazione ritengono, cosi’ svolgendo in questa sede motivi di ricorso, che sia ancora in predicato, nei rapporti tra giudizio di annullamento ed accertamento da svolgersi in sede di rinvio, la verifica della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato di truffa aggravata (articolo 640 codice penale, comma 2, n. 1)).
L’apprezzamento condotto dalla Corte di legittimita’ in punto di qualificazione, e quindi in accoglimento del motivo sulla violazione della norma penale, si sarebbe spinto infatti a riconoscere in via incidentale l’esistenza del solo elemento materiale degli artifici e raggiri.
Ogni questione sull’esistenza di tutti gli altri elementi costitutivi del reato di truffa (induzione in errore, atto di disposizione patrimoniale, danno e dolo) sarebbe rimasta impregiudicata, risultando ancora in questa sede sindacabile l’accertamento condotto in sede di rinvio per cattivo confronto dello stesso con il principio sancito dalla sentenza di questa Corte (articolo 627 codice procedura penale, comma 3).
3. Il vincolo che grava sul giudice del rinvio in seguito ad annullamento della Corte di cassazione resta definito dai principi e dalle questioni di diritto decise con la sentenza di annullamento.
Resta esclusa invece ogni altra restrizione che possa derivare da passaggi di natura argomentativa contenuti nella motivazione della sentenza di legittimita’ soprattutto ove questi siano riferibili a questioni di mero fatto attinenti il giudizio di merito (Sez. 4, n. 41388 del 24/09/2013, Di Gregorio, Rv. 256893).
Ritenuta, quest’ultima, quale ipotesi del tutto residuale e non rispondente, come tale, alla tipicita’ del giudizio di annullamento e peraltro neppure invocata dalle difese nell’odierno giudizio, si ha che nei contenuti del principio di diritto espresso dalla Corte con la sentenza del 17 luglio 2014 risultano tutti gli elementi costitutivi della truffa senza lasciare estremo alcuno in predicato.
Nell’apprezzamento operato dalla Corte sulla riconducibilita’ dei fatti accertati all’indicata fattispecie (articolo 640 codice penale, comma 2, n. 1), non si legge pertanto il solo riferimento all’estremo degli artifici e raggiri, ma anche un chiaro richiamo:
– all’elemento soggettivo del dolo, inteso quale dolo iniziale in grado di orientare il consenso della parte negoziale, per richiamo alla giurisprudenza formatasi sulla truffa contrattuale;
– all’induzione in errore, per utilizzo del meccanismo lecito di facciata di riconoscimento alle cooperative del ruolo di Primi Acquirenti;
– al profitto ingiusto, per richiamo al meccanismo glite “pacificamente orientato alla possibilita’ di ottenere il transito di ingentissime somme di denaro” (p. 8, motivazione sentenza di annullamento);
– all’atto dispositivo, identificato nella “collocazione delle societa’ cooperative… nel ruolo di “primi acquirenti” (p. 8 cit.);
– al danno per segnalato sviamento di quelle somme “rispetto alla destinazione stabilita dalla legge” (p. 8 sentenza di annullamento).
L’analisi condotta dalla Corte di legittimita’ in sede di annullamento, al fine di vagliare la dedotta, e ritenuta, violazione di legge penale per errata sussunzione, giusta la prima sentenza della Corte di appello, dei fatti nell’ipotesi tipica del peculato anziche’ in quella della truffa, si articola per passaggi che non lasciano spazio ad ulteriori e diversi accertamenti, ricomprendendo appieno, nella sua fattualita’, il meccanismo contestato.
Non e’ quindi consentito di dare ingresso, in questa sede, in quanto non ricomprese nell’area dell’impugnabilita’ propria della sentenza del giudice della fase di rinvio (articolo 627 codice procedura penale, comma 3, e articolo 628 codice procedura penale, comma 2), a censure su vizi di motivazione o per violazioni di legge, dirette ad aprire, ancora una volta, il sindacato della Corte al tema della riconduzione, o meno, delle contestate condotte alla fattispecie di truffa aggravata (articolo 640 codice penale, comma 2, n. 1).
La dedotta questione qualificatoria e’ intranea alla decisione gia’ assunta dalla Corte di legittimita’ all’esito dello svolto giudizio rescissorio e, come tale, non puo’ essere oggetto di riproposizione, nell’intervenuta osservanza da parte della Corte di merito del tracciato percorso interpretativo.
Ne’ le portate censure possono apprezzarsi come dirette a segnalare della sentenza adottata in fase di rinvio un disallineamento rispetto ai principi indicati, in sede di annullamento, dalla Corte di legittimita’.
I ricorrenti infatti denunciano la non ascrivibilita’ della condotta, per tutte le sue originarie componenti, alla truffa aggravata nella apprezzata minore incisivita’, in punto di operata qualificazione (cosi’ per il solo elemento materiale degli artifici e raggiri), della sentenza di legittimita’.
Le argomentazioni svolte portano al rigetto di tutti i motivi.
Con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione del principio di specialita’ (Legge n. 689 del 1981, articolo 9, comma 1) nella dedotta eguale astratta riconducibilita’, per le contestate fattispecie, secondo concorso apparente di norme destinato ad essere risolto per applicazione dei principi di specialita’, ad una ipotesi penalmente sanzionata (articolo 640 codice penale, comma 2, n. 1) e ad un illecito amministrativo (Legge n. 119 del 2003, articolo 5).
Anche questo motivo non puo’ essere favorevolmente scrutinato.
La Corte di legittimita’, per l’operata qualificazione, ha sottratto ogni rilievo anche a siffatto motivo di ricorso che, proponendo un tema rientrante tra i punti gia’ decisi, non puo’ essere introdotto, con carattere di autonomia, nel giudizio di rinvio (articolo 628, comma 2, cit.).
