In caso di patteggiamento inammissibile l’impugnazione del Pg fondata su censure che si risolvono in un recesso dell’accordo.
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI penale
sentenza 3 maggio 2017, n. 21126
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente
Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/06/2016 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Termini Imerese;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BIRRITTERI Luigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza emessa in data 8 giugno 2016, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Termini Imerese ha applicato, a norma dell’articolo 444 c.p.p., a (OMISSIS) la pena di anni uno, mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed Euro 2.128 di multa, in relazione a plurimi episodi di coltivazione, detenzione e cessione di sostanza stupefacente del tipo cannabis indica, commessi tra il settembre ed il novembre 2015, in diversi casi con consegna della stessa a persone di eta’ minore degli anni diciotto, previa di riqualificazione dei fatti a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, ritenuta la continuazione tra i reati, e computati gli aumenti per la contestata recidiva e per l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 1, lettera a), nonche’ la diminuente per il rito. La pena base e’ stata fissata, con riferimento alla cessione di “quattro canne” a due minori degli anni diciotto in mesi nove di reclusione ed Euro 1.032,00 di multa, aumentata per la recidiva a ad anni uno e mesi tre di reclusione ed Euro 1.720,00 di multa, nonche’, ulteriormente, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 80, comma 1, lettera a), ma tenendo conto del disposto di cui all’articolo 63 c.p., comma 4, ad anni uno e mesi cinque di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa; questa pena, poi, e’ stata aumentata per la continuazione ad anni due e mesi due di reclusione ed Euro 3.193,00 di multa, e, quindi, ridotta per il rito, alla pena finale sopra precisata.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo, formulando due motivi.
Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla riqualificazione giuridica dei fatti. Si deduce che la riqualificazione e’ avvenuta in assenza di qualunque motivazione, nonostante la condanna riguardi una pluralita’ di cessioni, effettuate in tempi diversi e prevalentemente ad acquirenti minorenni; l’abitualita’ della condotta illecita da parte dell’imputato e’ desumibile, oltre che dalla pluralita’ di episodi contestati nel presente processo, anche dai precedenti penali del medesimo.
Con il secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avendo riguardo al computo della pena. Si deduce che l’aumento della pena e’ stato determinato in difetto di qualunque discorso giustificativo, da svolgersi per ciascun reato satellite, e comunque in termini incongrui, in ragione della pluralita’ e della gravita’ dei fatti, trattandosi prevalentemente di cessioni di stupefacente a minorenni.
3. Il ricorso espone motivi diversi da quelli consentiti.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’, che il Collegio condivide, quello secondo cui, in tema di patteggiamento, l’accordo delle parti sulla pena non puo’ essere oggetto di recesso ed e’, pertanto, inammissibile l’impugnazione del procuratore generale fondata su censure che si risolvono in un recesso dall’accordo, non potendosi riconoscere ad altro ufficio del pubblico ministero, nonostante la sovraordinazione gerarchica e la titolarita’ di un autonomo potere di impugnazione, un potere che non spetta alle parti (cfr., trai le tante, Sez. 6, n. 28427 del 12/03/2013, Ennaciri, Rv. 256455, proprio in riferimento a fattispecie in cui il Procuratore generale aveva presentato ricorso per cassazione lamentando l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, e di quella di cui all’articolo 73, comma quinto, d.P.R. 309 del 1990, nonche’ Sez. n. 40519 del 12/10/2005, Scafidi, Rv. 232844).
Inoltre, per quanto attiene specificamente alla doglianza concernente la definizione giuridica del reato, e’ altrettanto consolidato il principio secondo cui, in tema di patteggiamento, la possibilita’ di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza e’ limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilita’ dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (cosi’, tra le tante, Sez. 7, n. 39600 del 10/09/2015, Casarin, Rv. 264766, nonche’ Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865). In questa prospettiva, e’ utile considerare che, secondo l’insegnamento enunciato dalle sezioni unite, sia pure in epoca antecedente alle riforme del 2013 e del 2014, l’aggravante della cessione di sostanze stupefacenti a soggetto minore di eta’ e’ astrattamente compatibile con un giudizio di lieve entita’ del fatto, sicche’ il giudice deve procedere ad una valutazione caso per caso che tenga conto di tutte le specifiche circostanze venute in essere (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247912), e che, nella vicenda in esame, dalle contestazioni emerge una produzione domestica, nonche’ episodi di cessioni per minimi quantitativi.
In riferimento, poi, alla doglianza relativa alla mancata specificazione degli aumenti di pena per i singoli reati satellite, e’ sufficiente richiamare l’indirizzo assolutamente diffuso, secondo cui non e’ necessaria l’indicazione, da parte del giudice, degli aumenti per ciascun reato satellite, ne’ una esplicita motivazione in ordine all’aumento della pena posta a base del calcolo, attesa la natura semplificata della sentenza di patteggiamento (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 52261 del 28/10/2016, Ben Mohamed Salh, Rv. 268642, nonche’ Sez. 6, n. 7401 del 31/01/2013, Gjataj, Rv. 254879).
4. Alla proposizione di censure diverse da quelle consentite segue la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso. In considerazione di quanto previsto dall’articolo 616 cod. proc. pen., essendo il ricorrente una parte pubblica, non si dispone condanna della stessa al pagamento delle spese del procedimento, ne’ di una somma in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico ministero.
Motivazione semplificata.
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