Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 10 novembre 2015, n. 45077
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MILO Nicola – Presidente
Dott. VILLONI O. – rel. Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. BASSI A. – Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. (OMISSIS), parte civile;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3691/13 della Corte d’Appello di Firenze del 06/12/2013;
esaminati gli atti e letti i ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere, Dott. Orlando Villoni;
udito il Pubblico Ministero in persona del sostituto P.G., Dr. Selvaggi E., che ha concluso per l’inammissibilita’;
udito il difensore della resistente imputata (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Firenze ha confermato quella emessa dal Tribunale di Pistoia in data 24/06/2009 con cui (OMISSIS) era stata assolta dal reato di maltrattamenti continuati (articoli 81 E 572 c.p.) in danno di (OMISSIS), parte civile appellante ai soli effetti civili.
La Corte territoriale ha analiticamente esaminato il compendio probatorio costituito essenzialmente dalle dichiarazioni della parte offesa e dei testimoni escussi, suoi colleghi nell’Ufficio Postale di (OMISSIS), concludendo per la non completa attendibilita’ della prima e per l’assenza di elementi di conferma dell’accusa privata, rinvenibili tanto nelle fonti dichiarative quanto nelle acquisizioni di natura documentale.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’appellante parte civile deducendo violazione di legge, manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento della prova in quanto, pur essendo stata raggiunta nel corso del giudizio di primo grado la prova della responsabilita’ dell’imputata, la Corte d’appello ha omesso di rilevare che la pronunzia del primo giudice era affetta da cadute logiche, imprecisioni e percorsi valutativi inficiati da mancata considerazione o sottovalutazione degli elementi a disposizione (pag. 4 ricorso).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile.
2. I motivi in cui l’impugnazione si articola riguardano, infatti, al di la’ della qualificazione formale datane, tutti il merito della vicenda oggetto di verifica processuale e come tali non possono essere presi in considerazione ai fini del vaglio di legittimita’ della decisione impugnata (articolo 606 c.p.p., comma 3).
3. In maniera decisiva rileva, inoltre, che nella fattispecie considerata, riguardante condotte di mobbing asseritamente consumatesi all’interno di un ufficio postale, il reato di cui all’articolo 572 c.p. non appare per nulla configurabile, aspetto invero non considerato da alcuno dei giudici di merito.
Va, infatti, ribadita la perdurante validita’ dell’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione secondo cui il delitto di maltrattamenti previsto dall’articolo 572 c.p. puo’ trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo solo a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarita’, intesa come sottoposizione di una persona all’autorita’ di altra in un contesto di prossimita’ permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunita’ familiari, nonche’ di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all’azione di chi ha la posizione di supremazia (Sez. 6, sent. n. 24057 del 11/04/2014, Marcucci, Rv. 260066).
Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto mobbing) possono, pertanto, integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esattamente alle predette condizioni, quando cioe’ il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura parafamiliare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto piu’ debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (Sez. 6, sent. n. 24642 del 19/03/2014, P.G. in proc. L G, Rv. 260063 e Sez. 6, sent. n. 43100 del 10/10/2011, R.C. e P., Rv. 251368 in fattispecie in cui e’ stata esclusa la configurabilita’ del reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere da un sindaco nei confronti di dipendenti e/o funzionar comunali; Sez. 6, sent. n. 28603 del 28/03/2013, P.C. in proc. S. e altro, Rv. 255976 in cui parimenti e’ stata esclusa la concreta configurabilita’ del reato; Sez. 6, sent. n. 13088 del 05/03/2014, B e altro, Rv. 259591 in fattispecie di esclusione del reato nel contesto di un’articolata realta’ aziendale, caratterizzata da uno stabilimento di ampie dimensioni e da decine di dipendenti sindacalizzati; Sez. 6, sent. n. 16094 del 11/04/2012, I., Rv. 252609 in fattispecie in cui e’ stata esclusa la configurabilita’ del reato in relazione a condotte vessatorie poste in essere dal vice Presidente di un ATER nei confronti di una dipendente).
A dispetto della riaffermazione del principio dell’astratta configurabilita’ del reato nelle condizioni date e a conferma della frequente affermazione d’inapplicabilita’ nelle fattispecie considerate, va, infatti, precisato che la figura di reato di cui all’articolo 572 c.p. non costituisce la tutela penale del c.d. mobbing lavorativo, il quale, ove dante luogo a condotte autonomamente punibili (ingiurie, diffamazione, minacce, percosse, lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona, etc), trova nelle corrispondenti figure di reato il relativo presidio.
4. Alla dichiarazione d’inammissibilita’ dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
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