Il cittadino rumeno non può essere estradato dall’Italia se risulta residente nel nostro Paese. Sulla nozione di residenza la Consulta con la sentenza n. 227/2010 ha ritenuto che se il rifiuto è diretto a Paese membro Ue occorre un notevole radicamento dello straniero in Italia
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI penale
sentenza 26 maggio 2017, n. 26513
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
Dott. D’ARCANGELO Fabrizi – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/04/2017 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. D’ARCANGELO Fabrizio;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza emessa in data 10 aprile 2107, ha disposto la consegna di (OMISSIS) all’Autorita’ giudiziaria rumena, per l’esecuzione della pena di cinque anni di reclusione irrogata dalla Corte di Appello di Iasi, con sentenza divenuta definitiva in data 6 dicembre 2016, per il reato di traffico di persone previsto dall’articolo 210 c.p. rumeno, comma 1, lettera b).
2. L’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia del (OMISSIS), ricorre contro tale sentenza e ne chiede l’annullamento, articolando due motivi.
3. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione della L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera r), in quanto dagli accertamenti svolti dai Carabinieri della stazione di San Marzano sul Sarno era emerso che il (OMISSIS) risiedeva stabilmente in tale comune dall’11 maggio 2015, insieme alla compagna ed al figlio, nato a (OMISSIS) in data (OMISSIS), provvedendo al loro sostentamento con lavori saltuari presso aziende agricole del posto.
Il (OMISSIS), invero, dimorava abitualmente in tale comune dagli anni 2000, aveva locato un immobile, con contratto registrato in data 25 giugno 2016 presso l’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS), e dall’estratto conto previdenziale rilasciato dall’INPS emergeva che, gia’ dal 2013, erano stati versati i contributi previdenziali e pagati gli oneri nell’interesse del richiesto in consegna.
4. Il difensore, inoltre, con il secondo motivo, deduce la violazione della L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera h), in quanto la Corte di Appello di Salerno avrebbe dovuto richiedere informazioni ed accertamenti integrativi relativamente alla insussistenza del pericolo di trattamenti inumani e degradanti per le condizioni di detenzione nelle strutture penitenziarie rumene gia’ stigmatizzate dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto in quanto i motivi nello stesso dedotti si rivelano fondati.
2. Fondato e’ invero il primo motivo di ricorso relativo alla violazione di legge conseguente al mancato riconoscimento della qualita’ di residente in Italia da parte della ricorrente, rilevante ai fini del motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera r), applicabile, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 2010, anche ai cittadini di Paesi dell’UE che risultino residenti o stabilmente dimoranti in Italia.
3. La Corte costituzionale, in tale pronuncia, nel delineare la nozione di residenza e di stabile dimora, ha in particolare richiamato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea n. 66/08 del 17/7/2008, Kozlowski, dalla quale risulta che per residenza deve intendersi la residenza effettiva nello Stato di esecuzione e per dimora un soggiorno stabile di una certa durata che consenta di acquisire con lo Stato di esecuzione legami di intensita’ pari a quelli che si instaurano in caso di residenza.
4. La stessa sentenza Kozlowski ha altresi’ segnalato la necessita’ di una valutazione complessiva degli elementi oggettivi che caratterizzano la situazione del ricercato, in relazione alla durata, alla natura e alle modalita’ del suo soggiorno, nonche’ ai legami familiari ed economici che ha stabilito nello Stato dell’esecuzione, sottolineando ancora l’esigenza che il giudice valuti anche l’esistenza di un interesse legittimo del condannato a che la pena sia scontata in quello Stato.
5. Tali indicazioni sono state valorizzate dalla Corte di Cassazione per delineare il proprio, ormai costante, orientamento interpretativo, secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo, la nozione di “residenza” rilevante – dopo la sentenza n. 227 del 2010 della Corte costituzionale – ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di altro Paese membro dell’Unione, ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, articolo 18, lettera r), presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile dalla legalita’ della sua presenza in Italia, dall’apprezzabile continuita’ temporale e stabilita’ della stessa, dalla distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, dalla fissazione in Italia della sede principale (anche se non esclusiva) e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, dal pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. La nozione di “dimora”, rilevante ai medesimi fini, si identifica con un soggiorno nello Stato stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l’acquisizione di legami con lo Stato pari a quelli che si instaurano in caso di residenza” (ex plurimis: Cass. Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014, Batanas, Rv. 261375; Cass. Sez. 6, n. 9767 del 26/2/2014, Echim, Rv. 259118; Cass. Sez. 6, n. 46494 del 20/11/2013, Chiriac, Rv. 258414).
6. La Corte di Appello di Salerno non ha, tuttavia, fatto buon governo di tali principi in quanto si e’ limitata ad affermare la inidoneita’ della documentazione prodotta dalla difesa, relativa alla residenza in territorio italiano dell’imputato, ed alla sua condizione di convivenza e paternita’, ai fini di “una compiuta valutazione di uno stabile radicamento sul territorio nazionale” ed a rilevare che l’imputato non aveva dimostrato la sussistenza di alcun interesse di carattere patrimoniale derivante da eventuali rapporti di lavoro.