L’applicazione del principio di diritto in sede di rinvio si e’ tradotta infatti nell’apprezzamento, anche, di quel quid pluris che, collocandosi al di fuori dello schema del mero inadempimento delle societa’ preposte a trattenere al produttore, e quindi a versare agli organismi competenti, il prelievo supplementare per gli splafonamenti produttivi, integra gli artifici o raggiri propri della fattispecie criminosa, per lo stimato estremo dei carattere fittizio delle cooperative Prime Acquirenti (in tal senso, sul discrimen, per difetto dell’indicato quid pluris, tra fatti di mero inadempimento e condotte ascrivibili a truffa,: Sez. 6, n. 897 del 22/10/2014 (dep. 2015), Manenti, punto n. 232 motivazione).
4. I ricorrenti fanno valere con l’ultimo motivo, dell’impugnata sentenza, violazione di legge e, ancora, carenza e contraddittorieta’ manifesta della motivazione per violazione dell’articolo 4, comma 1, del Protocollo 7 alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), rubricato Diritto di non essere giudicato o punito due volte (“Nessuno puo’ essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale e’ gia’ stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”).
L’intervenuta applicazione, per le condotte poste in essere dai prevenuti quali legali rappresentanti ed amministratori della cooperative Prime Acquirenti, delle sanzioni amministrative previste dalla Legge n. 468 del 1992, articoli 5 e 11 (contenente Misure urgenti nel settore lattiero-caseario) e dalla Legge n. 119 del 2003, articolo 5 (contenente Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto Legge 28 marzo 2003, n. 49, recante riforma della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari) sostiene l’esame della dedotta violazione dell’articolo 649 codice procedura penale.
Se l’affermato principio di diritto che ha letto nei fatti ascritti ai prevenuti una ipotesi di truffa aggravata, contrassegnata da quel quid pluris destinato ad escludere l’identita’ del fatto rispetto alle coeve imputazioni amministrative, non vale a riaprire il tema della sanzionabilita’ in astratto, secondo l’ampia forbice ricompresa tra sanzione penale e sanzione amministrativa, lo stesso non vale a sottrarre, come tale, al vaglio di questa Corte, il tema del ne bis in idem.
I procedimenti amministrativi, quelli civili e l’odierno penale, evidenziano i ricorrenti come abbiano avuto origine dalla medesima condotta di mancata trattenuta e/o omesso versamento del prelievo supplementare e riguardino il medesimo lasso temporale.
Il trattamento punitivo sofferto cosi’ dai prevenuti per irrogate sanzioni amministrative precluderebbe l’applicazione della sanzione penale, ai sensi dell’articolo 649 codice procedura penale, norma procedurale, quest’ultima, da interpretarsi in ragione dei principi propri della giurisprudenza della Corte EDU, sulla richiamata norma convenzionale (articolo 4 cit.).
Per l’indicato tema vengono in considerazione quelle materie in cui il legislatore nazionale ha previsto la concorrenza, o la duplicazione, di sanzioni amministrative e penali quanto a fatti identici nella loro materialita’.
L’indagine si estende in tal modo alla definizione della nozione della matiere penale e con la stessa dei criteri interpretativi elaborati per la sua individuazione (qualificazione nel diritto interno; finalita’ dell’intervento sanzionatorio; severita’ della sanzione), nella premessa che la formale qualificazione prevista dagli ordinamenti interni non precluda l’applicazione della garanzia convenzionale.
Rispetto a siffatto ulteriore strumento, presupposto di ogni descritta sindacabilita’ e’, ancora, l’identita’ (l’idem) dei fatti ascritti.
Nell’apprezzata esistenza di fatti di truffa per le condotte ascritte, giusta il descritto quid pluris dell’artificio e del raggiro, resta radicata anche l’obiettiva diversita’ della fattispecie penale rispetto a quella, di rilievo amministrativo-sanzionatorio, in cui figura la sola condotta di trattenimento a titolo di prelievo supplementare di somme che non vengono riversate ad Agea ed all’Erario, per le quote di latte eccedentarie.
L’indicato estremo della non identita’ risulta sostenuto, per i riportati criteri interpretativi, anche dalle posizioni espresse dalla giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008, dep. 2009, Beffino, Rv. 242651; Sez. 2, n. 10880 del 26/02/2014, Righetti; Sez. 2, n. 26788 del 19/03/2014, Paoletti) in punto di finalita’ dell’intervento sanzionatorio, previa individuazione degli interessi sottesi alle previsioni a confronto (integrita’ del patrimonio e libera formazione del consenso negoziale dell’offeso, da un canto; funzionamento, anche per la complessa fase dei controlli, della produzione lattiero-casearia, con sanzionabilita’ di violazioni, anche solo formali, dall’altro).
Nelle indicate premesse resta assorbito ogni sospetto di illegittimita’ costituzionale, secondo il parametro di cui all’articolo 117 Cost., comma 2, portato alla delibazione di questa Corte dalla difesa del (OMISSIS), nella dedotta, dal ricorrente, identita’ tra illecito amministrativo ed illecito penale e ancora, natura sostanzialmente penale dell’afflittiva misura amministrativa irrogata (articolo 649 codice procedura penale per violazione dell’articolo 117 Cost., per contrasto con l’articolo 6 CEDU e dell’articolo 4 del Prot. 7 della CEDU; Legge n. 119 del 2003, articolo 5 per violazione dell’articolo 117 Cost., per contrasto con l’articolo 6 della CEDU).
La questione e’ irrilevante, una volta escluso l’ingresso nella specie ad un bis in idem.
5. I ricorsi vanno conclusivamente rigettati per infondatezza degli stessi.
Segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali (articolo 616 codice procedura penale).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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