Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23307. Addebito della separazione al coniuge che con la propria condotta “impoveriva” il patrimonio familiare e le risorse da dedicare alla famiglia per avere lo stesso effettuato, un’ingente donazione in favore del fratello
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Precisa il giudice a quo che i comportamenti “vessatori”della moglie non sono affatto provati nè possono identificarsi con le iniziative giudiziarie da essa intraprese (nella specie domanda di interdizione). Quanto alle prove testimoniali richieste e già dichiarate inammissibili in primo grado, l’inammissibilità è stata confermata in grado di appello, con motivazione adeguata, seppur concisa. Quanto all’addebito al marito, è pacifico che l’odierno ricorrente abbia donato una consistente parte del suo patrimonio immobiliare al fratello e venduto allo stesso altra parte. Il giudice a quo non intende affatto dichiarare una ” simulazione ” non richiesta, quanto affermare che non sono provate le ragioni della donazione e cioè l’esistenza di debiti verso il fratello ( ciò che fa ritenere necessariamente sussistente il notevole depauperamento del patrimonio del ricorrente.
La sentenza impugnata, argomentando , all’evidenza, per presunzioni, ritiene sussistente il nesso di causalità tra comportamento addebitabile ed intollerabilità della convivenza, precisando che it predetto depauperamento costituisce sicura violazione dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c., espresso con una condotta particolarmente grave per i connotati che ha assunto, e tale da assorbire ogni altro profilo di censura, pur sollevato dalla moglie nei confronti del marito.
Ancora, il giudice a quo afferma, riguardo alla differente stima effettuata dal CTU rispetto al CTP dell’appellante, che non è necessario raggiungere una perfetta identità numerica, essendo sufficiente comprendere quali potessero essere le utilità economiche che da quel patrimonio potevano risultare ( più anche se si ritenesse fondata la valutazione del CTP in €. 220.000,00 sul valore delle attuali proprietà del ricorrente ed in €. 550.000,00 circa i beni ceduti al fratello} Ciò giustifica anche l’importo dell’assegno per la moglie. Quanto all’assegno per le figlie ormai maggiorenni è evidente che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto fornire prova della autonomia economica di esse ovvero del mancato raggiungimento di tale autonomia per loro colpa. Precisa il giudice a quo che tale prova non è stata raggiunta.
Il ricorso presenta qualche profilo di non autosufficienza, non riportando specificamente passi della CTU e delle osservazione del CTP in ordine dal degangeramente del ricorrente.
Va conclusivamente rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in €. 4.000,00 per compensi, €. 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’art. 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23307
Ricorre per cassazione il marito.
Resiste con controricorso la moglie.
Precisa il giudice a quo che i comportamenti “vessatori”della moglie non sono affatto provati nè possono identificarsi con le iniziative giudiziarie da essa intraprese (nella specie domanda di interdizione). Quanto alle prove testimoniali richieste e già dichiarate inammissibili in primo grado, l’inammissibilità è stata confermata in grado di appello, con motivazione adeguata, seppur concisa. Quanto all’addebito al marito, è pacifico che l’odierno ricorrente abbia donato una consistente parte del suo patrimonio immobiliare al fratello e venduto allo stesso altra parte. Il giudice a quo non intende affatto dichiarare una ” simulazione ” non richiesta, quanto affermare che non sono provate le ragioni della donazione e cioè l’esistenza di debiti verso il fratello ( ciò che fa ritenere necessariamente sussistente il notevole depauperamento del patrimonio del ricorrente.
La sentenza impugnata, argomentando , all’evidenza, per presunzioni, ritiene sussistente il nesso di causalità tra comportamento addebitabile ed intollerabilità della convivenza, precisando che it predetto depauperamento costituisce sicura violazione dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c., espresso con una condotta particolarmente grave per i connotati che ha assunto, e tale da assorbire ogni altro profilo di censura, pur sollevato dalla moglie nei confronti del marito.
Ancora, il giudice a quo afferma, riguardo alla differente stima effettuata dal CTU rispetto al CTP dell’appellante, che non è necessario raggiungere una perfetta identità numerica, essendo sufficiente comprendere quali potessero essere le utilità economiche che da quel patrimonio potevano risultare ( più anche se si ritenesse fondata la valutazione del CTP in €. 220.000,00 sul valore delle attuali proprietà del ricorrente ed in €. 550.000,00 circa i beni ceduti al fratello} Ciò giustifica anche l’importo dell’assegno per la moglie. Quanto all’assegno per le figlie ormai maggiorenni è evidente che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto fornire prova della autonomia economica di esse ovvero del mancato raggiungimento di tale autonomia per loro colpa. Precisa il giudice a quo che tale prova non è stata raggiunta.
Il ricorso presenta qualche profilo di non autosufficienza, non riportando specificamente passi della CTU e delle osservazione del CTP in ordine dal degangeramente del ricorrente.
Va conclusivamente rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in €. 4.000,00 per compensi, €. 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’art. 52 D.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.