7. Tale sindacato si e’, tuttavia, risolto in una omessa motivazione in quanto non ha precisato per quali ragioni la documentazione anagrafica prodotta dall’imputato sia stata ritenuta priva di efficacia dimostrativa del radicamento in territorio italiano del ricorrente.
8. Anche il secondo motivo di ricorso si rivela fondato.
9. L’accertamento relativo alla insussistenza di un serio pericolo di sottoposizione della persona ricercata a trattamenti inumani e degradanti e’ stato, infatti, integralmente pretermesso dalla Corte di Appello di Salerno.
10. Secondo la piu’ recente giurisprudenza della Corte di legittimita’, per effetto dei consolidati principi fissati sul punto dalla Corte EDU (ex plurimis: Corte EDU, Bujorean c. Romania, n. 13054/12; Constantin Aurelian Burlacu c. Romania, n. 51318/12, e Mihai Laurentiu Marin c. Romania, n. 79857/12) e della Corte di Giustizia dell’UE, non puo’ farsi luogo alla consegna allo Stato rumeno, piu’ volte condannato per la verificata inidoneita’ delle modalita’ di custodia dei detenuti – conseguente a mancanza di servizi igienici nelle strutture, sovraffollamento, spazi individuali limitati -, ove lo Stato richiesto non solleciti la garanzia di trattamenti per il consegnando in linea con gli standard fissati in sede europea, che risultano gradualmente in corso di attuazione in quel paese, per effetto di nuove disposizioni legislative e per la realizzazione di nuove strutture carcerarie.
11. Si e’ infatti chiarito che “in tema di mandato di arresto europeo c.d. esecutivo, il motivo di rifiuto della consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera h), – che ricorre in caso di “serio pericolo” che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti – impone all’autorita’ giudiziaria dello Stato di esecuzione, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione europea (sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu), di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro, se, in concreto, la persona oggetto del m.a.e. potra’ essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicche’ a tal fine puo’ essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria” (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296, fattispecie in cui la Corte, in relazione alla situazione delle carceri della Romania, ha chiarito che, in conformita’ dei principi di mutuo riconoscimento, se, dalle informazioni non venga escluso il rischio concreto di trattamento degradante, l’autorita’ giudiziaria deve rinviare la propria decisione sulla consegna fino a quando, entro un termine ragionevole, non ottenga notizie che le consentano di escludere la sussistenza del rischio).
12. Alla stregua di tali condivisi principi, pertanto, la Corte di appello dovra’ procedere alla richiesta di informazioni complementari allo Stato richiedente, fissando un termine adeguato che, ai sensi dell’articolo 16 cit., non potra’ comunque essere superiore ai trenta giorni, al fine di accertare se la persona richiesta in consegna sara’ detenuta presso una struttura carceraria ed, in caso positivo, le condizioni di detenzione che saranno riservate all’interessato.
13. La consegna richiesta dalla autorita’ giudiziaria rumena potra’ essere disposta solo a seguito della ricezione di specifiche informazioni, sulla base delle quali possa escludersi nei confronti del consegnando il rischio di trattamento degradante. Tale delibazione dovra’ essere condotta secondo i parametri enucleati dalla giurisprudenza di legittimita’ in ordine allo spazio individuale intramurario conforme agli standard europei; sul punto il giudice del rinvio terra’ conto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’, che ha stabilito che lo stesso va individuato in uno spazio almeno pari almeno a tre metri quadrati “calpestabili” (Sez. 1, n. 5728 del 19/12/2013, dep. 2014, Berni, Rv. 257924), richiamando la giurisprudenza della Corte EDU sul punto (Corte EDU, 21/072007, Kantyrev c. Russia, n. 37213/02, §§ 50-51; 29/03/2007, Andrei Frolov c. Russia, n. 205/02, §§ 47-49; 4/12/2012, Torreggiani c. Italia, n. 43517/09, § 68).
14. Ove tali assicurazioni non pervengano in tempo ragionevole, la Corte di Appello potra’ pervenire al rigetto della richiesta allo stato degli atti; laddove, invece, l’autorita’ giudiziaria dello Stato di emissione faccia pervenire, successivamente e comunque entro un termine ragionevole, le suddette informazioni, il giudicato allo stato degli atti formatosi sul rifiuto della consegna, pur rendendo irretrattabili le altre questioni gia’ decise, non preclude la pronuncia di una successiva sentenza favorevole alla consegna, in relazione ai nuovi elementi sopravvenuti sulle condizioni di futura detenzione.
15. Deve, pertanto, disporsi l’annullamento della pronuncia impugnata perche’ venga celebrato un nuovo giudizio dalla Corte di Appello di Napoli che proceda a colmare, nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito, le indicate lacune della motivazione impugnata riguardo al mancato accertamento della condizione ostativa di cui all’articolo 18, lettera r) e, qualora ritenuta insussistente la stessa, anche quella di cui alla L. n. 69 del 2005, lettera h).
La cancelleria e’ tenuta agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 22, comma 5.
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